Bibliografia

lunedì 1 agosto 2022

Il suicidio economico dell'Europa

 

 

di David Stockman

Il trio Guerra delle Sanzioni, Crociata della Green Energy e Fanatismo per il Virus rappresenta una minaccia mortale per la prosperità capitalista. Questo è già evidente nell'Eurozona, dove suddette malattie politiche sono più avanzate e il ritmo di crescita del PIL reale è precipitato del 74% rispetto a quello pre-crisi 2008.

Proprio così. Il ritmo di crescita reale nei Paesi E19 è stato di appena lo 0,67% annuo durante l'arco di 14 anni tra il primo trimestre del 2008 e il primo trimestre del 2022, rispetto al 2,29% annuo durante il periodo equivalente tra il 1995 e il 2008.

PIL reale dell'Eurozona, 1995-2022

Inoltre gli artisti del suicidio nell'UE sono solo appena all'inizio. Nonostante la prevista eliminazione del petrolio greggio russo entro la fine del 2022 e di fronte a una potenziale interruzione totale del gasdotto russo, questi geni stanno ora pianificando un sesto round di sanzioni oltre a tutta la follia che è avvenuta prima.

Di conseguenza l'Europa si sta dirigendo verso una ruggente stagflazione, anche se la politica monetaria è ancora molto allentata. Cioè, il tasso di riferimento della BCE è ancora -0,25%, creando così un enorme divario con il tasso di riferimento della FED che attualmente si attesta a +1,58% e salirà di altri 75 punti base al prossimo incontro.

A dire il vero, entrambi questi tassi sono del tutto irrazionali di fronte a un'inflazione dell'8%+ annua, ma nel breve termine il divario attuale e quello prospettico è così eclatante da aver farro letteralmente affondare il tasso di cambio euro/dollaro. Ora sta flirtando con la parità, il che significa che il suo valore sui mercati dei cambi è sceso del 15% solo nell'ultimo anno e di oltre il 58% dal picco di metà 2008.

Inutile dire che un tasso di cambio al collasso è una ricetta classica per l'aumento dell'inflazione importata.

Ciò significa, ovviamente, che la BCE sarà costretta a frenare con forza mentre l'inflazione nel mercato dell'energia salirà e l'IPC principale dell'Europa si dirigerà verso il 10%. Allo stesso tempo, la crescita del PIL reale scenderà, ma la banca centrale non sarà in grado di portare avanti i suoi stimoli. Infatti la brutale stagflazione che ci attende lascerà la BCE paralizzata.

Né è la fine dei venti contrari per l'Europa. Oltre a sanzioni, lockdown energetici e paralisi monetaria, potete anche aggiungere l'incontinenza fiscale. Il debito dell'Eurozona sta ora spingendo verso il 100% del PIL, il che significa che anche il margine di manovra fiscale è stato ampiamente esaurito. Ciò è particolarmente vero perché quando si esclude la Germania dall'equazione, gran parte del resto d'Europa guidato dal Club Med ha un rapporto debito pubblico/PIL ben superiore al 100%.

Cosa c'è che non va in queste persone? Stanno deliberatamente cercando di sabotare la società e anche un livello minimo di prosperità?

Rapporto debito pubblico/PIL dell'Eurozona

Inutile dire che queste domande non sono solo retoriche. Energia, cibo e altre pressioni inflazionistiche stanno letteralmente riducendo il tenore di vita del ceto medio.

Ad esempio, la scorsa settimana i prezzi dell'energia elettrica in Germania sono aumentati del 19%; sono quasi triplicati solo quest'anno e sono aumentati di oltre 7 volte dall'inizio del 2021. Anche i costi del gas in Europa sono aumentati in modo parallelo.

Allora perché i leader europei sono così presi dalla questione ucraina da seguire i guerrafondai neocon a Washington?

Sicuramente sono abbastanza svegli da vedere che ciò che sta accadendo in Ucraina è essenzialmente una guerra civile nelle terre storiche russe; che la spinta verso est della NATO è stata un errore colossale; che Putin non ha né l'intenzione né le capacità di minacciare il resto d'Europa.

Allo stesso modo, è difficile credere che i responsabili della sicurezza nazionale e dell'UE possano aderire alle ridicole sciocchezze di Washington secondo cui si tratta di "difesa dell'ordine internazionale liberale" e del mantenimento della "sovranità territoriale" degli stati-nazione.

Dopotutto queste sono le stesse persone che hanno facilitato lo smembramento della Jugoslavia e hanno bombardato la Serbia per 71 giorni consecutivi nel 1999 per dividere quel Paese e fare in modo che gli albanesi del Kosovo potessero avere la propria sovranità.

E quando si trattava dei talebani, di Saddam Hussein e di Moammar Khadafy, cosa c'entrava la santità dei confini? A Washington/NATO non piacevano questi regimi e questo è tutto ciò che è servito per scatenare i bombardieri, i missili da crociera e i carri armati attraverso i confini che avevano una validità storica di gran lunga superiore a quelli dell'attuale Ucraina..

Quindi perché non l'indipendenza per i russofoni del Donbas, della Crimea e della Novorussiya? Questi storici territori russi furono ceduti all'Ucraina sotto la minaccia delle armi da parte di Lenin, Stalin e Krusciov rispettivamente nel 1922, 1945 e 1954. E solo per una questione di convenienza amministrativa.

Infatti la tesi contro la partecipazione dell'Europa alla ridicola Guerra delle Sanzioni di Washington alla Russia è così schiacciante che è difficile negare la verità di fondo: i leader politici europei sono caduti preda di uno squilibrio mentale senza precedenti, una forma di pensiero di gruppo che si è completamente distaccato dalla razionalità.

Naturalmente questa è la stessa malattia che ha portato ad abbracciare la follia dell'energia verde. I burocrati senza cervello d'Europa hanno sostanzialmente adottato politiche energetiche autodistruttive dettate da un petulante adolescente scandinava e da un gruppo di "verdi" tedeschi odiatori della società industriale.

Ad esempio, nell'ambito del suo piano per ridurre la CO2 del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, l'UE prevede di limitare l'inquinamento nell'ambito del sistema di scambio di quote delle emissioni (ETS) a circa 12 miliardi di tonnellate, riducendo ogni anno la quantità totale di emissioni consentite.

Questi limiti sono stati confermati nonostante le pressioni dei Paesi dipendenti dal carbone come la Polonia, perché non c'è spazio nella "Finestra di Overton" europea per mettere in discussione la sacrosanta affermazione secondo cui la mancata prevenzione dell'aumento delle temperature globali di 1,5 °C entro il 2050 porterà alla rovina del pianeta Terra.

Questa è una sciocchezza epica. La verità è che per oltre il 90% delle volte durante gli ultimi 600 milioni di anni di incessante “cambiamento climatico” della Terra, la temperatura media è stata ben al di sopra degli attuali 15°C, a volte fino a 10°C in più.

E mai tali temperature più elevate hanno portato a un inesorabile ciclo apocalittico di calore che ha fritto il pianeta.

Naturalmente anche gli ambientalisti europei hanno dato di matto quando la Russia ha chiuso il rubinetto del gas.

Da sei settimane non una singola molecola di Gazprom scorre in Europa attraverso l'oleodotto Yamal. I flussi attraverso il Nord Stream 1 hanno raggiunto il 40% della capacità da metà giugno. Sono scesi a zero questa settimana per dieci giorni di manutenzione programmata.

Di conseguenza anche il governo di coalizione dominato dai Verdi in Germania ha dovuto avviare le sue centrali a carbone per il disperato timore che lo stoccaggio del gas naturale non fosse sufficiente per l'autunno, il che significa che la Germania potrebbe avere un inverno fatto di chiusure industriali e famiglie infreddolite.

Così hanno mantenuto in funzione 11 centrali a carbone la cui disattivazione era prevista per questo autunno, mentre hanno riattivato 17 centrali elettriche a carbone e petrolio che erano già state spente.

Tuttavia ciò non ha messo a tacere i Verdi, il cui ministro dell'economia ha presieduto la fuga in preda al panico verso il carbone:

"Indipendentemente dagli aumenti a breve termine del carbone nel mercato elettrico, le emissioni totali dovrebbero comunque essere ridotte dalla combinazione di efficienza energetica, diffusione delle energie rinnovabili e altre misure", ha affermato Sartor. "Questa è la bellezza di avere limiti vincolanti di emissioni nell'UE e una forte legislazione settoriale".

Proprio così. Non imparano mai. Sul fronte della Guerra delle Sanzioni, l'Europa si sta ora dirigendo volontariamente verso il baratro, contemplando l'abbraccio dell'orrendo tetto al prezzo del petrolio sbandierato da Janet Yellen.

Questa proposta deriva in realtà da un precedente pacchetto di sanzioni dell'UE che includeva un embargo sulle importazioni di petrolio russo e un divieto per le imprese dell'UE di assicurarsi spedizioni marittime di petrolio russo. Dovrebbero diventare effettive entro la fine dell'anno.

Tuttavia, poiché molte spedizioni di petrolio russo verso Paesi di tutto il mondo sono assicurate nell'UE e nel Regno Unito, la Yellen ha ripetutamente affermato di essere preoccupata che i piani dell'UE possano togliere il petrolio russo dal mercato globale. Quindi la sua soluzione è saltare dalla padella alla brace.

Ciò sarebbe presumibilmente evitato tramite un scorporo del divieto di assicurazione, consentendo alle aziende nell'UE, nel Regno Unito e altrove di assicurare e finanziare le spedizioni di petrolio russo se il prezzo di vendita scendesse sotto il tetto massimo, che sarebbe compreso tra i $40 e $60 al barile!

La Cina, l'India e altri Paesi in via di sviluppo acquirenti di greggio russo farebbero le feste e otterrebbero uno sconto ancora più profondo.

Purtroppo questo presuppone che la Russia accetterebbe di vendere a questi prezzi e che i Paesi che hanno un disperato bisogno di petrolio greggio si atterranno rigorosamente alle regole di Washington/NATO. Ma come ha fatto notare di recente Ambrose Evans-Pritchard:

I leader europei hanno formulato la loro linea di politica in un universo parallelo, discutendo schemi inapplicabili per un tetto massimo di $40-$60 sulle esportazioni russe di greggio, presumibilmente con portata extraterritoriale nei mercati asiatici. Il falso presupposto – mozzafiato nelle sue fallacie seriali – è che il Cremlino abbia bisogno di soldi e obbedirà docilmente.

Infatti possiamo solo esclamare "ma non mi dire!" in risposta a un analista che ha immediatamente individuato i buchi di trama in tale schema:

Ci sono diverse questioni in sospeso da risolvere sull'idea del limite di prezzo. Questi includono capire esattamente come applicarlo, convincere altre nazioni a sottoscriverlo e decidere il prezzo di vendita al quale i Paesi occidentali permetterebbero l'acquisto di petrolio russo. Incombe sulla proposta anche la presunzione che la Russia continuerà a vendere petrolio a un prezzo imposto dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.

Il fatto è che la Russia ha già dimostrato di non essere il famigerato e pietoso gigante indifeso quando si tratta di navigare sui mercati globali delle materie prime nonostante la Guerra delle Sanzioni. Durante i primi 100 giorni di guerra ha generato un fatturato record di $97 miliardi riguardo petrolio, gas e carbone vendendoli abilmente a sconti modesti a fronte dell'impennata dei loro prezzi a livello mondiale.

A giugno, ad esempio, le esportazioni di petrolio della Russia sono scese al livello più basso dall'agosto 2021, ma i suoi ricavi dalle esportazioni di petrolio sono aumentati di $700 milioni a $20,4 miliardi, il 40% in più rispetto alla media del 2021.

Durante il secondo trimestre, l'avanzo delle partite correnti della Russia è salito a un record di $70 miliardi. Arrotondando, si tratta di $250 miliardi di surplus commerciale con il resto del mondo. Alla faccia delle sanzioni!

Inoltre, mentre è opinione diffusa che Putin capitolerebbe di fronte al limite di prezzo proposto dalla Yellen e accetterebbe i prezzi di Washington perché i proventi delle importazioni di petrolio sono troppo preziosi – del valore di $700 milioni al giorno – tale presupposto potrebbe non verificarsi affatto. La Russia potrebbe ridurre la produzione di oltre 3-5 mb/g per molti mesi, molto più a lungo di quanto l'Asia e altri clienti potrebbero stare senza il suo petrolio.

Pertanto due analisi di JPMorgan, Natasha Kaneva e Ted Hall, hanno di recente affermato che la Russia potrebbe dimezzare temporaneamente la sua produzione totale fino a cinque milioni di barili al giorno (5% dell'offerta globale) senza causare danni durevoli alle sue infrastrutture di perforazione, o subire un intollerabile colpo economico.

Inoltre stimano che uno shock e una compressione di questa portata farebbero salire i prezzi a $380 al barile, livelli che porterebbero l'economia globale a una brusca frenata. Come hanno ulteriormente sottolineato suddetti analisti:

Non vi è alcun vincolo finanziario immediato. Il Fondo nazionale per il benessere della Russia ha stanziato $116 miliardi; il saldo di cassa del Tesoro russo è di altri $85 miliardi. Insieme sono sufficienti a coprire una perdita totale di entrate derivanti dalle esportazioni di combustibili fossili per quasi un anno, forse più a lungo di quanto le società europee possano sopportare il dolore. La Russia scambierebbe in ogni caso volumi più bassi a prezzi più alti, quindi potrebbe non perdere così tante entrate.

Alla fine della fiera, i fatti non mentono: la Russia è attualmente inondata da più entrate di quante ne possa gestire, incapace di sterilizzare un surplus delle partite correnti al 20% del PIL e quindi costretta ad accumulare riserve estere.

Di conseguenza il rublo si trova ora a un massimo di 8 anni a questa parte rispetto all'euro.

Quindi i burocrati e i politici dell'UE sono sulla strada per distruggere ciò che resta della prosperità capitalista europea?

Decisamente sì.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. Come con i lockdown, l'inversione di causa è lo sport più praticato dalla stampa mainstream. Infatti il suo ruolo è quello di sviare le colpe, quindi i lockdown sono stati fatti a causa del "virus assassino" e, adesso, il gas viene tagliato per un capriccio della Russia. Senza ovviamente dimenticare il Green New Deal, ovvero la strada più veloce verso la miseria. Tutte queste politiche sono espressamente volute, auto-indotte e gli effetti negativi ricercati. Dopo due anni di devastazione intenzionale questo punto dovrebbe essere chiaro.

    Ovviamente questa consapevolezza viene annacquata attraverso cori festanti per il PIL italiano in crescita. Cosa ci sarebbe da festeggiare per la metrica più stupida e inutile della storia economica? Il PIL non dice niente della ricchezza reale e della prosperità di un Paese, invece dice tutto (e solo) dell'offerta di denaro circolante. A tal proposito, infatti, se da una parte il reddito disponibile degli italiani è aumentato (negli ultimi due anni in particolare), quando esso viene aggiustato agli standard di vita, come vediamo nel primo grafico, le cose cambiano.

    Poi basta grattare un po' la superficie e vediamo come l'economia italiana è in realtà rimasta stagnante (la forza lavoro ha lambito i numeri pre-crisi sanitaria) ma il comparto produttivo ha subito e subirà ancora un'ondata d'inflazione dei prezzi che azzopperà il comparto industriale. E se già adesso la stagflazione affligge l'economia italiana, oltre a quella europea in generale, con quale coraggio burocrati come Borrell possono incitare le persone a "stare unite" quando la causa di tutti i loro problemi sono proprio eurocomunisti come lui e le loro misure di policy demenziali che hanno approvato?

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