L'evidenza geologica e paleontologica afferma in modo schiacciante che la temperatura globale media odierna di circa 15 °C e le concentrazioni di CO2 di 420 ppm non sono nulla di cui preoccuparsi. Anche se salgono rispettivamente a circa 17-18 °C e 500-600 ppm entro la fine del secolo, ciò potrebbe bilanciare o migliorare la sorte dell'umanità.
Dopotutto le civiltà fiorite durante gli ultimi 10.000 anni hanno occupato uniformemente la parte rossa del grafico qui sotto. Le suddette civiltà hanno caratterizzato: l'era minoica, l'era greco-romana, il medioevo e le rivoluzioni industriali e tecnologiche dell'era attuale. Allo stesso tempo, le numerose cadute nei secoli bui sono avvenute quando il clima è diventato più freddo (blu).
E questo è solo logica: quando è più caldo e più umido, le stagioni di crescita sono più lunghe ed i raccolti sono migliori, indipendentemente dalla tecnologia e dalle pratiche agricole del momento. Ed è anche meglio per la salute umana e della comunità in generale: la maggior parte delle piaghe mortali della storia si sono verificate in climi più freddi, come la peste nera del 1344-1350.
Eppure la narrativa della crisi climatica liquida sommariamente queste prove scientifiche mediante due dispositivi ingannevoli che invalidano l'intera storia del riscaldamento globale antropogenico.
In primo luogo, ignora l'intera storia della Terra pre-Olocene (ultimi 10.000 anni), anche se la scienza mostra che più del 50% delle volte negli ultimi 600 milioni di anni, le temperature globali sono ricadute nell'intervallo di 25 °C, o il 67% in più rispetto ai livelli attuali e ben oltre quanto previsto dai modelli climatici più sconvolgenti di oggi. Ma, cosa cruciale, i sistemi climatici planetari non sono entrati in un ciclo apocalittico: il riscaldamento è sempre stato controllato e invertito da potenti forze compensative.
Anche la storia che gli allarmisti riconoscono è stata grottescamente falsificata. Come abbiamo mostrato nella Parte #2, la cosiddetta salita degli ultimi 1000 anni in cui le temperature sono rimaste piatte fino al 1850 e ora stanno salendo a livelli presumibilmente pericolosi, è falsa. È stata fabbricata in modo fraudolento dall'IPCC (International Panel on Climate Change) per cancellare il fatto che le temperature nel mondo preindustriale del periodo caldo medievale (1000-1200 d. C.) erano più alte di quelle attuali.
In secondo luogo, si afferma falsamente che il riscaldamento globale sia una strada a senso unico in cui le crescenti concentrazioni di gas serra e soprattutto di CO2 stanno causando un continuo aumento termico della Terra. La verità è che le concentrazioni più elevate di CO2 sono una conseguenza ed un sottoprodotto delle attuali temperature in aumento naturale, non la causa.
La storia ora "cancellata" del pianeta ci dice la verità sulla CO2: durante il periodo cretaceo tra 145 e 66 milioni di anni fa, un esperimento naturale ha fornito la completa assoluzione per la ormai bistrattata molecola di CO2. Durante quel periodo le temperature globali sono aumentate drammaticamente da 17 °C a 25 °C, un livello molto al di sopra di qualsiasi altra previsione degli odierni talebani del clima.
Ahimè, la CO2 non era il colpevole. Secondo la scienza le concentrazioni di CO2 nell'ambiente calarono durante quella distesa di 80 milioni di anni, scendendo da 2.000 ppm a 900 ppm alla vigilia dell'estinzione dei dinosauri 66 milioni di anni fa.
Potreste pensare che questo fatto compensatore farebbe riflettere i cacciatori di streghe della CO2, ma ciò significherebbe ignorare di cosa c'è alla base dell'intera faccenda sul cambiamento climatico. Cioè, non si tratta di scienza, salute e benessere umani o della sopravvivenza del pianeta Terra; si tratta di politica e della ricerca incessante della classe politica/burocratica dell'ennesima scusa per aumentare il potere statale.
Infatti la narrativa sul cambiamento climatico è il tipo di mantra politico ritualizzato che viene inventato più e più volte dalla classe politica e dalla nomenklatura permanente dello stato moderno (es. professori, think tank, lobbisti, funzionari pubblici, burocrati, ecc.) al fine di raccogliere ed esercitare il potere statale.
Per parafrasare il grande Randolph Bourne, inventare presunti fallimenti del capitalismo, come la propensione a bruciare troppi idrocarburi, è la salute dello stato. Infatti la fabbricazione di falsi problemi e minacce che presumibilmente possono essere risolti solo con un intervento statale è diventato il modus operandi di una classe politica che ha usurpato il ruolo della democrazia moderna.
In tal modo le élite al potere si sono così abituate ad un tale successo senza ostacoli della loro strategia malefica che sono diventate sciatte, superficiali, negligenti e disoneste. Ad esempio, nel momento in cui si verifica un'ondata di caldo in estate, questi eventi meteorologici naturali vengono incasellati dai giornalisti nel mantra del riscaldamento globale senza nemmeno pensarci due volte.
Eppure non c'è assolutamente alcuna base scientifica per tutto questo tam-tam mediatico. Infatti il NOAA pubblica un indice delle ondate di caldo basato su picchi di temperatura estesi, che durano più di 4 giorni e che si prevede si verifichino una volta ogni 10 anni in base ai dati storici.
Come è evidente dal grafico qui sotto, gli unici veri picchi nelle ondate di calore che abbiamo avuto negli ultimi 125 anni sono avvenuti negli anni '30. La frequenza dei mini picchi delle ondate di calore dal 1960 in poi non è maggiore di quella dal 1895 al 1935.
Allo stesso modo, tutto ciò che serve è un buon uragano Cat 2 e tutti impazziscono parlando di cambiamento climatico causato dall'essere umano. Naturalmente questo ignora del tutto i dati del NOAA riassunti in quello che è noto come indice ACE (energia ciclonica accumulata).
Questo indice è stato sviluppato per la prima volta dal famoso esperto di uragani e professore della Colorado State University, William Gray. Utilizza un calcolo dei venti massimi di un ciclone tropicale ogni sei ore, poi viene quindi moltiplicato per sé stesso in modo da ottenere il valore dell'indice per tutte le tempeste per tutte le regioni per gli ultimi 170 anni (la linea blu è la media mobile a sette anni).
Il sottoscritto ha un riguardo speciale per l'esperienza di William Gray. Ai tempi del private equity, abbiamo investito in una società, Property-Cat, che si occupava dell'attività super rischiosa di fornire assicurazioni contro i danni causati da uragani e terremoti molto violenti. Stabilire correttamente i premi non era un affare da poco, ed erano le analisi, i database a lungo termine e le previsioni del professor Gray da cui dipendevano i nostri sottoscrittori.
Vale a dire, centinaia di miliardi di dollari di copertura assicurativa erano allora e vengono ancora sottoscritte con l'ACE come input cruciale. Tuttavia, se si esamina la media mobile a 7 anni (linea blu) nel grafico qui sotto, è evidente che l'ACE era alto o più alto negli anni '50 e '60 come lo è oggi e che lo stesso era vero per la fine degli anni '30 ed il periodo 1880-1900.
Quanto sopra è un indice aggregato di tutte le tempeste ed è quindi una misura completa. Ma per fugare ogni dubbio, esamineremo i dati sugli uragani a livello individuale. Le barre rosa rappresentano il numero di grandi tempeste Cat 3-5, mentre le barre rosse rifletteno il numero delle tempeste Cat 1-2 e quelle blu il numero di tempeste tropicali che non hanno raggiunto l'intensità Cat 1.
Le barre accumulano il numero di tempeste ad intervalli di 5 anni e riflettono l'attività registrata a partire dal 1851. Il motivo per cui presentiamo tre itnervalli, rispettivamente per i Caraibi orientali, i Caraibi occidentali e le Bahamas/Turks & Caicos, è che le tendenze in queste tre sottoregioni divergono nettamente. E questa è la pistola fumante.
Se il riscaldamento globale generasse più uragani, come sostiene costantemente il mainstream, l'aumento sarebbe uniforme in tutte queste sottoregioni, ma chiaramente non lo è. Dal 2000, ad esempio:
• i Caraibi orientali hanno avuto un modesto aumento delle tempeste tropicali di categoria più alta rispetto alla maggior parte degli ultimi 170 anni;
• i Caraibi occidentali non sono stati affatto insoliti e sono stati ben al di sotto dei conteggi durante il periodo 1880-1920;
• la regione delle Bahamas/Turks & Caicos, dal 2000, è stata in realtà ben più debole che durante il 1930-1960 ed il 1880-1900.
La verità è che l'attività degli uragani atlantici è generata dalle condizioni di temperatura atmosferica e oceanica nell'Atlantico orientale e nel Nord Africa. Queste forze, a loro volta, sono fortemente influenzate dalla presenza di un El Niño o La Niña nell'Oceano Pacifico. Gli eventi di El Niño aumentano il gradiente del vento sull'Atlantico, producendo un ambiente meno favorevole per la formazione di uragani e diminuendo l'attività delle tempeste tropicali nel bacino atlantico. Al contrario, La Niña provoca un aumento dell'attività degli uragani a causa di una diminuzione del gradiente del vento.
Questi eventi nell'Oceano Pacifico, ovviamente, non sono mai stati correlati con il basso livello di riscaldamento globale naturale ora in corso.
Il numero e la forza degli uragani atlantici possono anche subire un ciclo da 50 a 70 anni noto come oscillazione multidecennale atlantica. Ancora una volta, questi cicli non sono correlati alle tendenze del riscaldamento globale sin dal 1850.
Tuttavia gli scienziati hanno ricostruito l'attività dei principali uragani atlantici all'inizio del XVIII secolo (il 1700) e hanno trovato cinque periodi con una media di 3-5 uragani principali all'anno e della durata di 40-60 anni ciascuno; e altri sei periodi con una media di 1,5-2,5 uragani principali all'anno e della durata di 10-20 anni ciascuno. Questi periodi sono associati ad un'oscillazione decennale correlata all'irradiamento solare, che è responsabile dell'aumento/attenuazione del numero di uragani principali di 1-2 all'anno e chiaramente non è un prodotto dell'essere umano.
Inoltre, come in tutto il resto, anche le registrazioni a lungo termine dell'attività delle tempeste escludono l'attività umana, perché per la maggior parte del tempo negli ultimi 3000 anni, ad esempio, non c'è stata. Tuttavia, secondo un proxy per quel periodo in un lago costiero a Cape Cod, l'attività degli uragani è aumentata in modo significativo negli ultimi 500-1.000 anni rispetto ai periodi precedenti.
In breve, non c'è motivo di credere che questi precursori e tendenze a lungo termine siano state influenzate dal modesto aumento delle temperature medie globali dalla fine della Piccola Era Glaciale nel 1850.
Si dà il caso che la stessa storia sia vera per quanto riguarda gli incendi boschivi, la terza categoria di disastri naturali su cui si fiondano i talebani del clima. Ma in questo caso è stata una cattiva gestione forestale, non il riscaldamento globale causato dall'essere umano, che ha trasformato gran parte della California in una discarica di legna secca.
Ma non credetemi sulla parola, ecco cosa dice Pro Publica finanziata da George Soros: gli ambientalisti hanno talmente ingessato le agenzie di gestione forestale federali e statali che le minuscole "ustioni controllate" di oggi sono solo una frazione infinitesimale di ciò che Madre Natura stessa ha compiuto prima che arrivasse sulla scena la mano amica delle presunte autorità politiche di oggi.
Gli accademici ritengono che ogni anno nella California preistorica venivano bruciati tra i 4,4 milioni e gli 11,8 milioni di acri. Tra il 1982 e il 1998, i gestori del territorio dell'agenzia della California bruciarono, in media, circa 30.000 acri all'anno. Tra il 1999 ed il 2017 quel numero è sceso a 13.000 acri all'anno. Lo stato ha approvato nuove leggi nel 2018, progettate per facilitare la combustione intenzionale. Ma pochi sono ottimisti sul fatto che questo, da solo, porterà ad un cambiamento significativo.
Viviamo con un carico arretrato preoccupante. Nel febbraio 2020 Nature Sustainability ha pubblicato questa terrificante conclusione: la California dovrebbe bruciare 20 milioni di acri, un'area delle dimensioni del Maine, per ristabilirsi in termini di incendio.
In breve, se non ripulite e bruciate il legno morto, costruite un gigantesco acciarino che richiede solo un fulmine, una scintilla da una linea elettrica non riparata o la negligenza umana per accendersi in un inferno di fuoco. Come ha riassunto un ambientalista ed esperto con 40 anni di esperienza sulle spalle:
[...] C'è solo una soluzione, quella che conosciamo ma che ancora evitiamo: dobbiamo accendere un buon fuoco a terra e ridurre parte di quel carico di legname morto.
Infatti un'impronta umana notevolmente più grande nelle aree arbustive soggette ad incendi e nelle aree di Chaparral (alberi nani) lungo le coste aumenta il rischio che i residenti vi diano fuoco. La popolazione della California è quasi raddoppiata dal 1970 al 2020, da circa 20 milioni di persone a 39,5 milioni di persone, e quasi tutto tal incremento è avvenuto nelle aree costiere.
In tali condizioni, i forti venti naturali della California, che si alzano periodicamente, sono i principali colpevoli che alimentano e diffondono le fiamme. I venti di Diablo a nord e quelli di Santa Ana a sud possono raggiungere la forza di un uragano. Quando il vento si sposta a ovest sulle montagne della California e scende verso la costa, si comprime, si riscalda e si intensifica. I venti soffiano fiamme e trasportano braci, diffondendo rapidamente gli incendi prima che possano essere contenuti.
Tra le altre prove che l'industrializzazione ed i combustibili fossili non sono i colpevoli, c'è il fatto che i ricercatori avevano dimostrato che quando la California era occupata da comunità indigene, gli incendi avrebbero bruciato circa 4,5 milioni di acri all'anno. È quasi sei volte il periodo 2010-2019, quando gli incendi hanno bruciato una media di appena 775.000 acri all'anno in California.
Al di là dello spiacevole scontro di tutte queste forze naturali con le politiche statali sbagliate su foreste e arbusti, c'è in realtà una pistola fumante ancora più evidente.
Vale a dire, i talebani del clima non hanno ancora abbracciato l'assurda tesi secondo cui il presunto aumento delle temperature del pianeta abbia preso di mira lo Stato Blu della California per un qualche tipo di punizione divina. Tuttavia, quando esaminiamo i dati da inizio anno per gli incendi boschivi, scopriamo che, a differenza della California e dell'Oregon, gli Stati Uniti nel loro insieme stanno vivendo gli anni di incendio più deboli sin dal 2010.
Proprio così. Al 24 agosto di ogni anno, i territori bruciati ponderati ad una media di 10 anni sono stati di 5,114 milioni di acri negli Stati Uniti, ma nel 2020 sono risultati inferiori del 28%, a 3,714 milioni di acri.
Dati nazionali sugli incendi da inizio anno |
Infatti ciò che mostra il grafico qui sopra è che su base nazionale non c'è stata alcuna tendenza al peggioramento durante l'ultimo decennio, solo enormi oscillazioni di anno in anno, alimentate non da un grande vettore di calore planetario ma dal cambiamento delle condizioni meteorologiche ed ecologiche locali.
Non si può passare da 2,7 milioni di acri bruciati nel 2010 a 7,2 milioni di acri nel 2012, poi di nuovo a 2,7 milioni di acri nel 2014, poi a 6,7 milioni di acri nel 2017, seguiti da appena 3,7 milioni di acri nel 2020, e ancora litigare con i talebani del clima che il pianeta è arrabbiato.
Al contrario, l'unica vera tendenza evidente è che su base decennale negli ultimi tempi la superficie media degli incendi boschivi in California è aumentata lentamente, a causa del triste fallimento sopra descritto delle politiche statali di gestione forestale. Ma anche l'andamento medio della superficie degli incendi, in lieve aumento sin dal 1950, è un errore di arrotondamento rispetto alle medie annuali della preistoria, quasi 6 volte maggiori rispetto al decennio più recente.
Inoltre la tendenza in lieve aumento sin dal 1950, come mostrato di seguito, non deve essere confusa con la falsa affermazione dei talebani del clima secondo cui gli incendi della California sono "aumentati ogni anno in devastazione", come riportato dal New York Times.
Infatti stanno confrontando gli incendi superiori alla media del 2020 con quelli del 2019, anno che ha visto una quantità insolitamente piccola di superficie bruciata: solo 280.000 acri rispetto ai 1,3 milioni e 1,6 milioni rispettivamente nel 2017 e nel 2018, e 775.000 in media nell'ultimo decennio.
Né questa mancanza di correlazione con il riscaldamento globale è solo un fenomeno della California e degli Stati Uniti. Come mostrato nel grafico qui sotto, l'estensione globale della siccità, misurata da cinque livelli di gravità, con il marrone come il più estremo, non ha mostrato alcuna tendenza al peggioramento negli ultimi 40 anni.
Estensione globale di cinque livelli di siccità, 1982-2012 |
Questo ci porta al punto di raccordo: non c'è alcuna crisi climatica, ma la bufala dell'effetto antropico ha contaminato così profondamente la narrativa mainstream e l'apparato politico nelle capitali di tutto il mondo che la società contemporanea sta decidendo di commettere un seppuku economico.
Questo perché, in contrasto con la falsa tesi secondo cui l'aumento dell'uso di combustibili fossili dopo il 1850 ha causato lo scollamento del sistema climatico planetario, c'è stata una massiccia accelerazione della crescita economica globale e del benessere umano. Un elemento essenziale alla base di questo salutare sviluppo è stato il massiccio aumento dell'uso di combustibili fossili a basso costo per alimentare la vita economica.
Il grafico qui sotto non potrebbe essere più chiarificatore. Durante l'era preindustriale tra il 1500 e il 1870, il PIL mondiale reale è cresciuto solo dello 0,41% all'anno. Al contrario, durante gli ultimi 150 anni nell'era dei combustibili fossili, la crescita del PIL globale è accelerata al 2,82% annuo, ovvero quasi 7 volte più velocemente.
Questa crescita più elevata, ovviamente, è in parte il risultato di una popolazione globale più numerosa e molto più sana, accadimento reso possibile dall'innalzamento del tenore di vita. Tuttavia non è stato solo il contributo umano a far salire vertiginosamente il livello del PIL.
Anche la fantastica mobilitazione del capitale intellettuale e della tecnologia hanno contribuito. Uno dei vettori più importanti è stata l'ingegnosità dell'industria dei combustibili fossili nello sbloccare l'enorme tesoro immagazzinato da Madre Natura durante i lunghi eoni più caldi e umidi degli ultimi 600 milioni di anni.
Inutile dire che la curva del consumo energetico mondiale corrisponde strettamente all'aumento del PIL globale mostrato sopra. Così, nel 1860, il consumo energetico globale ammontava a 30 exajoule all'anno e praticamente il 100% di esso era rappresentato dallo strato blu, etichettato come "biocarburanti" (es. legno).
Da allora il consumo energetico annuo è aumentato di 18 volte a 550 exajoule (100 miliardi di barili di petrolio equivalenti), ma il 90% di tale aumento è dovuto al gas naturale, al carbone e al petrolio. Il mondo moderno e l'economia globale di oggi non esisterebbero senza il massiccio aumento nell'uso di questi combustibili efficienti, il che significa che il reddito pro-capite e gli standard di vita sarebbero altrimenti solo una piccola frazione dei livelli attuali.
Sì, l'aumento della prosperità grazie ai combustibili fossili ha generato un aumento proporzionato delle emissioni di CO2. Ma contrariamente a quanto afferma la narrativa sul cambiamento climatico, la CO2 non è un inquinante!
Come abbiamo visto, l'aumento delle concentrazioni di CO2, da circa 290 ppm a 415 ppm sin dal 1850, equivale ad un errore di arrotondamento sia nel lungo trend storico sia in termini di carichi atmosferici da fonti naturali.
Per quanto riguarda il primo, le concentrazioni inferiori a 500 ppm sono solo sviluppi recenti dell'ultima era glaciale, mentre durante le precedenti ere geologiche le concentrazioni avevano raggiunto i 2400 ppm.
Allo stesso modo, gli oceani contengono circa 37.400 miliardi di tonnellate di carbonio sospeso, la biomassa terrestre ne ha 2.000-3.000 miliardi di tonnellate e l'atmosfera contiene 720 miliardi di tonnellate di CO2. Quest'ultima da solo è più di 20 volte le attuali emissioni fossili (35 miliardi di tonnellate) mostrate di seguito.
Naturalmente il lato opposto dell'equazione è che gli oceani, la terra e l'atmosfera assorbono continuamente CO2, quindi i carichi incrementali da fonti umane sono molto piccoli. Ciò significa anche che anche un piccolo cambiamento nell'equilibrio tra oceani e aria causerebbe un aumento/calo delle concentrazioni di CO2 molto più grave di qualsiasi cosa attribuibile all'attività umana.
Ma dal momento che i talebani del clima implicano falsamente che il livello "preindustriale" di 290 parti per milione esisteva dal Big Bang e che il modesto aumento sin dal 1850 è un biglietto di sola andata per l'inferno, sono ossessionati da un presunto equilibrio nel ciclo del carbonio senza alcun motivo valido.
In realtà, il continuo cambiamento dell'equilibrio del carbonio sulla Terra può essere accolto con un ragionevole: "E allora!?"
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
👉 Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2021/11/green-armageddon-parte-1.html
👉 Qui il link alla Seconda Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2021/12/green-armageddon-parte-2.html
👉 Qui il link alla Quarta Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2021/12/green-armageddon-parte-4.html
👉 Qui il link alla Quinta Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2021/12/green-armageddon-parte-5.html
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