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giovedì 6 gennaio 2022

Criptovalute e National Banking Act: come apprendere la lezione sbagliata dalla storia

 

 

di Nicolas Cachanosky & William Luther

I policymaker sono stati rapidi nel paragonare le criptovalute col periodo storico in cui le banche erano "libere di fare ciò che volevano". Il presidente della SEC, Gary Gensler, sostiene che le stablecoin siano simili alle banche slegate da regolamentazione centrale, come accadeva prima del National Bank Act. Le stablecoin sono criptovalute con un tasso di cambio fisso rispetto alle principali valute fiat, come il dollaro ad esempio. Per fare ciò chi emette le stablecoin deve detenere riserve liquide sufficienti per convertirle al tasso di conversione promesso. Gensler mette in dubbio la “redditività a lungo termine delle criptovalute”, come riporta il Wall Street Journal, “sottolineando l'importanza di proteggere gli investitori portando tale mercato sotto controllo normativo”.

La senatrice Elizabeth Warren ha espresso un parere simile:

Nel XIX secolo le "banconote selvagge" venivano emesse da banche senza asset sottostanti. E alla fine le banche che le emettevano andavano fallite e la fiducia della popolazione nel sistema bancario veniva indebolita. Il governo federale intervenne, tassò queste banconote e sviluppò invece una valuta nazionale. Ed è per questo che abbiamo avuto la stabilità di una valuta nazionale.

Quindi, in teoria, una valuta digitale emessa e supportata da una banca centrale potrebbe fornire i vantaggi delle criptovalute senza tali rischi. La Federal Reserve, un'istituzione di fiducia, potrebbe fornire alla popolazione una versione digitale del denaro che sia sicura, stabile e accettata ovunque.

Secondo lei il settore privato non regolamentato non è riuscito a produrre un sistema monetario affidabile in passato; lo stato dovrebbe intervenire per rimediare alle carenze percepite nelle criptovalute emesse privatamente, come ha fatto con i suoi antecedenti storici.

C'è solo un problema con questa narrazione: non è coerente con la storia. L'esperienza statunitense non mostra i pericoli posti da un sistema bancario non regolamentato: al contrario, dimostra chiaramente i pericoli di una cattiva regolamentazione. I politici hanno appreso le lezioni sbagliate dalla storia.

Tanto per cominciare, il sistema bancario non regolamentato era incredibilmente raro. Gensler e Warren perpetuano il mito che il sistema bancario commerciale fosse invaso da istituti che emettevano banconote convertibili in oro o argento senza le riserve sufficienti per onorare quelle promesse e fuggivano col malloppo prima che i legittimi proprietari se ne accorgessero; e che questa "tradizione" non terminò fino a quando non intervennero i regolatori federali. Infatti il sistema bancario non regolamentato era limitato a pochi stati e durò solo pochi anni.

"Gli eventi in Michigan sono spettacolari", scrive Jerry Dwyer, "ma oltre a non durare molto a lungo, non sono nemmeno persistiti nel senso che non sono riapparsi in altri stati. Nel 1838, mentre il Michigan stava soffrendo per la sua debacle, New York approvò la legge sul free banking, cosa che la sua legislatura stava discutendo da diversi anni. Il sistema free banking di New York è ampiamente considerato di notevole successo".

Dwyer ci informa delle perdite di chi deteneva banconote connesse al sistema free banking a New York dal 1842 al 1863.

I tassi di perdita annuali sulle banconote di New York erano relativamente alti negli anni Quaranta dell'Ottocento – 4% nel 1842, 0,2 percento nel 1844 e 0,4 percento nel 1848 – e poi mai più dello 0,1%. Quest'ultimo tasso, ricordiamolo, comprendeva anche perdite dovute alla distruzione involontaria o alla collocazione errata delle banconote.

Forse il 4% sembra abbastanza alto, ma non è molto più alto delle commissioni standard di oggi sui terminali commerciali per effettuare pagamenti.

Dwyer parla anche delle perdite per coloro che detenevano banconote di quelle banche di New York che poi sarebbero fallite.

Per alcuni anni i tassi di perdita sulle banconote di queste banche risultarono relativamente alti. Tuttavia queste perdite videro una progressiva diminuzione nel tempo come accadde per i tassi di perdita precedenti. Il tasso più alto fu del 42% nel 1842, all'interno della gamma dei tassi di perdita stimati per il Michigan alcuni anni prima. Negli anni Quaranta dell'Ottocento, il tasso di perdita medio annuo era del 9,8%, nel 1850 del 3,7% e nei quattro anni del 1860 fu dello 0,1%. Sebbene il tasso di perdita sopportato da coloro che detenevano banconote fallite a volte risultava notevole, anche questo tasso di perdita diminuì nel tempo.

Anche quando una banca andava in bancarotta, quindi, chi ne usava le banconote in genere ne soffriva poco.

Nulla di tutto questo nega che ci fossero problemi nel sistema bancario statunitense di allora. Le banche statunitensi erano notoriamente instabili, ma essa non era dovuta alla mancanza di regolamentazione bensì alle norme terribili a livello statale.

Prima del National Banking Act, le banche erano istituite a livello statale. Non erano autorizzate ad aprire filiali oltre i confini di stato e molti stati andarono addirittura oltre impedendo l'apertura di filiali bancarie all'interno dello stato stesse. Di conseguenza il sistema bancario statunitense era caratterizzato da un gran numero di banche di piccole dimensioni e poco diversificate. Queste banche locali erano sovraesposte alle loro piccole economie locali e gli shock locali, come il maltempo, che riduceva i raccolti agricoli, avevano un impatto terribile sui loro bilanci. E, in molti casi, queste banche andavano in bancarotta.

Alle banche era inoltre impedito di sostenere le proprie banconote con asset di propria scelta. Invece erano spesso tenute a detenere buoni del Tesoro statali di bassa qualità, i quali fornivano un'attraente fonte di credito agli stati locali ma mettevano in pericolo la solvibilità delle banche. E, anche nei casi in cui erano autorizzate a detenere obbligazioni federali, la diminuzione dell'offerta di tali obbligazioni a seguito della guerra civile limitò l'emissione di banconote e rese incredibilmente difficile soddisfare la domanda stagionale di banconote.

George Selgin contrappone il sistema bancario statunitense a quello canadese, il quale non era gravato dalle restrizioni sopra descritte.

Le banche canadesi, a differenza delle loro controparti statunitensi, erano libere di emettere banconote in base agli stessi attivi a sostegno delle loro passività rappresentate dai depositi. Di conseguenza erano perfettamente in grado di accogliere sia i cambiamenti secolari che quelli stagionali della domanda di denaro.

Il problema, in altre parole, non era la mancanza di regole ma l'esistenza di norme terribili!

Infine anche l'affermazione secondo cui il governo federale ha chiaramente migliorato le cose con l'introduzione del National Banking Act non è in sintonia con i dati storici. Tale legge non consentiva alle banche di ramificarsi oltre i confini statali. Piuttosto imponeva l'unità bancaria sull'intero Paese! Né consentiva alle banche di sostenere i propri crediti con qualsiasi asset desiderassero. Forse è per questo che poche banche cambiarono i loro atti costitutivi statali con quelli nazionali quando inizialmente ne ebbero l'opportunità – e non lo fecero fino a quando non venne approvata  una tassa considerevole sulle banconote statali.

Il National Banking Act avrebbe potuto offrire un'alternativa migliore, ma non è stato così. Invece spinse le banche ad accettare un'alternativa peggiore.

Forse il mercato delle criptovalute trarrebbe vantaggio dalla supervisione normativa, ma i burocrati hanno certamente torto a basare la loro tesi sull'esperienza storica degli Stati Uniti. La lezione che dovrebbero apprendere dalla storia è che la regolamentazione centralizzata può solo essere dannosa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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