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Non c'è anima viva che sia orgogliosa di ciò che è diventata la politica nazionale.
È deprimente. E se questo significasse venire semplicemente a patti con una realtà che è sempre stata lì e solo ora è più ovvia? In questo caso, non c'è motivo di disperarsi; la perdita di prestigio degli stati e delle loro attività potrebbe essere un segnale molto ottimista per il futuro.
Prima di esporre la mia tesi, affronterò l'obiezione principale a questa prospettiva ottimistica: l'instabilità politica raramente fa bene alla libertà. Quando le istituzioni di un governo vengono scosse e la demoralizzazione di massa prende piede, lo stato di diritto cade a pezzi e coloro senza scrupoli approfittano della confusione. Il percorso verso l'autocrazia e la dittatura viene così facilitato.
Questa è la tesi dei conservatori contro tutti gli impulsi rivoluzionari. Secondo loro non importa quanto sia diventato cattivo l'establishment, quanto siano corrotte le istituzioni di governo, le cose possono solo peggiorare se le sradichiamo. Potresti odiare il cosiddetto "Deep State", ma c'è qualcosa di ancora peggio: il dispotismo sostenuto dal governo delle folle. L'esempio classico è la Rivoluzione francese.
Il punto non è del tutto folle, ma va troppo oltre. Ci sono rivoluzioni riuscite contro lo status quo, come quella americana ad esempio. L'Europa dell'Est e l'Unione Sovietica ne hanno sperimentate una vagonata nel 1989 e non hanno generato violenza e dittatura, bensì pace e prosperità come mai prima d'ora in quei Paesi. Anzi, forse l'unico problema era che non si siano spinte abbastanza lontano.
Inoltre la tesi dei conservatori è radicata in una presunzione hobbesiana: l'unica alternativa al leviatano è il caos. Questa è un'affermazione è il motivo per cui esiste il liberalismo: per confutarla. L'ordine è figlio e non padre della libertà: la società può autogestirsi in assenza di un'autorità generale. Se ci affidiamo alle persone per elaborare i propri percorsi di vita, scopriamo modi di cooperare verso il miglioramento reciproco. La società evolve il proprio ordine attraverso l'evoluzione organica e la costruzione di istituzioni e norme radicate nella scelta piuttosto che nella forza.
Questo scenario è reso più probabile quando esiste una base ideologica che abbraccia idee fondamentali come diritti di proprietà e diritti umani e restrizioni applicabili contro l'uso della violenza da parte di chiunque altro. Se tale struttura culturale è a posto, non c'è bisogno di temere che il caos derivi dal discredito di massa nei confronti dello stato, piuttosto il contrario. L'assenza di strutture di governo credibili crea l'opportunità per la società di operare a modo suo. Infatti ogni briciolo di progresso che l'umanità ha sperimentato è dovuto all'impulso rivoluzionario di rovesciare lo status quo.
Allora qual è il caso di cui non dovremmo rimpiangere bensì celebrare il discredito dello stato? Diamo un'occhiata al libro di Thomas Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions (1962) e alla sua ricostruzione della storia della scienza, una teoria che si applica anche alla politica e alla società. Sosteneva che il cambiamento di opinione non è lineare, è episodico.
Tale percorso episodico avviene per fasi. La gente crede nell'ortodossia, quell'ortodossia viene messa in discussione da troppe anomalie, la fiducia in un certo paradigma inizia a scemare ma inizialmente non ne emerge nessun nuovo per sostituire quello esistente, si entra in un momento pre-paradigmatico di indagine e di lotta e alla fine vince una nuova ortodossia.
Se pensate a dove siamo oggi nell'economia politica, questa è una descrizione abbastanza buona. A partire da circa un secolo fa, abbiamo iniziato a sperimentare l'utilizzo dello stato, sostenuto dal consenso scientifico, per gestire la vita economica. Questa teoria ha influenzato tutto: denaro, banche, lavoro, prodotti, commercio, organizzazione industriale, sviluppo, tecnologia, struttura delle città, guerra e pace. Anche la proibizione dell'alcol era motivata da una fiducia nella capacità delle strutture politiche di raggiungere risultati socialmente ottimali.
Questi tentativi sono falliti, ma a quanto pare non importava visto che il New Deal rappresentò un altro giro. Dopo la seconda guerra mondiale ci fu un breve ritiro prima che iniziasse un terzo giro con la Great Society. Anche quello fallì: gran parte dell'apparato iniziò a sgretolarsi negli anni '70, quando il consenso sociale per il governo iniziò a scemare. Ciò ha subito un'accelerazione negli anni '80 e '90, quando Internet ha spazzato via molti sistemi dispotici e creato una nuova economia globale basata non solo sul controllo dello stato, ma anche sull'impresa e sulla cooperazione internazionale.
Quando è stata l'ultima volta che un gran numero di persone ha celebrato un successo del governo nazionale? Bisogna tornare indietro di mezzo secolo al primo sbarco sulla luna. Non è durato a lungo, subito dopo arrivò il Watergate seguito da stagflazione ed inflazione.
Oggi abbiamo superato da tempo il punto in cui gli stati nazione possono rimettere tutti i cocci insieme, nonostante tutti i tentativi di farlo. Contando le importazioni e le esportazioni rispetto alla produttività globale, oltre il 60% della ricchezza mondiale dipende dal commercio internazionale. È inevitabile che questa realtà crei il panico nella classe dirigente ed ispiri tentativi, da sinistra e da destra, di ribaltare tutto.
Tali tentativi di controrivoluzione sono esattamente ciò che ha turbato così tanto la classe dirigente di oggi. Stanno cercando di intervenire nell'era pre-paradigmatica in cui viviamo per reimpostare un vecchio ordine che invece sta rapidamente svanendo. Vale a dire, sono entrambi reazionari: la loro popolarità è radicata meno nell'amore per le cose positive che realizzeranno e più nella paura delle alternative.
La mia mente continua a ritornare all'osservazione di David Hume secondo cui gli stati non possono sostenere il loro governo con la sola forza; hanno invece bisogno di un certo grado di acquiescenza dei cittadini. Per questo siamo costantemente sottoposti alle loro spinte pubblicitarie, note come campagne elettorali. Non si tratta solo di ottenere voti, si tratta di convincerci che ne abbiamo bisogno e quindi dovremmo sopportare l'enorme costo per la libertà e per la proprietà che comporta l'avere uno stato elefantico. Se la classe politica fallisce in questo compito, la fattibilità del loro governo diventa instabile e persino vulnerabile al rovesciamento in modi sia palesi che meno palesi.
Ma con lo stato sempre meno popolare oggi che in qualsiasi altro momento nella storia moderna, non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo – e per un'ottima ragione visto che non è assolutamente riuscito a raggiungere i suoi obiettivi dichiarati – la capacità della classe dirigente di ispirare il consenso necessario per sostenere il loro potere sta svanendo. Si può osservare che questa tendenza è una delle più persistenti nel corso dei decenni.
Fonte: PEW Research |
Poiché questa fiducia è scesa sempre di più, i nostri standard di vita sono aumentati, la povertà è diminuita, i redditi sono aumentati, la criminalità è diminuita, siamo più al sicuro che mai e abbiamo più opportunità di vivere una vita migliore. Lungi dall'aver ridotto l'ordine, i risultati sono stati esattamente ciò che il liberalismo prevede: una società guidata dal mercato ha riempito il vuoto creato dal declino della fiducia nello stato.
Mi preoccuperei di più se il trend del grafico qui sopra iniziasse ad invertirsi. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora è un leader che ristabilisca la fiducia nello stato. La perdita di fiducia continuerà e con essa la perdita del consenso necessario di cui la classe dirigente ha così disperatamente bisogno per sostenere e far crescere il proprio potere.
Non temete la rivoluzione. Come disse una volta qualcuno, non abbiamo nulla da perdere se non le nostre catene.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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