Dopo oltre un decennio di bassa inflazione nei prezzi al consumo, nonostante i giganteschi stimoli monetari e fiscali, la recente impennata ha colto di sorpresa la maggior parte delle banche centrali. In primo luogo, hanno cercato di liquidarla come "transitoria" e causata da colli di bottiglia legati alla pandemia. Nel giro di pochi mesi, quando i salari hanno iniziato a crescere fortemente, il presidente della FED, Jerome Powell, ha dovuto ammettere che "i fattori che spingono l'inflazione al rialzo perdureranno fino al prossimo anno". Ora sta affermando che la FED prenderà le misure appropriate per affrontare il problema dell'inflazione, ma la retorica difficilmente risulta convincente. Sia la Federal Reserve che la Banca Centrale Europea (BCE) sembrano fare solo piccoli passi verso la fine del quantitative easing ed il rialzo dei tassi d'interesse, non essendo disposte a rischiare una recessione per domare l'inflazione.
Molto probabilmente il rialzo dei tassi d'interesse farà scoppiare le attuali bolle nel mercato azionario, in quello immobiliare ed in quello del debito societario, rivelando gli investimenti sbagliati alimentati dagli stimoli alla crescita. La FED è ben consapevole di questo rischio perché è esattamente quello che successe nel 2019, quando i mercati finanziari crollarono dopo quattro rialzi dei tassi d'interesse nel 2018. Invece di continuare la normalizzazione della politica monetaria, la FED perse i nervi saldi e prontamente invertì la rotta. Questo è il motivo per cui molti analisti dubitano della determinazione della FED a contrastare l'inflazione adesso. Un altro ostacolo all'eliminazione dell'inflazione è l'ampio stock di debito pubblico accumulato dopo la crisi finanziaria globale ed un preoccupante allentamento della spesa pubblica anche in economie precedentemente frugali. Inoltre questa tendenza è supportata da crescenti richieste di lassismo fiscale tra gli esperti mainstream.
Grave deterioramento delle posizioni fiscali
Negli ultimi settant'anni i cambiamenti nella politica fiscale degli Stati Uniti sono stati un importante motore dell'inflazione nell'indice dei prezzi al consumo. Quando i disavanzi di bilancio sono aumentati, l'inflazione annua ha superato il 5%, soprattutto dopo che gli Stati Uniti sono usciti dal gold standard nel 1971 (Grafico 1). La correlazione non è 1:1, poiché anche altri fattori contribuiscono ad un aumento artificiale dei mezzi fiduciari, ma quasi sempre questo che accade quando si verificano slittamenti fiscali: le banche centrali finiscono per monetizzare una quantità maggiore di debito pubblico.
Grafico 1: deficit di bilancio USA e prezzi al consumo. Fonte: FRED |
Gli ultimi due decenni hanno visto un'impennata del debito pubblico in tutto il mondo. Nelle economie avanzate l'onere del debito pubblico è salito da circa il 70% del prodotto interno lordo (PIL) nel 2001 ad oltre il 120% del PIL nel 2021 (si veda il World Economic Outlook Database del Fondo Monetario Internazionale). Tuttavia i pagamenti degli interessi sono diminuiti in modo significativo a causa dei tassi d'interesse ai minimi storici. Ad esempio, sia la Francia che gli Stati Uniti hanno iniziato il nuovo millennio con un rapporto debito pubblico inferiore al 60% del PIL, più che raddoppiato poi lo scorso anno in entrambi i Paesi fino a sfiorare il 120% del PIL in Francia ed oltre il 130% del PIL negli USA (Grafico 2). Nello stesso periodo, il costo annuale del debito pubblico è sceso dal 2,5% all'1% del PIL in Francia e dal 3% al 2% del PIL negli Stati Uniti. Il debito pubblico italiano è aumentato di circa 45 punti percentuali rispetto al PIL, mentre il pagamento degli interessi si è dimezzato, passando da circa il 6% al 3% del PIL. Un calcolo a spanne ci dice che ai tassi d'interesse prevalenti prima del 2001, il costo annuo del debito pubblico sarebbe stato più del 5.5% del PIL in Italia e negli Stati Uniti e del 4% in Francia rispetto allo scorso anno. Inoltre i disavanzi di bilancio in tutti e tre i Paesi sono aumentati fino a raggiungere o superare il 10% del PIL nel 2021 e, secondo l'FMI, potrebbe al massimo scendere del 3-4% del PIL in Italia e Francia e del 5% del PIL negli Stati Uniti dopo la pandemia. Di fronte ad un tale incubo fiscale, come ci si può aspettare che la FED o la BCE si muovano con forza per normalizzare i tassi d'interesse?
Grafico 2: Debito pubblico e pagamenti degli interessi. Fonte: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico & FMI |
Peggio ancora, la dissolutezza fiscale sembra diffondersi più rapidamente della pandemia. Se l'Italia e la Francia non hanno mai eccelso nella disciplina fiscale, Paesi come Australia, Corea, Germania e Paesi Bassi erano famosi per la loro moderazione fiscale. Sembra che sia tutto finito ora. A causa di stimoli fiscali ricorrenti, il debito pubblico australiano è passato da un livello molto basso del 10% del PIL prima della crisi finanziaria globale al 62% del PIL nel 2021 (si veda il World Economic Outlook Database). La correzione dei deficit e del debito è ora diventata una sfida seria, ulteriormente aggravata da una minacciosa bolla immobiliare. Dal 2017, quando il presidente Moon Jae è salito al comando in Corea del Sud, la sua strategia di crescita economica basata sul reddito, basata sull'aumento dei consumi e sulla ridistribuzione del reddito, ha portato ad una considerevole espansione fiscale. La lunga serie di ampi avanzi di bilancio della Corea si è interrotta bruscamente poco prima della pandemia ed il suo bilancio ha registrato un disavanzo del 3% del PIL nel 2021 (Grafico 3). Si prevede che la spesa di bilancio di quest'anno aumenterà di un altro 8% al fine di espandere la rete di sicurezza sociale della Corea, sovvenzionare le piccole imprese ed investire nella transizione verde.
Grafico 3: disavanzi delle amministrazioni pubbliche. Fonte: Database delle prospettive economiche mondiali |
Germania e Paesi Bassi erano i membri "frugali" più importanti nell'area Euro, con bilanci in pareggio per diversi anni ed intenzionati a frenare la stravaganza fiscale degli altri membri dell'UE. Ora entrambi i Paesi hanno promesso un aumento senza precedenti della spesa pubblica oltre a quella già vista nella pandemia. La posizione di bilancio dei Paesi Bassi è peggiorata da un avanzo del 2,5% del PIL nel 2019 ad un disavanzo superiore al 6% del PIL nel 2021 (Grafico 3). Il budget dovrebbe rimanere in rosso nei prossimi anni, poiché il governo prevede di spendere di più per immobili, istruzione, assistenza all'infanzia e transizione verde. La Germania ha chiuso il 2021 con un disavanzo di bilancio vicino al 7% del PIL ed il suo nuovo governo di coalizione ha agende verdi e sociali molto ambiziose. La coalizione vuole accelerare l'abbandono dell'energia da carbone, mettere 15 milioni di auto elettriche sulle strade, costruire 400.000 case popolari ed aumentare il salario minimo a €12 l'ora, pur impegnandosi a ripristinare un freno all'indebitamento entro il 2023 e non aumentare le tasse.
L'inclinazione della Germania all'allentamento fiscale è evidente non solo nei suoi piani per una spesa più elevata, ma anche in una posizione più accomodante nei confronti di un allentamento delle regole di bilancio dell'UE. Queste ultime sono state sospese durante la pandemia e Paesi fortemente indebitati, come Italia, Francia e Grecia, stanno spingendo affinché le cose rimangano così al fine di soddisfare la grande necessità di investimenti verdi e livelli di debito post-pandemia molto più elevati. Si stima che gli obiettivi climatici estremamente ambiziosi dell'UE costeranno fino all'1% del PIL in investimenti pubblici all'anno durante questo decennio, complicando ancora di più la sfida del risanamento di bilancio. Con una minore opposizione all'allentamento delle regole di bilancio da parte di Paesi Bassi e Germania, e la crescente divergenza fiscale tra i membri dell'area Euro, è molto probabile che le considerazioni sulla stabilità finanziaria e sulla crescita a breve termine avranno la precedenza sulla disciplina di bilancio.
Richieste crescenti per sgonfiare il debito mediante l'inflazione
Le stesse voci che chiedevano grandi stimoli alla crescita all'indomani della crisi finanziaria globale, stanno sostenendo ancora una volta, in puro stile keynesiano, che l'austerità è una strada verso il fallimento, mentre gli "investimenti" pubblici stimoleranno la crescita e, in definitiva, miglioreranno la stabilità fiscale riducendo il rapporto debito/PIL. Secondo loro l'Europa non dovrebbe tornare alle regole fiscali pre-pandemia, sebbene queste fossero a malapena osservate anche allora. Gli argomenti principali avanzati sono i cosiddetti successi della massiccia spesa in deficit durante la pandemia e la migliore performance di crescita degli Stati Uniti durante la Grande Recessione. Ma, insieme ai “decenni perduti” del Giappone, questi sono ottimi esempi del fatto che gli stimoli alla crescita non funzionano.
La ripresa economica è rimasta contenuta non solo negli Stati Uniti, ma in tutte le economie avanzate. Parallelamente, i livelli del debito pubblico e privato hanno continuato a crescere, mentre le bolle in azioni ed immobili sono state rigonfiate a nuovi massimi. Con gli stimoli monetari e fiscali ancora in atto, la “ripresa” è principalmente un artificioso doping del PIL, cosa che rischia di scoppiare quando gli stimoli verranno rimossi. La strategia d'investimento e crescita sostenuta dagli economisti mainstream non è altro che un appello a gonfiare il debito attraverso la spesa pubblica. Ciò ignora del tutto gli effetti disastrosi che avrebbe un'accelerazione della stampa di denaro, poiché verrebbero intensificate l'erosione del capitale e le distorsioni nella struttura della produzione.
Alcuni sostenitori dell'inflazione cercano anche di utilizzare la modellazione econometrica per dimostrare che finora la politica monetaria non è stata sufficientemente espansiva. A loro avviso il quantitative easing può aiutare a raggiungere gli obiettivi di inflazione e ridurre i costi del debito in modo che la politica fiscale possa intervenire in modo più aggressivo per sostenere la crescita e, infine, stabilizzare la posizione dei bilanci. Se questo è vero, perché i livelli di indebitamento non si sono già stabilizzati, dopo decenni di generosi stimoli fiscali? E cosa spiega le bolle che si sono moltiplicate negli ultimi due decenni se la politica monetaria è stata troppo restrittiva? In realtà, la presunta sinergia “virtuosa” tra allentamento monetario e fiscale non può che sfociare in una spirale insensata di debito e inflazione fuori controllo. Gli esempi storici dell'Argentina e della Germania illustrano molto bene i rischi che la monetizzazione del debito scivoli nell'iperinflazione e nel collasso economico. Tutta la propaganda pro-inflazionistica non è sicuramente un buon segno, infatti gli stati non sospenderanno le politiche inflazionistiche tanto facilmente.
Aspettative per una maggiore inflazione
I sondaggi mostrano che le persone stanno iniziando a rendersi conto che è probabile che l'inflazione salga ulteriormente anziché svanire. Questo sta alimentando gradualmente le richieste di salari più alti e la volontà di separarsi più rapidamente dai contanti. Come affermato in un recente articolo, una volta che le aspettative di inflazione si sono consolidate, lo spazio di manovra del sistema bancario centrale per controllare l'inflazione ed utilizzarla per sgonfiare il debito si ridurrà in modo significativo. La FED potrebbe volere un'inflazione solo marginalmente più alta, in un intervallo dal 4 al 6% all'anno, senza lasciarla fuori controllo, ma data l'interazione tossica con livelli di debito già molto elevati e aspettative di inflazione in aumento, i piani delle banche centrali potrebbero deragliare facilmente.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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