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mercoledì 15 giugno 2022

Come la FED ha ucciso la crescita e s'è mangiata anche l'Hamburger Index

 

 

di David Stockman

Di recente abbiamo appreso che la produzione industriale statunitense è salita ad aprile per il quarto mese consecutivo e, a causa di un aumento degli assemblaggi automobilistici, è salita dell'1,1% rispetto a marzo e del 6,4% rispetto all'anno precedente. Quindi i soliti sospetti hanno iniziato a straparlare di forza economica e l'assenza di una recessione all'orizzonte.

Ma come mostrato nel grafico qui sotto, ciò che otteniamo principalmente ancora una volta è una produzione rinata, non una crescita netta. Cioè, se rimuovete lo svenimento dell'aprile 2020 e tornate al massimo intermedio di dicembre 2014, cosa ottenete?

Bene, quello che ottenete è un tasso di crescita insignificante dello 0,26% annuo negli ultimi 7,5 anni. E per mancanza di dubbi, tornate al picco pre-crisi nel novembre 2007 e otterrete un tasso di crescita annuo di appena lo 0,21% negli ultimi 14,5 anni.

Quindi, no, l'economia industriale statunitense non è forte, invece è stata piatta per la maggior parte del secolo in corso. E questo è qualcosa di nuovo sotto il sole, non in senso positivo ovviamente.

Prima dell'inizio del secolo, infatti, la produzione industriale era il centro muscolare dell'economia statunitense. Tra il gennaio 1954 e il gennaio 2001 la produzione totale è cresciuta del 3,52% annuo e questa cifra è stata gravata da un periodo di 47 anni che ha visto sette battute d'arresto temporanee.

Tuttavia, la produzione industriale durante quel periodo è cresciuta quasi 17 volte all'anno più velocemente rispetto a novembre 2007. Diciamo che è a dir poco scioccante e richiede un'attenzione molto più seria rispetto ad alcuni delta mensili recenti.

Quando si esamina la composizione dei dati storici riguardo la produzione industriale, la causa del drastico rallentamento è sorprendentemente evidente. I dati costitutivi risalgono al 1972, ma nei successivi 28 anni il settore manifatturiero ha chiaramente guidato la parata della crescita industriale.

Crescita annuale, 1972-2000

• Minerario ed Energia: -0,06%

• Utenze Gas ed Elettricità: +2,45%

• Produzione manifatturiera: +3,10%

Produzione industriale totale: +2,71%

Com'è evidente qui sopra, l'unica a soffrire è stata l'industria mineraria e quella energetica, principalmente a causa del declino dell'industria nazionale del gas e del petrolio che non ha potuto competere con i produttori a basso costo nel Golfo Persico, nel Mare del Nord, nell'Africa occidentale e in altre regioni.

Tuttavia, per quanto riguarda la produzione di utenze pubbliche e quella manifatturiera, la crescita è stata robusta. Tali settori sono rimasti ragionevolmente competitivi sui mercati globali, mentre la crescita dell'industria nazionale ha generato una costante espansione della produzione di gas ed elettricità.

Inutile dire che i settori manifatturiero e delle utenze pubbliche, settori ad alta intensità di capitale, creano un'elevata crescita della produttività del lavoro e di valore aggiunto. La forte crescita nel centro industriale dell'economia, a sua volta, ha diffuso prosperità alla periferia dei servizi e ha innalzato il tenore di vita reale e la ricchezza nazionale.

Dal picco pre-crisi nel 2007, il quadro della produzione industriale si è capovolto. L'unico contributo alla crescita della produzione industriale dal novembre 2007, infatti, è il settore minerario ed energetico, che è esploso sulla scia della rivoluzione dello shale e della disponibilità di capitale d'investimento a basso costo proveniente dai distretti speculativi di Wall Street.

Tasso di crescita annuo dal 4° trimestre 2007 al 1° trimestre 2022

• Minerario ed Energia: +2,04%

• Utenze Gas ed Elettricità: +0,10%

• Manifatturiero: -0,21%

Produzione industriale totale: +0,14%

Proprio così. Il tasso di crescita annuo della produzione industriale (linea blu) è precipitato del 95% negli ultimi 14 anni rispetto alla media del 1972-2000, perché la produzione manifatturiera (linea viola) è diventata negativa e la crescita dei servizi di pubblica utilità (linea marrone) è rallentata.

Per quanto riguarda quest'ultima, il brusco rallentamento del tasso di crescita della popolazione e di formazione delle famiglie ha contribuito in modo significativo alla scomparsa di una crescita significativa della produzione delle utenze pubbliche. Pertanto nel periodo 1972-2001 il tasso di crescita della formazione delle famiglie è stato dell'1,68% annuo, il quale è poi rallentato del 53% a solo lo 0,79% annuo sin dal 2007.

Tuttavia il vero colpevole nello spingere la crescita della produzione delle utenze pubbliche verso la linea piatta è stata la completa stagnazione della produzione manifatturiera.

Nel primo trimestre del 2022 l'indice della produzione manifatturiera era in realtà inferiore del 3% rispetto al quarto trimestre del 2007. E quando nel frattempo vengono introdotti miglioramenti nell'efficienza energetica, è evidente che la domanda di utenze pubbliche da parte del settore manifatturiero è diminuita. .

Perché la crescita della produzione manifatturiera è precipitata dal +3,10% annuo nel periodo 1972-2001 al -0,10% dal picco pre-crisi alla fine del 2007?

La risposta, ovviamente, è la globalizzazione: la delocalizzazione di enormi porzioni del settore manifatturiero statunitense alle sedi a basso costo in Cina, Messico e altrove. Tal processo ha sviluppato una spinta inesorabile a metà degli anni '90, quando la Cina ha iniziato a costruire fabbriche di esportazione e le infrastrutture di supporto.

Il risultato, ovviamente, è stato il più grande arbitraggio del costo del lavoro della storia. Tra il 1995, quando le esportazioni cinesi negli Stati Uniti hanno iniziato a crescere, e l'aprile 2022, i salari orari nominali statunitensi nel settore manifatturiero sono aumentati del 103% (linea marrone, asse destro). Così facendo, hanno costantemente ampliato il divario di costo in dollari con la Cina, intensificando così gli incentivi per i fornitori statunitensi alla produzione o all'approvvigionamento offshore.

Allo stesso tempo, i lavoratori statunitensi che sono riusciti a mantenere il posto di lavoro hanno guadagnato solo il 6% in salari aggiustati all'inflazione (linea viola, asse sinistro) nello stesso periodo di 27 anni.

Vale a dire, le sciocche politiche di targeting dell'inflazione al 2,00% della FED hanno generato il peggio di tutti i mondi possibili: mentre schiacciavano gli stipendi dei lavoratori interni con un'inflazione sempre più alta, ha spedito all'estero milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero ben pagati. Il beneficio associato alla crescita delle utenze pubbliche nella produzione manifatturiera, a sua volta, è migrato anch'esso in Cina, a differenza delle ricadute sugli stessi servizi a livello interno, come avveniva prima del 2000.

L'insensatezza della politica di targeting dell'inflazione della FED è evidente quando gli stessi fatti sono visti dall'obiettivo di un solido sistema monetario di libero mercato. Vale a dire, un dollaro legato all'oro avrebbe causato una riduzione dei prestiti bancari e della crescita del credito al fine di arginare i disavanzi delle partite correnti degli Stati Uniti.

A sua volta, la crescita restrittiva del credito e della domanda avrebbe causato una costante deflazione interna di salari, prezzi e costi in risposta alle condizioni finanziarie interne più restrittive. L'alternativa sarebbe stata un massiccio drenaggio dell'asset di riserva (oro).

Invece, come ben sappiamo, la FED keynesiana ha gettato a mare i requisiti di una solida moneta, la quale aveva operato con successo su lunghi periodi di prosperità storica, a favore dell'autarchia monetaria. Quest'ultima è la convinzione sciocca che si possa stimolare la vasca interna del PIL fino all'orlo senza dislocare i vasti flussi di commercio di merci, capitali e finanze statunitensi rispetto al resto del mondo.

Il risultato è stato che durante l'arco di 27 anni mostrati di seguito, il livello dei prezzi negli Stati Uniti misurato dall'IPC è salito del 92%, quando in un sistema monetario sano e onesto sarebbe salito dello 0,0% o sarebbe sceso in modo significativo.

La delocalizzazione del lavoro e della produzione innescata dall'inflazione favorita dalla FED mostrata di seguito, è ciò che ha fermato la crescita della produzione industriale, soprattutto dopo che l'Eccles Building è andato in modalità "follia totale" con la stampante monetaria dal 2008 in poi.

Inutile dire che quando Deng pronunciò nei primi anni '90 che "essere ricchi è glorioso", una politica statunitense di deflazione interna era disperatamente necessaria a causa delle follie inflazionistiche degli anni '70 e oltre. Dopotutto quelle nuove e scintillanti fabbriche di esportazione, abbellite con attrezzature e tecnologie all'avanguardia, sarebbero state gestite prosciugando un'offerta quasi illimitata di manodopera a basso costo dalle enormi risaie cinesi.

In questo contesto è necessario ricordare che tra la metà del 1971, quando Nixon scisse definitivamente il dollaro dall'oro, e il gennaio 1995, il livello dei prezzi interni (linea nera) è salito di uno sbalorditivo 273%. Ciò ha ovviamente fatto levitare l'intera struttura dei costi interni, inclusi salari, servizi pubblici, trasporti e tutte le altre attività a valle.

Non c'era nemmeno una possibilità che i miglioramenti della produttività potessero tenere il passo con queste crescenti pressioni sui costi. Di conseguenza il costo unitario del lavoro è aumentato del 124% nello stesso periodo.

E questo è ciò che ha affondato la produzione statunitense; questo è ciò che ha inviato la produzione di beni e i relativi input in Cina, Messico e innumerevoli altri luoghi a basso costo di manodopera.

Se tutta quella stampa di denaro negli ultimi decenni non ha stimolato la crescita industriale ma ha effettivamente portato alla sua delocalizzazione, per favore, ditemi a cosa è servita?

In poche parole, ha causato una vasta ridistribuzione della ricchezza dai risparmiatori ai mutuatari e agli speculatori. E in questo non c'è virtù economica, perché la maggior parte della società non c'ha guadagnato, mentre i più abbienti hanno imparato che la via più facile per la ricchezza è il debito e il gioco d'azzardo.

Nel caso dei risparmiatori, i dati non lasciano nulla all'immaginazione. Utilizzando un conto di risparmio di $100.000 a tassi medi nazionali, il grafico seguente rende evidente che durante quasi tutto questo secolo fino ad oggi, i risparmiatori sono stati sommersi: durante 17 degli ultimi 20 anni, i tassi magri mostrati nelle barre nere sono stati inferiori rispetto al tasso (trattini blu) necessario solo per stare al passo con l'inflazione.

Quindi si può dire confisca della ricchezza?

In un libero mercato i tassi d'interesse sui conti di risparmio non sarebbero mai stati inferiori ai tassi d'inflazione per quasi due decenni ininterrottamente. E soprattutto, le condizioni esistenti nel 2022 sarebbero state considerate uno zimbello.

Come mostrato di seguito, per tenere il passo con l'inflazione al momento dovreste guadagnare $6.436 in interessi all'anno su quel conto di risparmio da $100.000, mentre il tasso effettivo attualmente offerto ammonta a $80 all'anno in interessi.

Sì, si tratta di una confisca agli steroidi. Ma ecco il punto: la FED non ha iniziato a lasciar salire i tassi d'interesse a breve termine fino a quando non si è materializzato un tasso di $6.356 nei fondi rubati ai risparmiatori; e intende prendersi ancora del tempo nel corso dei successivi trimestri e anni per tornare al suo obiettivo del 2,00%.

Nel frattempo altre migliaia di miliardi verranno rubati ai risparmiatori da una banca centrale che si occupa di pianificazione monetaria centrale, non dalla sovrintendenza del denaro.

Al contrario, i mutuatari hanno avuto vita facile. Dal 2010 il tasso fisso aggiustato all'inflazione su un mutuo di 15 anni ha oscillato tra l'1-2% e nel marzo 2022, quando la FED ha finalmente rialzato i tassi d'interesse, si è attestato a un ridicolo -5,2%.

In poche parole, fino a quando Powell & Co. non hanno visto i fari del treno inflazionistico che correva direttamente verso l'Eccles Building, hanno continuato a confiscare felicemente ai risparmiatori il 6,3% per soddisfare i mutuatari con un sussidio del 5,2%.

Non vediamo alcun mandato congressuale, né canone di logica economica e di giustizia che possa giustificare una tale redistribuzione.

Infatti l'unica cosa che ha visto il settore immobiliare è l'ennesima bolla nei prezzi delle case. Nonostante il lockdown del 2020-2021 abbia portato calamità economiche a decine di milioni di famiglie e piccole imprese statunitensi, i prezzi delle case sono schizzati alle stelle a causa dei tassi ridicolmente bassi della FED, applicati lungo l'intera curva dei rendimenti dai suoi maniacali $120 miliardi al mese in acquisto di obbligazioni.

Di conseguenza il prezzo medio delle case esistenti è salito da un già vivace $285.300 a metà 2019 a $391.200 attuali, rappresentando un  aumento del 37%.

I proprietari di case esistenti sono stati solleticati, mentre gli acquirenti per la prima volta e gli acquirenti stagionati sono stati sbattuti a terra.

Naturalmente la bolla immobiliare 2.0 è quasi pronta per scoppiare. Nel gennaio 2021 il tasso ipotecario a 30 anni era del 2,65% e il prezzo medio di una nuova casa (escluse le unità esistenti) era di $401.700. Al contrario, oggi il tasso di un mutuo a 30 anni è del 5,30% e il prezzo medio di una nuova casa è di $523.900.

Se si ipotizza un acconto del 20%, la rata mensile del mutuo aumenterà dell'80%, passando da $1.294 a $2.327. Di conseguenza il volume delle transazioni immobiliari si sta già indebolendo, il che significa che un altro giro di crollo dei prezzi delle case è dietro l'angolo, soprattutto perché la FED è costretta a tirare il freno a mano molto più di quanto si pensi ora per riportare il genio dell'inflazione nella lampada.

In poche parole, ciò che la FED ha dato, si sta preparando a riprendersi. Allora qual era lo scopo della bolla immobiliare alimentata dai mutui a buon mercato?

Certamente non ha creato un corrispondente boom nella costruzione di nuove case. Come abbiamo appreso di recente, le nuove case unifamiliari in aprile sono state pari a 1.001 milioni. È il 40% al di sotto del picco del 2005 e in realtà al di sotto del livello di 1.028 milioni registrato nell'aprile 1971.

Vale a dire, il completamento delle abitazioni è ora al livello raggiunto per la prima volta 51 anni fa, un intervallo in cui il numero di famiglie è passato da 83 milioni a 130 milioni. E ora la costruzione di case si sta rimettendo in sesto mentre la politica di normalizzazione dei tassi della FED prende il sopravvento.

Naturalmente sia Wall Street che gran parte di Washington stanno già cantando dal libro degli inni “L'inflazione ha raggiunto il picco”, ma ciò è smentito dal fatto che i prezzi delle abitazioni, del cibo e dell'energia sono ancora in forte aumento.

Quindi ciò che i politici chiamano ipocritamente discorsi da "bar" quando fingono di entrare in empatia con i loro elettori, potrebbero essere meglio descritti come “Chi s'è mangiato l'Hamburger Index?”.

Questo è ciò che la massiccia stampa di denaro da parte della FED ha effettivamente ottenuto negli ultimi decenni.

Vale a dire, nessun vantaggio per la crescita industriale, nessun aumento di ricchezza per la maggior parte degli americani accompagnato da una perversa ridistribuzione ai vertici e nessun guadagno nella costruzione di immobili.

 

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. Le spiegazioni mainstream sono sempre carenti di un elemento importante: la natura del denaro attuale. Le manipolazioni dell'offerta dello stesso non vengono tenute in considerazione, ritenendolo una merce al di sopra delle altre e investendo al contempo i banchieri centrali di un alone di affidabilità/infallibilità ingiustificato. Quindi scopriamo che negli USA è un problema di "domanda", mentre qui in Europa è un problema di "offerta", di conseguenza il corso intrapreso dalle due banche centrali è giusto e sacrosanto.

    Se guardiamo ai dati ufficiali notiamo che, sulla scia della gigantesca stampa di denaro degli ultimi due anni in particolare, M2 negli USA e in Europa è cresciuta rispettivamente del 30% e del 12% solo nel 2020. Questi due parametri ci suggeriscono il numero reale dell'inflazione, poiché la definizione di tale fenomeno è precisamente un aumento dell'offerta di denaro; la trasmissione di tale aumento nell'economia generale è l'inflazione dei prezzi, la cui salita è determinata dal tempo intercorso affinché il denaro creato ex novo si faccia strada nei vari settori. Non c'è quindi spiegazione concernente domanda/offerta nelle varie aree che tenga, il fenomeno inflazione è un particolare accadimento con regole ben definite; l'esogeneità di altri fattori, come la produzione, si aggiunge a essa, ma non ne cambia l'origine. Senza contare che anche l'Europa ha adottato le stesse politiche di chiusura degli USA e ha poi visto un aumento della domanda al consumo sulla scia delle riaperture, quindi non si capisce come l'esclusività dei problemi di domanda e offerta siano ad appannaggio di un'area e non dell'altra.

    In realtà la spiegazione c'è: bisogna nascondere la natura truffaldina del denaro fiat, la quale induce artificialmente fenomeni economici nell'ambiente di mercato causando misallocation di risorse scarse. È quest'ultimo il vero problema che nel corso del tempo ha generato una mole ingestibile, ormai, di errori economici che chiedono a gran voce una correzione. Inoltre anche un periodo di tassi in ascesa non risolve il problema dell'inflazione: ritorno a far crescere artificialmente l'offerta di denaro. E una delle proposte di valore di #Bitcoin entra in gioco proprio qui: una determinazione onesta dei fenomeni economici, quali inflazione e deflazione, affinché vengano ridotti al minimo gli errori economici.

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