di Alex Gladstein
Nel 1972, un anno dopo che il presidente Richard Nixon dichiarò inadempiente il dollaro ed aveva formalmente tolto gli Stati Uniti dal gold standard per sempre, lo storico finanziario ed analista Michael Hudson pubblicò Super Imperialism, una critica radicale all'economia mondiale dominata dal dollaro.
Il libro è trascurato dal mainstream economico di oggi e propone una serie di argomenti provocatori che lo collocano al di fuori dell'ortodossia. Tuttavia, per coloro che cercano di capire come il dollaro abbia vinto le guerre monetarie del secolo scorso, il libro rappresenta una lettura essenziale.
La tesi di Hudson viene da una prospettiva di sinistra, etichetta ispirata all'espressione marxista tedesca "überimperialismus", malgrado ciò pensatori di ogni estrazione politica, dai progressisti ai libertari, dovrebbero trovare valore nel suo approccio e nelle sue lezioni.
In Super Imperialism Hudson, che ha aggiornato il libro due volte negli ultimi 50 anni e con una terza edizione pubblicata proprio il mese scorso, ripercorre l'evoluzione del sistema finanziario mondiale, dove il debito degli Stati Uniti ha sostituito l'oro come valuta di riserva mondiale e garanzia per i mercati finanziari.
In che modo il mondo è passato dall'utilizzo dell'oro per bilanciare i pagamenti internazionali all'utilizzo del denaro fiat sotto forma di titoli del Tesoro americani?
In che modo, come dice Hudson , "l'ideale americano di implementare le istituzioni economiche del laissez-faire, la democrazia politica e lo smantellamento degli imperi formali e dei sistemi coloniali" si è trasformato in un sistema in cui gli Stati Uniti hanno costretto altre nazioni a pagare per le sue guerre ed a sfruttare le economie in via di sviluppo?
Per coloro che cercano di rispondere alla domanda su come il dollaro sia diventato così dominante, anche se è stato intenzionalmente svalutato più e più volte nei decenni successivi alla prima guerra mondiale, allora Super Imperialism ha una risposta affascinante e, a volte, profondamente preoccupante.
Attingendo ad un'ampia fonte storica, Hudson sostiene che il cambiamento dal gold standard a quello che definisce il "Treasury Bill Standard" è avvenuto nel corso di diversi decenni, a cavallo tra il primo dopoguerra e gli anni '70.
In breve, gli Stati Uniti sono riusciti a convincere altre nazioni a risparmiare in dollari invece che in oro garantendo che i dollari potessero essere convertiti in metallo giallo. Ma alla fine i funzionari statunitensi hanno ingannato il mondo, rifiutandosi di rimborsare in oro miliardi di dollari che erano in mano di governi stranieri.
Questo inganno ha permesso al governo degli Stati Uniti di finanziare uno stato sociale/militare/industriale in continua espansione senza dover fare i tradizionali compromessi che un Paese o un impero sarebbero costretti a fare se il suo deficit crescesse troppo. Invece, dal momento che i politici statunitensi hanno trovato un modo per inserire il debito americano nella base monetaria globale, non hanno mai dovuto ripagare il proprio debito. Come dice Hudson, l'America ha trasformato il suo status di debitore durante la Guerra Fredda in un "elemento di forza piuttosto che di debolezza".
Di conseguenza gli Stati Uniti sono stati in grado di perseguire l'espansione interna e la diplomazia estera senza problemi riguardo la bilancia dei pagamenti: "Imponendo l'austerità ai Paesi debitori, l'America come la più grande economia debitrice del mondo agisce in modo unico e senza vincoli finanziari".
Una narrazione chiave nel libro di 380 pagine di Hudson è la storia di come il governo degli Stati Uniti abbia sistematicamente demonetizzato l'oro dal sistema economico internazionale. Curiosamente non menziona l'ordine esecutivo 6102, approvato dal presidente Roosevelt nel 1933 per sequestrare l'oro dalle mani degli americani, ma tesse una narrativa avvincente di come il governo degli Stati Uniti abbia allontanato il mondo dal gold standard, culminando con il Nixon Shock del 1971.
Dal punto di vista di Hudson, lasciare il gold standard riguardava il desiderio dell'America di finanziare la guerra all'estero, in particolare nel sud-est asiatico. Dice che la guerra del Vietnam è stata "da sola" responsabile per aver spinto in negativo la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti e di aver ridotto drasticamente le riserve auree americane un tempo sbalorditive.
In definitiva, la tesi di Hudson sostiene che, a differenza del classico imperialismo europeo, guidato da motivi di profitto del settore privato, il super imperialismo americano era guidato da motivi di potere dello stato-nazione. Non era guidato da Wall Street, ma da Washington. Le istituzioni di Bretton Woods, come la Banca mondiale ed il Fondo monetario internazionale (FMI), non hanno aiutato il mondo in via di sviluppo, ma hanno sfruttato i suoi minerali e le sue materie prime per l'America e hanno costretto i suoi leader ad acquistare le esportazioni agricole statunitensi, impedendo loro di sviluppare un'indipendenza economica.
Ci sono, ovviamente, diverse critiche alla narrativa di Hudson. Si può sostenere che l'egemonia del dollaro abbia contribuito a sconfiggere l'Unione Sovietica, facendo pressione sulla sua economia e aprendo la strada ad un mondo più libero; ad inaugurare l'era della tecnologia, della scienza e dell'informazione; a spingere la crescita a livello globale con un surplus di dollari; e ad isolare i regimi canaglia. La storia sembra suggerire che il mondo abbia "voluto" l'egemonia del dollaro, se si considera l'ascesa del sistema eurodollaro, dove anche i nemici dell'America hanno cercato di accumulare biglietti verdi al di fuori del controllo della Federal Reserve.
Anche Hudson non era privo di critici contemporanei. Una recensione del 1972 su The Journal Of Economic History sosteneva che "ci vorrebbe una comprensione eccezionalmente ingenua della politica per accettare l'affermazione secondo cui il governo degli Stati Uniti è stato intelligente, efficiente, totalmente senza scrupoli e costantemente risoluto nello sfruttamento delle nazioni sviluppate ed in via di sviluppo".
Il lettore può esserne il giudice. Ma anche con queste critiche in mente, il lavoro di Hudson è importante da considerare. L'innegabile morale della favola è che spostando l'economia mondiale dall'oro al debito americano, il governo degli Stati Uniti ha implementato un sistema in cui avrebbe potuto spendere in un modo in cui nessun altro Paese poteva, in un modo in cui non avrebbe mai dovuto rimborsare le sue promesse e dove altri Paesi avrebbero finanziato la sua guerra ed il suo stato sociale.
“Mai prima d'ora”, scrive Hudson , “una nazione in bancarotta ha osato insistere affinché il proprio fallimento diventasse il fondamento della politica economica mondiale”.
Nel 1972 il fisico e futurista Herman Kahn affermò che il lavoro di Hudson ha rivelato come “gli Stati Uniti hanno superato in astuzia la Gran Bretagna ed ogni altra nazione che ha costruito imperi nella storia. Abbiamo assistito alla più grande fregatura mai vista”.
Gli stati hanno sempre sognato di trasformare il proprio debito nel bene più prezioso della Terra. Questo saggio spiega come gli Stati Uniti siano riusciti a trasformare questo sogno in realtà, quali fossero le implicazioni per il resto del mondo, come questa era potrebbe volgere al termine e perché un Bitcoin standard potrebbe essere il prossimo sogno ad avverarsi.
I. L'ascesa e la caduta dell'America come nazione creditrice
Le potenze europee, tentate dalla possibilità di stampare denaro cartaceo per finanziare operazioni di guerra, ruppero completamente il gold standard durante la prima guerra mondiale. La moderazione del metallo avrebbe provocato un conflitto molto più breve, ma le fazioni in guerra decisero invece di prolungare la violenza svalutando le loro divise.
Tra il 1914 e il 1918 le autorità tedesche sospesero la convertibilità dei marchi in oro e aumentarono l'offerta di denaro da 17,2 miliardi di marchi a 66,3 miliardi, mentre i loro rivali britannici aumentarono la loro offerta di denaro da £1,1 miliardi a £2,4 miliardi di sterline. La base monetaria tedesca venne ampliata di sei volte e quella britannica di quasi quattro volte.
Mentre le potenze europee si indebitavano sempre più, l'America si arricchì vendendo armi e altri beni agli alleati, il tutto evitando conflitti nella sua patria. Mentre l'Europa si riduceva a brandelli, le fattorie e le attività industriali americane funzionavano a pieno regime. Il mondo in generale iniziò ad acquistare dagli Stati Uniti più di quanto non vendesse, creando un ampio avanzo delle partite correnti americane.
Dopo la guerra, i funzionari statunitensi ruppero con i precedenti storici ed insistettero affinché i loro alleati europei ripagassero i loro debiti di guerra. Tradizionalmente questo tipo di supporto era considerato un costo di guerra. Allo stesso tempo, i funzionari statunitensi eressero barriere tariffarie che impedivano agli alleati di guadagnare dollari attraverso più esportazioni in America.
Hudson sostiene che gli Stati Uniti fecero morire di fame la Germania attraverso una politica protezionistica, poiché non era nemmeno in grado di esportare merci sul mercato statunitense per ripagare i suoi prestiti. Gran Bretagna e Francia dovettero utilizzare tutte le riparazioni tedesche che ricevettero per ripagare l'America.
La Federal Reserve, dice Hudson, mantenne bassi i tassi d'interesse per non deviare gli investimenti dalla Gran Bretagna, sperando in questo modo che gli inglesi potessero ripagare il loro debito di guerra. Ma questi tassi bassi contribuirono a loro volta a gonfiare una bolla nel mercato azionario, scoraggiando i deflussi di capitali verso l'Europa. Hudson sostiene che questa dinamica, soprattutto dopo il Grande Crollo, creò un crash economico globale che contribuì ad innescare nazionalismo, isolazionismo, autarchia e depressione, aprendo poi le porte alla seconda guerra mondiale.
Hudson riassume l'eredità globale dell'America dopo la prima guerra mondiale: la devastazione della Germania, il crollo dell'Impero britannico e l'accumulo di oro. In patria, il presidente Roosevelt pose fine alla convertibilità interna dei dollari in oro, rese il possesso di quest'ultimo un crimine e svalutò il dollaro del 40%. Allo stesso tempo, negli anni '30 gli Stati Uniti ricevettero la maggior parte dell'"oro per i rifugiati" d'Europa, poiché la minaccia di una nuova guerra con la Germania portò alla fuga di capitali da parte dei ricchi europei. Washington stava accumulando oro nelle sue casse, proprio mentre strappava alla popolazione il metallo prezioso.
Con l'avvicinarsi della seconda guerra mondiale, la Germania fermò i pagamenti delle riparazioni, prosciugando il flusso di cassa alleato. La Gran Bretagna non fu in grado di pagare i suoi debiti, cosa che non sarebbe stata in grado di fare completamente per altri 80 anni. La fuga di capitali verso gli Stati Uniti "sicuri" subì un'accelerazione, combinandosi con i dazi di Roosevelt e la svalutazione del dollaro che aumentava le esportazioni andando ad ampliare ulteriormente la posizione della bilancia dei pagamenti americana e le riserve auree. L'America divenne la più grande nazione creditrice del mondo.
Questo vantaggio divenne ancor più marcato quando gli alleati spesero il resto del loro oro per combattere i nazisti. Entro la fine degli anni '40, gli Stati Uniti detenevano oltre il 70% dell'oro detenuto dalle banche centrali non sovietiche, circa 700 milioni di once.
Nel 1922 le potenze europee si erano riunite a Genova per discutere della ricostruzione dell'Europa centro-orientale. Uno dei risultati fu un accordo per tornare in parte al gold standard attraverso un sistema di "cambio dell'oro" in cui le banche centrali avrebbero detenuto valute che potevano essere rimborsate in oro, invece del metallo stesso, che doveva essere sempre più centralizzato negli hub finanziari come New York e Londra.
Nelle fasi successive della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti spinsero ulteriormente su questo concetto alla conferenza di Bretton Woods nel New Hampshire. Lì, una proposta avanzata dal delegato britannico John Maynard Keynes di utilizzare una valuta gestita a livello internazionale chiamata "bancor" venne respinta. Invece i diplomatici americani, esercitando una leva sulle loro controparti britanniche a causa del vantaggio rappresentato dall'oro posseduto e dai salvataggi che avevano esteso attraverso le politiche del Lend-Lease Act, crearono un nuovo sistema commerciale globale sostenuto dai dollari, i quali avrebbero dovuto essere coperti dall'oro al tasso di $35 per oncia. Vennero create istituzioni come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e l'Accordo generale sui dazi doganali e sul commercio, dominate dagli Stati Uniti e che avrebbero imposto a livello mondiale il dollaro.
Andando avanti, la politica economica estera degli Stati Uniti era molto diversa da quella dopo la prima guerra mondiale, quando il Congresso diede la priorità ai programmi interni e l'America adottò una posizione protezionista. I politici statunitensi teorizzarono che l'America avrebbe dovuto rimanere un "importante esportatore per mantenere la piena occupazione durante la transizione verso un ritorno alla vita in tempo di pace".
"I mercati esteri", scrive Hudson , "dovevano sostituire il Dipartimento della Guerra come fonte di domanda per i prodotti dell'industria e dell'agricoltura americane".
Questa consapevolezza portò gli Stati Uniti a determinare che non potevano imporre debiti di guerra ai loro alleati come fecero dopo la prima guerra mondiale. Una prospettiva della Guerra Fredda iniziò a prendere il sopravvento: se gli Stati Uniti avessero investito all'estero, avrebbero potuto rafforzare gli alleati e sconfiggere i sovietici. Il Tesoro e la Banca Mondiale prestarono fondi all'Europa come parte del Piano Marshall in modo che potesse ricostruire ed acquistare beni americani.
Hudson distingue il nuovo sistema imperiale statunitense dai vecchi sistemi imperiali europei. Cita il segretario al Tesoro Morgenthau, il quale affermò che le istituzioni di Bretton Woods "hanno cercato di allontanarsi dal concetto di controllo della finanza internazionale da parte di finanzieri privati che non erano responsabili nei confronti del popolo", portando il potere da Wall Street a Washington. In netto contrasto con l'imperialismo "classico", che era guidato da interessi corporativi e da una diretta azione militare, nel nuovo "super imperialismo" il governo degli Stati Uniti avrebbe "sfruttato il mondo attraverso il sistema monetario internazionale". Ecco perché il titolo originale di Hudson per il suo libro era "Imperialismo monetario".
L'altra caratteristica distintiva del super imperialismo rispetto all'imperialismo classico era che il primo si basava su una posizione di debitore, mentre il secondo era basato su una posizione di creditore. L'approccio americano consisteva nel costringere le banche centrali straniere a finanziare la crescita statunitense, mentre l'approccio britannico o francese consisteva nell'estrarre materie prime dalle colonie, rivenderle come prodotti finiti e sfruttare il lavoro a basso salario o addirittura schiavistico.
Gli imperialisti classici, se si fossero indebitati a sufficienza, avrebbero dovuto imporre l'austerità interna o svendere i loro beni. L'avventurismo militare aveva delle restrizioni, ma Hudson sostiene che con il super imperialismo l'America ha capito non solo come evitare questi limiti, ma anche come trarre benefici positivi da un enorme disavanzo della bilancia dei pagamenti. Ha costretto le banche centrali straniere ad assorbire il costo delle spese militari statunitensi e dei programmi sociali interni che hanno difeso gli americani e migliorato il loro tenore di vita.
Hudson indica la guerra di Corea come il principale evento che ha spostato in deficit il considerevole avanzo della bilancia dei pagamenti americana del secondo dopoguerra. Scrive che la lotta nella penisola coreana fu "finanziata essenzialmente dalla monetizzazione del deficit federale da parte della Federal Reserve, uno sforzo che trasferì il costo della guerra sulle generazioni future, o più precisamente dai contribuenti futuri agli obbligazionisti futuri".
II. Il fallimento di Bretton Woods
Nel classico sistema gold standard, Hudson descrive come funzionavano le cose:
Se il commercio ed i pagamenti tra i Paesi erano abbastanza equamente bilanciati, nessuna moneta d'oro effettivamente passava di mano: le richieste di valuta da una direzione compensavano quelle che andavano nella direzione opposta. Ma quando il commercio ed i pagamenti non erano esattamente in equilibrio, i Paesi che compravano o pagavano più di quanto vendevano o ricevevano si trovavano con un deficit della bilancia dei pagamenti, mentre le nazioni che vendevano più di quanto acquistavano godevano di un surplus. [...] Se un Paese perdeva oro, la sua base monetaria si sarebbe contratta, i tassi d'interesse sarebbero saliti ed i fondi esteri a breve termine sarebbero stati attratti per bilanciare i movimenti del commercio internazionale. Se i deflussi di oro fossero persistiti, i tassi d'interesse più elevati avrebbero scoraggiato nuovi investimenti interni ed i redditi sarebbero scesi, riducendo così la domanda di importazioni fino a quando non fosse stato ripristinato l'equilibrio nei pagamenti internazionali del Paese.
L'oro ha aiutato le nazioni a rendere conto l'una con l'altra in modo neutrale e diretto. Tuttavia, proprio come le potenze europee hanno scartato l'elemento restrittivo dell'oro durante la prima guerra mondiale, Hudson dice che nemmeno all'America piaceva il vincolo dell'oro, e invece "ha lavorato per 'demonetizzare' il metallo giallo, cacciandolo dal sistema finanziario mondiale – un versione geopolitica della Legge di Gresham". Spingendo la trasformazione di un mondo in cui la riserva era l'oro in un mondo in cui la riserva sarebbe stato il debito americano, gli Stati Uniti hanno violato il sistema per scacciare il denaro buono.
Nel 1957 le riserve auree statunitensi superavano di 3:1 le riserve in dollari delle banche centrali estere. Ma nel 1958 il sistema vide le sue prime crepe, poiché la FED dovette vendere più di $2 miliardi di oro per mantenere a galla il sistema di Bretton Woods. La capacità degli Stati Uniti di mantenere il dollaro a $35 per oncia d'oro venne messa in discussione. In uno dei suoi ultimi atti in carica, il presidente Eisenhower vietò agli americani di possedere oro in qualsiasi parte del mondo. Ma dopo la vittoria presidenziale di John F. Kennedy, che si prevedeva avrebbe perseguito politiche monetarie inflazionistiche, l'oro salì comunque, superando i $40 l'oncia. Non fu facile demonetizzare l'oro in un mondo di denaro fiat in svalutazione.
Le potenze americane ed europee cercarono di aiutare il sistema creando il London Gold Pool. Costituito nel 1961, la missione del Pool era di fissare il prezzo dell'oro. Ogni volta che la domanda di mercato faceva aumentare il prezzo, le banche centrali si coordinavano per vendere parte delle loro riserve. Il Pool subì una pressione incessante negli anni '60, sia per il deprezzamento del dollaro nei confronti delle valute in Giappone ed Europa, sia per le enormi spese dei programmi della Great Society e la guerra degli Stati Uniti in Vietnam.
Alcuni economisti consideravano inevitabile il fallimento del sistema di Bretton Woods. Robert Triffin aveva previsto che il dollaro non avrebbe più funto da valuta di riserva internazionale con un surplus delle partite correnti. In quello che è noto come il "Dilemma di Triffin", teorizzò che i Paesi di tutto il mondo avrebbero avuto un bisogno crescente della "valuta chiave" e le passività si sarebbero necessariamente espanse oltre la capacità che il Paese chiave avrebbe potuto detenere in riserve, creando una posizione debitoria sempre più ampia. Alla fine la posizione debitoria sarebbe cresciuta così tanto da far crollare la valuta, distruggendo il sistema.
Nel 1964 questa dinamica iniziò a manifestarsi visibilmente, quando il debito estero americano superò le scorte auree del Tesoro USA. Hudson afferma che la spesa militare americana all'estero era "l'intero deficit della bilancia dei pagamenti, poiché le transazioni del settore privato rimasero in equilibrio".
Il London Gold Pool sopravvisse (sostenuto dalle vendite di oro dall'Unione Sovietica e dal Sud Africa) fino al 1968, quando l'accordo crollò ed emerse un nuovo sistema a due livelli con un prezzo "statale" ed un prezzo "di mercato".
Nello stesso anno il presidente Lyndon B. Johnson scioccò la popolazione americana quando annunciò che non si sarebbe candidato per un altro mandato, forse in parte a causa dello stress del sistema monetario in crisi. Richard Nixon vinse la presidenza nel 1968 e la sua amministrazione fece la sua parte per convincere le altre nazioni a smettere di convertire i dollari in oro.
Entro la fine di quell'anno, gli Stati Uniti avevano ridotto il loro oro da 700 milioni a 300 milioni di once. Pochi mesi dopo il Congresso rimosse il requisito del 25% di copertura in oro per le banconote della riserva federale, tagliando un altro collegamento tra l'offerta di denaro statunitense e l'oro. Cinquanta economisti avevano firmato una lettera di avvertimento contro tale azione, affermando che avrebbe "aperto le porte ad un'espansione praticamente illimitata delle banconote della Federal Reserve [...] e ad un declino e persino al collasso del valore della nostra valuta".
Nel 1969, con la fine di Bretton Woods palpabilmente vicina, l'FMI introdusse i diritti speciali di prelievo (DSP) o "carta oro". Queste unità monetarie avrebbero dovuto essere uguali all'oro, ma non convertibili in metallo. La mossa fu celebrata dai giornali di tutto il mondo come la creazione di una nuova valuta che avrebbe "soddisfatto i bisogni monetari ma sarebbe esistita solo sui libri contabili". Secondo Hudson, l'FMI violò il suo statuto fondante salvando gli Stati Uniti con miliardi di DSP.
La strategia DSP era "simile ad una tassa riscossa sulle nazioni in eccedenza di pagamenti dagli Stati Uniti [...] rappresentava un trasferimento di beni e risorse dai settori civili e governativi delle nazioni in eccedenza di pagamenti a Paesi in deficit di pagamenti, un trasferimento ricevuto dalle nazioni che si erano astenute dalla guerra".
Nel 1971 le passività in dollari a breve termine verso gli stranieri superavano i $50 miliardi, ma le riserve di oro erano scese al di sotto dei $10 miliardi. Rispecchiando il comportamento di Germania e Gran Bretagna durante la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti gonfiarono la loro offerta di denaro di 18 volte le loro riserve auree mentre combattevano la guerra del Vietnam.
III. La morte del gold standard e l'ascesa dello standard basato sui bond statunitensi
Quando divenne chiaro che il governo degli Stati Uniti non poteva rimborsare i dollari esistenti in oro, i Paesi stranieri si accorsero di essere finiti in una trappola. Non potevano vendere i loro titoli di stato americani o rifiutarsi di accettare dollari, poiché ciò avrebbe fatto crollare il valore del dollaro sui mercati monetari, avvantaggiando le esportazioni statunitensi e danneggiando le loro stesse industrie. Questo era il meccanismo chiave che fece funzionare il sistema dei bond del Tesoro USA.
Poiché le banche centrali estere ricevevano dollari dai loro esportatori e banche commerciali, Hudson afferma che avevano "poca scelta se non prestare questi dollari al governo degli Stati Uniti". Concessero anche i privilegi del signoraggio agli Stati Uniti, poiché le nazioni straniere "guadagnavano" un tasso d'interesse negativo sulle promesse delle obbligazioni americane per la maggior parte degli anni tra la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del muro di Berlino, pagando a tutti gli effetti Washington per trattenere i loro soldi.
"Invece di tassare i cittadini e le società statunitensi, o di obbligare i mercati dei capitali statunitensi a finanziare il crescente disavanzo federale", scrive Hudson , "le economie straniere sono state obbligate ad acquistare i nuovi bond del Tesoro USA. [...] La spesa americana durante la Guerra Fredda divenne così una tassa sugli stranieri. Furono le loro banche centrali a finanziare i costi della guerra nel sud-est asiatico".
I funzionari americani, infastiditi dal fatto che gli alleati non li avessero mai rimborsati per la prima guerra mondiale, ora potevano ottenere la loro libbra di carne in un altro modo.
Il diplomatico francese Jacques Rueff espresse la sua opinione sul meccanismo alla base dello standard basato sui bond statunitensi nel suo libro The Monetary Sin Of The West:
Avendo appreso il segreto di avere un 'deficit senza lacrime', era umano che gli Stati Uniti usassero quella conoscenza, mettendo così la loro bilancia dei pagamenti in uno stato permanente di disavanzo. L'inflazione si sarebbe sviluppata nei Paesi eccedentari man mano che gonfiavano le proprie valute sulla base delle maggiori riserve in dollari detenute dalle loro banche centrali. La convertibilità della valuta di riserva, il dollaro, sarebbe stata infine abolita a causa dell'accumulo graduale ma illimitato di prestiti a vista rimborsabili in oro.
Il governo francese ne era perfettamente consapevole e riscattò con insistenza i suoi dollari in oro durante l'era del Vietnam, inviando persino una nave da guerra a Manhattan nell'agosto 1971 per riscuotere ciò che gli era dovuto. Pochi giorni dopo, il 15 agosto 1971, il presidente Nixon si presentò sulla televisione nazionale e annunciò formalmente la fine della convertibilità internazionale del dollaro in oro. Gli Stati Uniti erano inadempienti sul loro debito, lasciando decine di miliardi di dollari all'estero, all'improvviso, senza copertura. Per estensione, ogni valuta supportata dai dollari era diventata pura moneta fiat. Rueff aveva ragione ed ai francesi era rimasta la carta invece del metallo prezioso.
Nixon avrebbe potuto semplicemente aumentare il prezzo dell'oro, invece di andare completamente in default, ma ai governi non piace ammettere davanti ai propri cittadini di aver svalutato il denaro pubblico. Era molto più facile per la sua amministrazione infrangere una promessa fatta a persone a migliaia di chilometri di distanza.
Come scrive Hudson: "Più di $50 miliardi di debiti a breve termine nei confronti degli stranieri non potevano essere utilizzati come crediti sulle scorte auree americane". Potevano "essere utilizzati per acquistare esportazioni statunitensi, per pagare obbligazioni a creditori pubblici e privati statunitensi, o per investire in titoli di società governative".
Queste passività non erano più passività del Tesoro degli Stati Uniti. Il debito americano era stato inserito nella base monetaria globale.
"Le obbligazioni sovrane statunitensi", dice Hudson, avevano "il niente come sottostante". L'ultimo tassello della strategia consisteva nel "rinnovare il debito" su base continuativa, idealmente con tassi d'interesse al di sotto del tasso d'inflazione monetaria.
Gli americani potevano ora ottenere beni esteri, servizi e altro in cambio di semplici pezzi di carta: "Divenne possibile per una singola nazione esportare la propria inflazione regolando il proprio deficit di pagamento con carta invece che con oro [...] un livello mondiale dei prezzi in aumento divenne una funzione derivata della politica monetaria statunitense", scrive Hudson.
Se dovete $5.000 alla banca, è un problema vostro; se dovete $5 milioni, è un problema loro. Il segretario al Tesoro del presidente Nixon, John Connolly, derise questo vecchio adagio all'epoca: "Il dollaro può essere la nostra valuta, ma ora è un vostro problema".
IV. Super imperialismo in azione: come gli Stati Uniti hanno fatto pagare al mondo la guerra del Vietnam
Con l'aumento del deficit degli Stati Uniti, la spesa pubblica accelerò e gli americani, in un fenomeno nascosto al cittadino medio, hanno guardato mentre altre nazioni pagavano "il costo di questa follia fiscale" mentre le banche centrali straniere, non le tasse, finanziavano il debito.
Il gioco a cui stava giocando l'amministrazione Nixon, scrive Hudson, "era uno dei più ambiziosi nella storia economica dell'umanità [...] e andava oltre la comprensione dei senatori degli Stati Uniti [...]. Il semplice espediente di non ostacolare il deflusso di asset in dollari ebbe l'effetto di spazzare via il debito estero americano mentre sembrava aumentarlo. Allo stesso tempo, il semplice utilizzo della stampante monetaria, ovvero la creazione di nuovo credito, ampliava le opportunità di penetrazione nei mercati esteri rilevando società straniere".
Poi continua:
I consumatori americani potevano scegliere di spendere i loro redditi in beni esteri piuttosto che risparmiare. Le imprese americane potevano scegliere di acquistare società straniere o intraprendere nuovi investimenti diretti in patria piuttosto che acquistare titoli di stato, e il governo americano poteva finanziare un programma militare mondiale in crescita, ma questo consumo e questa spesa all'estero sarebbero stati comunque tradotti in risparmi e incanalati verso il Stati Uniti. Le maggiori spese di consumo per le Volkswagen o per il petrolio hanno quindi avuto lo stesso effetto di un aumento delle accise su questi prodotti: sono andate al Tesoro degli Stati Uniti in una sorta di risparmio forzato.
Rifiutando la convertibilità in oro, Hudson sostiene che "l'America ha trasformato una posizione di apparente debolezza in una di forza imprevista, quella di un debitore rispetto ai suoi creditori".
"Ciò che è stato così straordinario nella svalutazione del dollaro", scrive, "è che lungi dal segnalare la fine del dominio americano sui suoi alleati, è diventato l'oggetto della strategia finanziaria statunitense, un mezzo per intrappolare ulteriormente le banche centrali estere in un dollar standard".
Vale la pena condividere una storia vivida sul potere dello standard basato sui bond del Tesoro USA e su come potrebbe costringere i grandi attori geopolitici a fare cose contro la loro volontà. Come dice Hudson:
L'industria tedesca aveva assunto milioni di immigrati dalla Turchia, dalla Grecia, dall'Italia, dalla Jugoslavia e da altri Paesi del Mediterraneo. Nel 1971 circa il 3% dell'intera popolazione greca viveva in Germania, producendo automobili e merci di esportazione [...], quando Volkswagen e altri beni furono spediti negli Stati Uniti [...] le aziende potevano scambiare le loro ricevute in dollari con marchi tedeschi [...] ma la banca centrale tedesca poteva detenere questi crediti in dollari solo sotto forma di bond del Tesoro statunitensi [...]. Perse l'equivalente di un terzo del valore dei suoi averi in dollari nel 1970-74, quando il dollaro scese di circa il 52% contro il marco, in gran parte perché l'inflazione interna degli Stati Uniti erose il 34% del potere d'acquisto interno del dollaro.
In questo modo la Germania fu costretta a finanziare le guerre americane nel sud-est asiatico ed il sostegno militare ad Israele: due cose a cui si opponeva fortemente.
Detto in altro modo da Hudson: “In passato, le nazioni cercavano di gestire eccedenze di pagamento per accumulare riserve auree. Ma ora tutto ciò che stavano costruendo era una linea di credito al governo degli Stati Uniti per finanziare i suoi programmi in patria e all'estero, programmi in cui queste banche centrali non avevano voce in capitolo e che in alcuni casi erano progettati per garantire fini di politica estera non desiderati dai loro governi”.
La tesi di Hudson era che l'America aveva costretto altri Paesi a pagare per le sue guerre, indipendentemente dal fatto che lo volessero o meno; come un sistema di tributi, ma applicato senza occupazione militare. “Questo è stato”, scrive, “qualcosa mai realizzato prima da nessuna nazione nella storia”.
V. OPEC in soccorso
Hudson scrisse Super Imperialism nel 1972, l'anno dopo lo shock di Nixon. Il mondo si chiedeva in quel momento: cosa accadrà dopo? Chi continuerà a comprare tutto questo debito americano? Nel suo seguito, Global Fracture, pubblicato cinque anni dopo, Hudson ha avuto modo di rispondere alla domanda.
Lo standard basato sui bond del Tesoro USA era una strategia brillante per il governo degli Stati Uniti, ma all'inizio degli anni '70 subì forti pressioni.
Solo due anni dopo lo shock di Nixon, in risposta alla svalutazione del dollaro e all'aumento dei prezzi dei cereali americani, le nazioni dell'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) guidate dall'Arabia Saudita quadruplicarono il prezzo del petrolio in dollari superando i $10 al barile. Prima della creazione dell'OPEC, "il problema dello spostamento delle ragioni di scambio a favore degli esportatori di materie prime era stato evitato sia dal cartello internazionale sulle risorse minerarie che dal dominio coloniale", scrive Hudson.
Ma ora che gli stati petroliferi erano sovrani, controllavano il massiccio afflusso di risparmi accumulati attraverso il prezzo alle stelle del petrolio.
Ciò portò ad una "ridistribuzione della ricchezza globale su una scala che non era stata vista a memoria d'uomo", come afferma l'economista David Lubin.
Nel 1974 gli esportatori di petrolio avevano un avanzo di conto di $70 miliardi rispetto ai $7 miliardi dell'anno prima: un ammontare quasi il 5% del PIL degli Stati Uniti. Quell'anno l'avanzo delle partite correnti saudita era del 51% del suo PIL.
La ricchezza delle nazioni dell'OPEC crebbe così velocemente che non potevano spenderla tutta in beni e servizi esteri.
"Cosa ci faranno gli arabi con tutti questi soldi?" chiese l'Economist all'inizio del 1974.
In Global Fracture Hudson sostiene che era diventato essenziale per gli Stati Uniti "convincere i governi dell'OPEC a mantenere i petrodollari [un dollaro ancorato alle vendite del petrolio] in bond del Tesoro USA in modo da assorbire quelli che Europa e Giappone stavano vendendo".
Come dettagliato nel precursore di questo saggio, "Uncovering The Hidden Costs Of The Petrodollar", il nuovo segretario al Tesoro di Nixon William Simon si recò in Arabia Saudita come parte di uno sforzo per convincere la Casa di Saud a valutare il petrolio in dollari e "riciclarli" in titoli di stato statunitensi con la loro nuova ricchezza.
L'8 giugno 1974 i governi degli Stati Uniti e dell'Arabia Saudita firmarono un patto militare ed economico. Il segretario Simon chiese ai sauditi di acquistare fino a $10 miliardi in titoli del Tesoro USA. In cambio, gli Stati Uniti avrebbero garantito la sicurezza ai regimi del Golfo ed avrebbero venduto loro enormi quantità di armi. Iniziò così la fortuna dei bond OPEC.
"Finché l'OPEC sarebbe stato persuaso a trattenere i suoi petrodollari in bond del Tesoro USA piuttosto che investirli in beni capitali per modernizzare le sue economie o nella proprietà di industrie straniere", dice Hudson, "il livello dei prezzi mondiali del petrolio non avrebbero influenzato negativamente gli Stati Uniti".
A quel tempo c'era un timore pubblico in America che i governi arabi "avrebbero preso il controllo" delle società statunitensi. Come parte della nuova relazione speciale USA-Arabia Saudita, i funzionari americani convinsero i sauditi a ridurre gli investimenti nel settore privato statunitense e ad acquistare più debito.
La Federal Reserve continuò a gonfiare l'offerta di denaro nel 1974, contribuendo ad un'inflazione interna mai vista sin dalla guerra civile. Ma il crescente deficit venne consumato dai sauditi e da altri esportatori di petrolio, che nel decennio successivo avrebbero riciclato decine di miliardi di dollari di guadagni dei petrodollari nei titoli del Tesoro statunitensi.
"I governi stranieri", afferma Hudson , "finanziarono l'intero aumento del debito federale statunitense" tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni '90 e hanno continuato, con l'aiuto del sistema dei petrodollari, a sostenere il debito fino ad oggi.
Allo stesso tempo, il governo degli Stati Uniti utilizzò il FMI per aiutare a "porre fine al ruolo centrale dell'oro che esisteva nel precedente sistema monetario mondiale". In mezzo ad un'inflazione a due cifre, l'istituto vendette le sue riserve auree alla fine del 1974, in modo da esercitare pressione al ribasso su ogni possibile rialzo dell'oro nel momento in cui una nuova legge negli Stati Uniti avrebbe finalmente reso di nuovo legale per gli americani il possesso di oro.
Nel 1975 altre nazioni dell'OPEC avevano seguito l'esempio dell'Arabia Saudita nel sostenere lo standard basato sui bond del Tesoro USA. La sterlina britannica venne infine eliminata come valuta chiave, lasciando, come scrive Hudson , "il dollaro senza nessun concorrente".
L'eredità del sistema dei petrodollari sarebbe sopravvissuta per decenni, costringendo altri Paesi a procurarsi dollari quando avevano bisogno di petrolio e costringendo l'America a difendere i suoi partner sauditi quando minacciati di aggressione da parte di Saddam Hussein o dell'Iran, scoraggiando i funzionari statunitensi dall'indagare sul ruolo dell'Arabia Saudita nel Attacchi dell'11 settembre, sostenendo la devastante guerra saudita in Yemen, vendendo miliardi di dollari di armi ai sauditi e rendendo Aramco la seconda azienda più preziosa al mondo oggi.
VI. Sfruttamento del mondo in via di sviluppo
Lo standard basato sui bond del Tesoro USA comportava costi enormi. Non era gratuito, ma questi costi non sono stati pagati da Washington, invece sono stati spesso sostenuti dai cittadini nei Paesi del Medio Oriente e nelle nazioni più povere del mondo in via di sviluppo.
Anche prima di Bretton Woods, le riserve auree di regioni come l'America Latina vennero risucchiate dagli Stati Uniti. Come descrive Hudson, le nazioni europee avrebbero prima esportato merci in America Latina, poi avrebbero preso l'oro e l'avrebbero usato per acquistare beni dagli Stati Uniti. In questo modo l'oro venne "depredato" dai Paesi in via di sviluppo, aiutando le scorte auree statunitensi a raggiungere il picco di quasi $24,8 miliardi (o 700 milioni di once) nel 1949.
Originariamente progettati per aiutare a ricostruire l'Europa e il Giappone, la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale divennero negli anni '60 "agenzie di welfare internazionale" per le nazioni più povere del mondo, secondo The Heritage Foundation. Ma, secondo Hudson, quella era una copertura per il loro vero scopo: uno strumento attraverso il quale il governo degli Stati Uniti avrebbe imposto la dipendenza economica dalle nazioni non comuniste in tutto il mondo.
Gli Stati Uniti si unirono alla Banca Mondiale ed all'FMI solo "a condizione che gli fosse concesso un potere di veto unico [...] ciò significava che non potevano essere imposte regole economiche che i diplomatici statunitensi ritenessero non servire agli interessi americani".
L'America iniziò con il 33% dei voti all'FMI e alla Banca Mondiale, e in un sistema che richiedeva una maggioranza dell'80% dei voti per le decisioni, ciò le diede il potere di veto. La Gran Bretagna inizialmente aveva il 25% dei voti, ma dato il suo ruolo subordinato agli Stati Uniti dopo la guerra e la sua posizione di dipendenza a seguito delle politiche di Lend-Lease, non si sarebbe opposta ai desideri di Washington.
Uno degli obiettivi principali degli Stati Uniti nel secondo dopoguerra era raggiungere la piena occupazione e la politica economica internazionale venne sfruttata per raggiungere tale obiettivo. L'idea era di creare mercati esteri per le esportazioni americane: le materie prime sarebbero state importate a buon mercato dai Paesi in via di sviluppo ed i beni agricoli e manufatti sarebbero stati esportati in quelle stesse nazioni, riportando indietro i dollari.
Hudson afferma che le audizioni del Congresso degli Stati Uniti sugli accordi di Bretton Woods rivelarono "il timore che l'America Latina e altri Paesi potessero danneggiare gli agricoltori statunitensi o sostituire le esportazioni agricole statunitensi, invece della speranza che questi Paesi potessero effettivamente evolversi verso l'autosufficienza agricola".
Le istituzioni di Bretton Woods vennero progettate tenendo a mente questi timori: "Gli Stati Uniti si sono dimostrati riluttanti ad abbassare i dazi sulle merci che gli stranieri potevano produrre ad un prezzo inferiore rispetto agli agricoltori ed ai produttori americani", scrive Hudson. "L'Organizzazione internazionale del commercio, che in linea di principio avrebbe dovuto sottoporre l'economia statunitense agli stessi principi di libero scambio che richiedeva ai governi stranieri, venne a tutti gli effetti affondata".
In una simil versione di come i francesi sfruttano oggi le nazioni della Communauté Financière Africaine (CFA) in Africa, gli Stati Uniti hanno adottato molti doppi standard e hanno istituito un sistema che ha costretto i Paesi in via di sviluppo a "vendre le loro materie prime a società di proprietà degli Stati Uniti a prezzi sostanzialmente inferiori a quelli ricevuti dai produttori americani per materie prime identiche".
Hudson spende una percentuale significativa di Super Imperialism sostenendo che questa politica ha contribuito a distruggere il potenziale economico e lo stock di capitale di molti Paesi in via di sviluppo. Gli Stati Uniti, come dice lui, hanno costretto le nazioni in via di sviluppo ad esportare frutta, minerali, petrolio, zucchero ed altri beni grezzi invece di investire in infrastrutture nazionali ed istruzione; e li hanno costretti ad acquistare generi alimentari americani invece di coltivarli da soli.
Perché le istituzioni di Bretton Woods hanno continuato ad esistere dopo il 1971? Vennero create per far rispettare un sistema che era ormai scaduto. La risposta, dal punto di vista di Hudson, è che vennero inserite in una strategia più ampia: convincere i leader (spesso dittatoriali) delle economie in via di sviluppo a spendere i loro guadagni per le importazioni di cibo e armi. Ciò ne ha impedito nel tempo lo sviluppo interno e la rivoluzione interna.
In questo modo la politica finanziaria ed agricola "super imperiale" ha realizzato ciò che la classica politica militare imperiale era solita realizzare. Hudson afferma persino che il suo libro è stato utilizzato come "manuale di formazione" a Washington negli anni '70 dai diplomatici che cercavano di apprendere come "sfruttare altri Paesi tramite le loro banche centrali".
Nel racconto di Hudson l'aiuto diretto dagli Stati Uniti non è stato utilizzato per altruismo, ma per interesse personale. Dal 1948 al 1969 le entrate americane dagli aiuti esteri sono state circa 2,1 volte i suoi investimenti.
“Non esattamente uno strumento di altruistica generosità americana”, scrive. Dal 1966 al 1970 la Banca Mondiale "ha ricevuto più fondi da 20 dei suoi Paesi meno sviluppati di quanti ne abbia erogati".
Nel 1971, dice Hudson, il governo degli Stati Uniti ha smesso di pubblicare i dati che mostravano che gli aiuti esteri stavano generando un trasferimento di dollari da Paesi stranieri negli Stati Uniti. Dice anche di aver ricevuto una risposta dal governo all'epoca: "Pubblicavamo quei dati, ma qualche burlone ha pubblicato un rapporto che mostra che gli Stati Uniti hanno effettivamente guadagnato soldi dai Paesi che stavamo aiutando".
Le ex-regioni esportatrici di grano dell'America Latina e del Sud-est asiatico sono peggiorate allo stato di deficit alimentare sotto la "guida" della Banca mondiale e dell'FMI. Invece di svilupparsi, Hudson sostiene che questi Paesi stavano retrocedendo.
Normalmente i Paesi in via di sviluppo avrebbero voluto mantenere le loro risorse minerarie. Fungono da conti di risparmio, ma questi Paesi non furono in grado di accumulare capacità per utilizzarle, perché erano concentrati sul servizio del debito verso gli Stati Uniti ed altre economie avanzate. La Banca Mondiale, sostiene Hudson, li ha spinti a "ridurre" i loro risparmi di risorse naturali per nutrirsi, rispecchiando l'agricoltura di sussistenza e lasciandoli in povertà. I leader della Banca Mondiale pensavano che, per conformarsi allo standard basato sui bond del Tesoro USA, "le popolazioni di questi Paesi devono calare in simmetria con l'imminente esaurimento dei loro giacimenti minerari".
Hudson descrive l'intero arco narrativo come tale: sotto il super imperialismo, il commercio mondiale è stato guidato non dal libero mercato ma da una "intrusione senza precedenti della pianificazione centrale, coordinata dalla Banca Mondiale, dall'FMI e da quello che è stato chiamato il Washington Consensus. Il suo obiettivo è fornire agli Stati Uniti una quantità sufficiente di petrolio, rame e altre materie prime per produrre un'offerta eccessiva cronica sufficiente a mantenere basso il loro prezzo mondiale. L'eccezione a questa regola è il grano ed altri prodotti agricoli esportati dagli Stati Uniti, nel qual caso si desiderano prezzi mondiali relativamente alti. Se i Paesi stranieri sono ancora in grado di gestire eccedenze di pagamento in queste condizioni, così come i Paesi esportatori di petrolio, i loro governi devono utilizzarle per acquistare armi statunitensi o investire in obbligazioni del Tesoro statunitensi".
Questo, come direbbe Allen Farrington, non è capitalismo; piuttosto è pianificazione centrale globale e imperialismo del sistema bancario centrale.
La cosa più sconvolgente è che la Banca Mondiale negli anni '70, sotto la presidenza di Robert McNamara, sostenne che la crescita della popolazione rallentasse lo sviluppo e che venisse "ridotta per corrispondere al modesto tasso di aumento della produzione alimentare tenuto in riga da vincoli istituzionali e politici".
Le nazioni avrebbero dovuto "seguire le politiche malthusiane" per ottenere più aiuti. McNamara affermò che "la popolazione deve essere adattata alle risorse alimentari esistenti, non che le risorse alimentari siano ampliate ai bisogni delle popolazioni esistenti o in crescita".
Per rimanere in linea con i prestiti della Banca Mondiale, il governo indiano sterilizzò con la forza milioni di persone.
Come conclude Hudson: la Banca Mondiale ha concentrato il mondo in via di sviluppo "sui requisiti di servizio piuttosto che sui bisogni interni e sulle aspirazioni dei relativi popoli. Il risultato è stato una serie di modelli di crescita deformati in un Paese dopo l'altro. L'espansione economica è stata incoraggiata solo nelle aree che generavano servizio del debito estero, in modo da essere in grado di indebitarsi a sufficienza per finanziare una maggiore crescita in aree che avrebbero potuto generare ulteriori mezzi di servizio del debito estero, e così via all'infinito. "Su scala internazionale, il motto di Joe Hill 'Lavoriamo per guadagnare soldi e poi con questi comprare il cibo per avere la forza di lavorare per guadagnare soldi e poi con questi comprare il cibo per avere la forza di lavorare per guadagnare soldi e poi con questi comprare il cibo...' è diventato realtà. La Banca Mondiale stava impoverendo i Paesi che in teoria era stata progettata per assistere".
VII. Implicazioni finanziarie dello standard basato sui bond del Tesoro USA
Negli anni '80 gli Stati Uniti avevano raggiunto, come scrive Hudson, "ciò che nessun precedente sistema imperiale aveva messo in atto: una forma flessibile di sfruttamento globale che controllava i Paesi debitori imponendo il Washington Consensus tramite l'FMI e la Banca Mondiale, mentre lo standard basato sui bond del Tesoro USA obbligava le nazioni dell'Europa e dell'Asia orientale ad estendere prestiti forzati al governo degli Stati Uniti".
Ma le minacce sono rimaste ancora, incluso il Giappone. Hudson spiega come nel 1985 agli Accordi del Louvre, il governo degli Stati Uniti e l'FMI abbiano convinto i giapponesi ad aumentare i loro acquisti di debito americano e rivalutare lo yen verso l'alto in modo che le loro auto e l'elettronica diventassero più costose. È così che, dice, hanno disarmato la minaccia economica giapponese. Il Paese "essenzialmente è andato in rovina".
A livello geopolitico il super imperialismo non solo ha aiutato gli Stati Uniti a sconfiggere il loro rivale sovietico – che poteva sfruttare solo i Paesi economicamente deboli del COMECON – ma ha anche impedito a qualsiasi potenziale alleato di diventare troppo forte. A livello finanziario il passaggio dalla moderazione dell'oro alla continua espansione del debito americano come base monetaria globale ha avuto un impatto sbalorditivo sul mondo.
Nonostante il fatto che oggi gli Stati Uniti abbiano una forza lavoro molto più ampia e una produttività molto più elevata rispetto agli anni '70, i prezzi non sono diminuiti ed i salari reali non sono aumentati. Il settore finanza/assicurazioni/immobili, dice Hudson, "si è appropriato di quasi tutti i guadagni economici". Il capitalismo industriale, dice, si è evoluto nel capitalismo finanziario.
Per decenni Giappone, Germania, Regno Unito e altri sono stati "impotenti ad usare la loro forza economica per qualcosa di più che per diventare i principali acquirenti di bond del Tesoro USA e finanziare il deficit di bilancio federale degli Stati Uniti [...] [queste] banche centrali straniere hanno permesso all'America di abbasare la pressione fiscale interna (almeno sui ricchi), liberando risparmi da investire nel mercato azionario e nel boom immobiliare".
Gli ultimi 50 anni sono stati testimoni di un'esplosione di finanziarizzazione. I mercati monetari fluttuanti hanno innescato una proliferazione di derivati utilizzati per coprire il rischio: improvvisamente le aziende hanno dovuto investire risorse in futures in valuta estera. Nei mercati del petrolio e dell'oro, ci sono centinaia o migliaia di crediti cartacei per ogni unità di materia prima. Non è chiaro se questo sia un risultato diretto dell'uscita dal gold standard, ma è sicuramente una caratteristica importante dell'era post-oro.
Hudson sostiene che la politica statunitense spinge le economie straniere a "fornire beni di consumo e beni di investimento che l'economia nazionale statunitense non fornisce più poiché è post-industrializzata ed è diventata un'economia in bolla, acquistando al contempo eccedenze agricole ed altre eccedenze di produzione. Nella sfera finanziaria il ruolo delle economie straniere è quello di sostenere il mercato azionario americano e la bolla immobiliare, producendo plusvalenze ed inflazione dei prezzi degli asset anche se l'economia industriale statunitense viene svuotata".
Nel corso del tempo le azioni ed il settore immobiliare sono esplosi quando "le banche americane ed altri investitori sono passati dai titoli di stato alle obbligazioni societarie ed ai mutui ipotecari ad alto rendimento". Anche se i salari sono rimasti stagnanti, i prezzi degli investimenti hanno continuato a salire, a salire, a salire, ad una velocità mai vista nella storia.
Come ha sottolineato l'analista finanziario Lyn Alden, il sistema finanziario post-1971 ha contribuito ai deficit commerciali strutturali degli Stati Uniti. Invece di ridurre le riserve auree per mantenere il sistema come fece durante Bretton Woods, l'America ha ridotto e "svenduto" la sua base industriale, dove sempre più della sua roba è prodotta altrove e sempre più dei suoi mercati azionari e immobiliari sono di proprietà di stranieri. Gli Stati Uniti, sostiene, hanno esteso il loro potere globale sacrificando parte della loro salute economica interna. Questo sacrificio ha avvantaggiato principalmente le élite statunitensi a scapito dei colletti blu e dei lavoratori a reddito medio. L'egemonia del dollaro, quindi, potrebbe essere positiva per le élite e per l'impero in generale, ma non per il cittadino medio.
I dati degli economisti politici Shimson Bichler e Jonathan Nitzan evidenziano questa trasformazione e fanno luce su come la ricchezza si stia spostando dai non abbienti verso i ricchi: all'inizio degli anni '50 una tipica società di capitali dominante controllava un flusso di profitto 5.000 volte il reddito di un lavoratore medio; alla fine degli anni '90 era 25.000 volte maggiore. All'inizio degli anni '50, l'utile netto di un'azienda Fortune 500 era 500 volte la media; alla fine degli anni '90 era 7.000 volte maggiore. Da allora le tendenze hanno subito un'accelerazione: negli ultimi 15 anni le otto aziende più grandi del mondo sono cresciute da una capitalizzazione di mercato media di $263 miliardi a $1.680 miliardi.
L'inflazione, sostengono Bichler e Nitzan, è diventata una "caratteristica permanente" del XX secolo. I prezzi sono aumentati di 50 volte dal 1900 al 2000 nel Regno Unito e negli Stati Uniti ed in modo molto più aggressivo nei Paesi in via di sviluppo. Usano un grafico sbalorditivo che mostra i prezzi al consumo nel Regno Unito dal 1271 al 2007 per dimostrare il loro punto. Suddetto grafico è in scala logaritmica e mostra prezzi stabili fino alla metà del XVI secolo, quando gli europei iniziarono ad esplorare le Americhe e ad espandere la loro offerta di oro. I prezzi rimangono di nuovo relativamente stabili all'inizio del XX secolo, ma poi, al tempo della prima guerra mondiale, salgono drammaticamente, raffreddandosi un po' durante la depressione, solo per diventare iperbolici dagli anni '60 e '70 quando il gold standard è andato in pezzi ed il mondo è passato allo standard basato sui bond del Tesoro USA.
Bitchler e Nitzan non sono d'accordo con coloro che affermano che l'inflazione abbia un effetto "neutrale" sulla società, sostenendo che l'inflazione, in particolare la stagflazione, ridistribuisce il reddito dai lavoratori ai ricchi e dalle piccole imprese alle grandi imprese. Quando l'inflazione aumenta in modo significativo, i ricchi tendono a guadagnare ed i lavoratori tendono a perdere. Ciò è caratterizzato dall'incredibile aumento del patrimonio netto delle persone più ricche d'America durante gli ultimi 18 mesi molto difficili. L'economia continua ad espandersi, ma per la maggior parte delle persone la crescita è finita.
Il punto di Bichler e Nitzan è che il potere economico tende a centralizzare tutto e quando non può più farlo attraverso la fusione (es. fusioni ed acquisizioni aziendali), si trasforma in svalutazione della valuta. Come disse Rueff nel 1972: "Data la possibilità, i gestori del denaro in una democrazia sceglieranno sempre l'inflazione; solo un gold standard li priva di tale opzione".
Mentre la Federal Reserve continua a spingere i tassi d'interesse al ribasso, Hudson osserva che i prezzi aumentano per immobili, obbligazioni ed azioni, i quali "valgono qualunque somma una banca presterà". Scrivendo sulla crisi finanziaria globale, ha affermato che "per la prima volta nella storia le persone sono state persuase che il modo per arricchirsi fosse indebitarsi, non restarne fuori. Nuovi prestiti la cui garanzia era la propria casa sono diventati l'unico modo per mantenere il tenore di vita di fronte alla sopraccitata stretta economica".
Questa analisi dei singoli attori rispecchia perfettamente la trasformazione globale della valuta di riserva mondiale nel secolo scorso: da un meccanismo di risparmio ed accumulo di capitale ad un meccanismo di un Paese che conquista il mondo attraverso il suo deficit crescente.
Hudson si sofferma a riflettere sull'ironia grottesca dei fondi pensione che cercano di fare soldi speculando: "Il gioco finale del capitalismo finanziario", dice, "non sarà uno spettacolo carino a cui assistere".
VIII. Contro-teorie e critiche
C'è sicuramente una tesi da sostenere su come il mondo abbia beneficiato dal sistema del dollaro. Questa è, in fondo, la lettura ortodossa della storia: con il dollaro come valuta di riserva mondiale, tutto come lo conosciamo è cresciuto dalle macerie della seconda guerra mondiale.
Una delle contro-teorie più forti riguarda l'URSS, dove sembra chiaro che lo standard basato sui bond del Tesoro USA – e la capacità unica degli Stati Uniti di stampare denaro che poteva acquistare petrolio – hanno aiutato l'America a sconfiggere l'Unione Sovietica nella Guerra Fredda.
Per avere un'idea di quali siano le implicazioni per la vittoria della democrazia liberale sul comunismo totalitario, date un'occhiata ad un'immagine satellitare della penisola coreana di notte. Confrontate la luce vibrante dell'industria nel sud con l'oscurità totale del nord.
Quindi forse lo standard basato sui bond del Tesoro USA merita credito per questa vittoria globale. Dopo la caduta del muro di Berlino, tuttavia, gli Stati Uniti non detenevano un'altra Bretton Woods per decentralizzare il potere di detenere la valuta di riserva mondiale. Se la tesi è che avevamo bisogno dello standard basato sui bond del Tesoro USA per sconfiggere i sovietici, allora l'incapacità di riformarlo dopo la loro caduta è sconcertante.
Una seconda potente contro-teoria è che il mondo sia passato dall'oro al debito degli Stati Uniti semplicemente perché l'oro era incapacitante lo sviluppo industriale. Analisti come Jeff Snider affermano che la domanda di debito statunitense non è necessariamente parte di qualche schema, ma piuttosto il risultato della sete mondiale di garanzie reali.
Alla fine degli anni '50, mentre gli Stati Uniti si godevano i loro ultimi anni con un avanzo delle partite correnti, accadde qualcos'altro di importante: la creazione dell'eurodollaro. Originariamente sostenuto da un interesse dei sovietici e dei loro delegati ad avere conti in dollari che il governo americano non potesse confiscare, l'idea era che le banche a Londra e altrove avrebbero aperto loro conti per custodire dollari e che fossero al di là della competenza del governo federale statunitense.
Parcheggiati in banche come Moscow Narodny a Londra o Banque Commerciale pour L'Europe du Nord a Parigi, questi nuovi "eurodollari" sono diventati un mercato globale per i prestiti garantiti e la migliore garanzia che si potesse avere nel sistema.
Alla fine, e in gran parte a causa dei cambiamenti nel sistema monetario dopo il 1971, il sistema dell'eurodollaro è esploso in termini di dimensioni. È stato alleggerito dal Regolamento Q, il quale fissava un limite ai tassi d'interesse sui depositi bancari nelle banche eurodollari statunitensi; se non ci fosse stata questa restrizione, avrebbero potuto applicare tassi più elevati. Il mercato crebbe da $160 miliardi nel 1973 a $600 miliardi nel 1980, un periodo in cui il tasso dei federal fund aggiustato all'inflazione era negativo. Oggi ci sono molti più eurodollari di quanti siano i dollari effettivi.
Per rivisitare il dilemma di Triffin, la domanda mondiale di dollari di “riserva” avrebbe portato inevitabilmente ad un prosciugamento delle riserve interne statunitensi e, di conseguenza, al crollo della fiducia nel sistema.
Come avrebbe potuto una scorta di oro coprire una valuta di riserva globale in continua crescita? Snider sostiene che il sistema di Bretton Woods non avrebbe mai potuto svolgere il ruolo di valuta di riserva globale, ma un dollaro scoperto sì. E, secondo la tesi sopraccitata, vediamo il desiderio del mercato in tal senso nella crescita dell'eurodollaro.
Se anche i nemici dell'America volevano dollari, allora come possiamo dire che il sistema è diventato dominante solo grazie al design statunitense? Forse tale design era semplicemente brillante da cooptare anche i rivali più odiati d'America. E infine, in un mondo in cui l'oro non era stato demonetizzato, sarebbe rimasto la garanzia incontaminata di questo sistema? Non lo sapremo mai.
Un'ultima grande sfida al lavoro di Hudson si trova nel discorso che sostiene che la Banca Mondiale abbia contribuito ad aumentare il tenore di vita nei Paesi in via di sviluppo. È difficile non sostenere che la maggior parte stia meglio nel 2021 rispetto al 1945. E casi come la Corea del Sud vengono presentati per mostrare come i finanziamenti della Banca Mondiale negli anni '70 e '80 siano stati cruciali per il successo del Paese.
Ma quanto di questo si riferisce alla deflazione tecnologica e ad un aumento generale della produttività, in contrasto con l'aiuto ed il supporto americani? E in che modo questa ascesa è diversa dall'ascesa dell'Occidente nello stesso periodo? I dati suggeriscono che, sotto la guida della Banca Mondiale tra il 1970 e il 2000, i Paesi più poveri siano cresciuti più lentamente di quelli ricchi.
Una cosa è chiara: le istituzioni di Bretton Woods non hanno aiutato tutti allo stesso modo. Un documento del 1996 che copriva i primi 50 anni di attività della Banca Mondiale rilevò che "dei 66 Paesi meno sviluppati che hanno ricevuto denaro dalla Banca Mondiale per più di 25 anni, 37 non stanno meglio oggi di quanto non lo fossero prima di ricevere tali prestiti". E di questi 37, la maggior parte “oggi è più povera di quanto non fosse prima di ricevere aiuti dalla Banca Mondiale”.
Alla fine della fiera, per il mainstream è lecito sostenere che lo standard basato sui bond del Tesoro USA abbia contribuito a sconfiggere il comunismo, che è ciò che voleva il mercato globale, e che abbia aiutato il mondo in via di sviluppo. Ma non è lecito che il mondo abbia lasciato l'era del denaro coperto per il denaro scoperto e che, in qualità di governatore di questo nuovo sistema, il governo degli Stati Uniti abbia ottenuto vantaggi speciali rispetto ad ogni altro Paese, inclusa la capacità di dominare il mondo forzando altri Paesi a finanziare le sue operazioni.
IX. La fine di un'era?
Nel saggio del 1795 "Verso la pace perpetua " il filosofo illuminista Immanuel Kant sostiene sei principi primari, uno dei quali è che "nessun debito nazionale deve essere contratto in relazione agli affari esterni dello stato":
Un sistema di credito, se usato dai poteri centrali come strumento di aggressione l'uno contro l'altro, mostra il potere del denaro nella sua forma più pericolosa. Perché mentre i debiti così contratti sono sempre garantiti contro le richieste attuali (perché non tutti i creditori chiederanno il pagamento allo stesso tempo), questi debiti continuano a crescere indefinitamente. Questo ingegnoso sistema, inventato da un popolo di mercanti nel presente secolo, fornisce un fondo militare che può eccedere le risorse di tutti gli altri stati messi insieme. Può essere esaurito solo da un eventuale disavanzo fiscale, che può essere prorogato per molto tempo dallo stimolo commerciale che l'industria e il commercio ricevono attraverso il sistema creditizio. Ciò facilità la guerra, insieme all'inclinazione bellicosa di chi è al potere (che sembra essere una caratteristica integrante della natura umana).
Kant ha in un certo senso previsto l'egemonia del dollaro. Con la sua tesi in mente, un vero gold standard avrebbe scoraggiato la guerra in Vietnam? Semmai sembra certo che un tale standard avrebbe reso la guerra molto più breve. Lo stesso, ovviamente, si può dire per la prima guerra mondiale, le guerre napoleoniche ed altri conflitti in cui i belligeranti hanno abbandonato il gold standard.
"La capacità unica del governo degli Stati Uniti", dice Hudson, "di prendere in prestito dalle banche centrali straniere piuttosto che dai propri cittadini è uno dei miracoli economici dei tempi moderni".
Ma il "miracolo" è negli occhi di chi guarda. È stato un miracolo per i vietnamiti, gli iracheni o gli afgani?
Quasi 50 anni fa Hudson scriveva che "l'unico modo per l'America di rimanere una democrazia è rinunciare alla sua politica estera. O la sua strategia mondiale diventa introspettiva, o la sua struttura politica deve diventare più centralizzata. Infatti dall'inizio della guerra del Vietnam, la crescita della politica estera ha progressivamente privato dei propri diritti l'elettorato americano riducendo il ruolo del Congresso nel processo decisionale nazionale".
Questa tendenza è diventata molto più amplificata nella storia recente. Negli ultimi anni l'America è stata in guerra in ben sette Paesi (Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Somalia, Libia e Niger), eppure l'americano medio sa poco o nulla di queste guerre. Nel 2021 gli Stati Uniti spendono di più per le loro forze armate rispetto ai successivi 10 Paesi messi insieme. I cittadini sono stati più o meno rimossi dal processo decisionale e uno dei motivi chiave per cui queste guerre possono essere finanziate è attraverso lo standard basato sui bond del Tesoro USA.
Quanto può durare questo sistema?
Nel 1977 Hudson riformulava la domanda in base agli interrogativi dell'epoca: "L'OPEC soppianterà l'Europa ed il Giappone come principali creditori dell'America, utilizzando i guadagni del petrolio per acquistare titoli del Tesoro USA e quindi finanziare i disavanzi del bilancio federale degli Stati Uniti? Oppure i Paesi dell'emisfero orientale sottoporranno gli Stati Uniti ad un sistema finanziario internazionale basato sull'oro in cui i rinnovati deficit di pagamento degli Stati Uniti connoteranno una perdita della loro leva finanziaria internazionale?"
Naturalmente conosciamo la risposta: l'OPEC ha finanziato il bilancio degli Stati Uniti durante tutto il decennio successivo. I Paesi dell'emisfero orientale non sono riusciti a sottoporre gli Stati Uniti ad un sistema basato sull'oro, in cui i disavanzi dei pagamenti avrebbero segnato la perdita di leva finanziaria. Infatti i giapponesi ed i cinesi, a loro volta, hanno continuato ad acquistare il debito americano una volta che i Paesi petroliferi hanno esaurito i soldi negli anni '80.
Il sistema, tuttavia, mostra ancora una volta delle crepe.
A partire dal 2013 le banche centrali estere hanno iniziato a vendere i loro titoli del Tesoro statunitensi. Ad oggi la Federal Reserve è l'acquirente di maggioranza del debito americano. Il mondo sta assistendo ad un lento declino del dollaro come valuta di riserva dominante, sia in termini di percentuale delle riserve monetarie che in termini di percentuale degli scambi. Questi continuano a superare in modo significativo il contributo effettivo dell'America al PIL globale – un'eredità dello standard basato sui bond del Tesoro USA, di sicuro – ma stanno diminuendo nel tempo.
La de-dollarizzazione verso un mondo multipolare sta avvenendo gradualmente. Come dice Hudson: "Oggi stiamo chiudendo l'intero sistema dei pasti gratis per l'emissione di dollari che non verranno rimborsati".
X. Bitcoin & super imperialismo
Scrivendo alla fine degli anni '70, Hudson prevedeva che "senza un'eurovaluta, non c'è alternativa al dollaro, e senza oro (o qualche altra forma di denaro sano ed onesto), non c'è alternativa alle valute fiat nello svolgere funzioni internazionali per le quali si sono mostrate inadatte".
Trent'anni dopo, nel 2002, scriveva che “oggi sarebbe necessario che l'Europa e l'Asia progettassero un'alternativa artificiale e politicamente credibile al dollaro come riserva di valore internazionale. Questo promette di essere il punto cruciale delle tensioni politiche internazionali per la prossima generazione”.
Era un commento preveggente, anche se non è stata l'Europa o l'Asia a progettare un'alternativa al dollaro, ma Satoshi Nakamoto. Un nuovo tipo di denaro sano ed onesto, il Bitcoin, ha la possibilità di spodestare la struttura super imperiale del dollaro per diventare la prossima valuta di riserva mondiale.
Come scriveva Hudson: "Un modo per scoraggiare i governi dal gestire i disavanzi pubblici è obbligarli a finanziare questi deficit con qualche tipo di asset che preferirebbero mantenere, ma che possono permettersi di separarsene quando necessario. Nessuno, ad oggi, ha escogitato una soluzione migliore di quella che la storia ha istituzionalizzato in un arco di circa duemila anni: l'oro".
Nel gennaio 2009 Satoshi Nakamoto ha trovato una soluzione migliore. Ci sono molte differenze tra oro e Bitcoin, ma la cosa più importante, ai fini di questa discussione, è il fatto che Bitcoin è facilmente gestibile quando si tratta di custodia e quindi resistente alla confisca.
L'oro è stato saccheggiato dalle potenze coloniali di tutto il mondo per centinaia di anni e, come discusso in questo saggio, è stato centralizzato principalmente nei caveau del governo degli Stati Uniti dopo la prima guerra mondiale. Poi, attraverso il cambiamento della politica monetaria globale negli anni '30, '40, '50, '60 e '70, l'oro è stato demonetizzato, prima a livello nazionale negli Stati Uniti e poi a livello internazionale. Negli anni '80 il governo degli Stati Uniti aveva "ucciso" l'oro come denaro attraverso la centralizzazione ed il controllo dei mercati dei derivati. È stato in grado di ostacolarne la custodia e di manipolarne il prezzo al ribasso.
Bitcoin, invece, è particolarmente facile da custodire autonomamente. Qualsiasi persona sulla Terra con uno smartphone può, in pochi minuti, scaricare un wallet Bitcoin gratuito e open source, ricevere qualsiasi quantità di bitcoin ed eseguire il backup offline. Ciò rende molto più probabile che gli utenti controllino effettivamente i loro bitcoin, al contrario degli investitori in oro, che spesso lo possiedono attraverso un mercato cartaceo o sintetico e non attraverso veri e propri lingotti d'oro. La verifica di un pagamento in oro in entrata è impossibile senza sciogliere la barra di consegna e testarla. Piuttosto che affrontare i guai, le persone si sono affidate a terze parti. Con Bitcoin la verifica dei pagamenti è banale.
Inoltre l'oro storicamente ha fallito come mezzo di scambio quotidiano. Nel corso del tempo i mercati hanno preferito le banconote di carta coperte dall'oro: era solo più facile e così l'oro è andato fuori circolazione, dove è stato più facilmente centralizzato e confiscato. Bitcoin è costruito in modo diverso e potrebbe benissimo essere un mezzo di scambio quotidiano.
Infatti, mentre vediamo sempre più persone che chiedono di essere pagate in bitcoin, intravediamo un futuro in cui la Legge di Thier (che ritroviamo nei Paesi che dollarizzano, dove i soldi buoni scacciano quelli cattivi) funzionerebbe a tutti gli effetti, dove i commercianti preferirebbero Bitcoin al denaro fiat. In quel mondo, la confisca di Bitcoin sarebbe impossibile. Potrebbe anche rivelarsi difficile manipolare il prezzo spot attraverso i derivati. Come scrive il fondatore di BitMEX, Arthur Hayes:
Bitcoin non è di proprietà o archiviato da banche centrali, commerciali o bullion bank. Esiste puramente come dati elettronici e, in quanto tali, gli short nel mercato spot non faranno altro che garantire una distruzione disordinata del capitale quando il prezzo sale. La stragrande maggioranza delle persone che possiede forme di moneta merce sono banche centrali, le quali preferirebbero non avere un'attenzione pubblica sulla loro dissolutezza. Possono distorcere questi mercati perché controllano l'offerta. Poiché Bitcoin è cresciuto dal basso, coloro che credono in Satoshi sono i maggiori detentori al di fuori degli exchange centralizzati. Il percorso della distribuzione dei bitcoin è completamente diverso da come sono cresciuti tutti gli asset monetari. I derivati, come ETF e futures, non alterano la struttura proprietaria del mercato a tal punto da sopprimerne il prezzo. Non si possono creare più bitcoin scavando più a fondo nel terreno, con il tocco della tastiera di un banchiere centrale o con trucchi contabili. Pertanto anche se l'unico ETF emesso fosse un ETF short bitcoin futures, non sarebbe in grado di esercitare alcuna reale pressione al ribasso per un lungo periodo di tempo, perché le istituzioni che garantiscono la solidità dell'ETF non sarebbero in grado di procurarsi o oscurare l'offerta ad un qualsiasi prezzo grazie agli hodler fedeli.
Se gli stati non possono uccidere Bitcoin, ed esso continua la sua ascesa, allora ha buone possibilità di diventare la prossima valuta di riserva. Avremo un mondo con valute fiat coperte da Bitcoin, una cosa simile al gold standard? O le persone utilizzeranno lo stesso Bitcoin, attraverso Lightning Network e gli smart contract, per commerciare e nel mondo della finanza? Nessuno dei due futuri è chiaro.
Ma la possibilità è a dir poco ispiratrice. Un mondo in cui gli stati sono vincolati dal dichiarare guerre eterne, perché ancora una volta la moderazione viene loro imposta attraverso un sistema neutrale di bilancia dei pagamenti, è un mondo che vale la pena di vedere con impazienza. Gli scritti di Kant hanno ispirato la teoria della pace democratica e potrebbero anche ispirare una futura teoria della pace alimentata da Bitcoin.
Con uno standard Bitcoin, i cittadini dei Paesi democratici sceglierebbero più probabilmente di investire in infrastrutture domestiche piuttosto che nell'avventurismo militare; gli stranieri non sarebbero più così facilmente costretti a pagare per le guerre di qualsiasi impero; ci sarebbero conseguenze anche per la nazione più potente se andasse in default sul suo debito.
I Paesi in via di sviluppo potrebbero sfruttare le loro risorse naturali e prendere in prestito denaro dai mercati per finanziare le operazioni di mining di Bitcoin e diventare autonomi a livello energetico invece di prendere in prestito denaro dalla Banca Mondiale per cadere più profondamente nella servitù e nell'equivalente geopolitico dell'agricoltura di sussistenza.
Infine, anche le massicce disuguaglianze degli ultimi 50 anni potrebbero essere rallentate, poiché potrebbe essere frenata la capacità del capitale dominante di arricchirsi nelle fasi di recessione attraverso la ricerca di rendite ed una politica monetaria accomodante.
Alla fine, se viene impostata una tale rotta per l'umanità e alla fine Bitcoin vincerà, in retrospettiva potrebbe non essere chiaro cosa sia successo...
Bitcoin ha sconfitto il super imperialismo?
O il super imperialismo ha sconfitto sé stesso?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/