venerdì 18 febbraio 2022

Italia: il cigno nero europeo

 

 

di Francesco Simoncelli

Nel corso degli ultimi mesi ho pubblicato diversi post in cui ogni volta andavo ad analizzare un diverso aspetto dell'economia italiana, in modo da dimostrare come in realtà le sciocchezze che si ascoltano sui media generalisti sono infondate. Illusioni statistiche per non "far agitare le acque" e tenere buona una popolazione allo stremo delle sue forze fiscali e finanziarie. Questo ovviamente non significa che il dolore economico finirà presto, ma che verrà somministrato gradualmente e a dosi crescenti affinché gli ignari se ne accorgano il più tardi possibile. Infatti ho mostrato come l'indebitamento progressivo italiano abbia eroso il bacino della ricchezza reale del Paese, come lo stimolo monetario della BCE non abbia affatto aiutato la produzione del lavoro, come l'ingegneria finanziaria abbia alimentato la crescita delle società zombi, come l'inflazione dei prezzi di oggi sia figlia degli interventi monetari di ieri e come la devastazione economica incessante in Italia la renda l'elemento di contagio sistemico da trincerare a tutti i costi.

Oggi approfondiremo quest'ultimo punto, perché se nel precedente pezzo a riguardo mi concentravo essenzialmente sui prestiti interni al sistema euro attraverso i saldi TARGET2, oggi parleremo delle conseguenze della cosiddetta "finanza creativa", ovvero, le amministrazione pubbliche affette da ludopatia che cercano disperatamente di ottenere rendimenti decenti sui mercati dei derivati.

Nell'ultimo documento della Banca d'Italia riguardante questioni di economia e finanza, possiamo notare a pagina 27 come gli esborsi netti in derivati finanziari da parte delle amministrazioni pubbliche italiane siano cresciuti in modo significativo negli ultimi anni analizzati. Soprattutto se le paragoniamo al resto dei Paesi membri dell'UE. Un progressivo giocherellare con gli interest rate swap, per la precisione, da parte di un entourage la cui professione è puntare sul cavallo sbagliato anche quando all'ippodromo il cavallo in gara è solo uno. Quando l'incompetenza è l'unico talento che si può sfoggiare, è impossibile non farne costante uso. Di conseguenza invece di ridurre l'onere del debito sulle amministrazioni pubbliche, queste lo hanno aumentato scommettendo su un ambiente economico permeato da un rialzo dei tassi... in un periodo storico in cui la ZIRP, e poi la NIRP, della BCE l'hanno fatta da padrone. La tavola 3A che trovate nel seguente link vi fornisce un quadro di riferimento, seppur ristretto, rispetto all'andamento delle passività italiane collegate agli strumenti derivati. Ma se allarghiamo l'arco temporale fino al 2009, otteniamo un quadro generale più completo ed esaustivo.

Non è un caso che spesso su queste pagine si ripeta con sicurezza che i burocrati non sanno effettuare un calcolo economico in accordo col mercato. Dal 2020, però, pare che suddetti burocrati incapaci abbiano capito l'antifona e, come si legge a pagina 82 nell'ultima relazione del MEF sul debito pubblico, l'ambiente di mercato favorevole permette un cambio di prospettiva. Ovvero, adesso puntano sui tassi bassi per sempre e rimodulano quindi le loro scommesse sui derivati. Spesso e volentieri sulle pagine di questo blog avete trovato spiegazioni ed analisi sulla trappola "Inflate or die" in cui si trovano le banche centrali del mondo, ma lasciamole un attimo da parte; diciamo di voler credere alla volontà della Lagarde di voler rialzare i tassi a breve. Il solo commento che possiamo fare agli incompetenti che infestano le amministrazioni pubbliche italiane è "complimenti per il tempismo!" Ma la loro incapacità sarebbe altrettanto manifesta anche se la Lagarde non facesse niente e Powell invece seguisse come annunciato il percorso di normalizzazione dei tassi; se questa gente crede di vivere in un'economia mondiale a compartimenti stagni si sbaglia di grosso. Le decisioni della FED si ripercuoterebbero inevitabilmente anche sulle sponde europee.

Non sorprende, quindi, che i credit default swap legati all'Italia stiano facendo segnare un'inversione di trend al rialzo sin dallo scorso autunno.

Questo cambiamento di sentimento non è dettato solo dalla scelleratezza in ambito finanziario delle amministrazioni pubbliche italiane, ma anche da un quadro macroeconomico in persistente deterioramento. Infatti, sebbene i media  generalisti parlino di "ripresa" dell'occupazione sulla scia dei delta mensili, ciò che non dicono è che si tratta di lavori part-time e non da capofamiglia. Questi ultimi continuano a rimanere stagnanti e soprattutto ancora al di sotto del trend pre-crisi europea del debito, mentre i primi sono in un trend in ascesa sin dal 2004. Non solo, ma i lavori da capofamiglia esistenti sono quelli che continuano ad essere rischio sotto la crescenti pressione dei tavoli di crisi ancora aperti al MISE.

E questo tipo di disoccupazione, ricordiamolo bene, è istituzionale non catallattica. Ovvero, il riassorbimento della forza lavoro disoccupata sarà lento, disordinato ed inefficiente, proprio perché gli interventi centrali per salvaguardare lo status quo impediscono la nascita di nuove realtà più competitive ed efficienti e canalizzano le risorse di capitale verso società che le sprecano piuttosto che metterle a buon frutto. Ed a proposito di sprechi e distruzione di ricchezza reale, la recente crescita del PIL di cui tessono le lodi i media generalisti è avvenuta gran parte grazie al cosiddetto "superbonus 110%" che ha rappresentato una gigantesca canalizzazione di denaro a pioggia verso il settore edilizio. Inutile dire che si è trattato di un condono fiscale e di uno stimolo artificiale al settore immobiliare affinché trainasse, almeno nell'immediato futuro, i numeri del Paese. A che prezzo? Ovviamente distorsioni di prezzo, spreco di risorse reali e tutta una serie di altre storture.

I prezzi dei lavori sono aumentati come minimo di dieci volte sulla scia di questa misura, perché il committente cede il credito d’imposta all'impresa che realizza l’opera ed essa non gli fa pagare nulla o quasi nulla per il lavoro. Al committente, quindi, non interessa quanto costa il lavoro ed è tutto regolare e previsto dalla legge visto che il superbonus è indirizzato a “far investire e migliorare gli immobili”. L’impresa  “riscuote” il credito d’imposta dallo stato o lo cede all’istituto di credito che la rimborsa e gli genera un profitto esorbitante, minimo 10 volte più alto del valore del lavoro. Poi l’istituto di credito lo “vende” a chi non vuole pagare le tasse, generando un’enorme elusione fiscale... legalizzata. L’impresa che ha molte richieste, perché viene stimolata una domanda artificiale attraverso il superbonus, e dato che verrà pagata dallo stato mediante la cessione del credito, non è più disposta a realizzare i lavori accontentandosi del normale guadagno: emette fatture molto più alte rispetto al costo effettivo e le fa pagare a tutti i contribuenti inclusi quelli che non sono proprietari di case. Lo stato, in sostanza, ha falsato gli equilibri generati dalla domanda e dall’offerta, le uniche forze di mercato in grado di stabilire il giusto valore dei beni e dei servizi. Ha creato “crediti d'imposta” di gran lunga superiori al valore dei lavori effettuati e li fa pagare a tutti i contribuenti.

Più "regole" non cambieranno la natura distorcente alla base di tale misura, ciononostante lo stimolo fiscale attraverso di esso esaurirà il suo effetto adesso che gli istituti di credito effettueranno una stretta creditizia sul settore immobiliare con il mutamento delle norme. Poste e CDP hanno già smesso di vendere i crediti d'imposta; anche le banche seguiranno l'esempio per non finire intrappolate con asset illiquidi nei propri bilanci. E se non ci riusciranno, sappiamo benissimo che fine faranno questi asset magicamente diventati patate bollenti: cartolarizzate oppure trasformate in garanzie in bonis per essere dirottate nel sistema TARGET2 o nei pronti contro termine.


CONCLUSIONE

L'economia italiana non è più quella di dieci anni fa. Non è nemmeno più quella di venti anni fa, né di trenta anni fa. Detto in parole povere, qualsiasi paragone con una fase di boom sperimentata nel passato è fuori luogo. Non solo, ma qualsiasi chiacchiera riguardante locomotive sono infondate. L'Italia è un carrello a mano... in salita. Nel corso degli ultimi mesi ho dedicato ampio spazio per analizzare a fondo i problemi economici del Paese, con i link dei vari articoli all'inizio di questo pezzo, e in quest'ultimo post dedicato mi sono concentrato sulla sconclusionata avventura nel mondo dei derivati da parte dei burocrati italiani, la percezione del pericolo di default e le finestre di respiro che diventano sempre più ristrette. Ovvero, gli stimoli fiscali continuano a veder diminuire la loro efficacia seguendo un percorso simile a quello dei rendimenti decrescenti. Non sorprende, quindi, la necessità di comando/controllo che sta caratterizzando l'Italia negli ultimi due anni: la natura di questa deriva è puramente economica, le cui radici affondano nel fallimento della pianificazione centrale che per cercare di controbilanciare i propri fallimenti deve gestire porzioni crescenti dell'economia pena la perdita di controllo generale. Sfociare nel totalitarismo è una conseguenza inevitabile.

Ma anche questa strada non è priva di deragliamenti. Il tasso di riferimento della BCE è stato sotto lo zero negli ultimi 9 anni ed una crescente pletora di attori di mercato ha un disperato bisogno di tassi bassissimi per rimanere solvibili. L'attuale tasso di inflazione (ufficiale) è al 5% e l'unico modo di arginarlo è quello di arrestare di netto la stampa di denaro, rialzando nell'immediato i tassi come minimo al 10%. Immaginate, però, cosa farebbe un simile rialzo ai mercati azionari, ai mercati obbligazionari, ai mercati dei derivati e ai milioni di aziende e famiglie zombi che fanno affidamento su finanziamenti a basso costo. I tassi d'interesse bassissimi della BCE hanno incoraggiato tutti a prendere in prestito: ora famiglie, imprese e soprattutto i governi spendaccioni d'Europa (in primis l'Italia) sono carichi di debiti altissimi. Come potrebbe la BCE far salire i tassi adesso? Tutti dipendono dalla sua ZIRP, da qui all'eternità. Chi ha problemi con "un po' di inflazione"? Non i governi spendaccioni, il cui debito diventa più gestibile; non i clientes e coloro che capitalizzano sull'Effetto Cantillon. Sono i contribuenti e le persone ordinarie che soffrono, ma a nessuno importa niente di loro. Attenzione, però, perché in realtà esiste anche un problema per governi spendaccioni e clientes: l'inflazione non rimarrà al guinzaglio.

Gli smart money hanno capito che la BCE è bloccata nella trappola "Inflate or die"; sanno che non può frenare seriamente l'inflazione, non senza causare un crash sistemico che sta cercando disperatamente di evitare. E l'Europa e l'euro resteranno sulla strada verso la distruzione.


6 commenti:

  1. A proposito di potenziale dell'inflazione dei prezzi, che in Italia, ricordiamolo, si aggira intorno al 15%. Queste sono le riserve in eccesso delle banche commerciali depositate presso la BCE. Nonostante i tassi negativi sono salite a livelli vertiginosi. Servono sostanzialmente a far vedere che i malati d'Europa, ovvero il sistema bancario commerciale, è in qualche modo in possesso di bilanci "capitalizzati". Inutile sottolineare il potenziale deflagrante nel caso in cui queste riserve inondassero l'economia più ampia. Ma i tassi negativi non affliggono solo le riserve in eccesso, sono ormai la norma in Europa in particolare. Quindi suddette banche si riversano sempre più sui mercati per andare a caccia di rendimenti decenti, ignorando il rischio.

    Infatti, se c'è un modo in cui le banche italiane in particolare hanno smaltito i loro crediti in sofferenza, è stato attraverso la cartolarizzazione di questi ultimi in nuovi e fiammanti strumenti finanziari e, una volta etichettati in bonis dall'autorità di regolamentazione, sono stati posti in garanzia nei mercati pronti termine. Prodotti scadenti ma con un appeal poiché altamente rischiosi, quindi recanti un rendimento accettabile. Inutile dire che questo passaggio è solo un infinitesimo di tutte le interazioni simili che avvengono ogni giorno o, per meglio dire, ogni ora.

    Ma come vediamo dal secondo grafico nel tweet sopraccitato, rappresentate il decennale italiano, i tassi di mercato stanno salendo e le banche centrali, la BCE in questo caso, sono intrappolate. Non hanno strumenti con cui contrastare questa salita poiché si trovano allo zero bound da anni. Nel momento in cui faranno un passo, il primo mercato a saltare sarà quello dei pronti contro termine sensibile anche ad un piccolo aumento dei tassi come abbiamo visto nell'autunno 2019. E che faranno, quindi, le banche commerciali pur di salvarsi?

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  2. Le politiche espansive del governo italiano non hanno affatto migliorato il mercato del lavoro. Spendere un'enorme quantità di denaro in aree che sono favorite dai politici, mentre il resto dell'economia soffre per l'aumento dei costi degli input, dell'energia e delle materie prime, ha influito negativamente sull'occupazione. O perlomeno quella nel settore privato (laddove si crea ricchezza reale), poiché quella nel settore pubblico è aumentata passando da 3,2 milioni nel 2018 a 3,7 milioni nel 2021. Inutile dire, quindi, che il piano Next Generation EU sarà un fallimento tanto quanto il Piano Juncker nel 2009. Ma le economie non smettono di funzionare solo perché l'interventismo statale semina errori. Infatti i mercati, quando sono lasciati liberi di agire, li correggono in modo rapido ed efficiente: crediti tornano ad un mark-to-market solido, chi deve fallire fallisce ed il debito diminuisce.

    È un grosso errore intervenire e fermare il processo di riallineamento, ma questo è esattamente ciò che hanno fatto politici e banchieri centrali senza alcuna conoscenza o comprensione di come funziona un'economia reale. Invece di permettere al capitalismo di mercato di risolvere i problemi di debiti inesigibili, Draghi e ora la Lagarde hanno offerto ciò di cui il mercato aveva meno bisogno: più credito facile. Il tasso d'interesse di riferimento è stato portato a zero e, poiché i prezzi al consumo sono inevitabilmente aumentati, esso è sceso sempre più in profondità in territorio negativo, tanto che ora è -5%.

    Una volta che la BCE è entrata a gamba tesa, nessun grande player è andato in bancarotta. Quelli che erano troppo stupidi per avere successo sono diventati "troppo grandi per fallire", i manager sconsiderati hanno ottenuto i loro bonus (diventando più sconsiderati) ed il problema del debito in eccesso è peggiorato. Il debito pubblico italiano, ad esempio, è passato da circa €1.700 miliardi nel 2010 a €2.700 miliardi alla fine del 2021. Che razza di modo è questo di combattere una crisi del debito?

    La BCE non ha imparato nulla: continua a stampare denaro al ritmo di €80 miliardi al mese e al tempo stesso promette di fare qualcosa per proteggere la sua credibilità. Ma che cosa?

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  3. Rimpacchettare questi titoli tossici in nuovi prodotti finanziari non elimina il problema, ma lo trasferisce al prossimo idiota di turno. Nel caso in particolare il sistema TARGET2 sotto forma di garanzie in bonis a fronte di ulteriori prestiti.

    La vicenda del "superbonus" è l'ennesimo esempio di ciclo boom/bust descritto fino alla nausea dagli Austriaci, dove l'espansione del credito stimola domanda aggiuntiva di mezzi fiduciari a fronte di un'offerta immutata di beni. In sintesi, l'abbondanza di credito si scontra con la scarsità di elementi costitutivi l'oggetto della costruzione (nel nostro caso materiali edili) e il risultato sono prezzi in aumento e mismatch progressivi nella struttura di produzione. Abbiamo vissuto una crisi immobiliare in stile 2008 tutta nostra, per così dire, e i crediti incagliati risultanti sono il prodotto tossico della cultura devastante del denaro fiat.

    Inutile dire, quindi, che ulteriore ingegneria finanziaria non farà altro che esacerbare il problema.

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  4. Sono pronto a scommettere che già si parla di tetto agli affitti, perché queste notizie non spuntano fuori per caso. Ripetiamolo ancora una volta il risultato del tetto agli affitti: l'offerta diminuisce; i costruttori non costruiranno nuove unità; la minoranza di coloro che ottengono affitti bassi non lascerà le proprie unità, qualunque cosa accada; i tassi di turnover calano. In sintesi, il tetto agli affitti ha lo stesso effetto di un bombardamento a tappeto.

    Se ancora non è chiaro, questo è l'ennesimo reminder che c'è una guerra, sì, ma contro la proprietà privata degli europei. E con i tassi di possesso in Italia, suddetta guerra si sta concentrando nel settore immobiliare in particolar modo.

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  5. Avrete notato che in TV sta tornando a gran voce la fanfara dei buoni postali come forma d'investimento "sicura". Inutile dire che chiunque cada nel tranello, presta denaro a CDP che, in veste di rediviva IRI, finanzia progetti shovel-ready di keynesiana memoria. Il meccanismo è più arzigogolato di questo, ma la sostanza non cambia: essendo una costola dell'apparato burocratico-statale, essa è incapace di valutare economicamente la bontà di un progetto imprenditoriale. Parallelamente a questa campagna mediatica spunta fuori questa notizia che vuole la proroga del Superbonus edilizio. Come minimo il sospetto emerge...

    Fino all'anno scorso si poteva contare sulla copertura da parte della BCE come prestatore di ultima istanza e sul settore bancario commerciale come accaparratore principale di bond statali usati per finanziari tutta la pletora di distorsioni economiche che passavano per la testa dei pianificatori centrali. Inutile dire che una di queste distorsioni era esattamente il cosiddetto Superbonus edilizio, escamotage non tanto velato per mantenere gonfia la bolla immobiliare italiana. Breve digressione: la maggior parte delle volte in cui è entrato il denaro ex-novo nell'economia italiana è stato soprattutto attraverso l'edilizia. Poi, in cerchi concentrici, s'è diffuso in tutta l'economia alterando artificialmente la struttura dei prezzi e il costo del capitale. Gli ultimi che l'hanno ricevuto, o peggio chi non l'ha ricevuto affatto, sono coloro che sono stati derubati a vantaggio di chi invece l'ha ricevuto per primo.

    Ora che la BCE ha un equity negativo, dato che il suo portafoglio di asset composto principalmente da bond sovrani delle nazioni europee è in negativo a causa del rialzo dei tassi, e le banche commerciali hanno i loro problemi d'insolvenza sistemica, gli stati non possono far altro che infliggere perdite ai contribuenti per mantenere in piedi un sistema fatiscente, inefficiente ed economicamente/socialmente dannoso.

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  6. Consiglio dei ministri, sì al dl ad hoc sul Superbonus e via alla nuova Irpef da 4 a 3 scaglioni
    David Ricardo fu uno dei primi a teorizzare il ciclo economico (o del credito bancario, per essere più precisi). Prima del diciannovesimo secolo le cause delle crisi erano associate a guerre e carestie, da Ricardo in poi la fase di bust venne associata a un precedente boom insostenibile che lo stato aveva creato interferendo nel sistema monetario. La teoria di Ricardo, però, lasciava almeno due fatti inspiegabili: (1) l’economia soffriva nel suo complesso, il che implicava un fallimento diffuso tra gli imprenditori, e (2) sia i boom che i bust erano molto più gravi nei settori dei beni d’investimento.

    Mises ampliò l’analisi di Ricardo sottolineando che il credito a buon mercato non solo fa aumentare i prezzi, ma invia anche segnali fuorvianti alle imprese. Il risparmio è una precondizione necessaria per produrre beni d’investimento e quando le persone preferiscono risparmiare, i tassi d'interesse sui prestiti tendono a scendere. Senza interferenze, il tasso d'interesse diventa un segnale affidabile per gli imprenditori: sono disponibili risparmi autentici per gli investimenti in beni d’investimento. Quando invece il tasso d'interesse viene abbassato artificialmente aumentando il credito bancario, otteniamo la stessa reazione da parte del mercato ma con risultati radicalmente diversi. Gli imprenditori prendono in prestito per investire in beni strumentali, credendo che l’economia sia orientata al risparmio; tuttavia le persone non stanno realmente risparmiando, mentre invece spendono i loro soldi in beni di consumo: l’inflazione scoraggia il risparmio. I prestiti alle imprese, quindi, non corrispondono alle preferenze dei consumatori; le imprese tendono quindi a sovrainvestire in beni strumentali e a sottoinvestire in beni di consumo.

    La forza di una crisi è uguale e contraria al delirio che la precede.

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