lunedì 27 giugno 2022

Libertà e denaro sano/onesto: due facce della stessa medaglia

 

 

di Thorsten Polleit

È impossibile cogliere il senso dell'idea di denaro sano e onesto se non ci si rende conto che esso è stato concepito come strumento di tutela delle libertà civili contro le incursioni dispotiche da parte degli stati. Ideologicamente appartiene alla stessa classe delle costituzioni politiche e delle carte di diritto.
Così scrisse Ludwig von Mises in The Theory of Money and Credit nel 1912. E inoltre:

Il principio del denaro sano e onesto ha due aspetti. È positivo nel sostenere la scelta del mercato di un mezzo di scambio comunemente utilizzato; è negativo nell'ostacolare la propensione dello stato a intromettersi nel sistema monetario.

In questo contesto, i sistemi monetari moderni si sono allontanati sempre più dal principio del denaro sano e onesto. In tutti i Paesi del cosiddetto mondo libero, il denaro rappresenta oggigiorno una carta irredimibile controllata dallo stato, o uno standard monetario "fiat". L'opinione diffusa è che questo sistema monetario sarebbe compatibile con l'ideale di una società libera e favorevole alla produzione sostenibile e alla crescita dell'occupazione.

A dire il vero, ci sono voci che dissentono. Da un punto di vista storico, Milton Friedman disse:

Il mondo è ora impegnato in un grande esperimento per vedere se può creare un'ancora diversa, che dipenda dalla moderazione dello stato piuttosto che dai costi di acquisto di un bene fisico.

Irving Fisher, valutando l'esperienza del passato, scrisse: "La cartamoneta irredimibile si è quasi sempre rivelata una maledizione per il Paese che la impiega".

La principale causa di preoccupazione risiede in una caratteristica chiave della cartamoneta controllata dallo stato: la capacità illimitata del sistema di espandere l'offerta di denaro e credito. Al contrario, con il gold standard (scelto liberamente) ci si aspettava che anche l'offerta di denaro (ad es. oro) aumentasse nel tempo, ma solo in proporzione all'espansione dell'economia; ovvero un aumento della domanda di denaro, determinato da un aumento dell'attività economica, avrebbe portato sul mercato un'offerta di oro aggiuntiva (ad esempio, aumentando l'estrazione mineraria che sarebbe diventata sempre più redditizia). In quanto tale, il gold standard poneva una "rottura automatica" sull'espansione monetaria: quest'ultima sarebbe stata correlata, almeno in teoria, al trend di crescita dell'economia.

Il sistema monetario fiat controllato dallo stato non ha limiti intrinseci all'espansione del denaro e del credito. In realtà, è vero esattamente il contrario: le banche centrali, i fornitori di denaro in regime di monopolio per conto dello stato, sono state progettate deliberatamente per essere in grado di cambiare denaro e offerta di credito di qualsiasi importo e in qualsiasi momento.

Per prevenire l'abuso del loro potere illimitato sulla quantità di denaro, la maggior parte delle banche centrali ha ottenuto l'indipendenza politica negli ultimi decenni. Ciò è stato fatto per impedire ai politici di barattare i benefici di uno stimolo indotto dalla politica monetaria per essere rieletti con i costi futuri sotto forma d'inflazione. Inoltre molte banche centrali sono state incaricate di cercare un'inflazione bassa e stabile, misurata dagli indici dei prezzi al consumo, come obiettivo principale. Questi due fattori istituzionali, l'indipendenza politica e il mandato di preservare il potere d'acquisto del denaro, sono ora ampiamente visti come garanzie adeguate per preservare il denaro sano e onesto.

Comunque sia, le preoccupazioni di Mises paiono più rilevanti che mai:

La dissociazione delle valute da una parità aurea definitiva e immutabile ha reso il valore del denaro un giocattolo della politica. [...] Non siamo molto lontani ora da uno stato di cose in cui per "politica economica" si intende principalmente la questione dell'influenza sul potere d'acquisto del denaro.

Mentre l'obiettivo di preservare il valore della cartamoneta controllata dallo stato sembra essere lodevole, la verità è che è (praticamente) impossibile mantenere tale promessa. Infatti ci sono spesso incentivi politico-economici schiaccianti ad aumentare l'offerta di denaro e credito, se possibile, al fine di influenzare gli sviluppi della società secondo schemi ideologici preimpostati piuttosto che fare affidamento sui principi del libero mercato.

Questa tendenza è evidenziata in particolare dal fatto che le banche centrali sono regolarmente invitate a tenere conto della crescita della produzione e della situazione occupazionale dell'economia nell'impostazione dei tassi d'interesse. E queste considerazioni sono ciò che causano seri problemi in un sistema di moneta cartacea se e quando non c'è un limite netto all'espansione del denaro e del credito.

Per chiarire questo punto, è istruttivo dare una breve digressione sul rapporto tra credito, produzione nominale e crescita della "ricchezza" (che qui è definita, per semplicità, come prodotto interno lordo più capitalizzazione di borsa). Il grafico seguente mostra le variazioni annue del prodotto interno lordo (PIL) nominale statunitense e del credito bancario in percentuale dal 1974 all'inizio del 2022. Come si può vedere, entrambe le serie sono correlate positivamente nel periodo in esame: in media, l'aumento della produzione è stato accompagnato da un aumento del credito bancario e viceversa. In realtà è un'illustrazione istruttiva della teoria Austriaca del ciclo economico (ABCT), secondo la quale l'espansione del credito bancario non è solo strettamente associata a un ciclo di boom/bust, che influenza sia le grandezze reali che i prezzi delle merci, ma la sua forza trainante.

Sempre dal 1974 all'inizio del 2022, il grafico seguente mostra lo stock di denaro statunitense in miliardi di dollari USA e l'indice del mercato azionario S&P 500. L'aumento della massa monetaria è fondamentalmente il risultato dell'espansione del credito bancario, attraverso il quale viene creata nuova moneta. Come si può vedere, l'andamento dello stock monetario va sulla stessa lunghezza d'onda del mercato azionario. Come mai? Da un lato l'aumento del PIL nominale nel tempo si riflette nei valori crescenti delle valutazioni aziendali; dall'altro l'aumento dello stock monetario spinge al rialzo i prezzi delle merci, compresi i prezzi delle azioni.

In altre parole: la performance del mercato azionario è, a volte di più, a volte meno, attribuibile all'inflazione dei prezzi dei beni causata dal denaro fiat. Dalla fine del 2019 al primo trimestre del 2022 la banca centrale statunitense ha aumentato M2 del 43%, mentre il mercato azionario ha guadagnato il 63% nello stesso periodo. Poiché l'aumento della massa monetaria ha contribuito a gonfiare il PIL nominale, ciò si è anche tradotto (sostanzialmente) in un aumento dei prezzi delle azioni. In altre parole: l'espansione monetaria ha causato "l'inflazione dei prezzi degli asset".

Guardando questi grafici, il messaggio è: l'aumento cronico del credito e dell'offerta di denaro è stato, in media, "abbastanza positivo" per la produzione e la ricchezza. Tuttavia questa sarebbe un'interpretazione piuttosto miope. In un sistema monetario fiat l'espansione del credito e del denaro apporta benefici a pochi e spese a tutti gli altri. Inoltre il suo "effetto invisibile" è che impedisce tutto il successo economico e gli effetti di ricchezza che si sarebbero verificati se non ci fosse stata un'emissione di credito aggiuntivo e denaro fiat.

Come dicevano anche gli economisti classici, uno stimolo all'economia indotto dal denaro e dal credito è (come mostra l'ABCT) di breve durata e alla fine porterà all'inflazione, come delineato da David Hume nel 1742:

L'aumento (nella quantità di denaro) non ha altro effetto che aumentare il prezzo del lavoro e delle merci [...] nel progresso verso questi cambiamenti, suddetto aumento può avere una certa influenza, eccitando il settore industriale, ma dopo che i prezzi si sono stabilizzati [...] non ha più alcun tipo d'influenza.

Tuttavia l'odierna convinzione del mainstream economico, dominato dall'economia keynesiana, è che abbassando i tassi d'interesse la banca centrale può stimolare la crescita e l'occupazione. Quindi non c'è da stupirsi che, soprattutto nei periodi in cui l'inflazione è considerata "sotto controllo", le banche centrali siano spinte vero una politica monetaria "espansiva" per combattere la recessione. Infatti è ampiamente considerato "appropriato" che la politica monetaria mantenga gli oneri finanziari al livello più basso possibile.

Nei lavori di Mises si trova una critica fondata a questa convinzione largamente diffusa. Egli scrive:

L'opinione pubblica tende a vedere nell'interesse solo un ostacolo meramente istituzionale all'espansione della produzione. Non si rende conto che lo sconto sui beni futuri rispetto ai beni presenti è una categoria necessaria ed eterna dell'azione umana e non può essere abolita dalla manipolazione bancaria. Agli occhi dei maniaci del controllo e dei demagoghi, l'interesse è un prodotto delle sinistre macchinazioni di spietati sfruttatori. La secolare disapprovazione dell'interesse è stata pienamente ravvivata dall'interventismo moderno. Si aggrappa al dogma che è uno dei principali doveri del buon governo abbassare il più possibile il tasso d'interesse o abolirlo del tutto. Tutti i governi di oggi sono fanaticamente impegnati in una politica di cosiddetto denaro facile.

Mises delinea anche cosa comporta per l'economia la propensione ad abbassare i tassi d'interesse e ad aumentare l'offerta di denaro e credito. La teoria del ciclo economico della Scuola Austriaca sostiene che è l'espansione monetaria l'elemento al centro dei cicli di boom/bust. Un'offerta eccessivamente generosa di denaro e credito induce quella che di solito viene chiamata una "ripresa economica"; la crescita economica aumenta e l'occupazione aumenta.

Con il flusso di liquidità, tuttavia, arrivano disallineamenti e una distorsione dei prezzi relativi. Prima o poi l'espansione alimentata dal credito diventa insostenibile e si trasforma in una recessione. Nell'ignoranza e/o nell'incapacità di identificare le stesse forze responsabili del malessere economico, vale a dire l'eccessiva creazione di denaro e credito in passato, il calo della produzione e l'aumento della disoccupazione provocano richieste pubbliche di una politica monetaria ancora più accomodante.

Le banche centrali non sono in grado di resistere a tali richieste se non hanno alcun "ancoraggio", ovverosia una regola (fissa) che limiti l'aumento dell'offerta di denaro e credito nelle operazioni quotidiane. In assenza di tale limite, è molto probabile che le banche centrali, di fronte a una grave crisi economica, siano costrette a barattare l'obiettivo di crescita e occupazione con la conservazione del valore del denaro, compromettendo così un pilastro cruciale della società libera.

Vista in questo contesto, la politica monetaria odierna assomiglia in realtà a un'impresa illegale. Lo zeitgeist sostiene che il "targeting dell'inflazione" (IT), il cosiddetto concetto all'avanguardia dal punto di vista della maggior parte delle banche centrali, impedirà alla politica monetaria di causare problemi involontari. In pratica, l'IT non ha ancoraggio esterno: è la banca centrale stessa che calcola le previsioni di inflazione che, a loro volta, determinano come essa stessa imposterà i tassi d'interesse; impostare un limite quantitativo all'espansione del denaro e del credito non è generalmente visto come un obiettivo perseguibile. L'IT difficilmente potrà quindi ispirare una tale fiducia da attenuare la minaccia al valore della cartamoneta derivante dai governi (sotto forma di frode/abusi) e/o dai banchieri centrali (sotto forma di errori di policy).

Il ritorno ad una "politica monetaria senza regole" è iniziato negli anni '90, quando varie banche centrali abbandonarono gli aggregati monetari come punto di riferimento per la determinazione dei tassi d'interesse. Venne affermato che la "domanda di denaro" era diventata un indicatore instabile nel "breve termine" e che, in quanto tale, il denaro non poteva più essere utilizzato come parametro per definire la politica monetaria, in particolare perché i banchieri centrali stavano prendendo decisioni sui tassi d'interesse ogni poche settimane.

In vista di un ritorno alla discrezionalità nella politica monetaria, potrebbe essere utile citare le preoccupazioni di Hayek: l'inflazione "è il risultato inevitabile di una politica che considera tutte le altre decisioni come dati a cui deve essere adattata l'offerta di denaro, in modo che il danno causato da altre misure sia il meno notato possibile". A lungo termine una tale linea di politica fa sì che le banche centrali diventino "prigioniere delle proprie decisioni, quando altri le costringano ad adottare misure che esse stesse sanno di essere dannose".

Facendo eco all'avvertimento che Ludwig von Mises espose in The Theory of Money and Credit, Hayek concluse:

Il pregiudizio inflazionistico dei nostri giorni è in gran parte il risultato del prevalere di una visione a breve termine, che a sua volta deriva dalla grande difficoltà di riconoscere le conseguenze più lontane nel tempo delle misure attuali e dall'inevitabile preoccupazione degli uomini pratici, e in particolare dei politici,di problemi immediati e del raggiungimento di obiettivi vicini.

Cosa possiamo imparare da tutto questo? I rischi intrinseci dell'odierno standard monetario cartaceo, la capacità stessa di espandere lo stock di denaro e credito a piacimento, non sono più oggetto di adeguata attenzione: porre un limite all'espansione di denaro e credito non è classificato tra gli ingredienti essenziali di una politica monetaria "moderna". La gestione discrezionale della cartamoneta aumenta quindi notevolmente il potenziale di un costoso fallimento. Un primo passo per tornare al principio del denaro sano e onesto, che rende giustizia all'ideale di una società libera, sarebbe quello di fare in modo che la politica monetaria limiti la crescita dell'offerta di denaro, fermandola del tutto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. Oggi Draghi, un po' come fece Bernanke nel 2007, dice che non c'è e non ci sarà una recessione a breve, focalizzandosi, molto probabilmente, sullo stato dell'occupazione italiana e il numero di attività imprenditoriali italiane. Un tale boom, creato dalla massiccia espansione del credito e dalle elargizioni fiscali, ha portato a un aumento degli investimenti e alla formazione di capitale per soddisfare le esigenze future che gli imprenditori sono stati indotti a credere si sarebbero verificate. Pochi pensano che potrebbero rivelarsi aspettative errate, soprattutto perché i parametri di riferimento sono manipolati.

    Oggi l'inflazione è già diventata un fenomeno che si autoalimenta e riduce il reddito reale delle persone. Quando i prezzi salgono, il totale dei prodotti e servizi che un consumatore può acquistare con il suo reddito diminuisce, quindi sceglie quelli più importanti che può permettersi. Durante un aumento generale dei prezzi, questo effetto si verifica di settore in settore, il che porta a un calo della domanda di beni a livello industriale. Quando la domanda inizia a scendere, le entrate seguono; poi devono tagliare la loro produzione, il che porta a disoccupazione. I prossimi mesi saranno cruciali rispetto alla gravità dell'attuale stagflazione. Se il tasso di disoccupazione aumenterà nei prossimi mesi e l'inflazione non diminuirà, allora ci sarà una recessione già nel quarto trimestre di quest'anno.

    Gli imprenditori effettuano investimenti sulla base delle aspettative di profitti futuri e gli stimoli monetari hanno portato a un aumento della domanda e dei livelli di profitto che hanno alimentato e sostenuto queste aspettative. Tali investimenti, destinati a fallire, sono il risultato delle deliberate distorsioni dei segnali di prezzo che stati e banche centrali hanno distorto. Le imprese pagano gli interessi sui loro prestiti e il loro margine di profitto deve essere superiore all'importo degli interessi pagati. I tassi d'interesse più bassi hanno quindi aumentato anche i margini di profitto delle imprese. Oggi i rendimenti obbligazionari stanno salendo, mentre l'inflazione elevata sta abbassando la domanda dei consumatori; entrambi questi fattori stanno contribuendo a ridurre il profitto che le imprese realizzano. Le imprese in risposta ridurranno la produzione, il che porterà a un aumento della disoccupazione e all'aumento dell'accumulo di scorte invendute.

    Se i prezzi continueranno a salire, mentre l'aumento della disoccupazione ridurrà la spesa dei consumatori, i prezzi di tutti gli altri output scenderanno, perché i prezzi degli input dipendono in parte dai prezzi degli output finali. Questa riduzione dei prezzi tenderà ad abbassare l'inflazione, certo, ma sarà già in atto una recessione. Per quanto possa essere un keynesiano, Draghi è consapevole di queste meccaniche e quindi si riconferma ancora una volta la tesi di fondo: è il galoppino addetto alla demolizione controllata dell'Italia.

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