Bibliografia

venerdì 11 marzo 2022

Le banche centrali sono ormai insolventi

 

 

di Alasdair Macleod

Dietro la battaglia per convincere tutti che l'inflazione dei prezzi non è un problema duraturo, c'è la necessità di mantenere bassi i tassi d'interesse ed i rendimenti obbligazionari. In passato il ciclo dei tassi d'interesse era interamente dovuto all'espansione ed alla contrazione del credito bancario commerciale, ma ciò avveniva prima che le banche centrali costruissero portafogli obbligazionari attraverso il quantitative easing.

Questo non solo le espone al ciclo dei tassi d'interesse, ma non ha aumentato la loro base di capitale per tenere il passo con l'espansione dei loro bilanci. Da qui il problema del rialzo dei tassi d'interesse e dei rendimenti obbligazionari: su base mark-to-market le principali banche centrali sono insolventi, con passività di bilancio che ora superano i loro attivi.

Questo articolo ritiene che tale condizione sia vera per la Banca d'Inghilterra, il Federal Reserve Board, la Banca del Giappone e l'intero sistema euro. Le altre banche centrali non verranno esaminate.

Senza dubbio questa situazione sarà risolta a breve termine dai governi che investiranno di più nelle loro banche centrali. Ma c'è una grande eccezione, che è la BCE ed il sistema euro, con tutti i suoi azionisti che sprofondano in un patrimonio netto negativo (con le uniche eccezioni minori delle banche centrali irlandese, maltese e slovena).

Di conseguenza, con l'interconnessione del sistema finanziario globale, la capacità delle banche centrali di garantire la sopravvivenza delle proprie reti di banche commerciali è quasi certamente cessata a causa del collasso dell'Eurosistema. Il precedente è il fallimento di un prototipo di banca centrale nel 1720, la Banque Royale di John Law. Questa esperienza ci permette di vedere come andrà a finire.


Introduzione

È opinione diffusa che le banche commerciali siano quelle istituzioni che si assumono il rischio, mentre le banche centrali no. Le banconote sono superiori ai depositi bancari proprio per questo motivo. Sono le banche commerciali che falliscono e le banche centrali che salvano quelle che vale la pena di salvare. Sono i prestatori di ultima istanza.

In quanto tale, la loro integrità finanziaria è indiscussa. Naturalmente in questa dichiarazione di solito non includiamo le banche centrali dei Paesi emergenti, ma qualsiasi rischio è sempre percepito nei confronti delle loro valute piuttosto che nell'istituzione. Sappiamo che la Reserve Bank of Zimbabwe supervisiona politiche monetarie non convenzionali, ma non sentirete che la sopravvivenza della RBZ viene messa in discussione. Si presume generalmente che in qualsiasi nazione una banca centrale che può emettere la propria valuta in quantità illimitate non possa mai fallire, ed è per questo che è la valuta che fallisce e non l'istituzione.

Di conseguenza le banche commerciali vanno e vengono, mentre invece le banche centrali continuano ad andare avanti. Almeno questa sembra essere l'esperienza finora. Fino agli ultimi decenni la storia non ha visto le principali banche centrali investire regolarmente ingenti somme nei loro mercati obbligazionari nazionali, perché qualsiasi banca centrale rispettabile ha sempre evitato di finanziare apertamente i disavanzi del proprio governo.


Il QE e le sue conseguenze inflazionistiche

La situazione è cambiata nel 2000, quando la Banca del Giappone è stata la prima ad introdurre il quantitative easing. Rassicurate dall'inaspettata stabilità dei prezzi a seguito della monetizzazione degli asset da parte della BOJ, il QE è stato introdotto solo dalle altre principali banche centrali sulla scia della crisi finanziaria che portò al fallimento della Lehman. E dopo la creazione di quel precedente, il QE è diventato una caratteristica permanente della politica monetaria, investendo in obbligazioni con scadenza più lunga rispetto alle banche commerciali che di solito limitano le loro scadenze ai titoli inferiori ai cinque anni.

Secondo l'establishment del sistema bancario centrale, il QE è uno strumento non convenzionale che viene utilizzato solo quando i tassi d'interesse sono stati abbassati a livelli estremamente bassi. Se il tasso d'inflazione dei prezzi è ancora al di sotto dell'obiettivo prescritto al 2% e la produzione aggregata è considerata inferiore al potenziale, viene quindi implementato il QE. E c'è la Regola di Taylor, la quale postula che una banca centrale dovrebbe abbassare i tassi d'interesse quando l'inflazione è ostinatamente al di sotto del livello target del 2%, o quando la crescita del PIL è troppo lenta e al di sotto del suo potenziale, anche se ciò implica tassi negativi. Il QE è quindi giustificato come alternativa o un'aggiunta a questa condizione innaturale.

Il risultato è stato un'esplosione delle dimensioni dei bilanci delle banche centrali. Il bilancio combinato di FED, BCE, BOJ e Peoples Bank of China è passato da $5.000 miliardi nel 2007 a $31.000 miliardi a fine dicembre, più di sei volte. È un aumento che ha gonfiato la bolla degli asset finanziari, il collegamento è attraverso la soppressione dei rendimenti dei titoli di stato da un intervento così massiccio sul mercato attraverso la stampa di denaro.

Il risultato inevitabile di questa espansione monetaria globale coordinata è stato un aumento diffuso dei prezzi delle materie prime, della logistica, del lavoro e dei beni di consumo. Avendo preso in considerazione l'esperienza dei prezzi giapponesi in seguito al suo QE pionieristico, le conseguenze per i prezzi globali sembrano aver colto alla sprovvista i banchieri centrali. Sembrano aver dimenticato che se si espande la quantità di una valuta, se ne diluisce il potere d'acquisto, un semplice fatto che tende a riflettersi nell'aumento dei prezzi di tutto. Ad oggi, non troverete nessun banchiere centrale che colleghi l'inflazione dei prezzi alla loro cosiddetta politica monetaria, incolpando sempre altri fattori inaspettati nel settore privato.

Questa cecità volontaria si estende al rimedio previsto, ovvero aumentare il costo del denaro, e che tutti coloro che sono coinvolti nella politica monetaria credono sia il ruolo dei tassi d'interesse. La speranza è che possano rialzare marginalmente il costo del credito per riportare la domanda a livelli non inflazionistici e fermare gradualmente gli acquisti di obbligazioni. Tuttavia, è tutta un'illusione.

I tassi d'interesse sono solo il costo del denaro per un mutuatario che calcola un ritorno su un investimento. I risparmiatori, inclusi i proprietari stranieri di una valuta, la vedono in modo diverso. Nel separarsi dalla proprietà di una valuta si aspettano un risarcimento per la perdita del suo utilizzo fino a quando non viene restituita, un compenso per il rischio associato al mutuatario; inoltre incorporeranno sempre più aspettative di cambiamenti nel potere d'acquisto della valuta tra la separazione e il suo eventuale ritorno. Un tasso d'interesse è sempre fissato dalle aspettative del mercato per questi motivi ed il controllo che una banca centrale esercita sui tassi è sempre temporaneo. Quello a cui stiamo assistendo oggi è l'inizio del fallimento di una soppressione di lunga data dei tassi d'interesse.

Con questo in mente, i mercati stanno ora indicando che i tassi d'interesse saliranno, perché gli attuali livelli sono innaturali. Non possiamo dire fino a che punto saliranno per scontare il potere d'acquisto futuro delle principali valute: dipende dai mercati. Ma dati gli straordinari livelli di svalutazione della valuta sin dal 2008, e in modo più marcato dal marzo 2020, non c'è dubbio che i mercati si aspetteranno sempre più che siano in programma ulteriori e sostanziali svalutazioni.

Solo guardando il dollaro, possiamo vedere quanto siano radicate queste pressioni oggi. Il seguente grafico mostra l'entità dell'espansione monetaria e creditizia (M3) che deve ancora riflettersi nell'espansione del PIL.

Ci possono essere solo due spiegazioni per la divergenza indicata dallo spazio tra le frecce. La prima: ci sono quantità crescenti di valuta e credito vincolate nei mercati finanziari secondari, le quali diminuiranno con l'aumento dei tassi d'interesse e la fine della bolla speculativa. Ciò è stato in parte alimentato dal QE, nella misura in cui i depositi in mano a fondi pensione e compagnie assicurative non sono stati investiti in nuove emissioni (che con un intervallo temporale variabile circolerebbero poi nell'economia non finanziaria), ma sono state invece utilizzate per acquistare titoli esistenti che sono esclusi dalle statistiche del PIL.

In secondo luogo, il divario tra M3 e la crescita del PIL sarà ridotto da ulteriori aumenti dei prezzi nelle componenti del PIL. Secondo le statistiche ufficiali più recenti, i prezzi stanno salendo di oltre il 7%. Le statistiche non ufficiali (come quelle di Shadowstats.com) affermano che quella cifra è più vicina al 15%. Qualunque sia la vera cifra, c'è molta più pressione al rialzo sui prezzi a causa della passata svalutazione monetaria.

Qualunque siano le prospettive economiche (e questa non è una questione di PIL, che è solo un totale di denaro e nient'altro), i mercati forzeranno i tassi d'interesse più in alto in tutte le valute affinché venga compensata la perdita di potere d'acquisto. Con l'aumento significativo dei rendimenti obbligazionari, la bolla globale degli asset finanziari infine scoppierà. Questo esito è sempre più certo.

Sorge ora la domanda sull'effetto che questi sviluppi avranno sul sistema bancario, comprese le banche centrali. Molto è stato scritto sulle conseguenze per il ciclo del credito bancario, il quale affligge le banche commerciali e non è necessario ripeterlo qui. La nostra attenzione, invece, deve essere concentrata sulle banche centrali con i loro enormi portafogli di asset finanziari e su come saranno influenzati. Questo articolo esamina le conseguenze di un mercato ribassista obbligazionario sulle finanze della Banca d'Inghilterra, del Federal Reserve Board, della Banca del Giappone e della Banca Centrale Europea.


La Banca d'Inghilterra

In un recente articolo per The Sunday Telegraph Jeremy Warner ha sottolineato che il rialzo dei tassi d'interesse e dei prezzi delle obbligazioni "aumenterà drasticamente le perdite che potrebbero essere sostenute sugli $895 miliardi di debito pubblico in pancia alla Banca d'Inghilterra, accumulate in oltre 10 anni di quantitative easing". Citando la recente corrispondenza tra il Governatore ed il Cancelliere, Warner ha proseguito sottolineando che i pagamenti dei dividendi dal suo portafoglio di Gilt erano stati inviati al Tesoro del Regno Unito e che è probabile in futuro un flusso inverso di pagamenti.

Warner stima che le perdite della BOE finora ammontano a circa £100 miliardi e che la riduzione del portafoglio potrebbe portare il prossimo mese a perdite iniziali per £3 miliardi in base alle obbligazioni in scadenza. Fortunatamente per la Banca d'Inghilterra, in base ad un accordo preliminare, il Tesoro è tenuto a coprire le perdite della banca. I numeri nella Tabella 1 qui sopra riflettono la posizione negli ultimi conti certificati disponibili: i conti per l'anno fino alla fine di questo mese saranno pubblicati tra pochi mesi e saranno coerenti con le stime di Warner.

Le obbligazioni acquistate tramite QE sono fuori bilancio e contenute nel Bank of England Asset Purchase Facility Fund Limited, finanziato da prestiti della BOE. Possiamo ragionevolmente presumere che le scadenze siano distribuite a vent'anni e più ed i nostri calcoli nella Tabella 1 presuppongono una scadenza media di dieci anni. Nell'esercizio terminato il 28 febbraio 2021, le perdite nette su strumenti finanziari (ovvero il portafoglio di Gilt acquisiti tramite QE) sono state di £56.108 milioni. Il patrimonio netto negativo, in base alla nostra stima nella Tabella 1 di £78 miliardi e alla più recente stima di Warner di £94 miliardi, sarà interamente coperto dal Tesoro inglese.

Come se ne occuperà è una domanda interessante. È improbabile che il Tesoro inglese tagli la sua spesa per coprire le perdite della BOE. Verranno invece aggiunte al disavanzo nazionale, da coprire con ulteriori emissioni di Gilt ed aumentando il fabbisogno di finanziamento. E con la BOE che fa uscire dal suo bilancio Gilt in scadenza nello stesso momento in cui i tassi d'interesse sono costretti a salire dall'aumento dell'inflazione dei prezzi, mentre il fabbisogno finanziario deve ancora essere soddisfatto, abbiamo una ricetta per una potenziale crisi dei finanziamenti.

A questo si aggiunge il sospetto che la Banca d'Inghilterra sarà salvata dal governo inglese, per i creditori stranieri qualsiasi beneficio del dubbio sulla stabilità monetaria potrebbe essere gravemente indebolito. Con l'insolvenza della BOE alleviata solo da un salvataggio del governo inglese, potrebbe finire prematuramente l'illusione che entrambe suddette istituzioni abbiano il potere magico di rendere felici le persone con una spesa infinita e l'inflazione.

Ma questo solleva anche interrogativi sulle posizioni di altre banche centrali, che potrebbero non aver avuto la preveggenza o addirittura la capacità di concludere accordi di salvataggio in anticipo con i loro governi. Le banche centrali dovrebbero essere indipendenti dai loro governi (anche se sappiamo tutti che si tratta di una finzione), il che suggerisce che gli accordi non avrebbero dovuto essere conclusi come parte del QE.


La posizione della FED

Il Federal Reserve Board ha accumulato quantità ingenti di asset sin dalla crisi Lehman nel 2008, come illustra il grafico qui sotto.

Da $900 miliardi appena prima del fallimento della Lehman, il QE ha portato il bilancio a $4.500 miliardi nel dicembre 2014, quando sono iniziati i tentativi di riduzione graduale, portando alla crisi dei pronti contro termine nel settembre 2019. E dopo i lockdown e quasi due anni di tassi pari a zero, il bilancio ora è di $8.878 miliardi, quasi dieci volte il livello pre-Lehman. Sul lato delle passività ciò ha visto un'espansione dei depositi delle banche commerciali a $3.859 miliardi, e sul lato degli attivi, titoli del Tesoro USA e di agenzie governative, un totale di $8.267 miliardi. Le obbligazioni del Tesoro USA e delle agenzie governative sono incluse nel bilancio al valore nominale, il che salva la FED dall'imbarazzo di dichiarare perdite su queste partecipazioni. Ma se fossero contrassegnate al prezzo reale di mercato, il capitale proprio della FED, a poco meno di $65 miliardi, verrebbe spazzata via come indicato nella Tabella 2 sopra, la quale utilizza la variazione del rendimento di rimborso lordo del titolo del Tesoro statunitense a 5 anni come proxy per tutti i debiti della FED e delle agenzie governative. Il profilo di scadenza del debito del Tesoro USA è breve rispetto a quello di altre grandi nazioni ed i rendimenti del debito delle agenzie governative non sono una questione semplice, se si considerano i mutui in scadenza nell'ambito delle singole cartolarizzazioni.

Dalla data di chiusura del bilancio di fine settembre, il rendimento dell'UST a 5 anni è salito dallo 0,997% all'1,925% all'inizio di questa settimana, spazzando via il patrimonio netto di bilancio più di cinque volte. E se i rendimenti obbligazionari continuano a salire, la situazione peggiorerà. Chiaramente la pratica di includere queste obbligazioni nel bilancio della FED al valore nominale, partendo dal presupposto che saranno mantenute fino alla scadenza, è convenientemente vantaggiosa. E si può capire l'interesse a credere che i tassi d'interesse ed i rendimenti obbligazionari non saliranno, solo per seguiti poi da un alto grado di panico quando invece accadrà.

Ma il grafico qui sopra mostra che l'inflazione monetaria ed il successivo aumento dei prezzi sono appena iniziati. Poiché anche il settore privato è carico di grandi quantità di debito improduttivo, con l'aumento dei tassi d'interesse a riflesso del calo del potere d'acquisto del dollaro ci saranno molti fallimenti. Una combinazione di liquidazione di investimenti impropri e valori di asset finanziari in calo sarà praticamente impossibile per la FED da attenuare attraverso la politica monetaria, per non parlare di un momento in cui la propria credibilità finanziaria potrebbe essere in uno stato di collasso.


La Banca del Giappone

La Bank of Japan acquista titoli di stato dal 2000 e ha creato un portafoglio consistente. Attualmente possiede ¥528.000 miliardi ($4.600 miliardi) in titoli di stato giapponesi, suddivisi per il 27% in scadenze a due e cinque anni, mentre il resto è di dieci anni e più. Ciò significa che la BOJ è altamente esposta alla volatilità dei prezzi delle obbligazioni. Ad esempio, un aumento di 100 punti base del rendimento di rimborso lordo su un'obbligazione a 10 anni porta ad un calo del prezzo di oltre l'11% rispetto ai livelli attuali; ed è ancora maggiore per le scadenze da 20 a 40 anni, le quali rappresentano il 29% del portafoglio JGB della BOJ.

Oltre ai JGB nel bilancio della BOJ, ci sono ¥11.500 miliardi in obbligazioni societarie e commercial paper e ¥37.300 miliardi in fondi negoziati in borsa e REIT.

Il rendimento del JGB a 10 anni è salito dallo 0,025% allo 0,223% dalla data di riferimento del bilancio nella Tabella 3, provocando un calo del prezzo dell'obbligazione di oltre l'1%. La perdita sul portafoglio finora da questa sola fonte è di ¥7.400 miliardi, rispetto a riserve di capitale e capitale proprio da ¥4.400 miliardi. Dal bilancio di settembre, il capitale proprio della BOJ è stato eliminato in base al mark-to-market.

Non sorprende che la BOJ abbia dichiarato pubblicamente che avrebbe acquistato un importo illimitato di JGB a 10 anni allo 0,25% per facilitare la vendita delle obbligazioni. Un rendimento più elevato sarebbe più che imbarazzante per la banca, che già richiede una ricapitalizzazione e con il suo governo fortemente indebitato.

Come abbiamo visto, la svalutazione monetaria globale è stata senza precedenti e ha portato a prezzi più alti ovunque. I prezzi di cibo, trasporti, energia, istruzione ed assistenza sanitaria sono fortemente sovvenzionati dal governo giapponese e questo è il motivo principale per cui l'inflazione dei prezzi al consumo sembra essere così bassa. In altre parole, se l'inflazione dei prezzi deve continuare ad essere soppressa dalle sovvenzioni, ciò andrà a scapito di un'ulteriore inflazione monetaria, che è in primo luogo ciò che sta mettendo pressione al rialzo sui rendimenti obbligazionari.

Il Giappone non sarà isolato dalle influenze globali attuali e future. A meno che la Bank of Japan non modifichi le sue politiche di QE, è probabile che lo yen cadrà pesantemente in rapporto alle materie prime, rendendo i sussidi sui prezzi sempre più insostenibili.

Con un livello di debito pubblico al 266% del PIL ed un disavanzo di bilancio di circa l'8,5% previsto per l'anno in corso, l'economia giapponese è meno di un quarto di quella degli Stati Uniti. Se il governo degli Stati Uniti avesse questo livello di debito, ammonterebbe a $130.000 miliardi, il che ci dà un'indicazione della gravità della trappola del debito affrontata dal governo giapponese.

In conclusione, non solo il capitale proprio della BOJ è stato spazzata via dall'aumento dei rendimenti obbligazionari finora, ma ulteriori perdite sostanziali sono solo temporaneamente compensate raddoppiando l'intervento inflazionistico sui prezzi delle obbligazioni.


La BCE e l'Eurosistema

La BCE e la sua rete di banche centrali nazionali differiscono dalle altre banche centrali perché la BCE non è responsabile nei confronti di alcun governo nazionale e le banche centrali nazionali hanno doppi mandati, in primo luogo nei confronti della BCE stessa e in secondo luogo nei confronti dei loro governi nazionali.

Ciò significa che la BCE non può rivolgersi ad un governo per compensare una carenza nei suoi conti. I suoi azionisti sono le banche centrali nazionali dell'area Euro che possiedono le loro azioni della BCE, in quantità variabili, per un totale di €8.200 miliardi. Si è verificata la situazione in cui l'aumento dei rendimenti obbligazionari sta indebolendo allo stesso tempo le finanze della BCE e quelle dei suoi azionisti, richiedendo il rifinanziamento della BCE e delle banche centrali nazionali.

La Tabella 4, che assume una durata media di dieci anni per le obbligazioni, illustra questo punto. Con l'eccezione di Irlanda, Malta e Slovenia, tutte le banche centrali nazionali hanno registrato perdite superiori al proprio patrimonio netto a causa del calo dei prezzi delle obbligazioni, con la Tabella che illustra gli effetti per alcune banche nazionali selezionate, la BCE e l'Eurosistema nel suo insieme. I calcoli nella Tabella 4 si basano sulla variazione dei rendimenti degli eurobond nazionali, con la BCE e l'Eurosistema che ipotizzano un calo medio di 600 punti base dei prezzi delle obbligazioni nei loro portafogli dal 31 dicembre scorso. Per i titoli italiani, spagnoli, greci e portoghesi, che costituiscono la maggior parte delle obbligazioni, i ribassi dei prezzi sono maggiori.

I risultati di questa analisi sono scioccanti. Nel frattempo c'è l'ulteriore problema del sistema TARGET2, dove gli squilibri ammontano a quasi €1.792 miliardi, con fattori aggiuntivi che portano gli aggiustamenti degli sbilanciamenti totali a €2.476 miliardi. Si ritiene che il sistema TARGET2 nasconda debiti inesigibili in garanzie repo, che se rimanessero nei sistemi bancari commerciali nazionali sarebbero quasi certamente classificati come deteriorati. Il sistema di settlement dell'Eurozona riflette anche i saldi degli esportatori netti, come la Germania, e degli importatori netti, come l'Italia. Il seguente grafico mostra la posizione TARGET2 a fine dicembre.

In teoria, questi squilibri non avrebbero mai dovuto sorgere. Indicano, ad esempio, che la Bundesbank ha crediti per €1.261 miliardi nei confronti di altre banche centrali nazionali, in particolare Italia e Spagna, nonché dalla stessa BCE. Ma con il calo dei prezzi delle obbligazioni viene introdotta una nuova dinamica. Quanto segue è un estratto da un documento di Karl Whelan, dove egli critica le preoccupazioni di Jens Weidemann sugli squilibri TARGET2 espresse in una lettera al presidente della BCE, Mario Draghi nel 2012: "[...] ogni banca centrale nazionale dell'Eurosistema ha attualmente attivi che superano le proprie passività ed il totale dei crediti TARGET2 è uguale alle passività TARGET2. Pertanto la risoluzione più probabile degli squilibri in tale sistema, nel caso di una completa rottura dell'euro, sarebbe un pool di attivi detenuti dai debitori e da consegnare ai creditori per regolare il saldo. Ciò potrebbe lasciare la Bundesbank in possesso di una serie di attivi di origine periferica che potrebbero valere meno del valore nominale, ma questo scenario comporterebbe perdite per la Bundesbank che sarebbero molto inferiori al valore attuale del suo credito TARGET2".

La critica di Whelan alle preoccupazioni di Weidemann è essenzialmente keynesiana ed in accordo con l'opinione dell'establishment dell'UE. Ma si noti che al momento quasi tutte le banche centrali dell'Eurosistema hanno un patrimonio netto negativo, che è la condizione negata nel documento di Whelan, in cui le passività superano gli attivi. E poiché i rendimenti obbligazionari continuano a salire, una risoluzione degli squilibri TARGET2 diventa impossibile senza che l'Eurosistema vada in pezzi.

Parte del problema sono i prestiti della BCE e delle banche centrali nazionali alle banche commerciali tramite pronti contro termine. Insieme a questi ultimi, si stima che l'intero mercato dei pronti contro termine in euro superi i €10.000 miliardi. Questo mercato è cresciuto fortemente grazie a finanziamenti ultra-economici ed un occhio chiuso sulla qualità delle garanzie da parte di alcune banche centrali nazionali. L'aumento dei tassi d'interesse renderà i pronti contro termine meno attraenti ed attiverà quella che equivale ad una contrazione del credito bancario, in un momento in cui l'aiuto delle banche centrali per salvare la rete di banche commerciali sarà compromesso dal deterioramento delle loro finanze.


Conseguenze per le banche commerciali

L'ipotesi che le banche centrali siano una rete di sicurezza, i prestatori di ultima istanza in caso di crisi economica o finanziaria, è destinata ad essere messa in discussione dalle fragili condizioni delle principali banche centrali. Sebbene possano esserci dei danni alle valute nazionali, suddette istituzioni ritengono che ciò rappresenterebbe un costo ragionevole per la protezione degli interessi dei depositanti e che le corse agli sportelli debbano essere evitate a tutti i costi. Dietro tutto ciò c'è la convinzione che, armata di una stampante monetaria, la posizione finanziaria di una banca centrale sia irrilevante.

Queste ipotesi calpestano la questione della fiducia della popolazione, la quale difficilmente tollererà una situazione in cui un governo è visto come il massimo protettore delle banche ricapitalizzando la sua banca centrale per far fronte ad una crisi. Al contrario, c'è un rischio maggiore che le masse intraprendano azioni per proteggersi, indebolendo ogni possibilità di successo da parte della pianificazione centrale. Una cosa è che i banchieri centrali rivendicano competenze negli affari monetari, un'altra è che la classe politica lo faccia con credibilità.

Vi è, quindi, un accresciuto rischio di fallimento delle policy e, in definitiva, anche di un fallimento monetario. Ciò è particolarmente acuto quando non esiste il legame tra la classe politica ed una banca centrale. È la posizione unica della BCE, che ora ha la particolarità di dipendere dai suoi azionisti falliti per salvarsi dalla bancarotta. E se i tassi d'interesse saliranno nelle prossime settimane, il mercato dei pronti contro termine dell'Eurosistema si contrarrà, portando inevitabilmente a fallimenti delle banche commerciali all'interno dell'Eurozona.

Pensare che Bruxelles possa venire in soccorso dall'oggi al domani con un pacchetto di salvataggio rappresenta il trionfo della speranza sull'esperienza. Politici e burocrati che litigano avrebbero bisogno di settimane, persino mesi, per concordare su un pacchetto di salvataggi; e anche se si raggiungesse un accordo, con tutte le accuse e le diatribe esistenti è quasi certamente una vana speranza. Chiudere mercati e banche per più di qualche giorno mentre infuria il dibattito non farebbe che aumentare il senso di crisi.

La struttura finanziaria dell'Eurozona, gli interessi economici e politici nettamente diversi degli stati membri, insieme all'eredità di insabbiamenti di crediti inesigibili, tutto indica la mancanza di qualsiasi volontà di risolvere il problema della BCE: insolvenza. Solo i singoli governi che stanno dietro alle proprie banche centrali nazionali possono essere ricapitalizzate, a condizione della fine dell'Eurosistema. La Germania non può più sovvenzionare Italia, Spagna e Francia. Una Bundesbank ricapitalizzata dovrà abbandonare il suo capitale chiave nella BCE, così come tutte le altre banche centrali nazionali. E la Bundesbank sarà impegnata a stabilizzare la propria rete bancaria commerciale.

La valuta unica sparirà, sostituita con... cosa? Per avere successo, una nuova valuta nazionale tedesca richiederebbe probabilmente la liberazione dall'attuale gestione della Bundesbank e la nomina di dirigenti finanziari più credibili. Anche così sarebbe difficile resistere alla tentazione di salvare ogni banca e ogni impresa in crisi. Il debito pubblico denominato in euro verrebbe spazzato via, ma per avere successo con una nuova valuta la spesa pubblica dovrebbe essere interamente finanziata dalla tassazione: la valuta e l'espansione del credito dovrebbero cessare.

Il caos in altri stati dell'Eurozona quasi certamente escluderebbe che qualsiasi sostituzione di valuta abbia successo senza fare marcia indietro dal socialismo. Le richieste di Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e Francia affinché i sussidi tedeschi continuino, devono essere ignorate per il bene della nuova valuta tedesca. Le conseguenze politiche ed economiche sono inimmaginabili, fatta eccezione per il crollo quasi certo dell'intero Progetto Europeo.

I rischi sistemici per le altre reti bancarie esposte alle banche commerciali del sistema euro e alla valuta unica si aggiungeranno alle difficoltà che devono già affrontare esse stesse. Il precedente del fallimento di Credit Anstalt in Austria nel 1931 perseguiterà i banchieri centrali di oggi e state certi che si muoveranno rapidamente per impedire la destabilizzazione delle proprie reti di banche commerciali.

L'unico modo per fermare un fallimento bancario globale è che le altre banche centrali trovino un modo per sostenere l'Eurozona con la massima urgenza.


Il precedente di John Law traccia la destinazione

Occorre trovare un modo per rafforzare il capitale proprio delle banche centrali. Forse la BCE troverà un'istituzione sovranazionale, come il FMI, a sostenerla, tuttavia il problema dell'illiquidità delle banche centrali sarà risolto, ma non solo sarà imbarazzante per gli stati, invierà anche un segnale che il denaro fiat non è degno di fiducia.

Le somiglianze con il fallimento dello schema Mississippi di John Law 302 anni fa sono notevoli. Alla fine del febbraio 1720, la Banque Royale di Law avrebbe dovuto fondersi con la sua impresa nel Mississippi, ma all'inizio di quel mese lo schema stava già andando in pezzi. Più azioni la banca acquistava per sostenere il prezzo delle azioni Mississippi in calo, più banconote in lire entravano in circolazione indebolendone il potere d'acquisto. L'accaparramento di monete d'oro e d'argento aumentò e la popolazione iniziò a rifiutare le banconote. Gli investitori iniziarono a vendere azioni ed a smaltire banconote per qualsiasi tipo di bene mobile quando Law iniziò a confiscare monete d'oro e d'argento.

Ciò che sta accadendo oggi alle banche centrali somiglia ai problemi affrontati dalla Banque Royale. Le politiche di quantitative easing per sostenere i valori degli asset finanziari non sono diverse da quelle di Law per la sua impresa nel Mississippi. La perdita di fiducia nelle sue lire di carta riflessa nell'aumento dei prezzi fa eco alle valute cartacee di oggi.

Le azioni della Mississippi iniziarono a scendere da 12.000 lire a metà febbraio a 8.500 lire il 1 marzo. Anche la valuta iniziò il suo collasso ed a settembre non c'era alcun tasso di cambio sulle borse di Londra ed Amsterdam, il che significava che era diventata cartastraccia. Oggi i valori degli asset finanziari hanno iniziato a calare e, riflesso nel loro potere d'acquisto in calo, lo hanno fatto anche le valute.

Sulla base del precedente di John Law, non solo siamo stati in grado di anticipare la progressione degli eventi odierni, ma stiamo ottenendo una conferma allarmante che quanto accaduto in Francia nel 1720 si sta ripetendo oggi su scala globale. E sicuramente i fallimenti delle moderne banche centrali sono gli unici pezzi del puzzle mancanti, fino ad ora.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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