I prezzi alti del petrolio sono un sintomo di squilibri economici e monetari, non solo una conseguenza delle decisioni dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC). Nel corso della storia abbiamo visto come i tagli dell'OPEC abbiano fatto poco per far salire i prezzi quando la diversificazione e la tecnologia hanno aumentato l'efficienza.
Allo stesso modo, gli aumenti della produzione dell'OPEC non significano necessariamente prezzi più bassi, per non parlare di prezzi ragionevoli. L'aumento della produzione dell'OPEC aiuta, ma non risolve i problemi di prezzo.
Il problema nel mercato petrolifero è stato creato da anni di massiccia allocazione di capitale e sottoinvestimento in energia creati da politiche monetarie estremamente accomodanti che hanno penalizzato la spesa in conto capitale sui combustibili fossili per ragioni ideologiche.
Le massicce iniezioni monetarie hanno creato enormi strozzature e sottoinvestimenti che ostacolano sia la sicurezza dell'approvvigionamento che una transizione energetica competitiva tecnicamente fattibile.
Le massicce iniezioni di liquidità hanno causato un doppio effetto collaterale: crescenti investimenti sbagliati in attività non produttive e ora un grande afflusso di capitali verso attività relativamente scarse. L'energia è passata da un sottopeso di consenso ad un forte sovrappeso, intensificando l'aumento dei prezzi. Il barile marginale di petrolio è aumentato di quasi il 60% in un anno nonostante l'offerta sia aumentata di pari passo con la domanda.
Secondo JP Morgan, la spesa in conto capitale in energia necessaria per soddisfare la domanda sarà di $600 miliardi per il periodo 2021-30. Questa "spesa in conto capitale cumulativa mancante" è parte del problema.
L'altro problema importante è la domanda artificiale creata da piani di stimolo. Come ho spiegato altre volte, l'aggiunta di enormi piani infrastrutturali ad alta intensità energetica ad un'economia in cui sono peggiorati i colli di bottiglia nell'offerta, non fa altro che generare lo stesso effetto di un'enorme bolla speculativa sui prezzi dell'energia.
L'intervento politico ha anche creato un importante impatto sui prezzi al barile di petrolio. Minacciare di vietare lo sviluppo interno delle risorse energetiche negli Stati Uniti, o annunciare il divieto di investimento in combustibili fossili, com'è successo in alcuni vertici europei, fa salire il valore netto del barile a lungo termine, non lo abbassa affatto. Come mai? Perché queste minacce non si basano su solide analisi tecniche e solide stime di domanda/offerta, ma su programmi politici. Qualsiasi ingegnere serio che comprenda l'importanza della sicurezza, dell'approvvigionamento e dello sviluppo tecnologico comprende anche che una transizione energetica di successo verso un'economia più verde richiede obiettivi e politiche solidi e realistici che evitino una crisi energetica. Solidità e realtà sono stati letteralmente dimenticati.
L'OPEC sta beneficiando dei prezzi alti del petrolio, ma non tanto quanto si potrebbe pensare. Il paniere di riferimento dell'OPEC (ORB) è di $68,33 al barile da inizio anno, un aumento del 68,4% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, ma ancora al di sotto dei livelli elevati prima della crisi finanziaria del 2008. Inoltre l'offerta OPEC e non OPEC è aumentata di pari passo con la domanda. La produzione mondiale in ottobre è aumentata di 1,74 milioni di barili al giorno rispetto al mese precedente, raggiungendo una media di 97,56 milioni di barili al giorno. La previsione di crescita della produzione negli Stati Uniti per il 2021 è stata rivista al rialzo di 19.000 barili al giorno e dovrebbe essere di 17,57 milioni di barili al giorno nel 2021. Immaginate dove sarebbero arrivati i prezzi del petrolio e del gas se fossero state applicate le minacce politiche di vietare o penalizzare gravemente la produzione nazionale.
Non dimentichiamoci che anche l'OPEC ha rivisto al ribasso le stime della domanda mondiale di petrolio a 96,4 milioni di barili al giorno nel 2021. L'offerta rimane ampia e l'amministrazione degli Stati Uniti dovrebbe anche ricordarsi che essa stessa e la Russia rimangono i principali motori della crescita dell'offerta annuale. Senza Russia e Stati Uniti, i prezzi di produzione aumenterebbero indipendentemente da ciò che farebbero i partner dell'OPEC o l'Arabia Saudita.
Stiamo soffrendo per la combinazione di politiche energetiche sbagliate, eccessiva creazione di denaro e giganteschi piani d'investimento infrastrutturali inopportuni. L'OPEC e la Russia possono alleviare questo problema, ma non risolverlo definitivamente. Inoltre, con il passare del tempo e l'inasprimento dei sottoinvestimenti, la capacità dell'OPEC di frenare i prezzi si indebolirà. Non possiamo dimenticare che l'OPEC e la Russia rappresentano meno della metà dell'offerta mondiale totale. Sono importanti, ma mettere sul mercato due milioni di barili in più al giorno non risolverà il problema dei prezzi a lungo termine.
I prezzi dell'energia diminuiranno solamente in presenza di più tecnologia, investimenti e diversificazione, non minacce politiche.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Nessun commento:
Posta un commento