mercoledì 23 giugno 2021

Gli “stimoli” fiscale e monetario stanno indebolendo la ripresa globale

 

 

di Mihai Macovei

Le politiche monetarie e fiscali espansive hanno preso il sopravvento in tutto il mondo sin dall'inizio della pandemia. Ciò solleva l'ovvia domanda su quanto tempo possano durare prima che ne segua l'ennesimo crash. Nell'ultimo World Economic Outlook datato aprile 2021, anche il Fondo monetario internazionale (FMI) è preoccupato per le crescenti vulnerabilità macroeconomiche, dove sottolinea che sia gli stati che le società stanno emergendo dalla pandemia con debiti enormi mentre le vulnerabilità finanziarie sono aumentate. Tuttavia la raccomandazione politica dell'FMI rimane quasi invariata: lo stimolo alla crescita è indispensabile e dovrebbe continuare a sostenere una "ripresa inclusiva". Il sostegno statale dovrebbe essere più mirato al fine di ridurre i rischi finanziari e macroeconomici. Questo articolo mostra perché la ricetta dell'FMI non funzionerà.


Crescita ad ogni costo

L'FMI afferma che senza il supporto politico "senza precedenti" dispiegato durante la pandemia, la contrazione dell'economia globale del 3,3% lo scorso anno sarebbe stata tre volte peggiore. Inoltre lo stimolo statale avrebbe impedito un'altra crisi finanziaria sistemica. Con lo stimolo in atto, l'FMI è ottimista sul fatto che l'economia globale si riprenderà fortemente, del 6% nel 2021 e del 4,4% nel 2022, e continuerà a crescere di circa il 3,3% nel medio termine.

Da un punto di vista della contabilità della crescita l'FMI potrebbe avere ragione, soprattutto quando il suo Fiscal Monitor rivela che uno stimolo fiscale gigantesco di $6.000 miliardi è stato distribuito a livello globale fino a marzo 2021. Si tratta di una quantità enorme rispetto ad un PIL globale stimato a $85.000 miliardi nel 2020. Solo le economie avanzate hanno speso circa l'8% del PIL in misure fiscali nel 2020 e ne hanno annunciate di aggiuntive pari a circa il 6% del PIL per il 2021 (Grafico 1). Inoltre gli acquisti di asset da parte del sistema bancario centrale per quasi $10.000 miliardi e l'allentamento delle regole prudenziali per le banche commerciali hanno rafforzato condizioni finanziarie già allentate e tassi d'interesse molto bassi.

Fonte: FMI, World Economic Outlook: Managing Divergent Recoveries (Washington, DC: FMI, aprile 2021). EA = economie avanzate; ME = economie emergenti; LIDC = Paesi in via di sviluppo a basso reddito.

Ma da un punto di vista prasseologico, l'FMI ha decisamente torto. L'intervento statale su una scala così gigantesca non può riaccendere la crescita economica sostenibile e favorire la prosperità a lungo termine. In primo luogo, il peso maggiore della contrazione economica non è arrivato dalla pandemia in sé, ma dai lockdown fuorvianti dell'attività economica. Con misure sanitarie meglio progettate questo enorme sostegno statale non sarebbe stato necessario. In secondo luogo, l'aumento delle fragilità finanziarie durante la ripresa dalla crisi finanziaria globale stavano già richiedendo maggiori stimoli per evitare un nuovo crollo prima che la pandemia iniziasse. La crisi sanitaria e le decisioni irrazionali di chiudere intere economie hanno offerto solo una comoda scusa affinché gli stati agissero. In terzo luogo, secondo la teoria Austriaca del ciclo economico (ABCT), gli stimoli alla crescita non possono generarne una sostenibile, ma solo prolungare una recessione che pone fine ad un boom artificiale. Le nuove iniezioni di credito e l'espansione fiscale stanno di fatto ostacolando una sana ripresa economica, non consentendo la liquidazione degli investimenti sbagliati e l'adeguamento della struttura della produzione alle preferenze temporali prevalenti nella società.

L'attuale ripresa economica negli Stati Uniti è molto debole rispetto all'entità del sostegno statale. Nonostante i massicci stimoli monetari e fiscali, che sono quasi tre volte maggiori rispetto alla crisi del 2008, i dati economici chiave sull'utilizzo della capacità, la partecipazione alla forza lavoro e la disoccupazione sono stati finora deludenti. Nell'area Euro i Paesi che hanno speso enormi quantità di denaro per il sostegno politico sono ancora in recessione. Il PIL dell'area Euro ha registrato un altro calo in termini reali, -0,6% nel primo trimestre del 2021, dopo un calo del -0,7% nel quarto trimestre del 2020. Anche se le principali economie raggiungessero il livello di produzione pre-pandemico quest'anno (Stati Uniti) o il prossimo (zona Euro e Giappone), in linea con le proiezioni dell'FMI, il grave problema delle bolle finanziarie, degli investimenti sbagliati e dei settori pubblici sovraindebitati e delle società zombi non scomparirà affatto.


Vulnerabilità finanziarie crescenti

L'FMI lo sa bene che questo sostegno politico "senza precedenti" rappresenta un grande rischio per la stabilità finanziaria. Pur elogiando le condizioni finanziarie estremamente allentate che presumibilmente favoriscono la crescita, ammette che potrebbero alimentare vulnerabilità finanziarie che "erano già elevate prima della pandemia in alcuni settori". Su quest'ultimo aspetto possiamo ovviamente essere d'accordo, e anche sul fatto che i mercati azionari sono saliti a livelli non giustificati dai fondamentali secondo i modelli dell'FMI (Grafico 2). L'FMI mostra anche che i fondi pensione e le compagnie assicurative, spinti dalla fame per rendimenti decenti, hanno ampliato i loro investimenti in asset alternativi come private equity, infrastrutture e immobili, con maggiore leva e rischio. Tuttavia il FMI rimane fermamente convinto che la politica monetaria debba rimanere accomodante per sostenere la crescita del credito, la ripresa economica e la stabilità del sistema finanziario. E al fine di prevenire un ulteriore accumulo di vulnerabilità finanziarie, l'FMI chiede ai policymaker di rafforzare gli strumenti di politica macroprudenziale evitando un ampio inasprimento delle condizioni finanziarie.

Fonte: FMI, Relazione sulla stabilità finanziaria globale (Washington, DC: FMI, aprile 2021).

La soluzione di compromesso dell'FMI può sembrare una panacea, ma non lo è. Gli strumenti di politica macroprudenziale non sono una bacchetta magica inventata ieri, sono stati sempre più utilizzati all'indomani della crisi finanziaria globale, come mostra la relazione stessa dell'FMI (Grafici 3 e 4), ma con risultati poco tangibili. Dal 2009 al 2019 una politica monetaria fortemente espansiva ha più che raddoppiato l'aggregato monetario M2, provocando una sostanziale inflazione dei prezzi degli asset. Il mercato azionario, ovvero l'indice S&P 500, è salito di oltre il 300%, mentre i prezzi delle abitazioni, ovvero l'indice nazionale S&P/Case-Shiller US National Home Price, sono saliti di quasi il 60%, raggiungendo livelli ben al di sopra dei loro picchi prima della Crisi Finanziaria Globale. È improbabile che un ulteriore inasprimento degli strumenti macroprudenziali risolva il problema dell'espansione del credito, perché finché ci saranno tassi d'interesse record e condizioni finanziarie allentate, tutte le istituzioni finanziarie, banche e non, continueranno a cercare modi per incanalarli verso i mutuatari e aumentare i profitti.

Fonte: FMI, Relazione sulla stabilità finanziaria globale (Washington, DC: FMI, aprile 2021).


Debito aziendale e cattiva allocazione delle risorse

L'FMI ammette che il settore delle imprese sta emergendo dalla pandemia molto indebitato. Le grandi aziende con accesso al mercato hanno utilizzato condizioni finanziarie allentate per aumentare la loro liquidità e anche le aziende più piccole hanno aggiunto debito facendo affidamento su prestiti e garanzie pubbliche. Il debito delle società non finanziarie ha raggiunto il record mondiale del 91% del PIL alla fine del 2019 ed è cresciuto di altri 12 punti percentuali fino al terzo trimestre del 2020 (Grafico 5). Il debito totale del settore privato, delle imprese e delle famiglie, è aumentato dal 138% al 152% del PIL durante il decennio che ha preceduto il 2019 e di altri 17 punti percentuali durante la pandemia, a causa sia dei livelli di debito più elevati che del calo della produzione (Grafici 5 e 6) .

Fonte: FMI, Relazione sulla stabilità finanziaria globale (Washington, DC: FMI, aprile 2021).

Questo massiccio accumulo di indebitamento ha avuto luogo nonostante l'inasprimento delle misure macroprudenziali tanto auspicate dall'FMI. Quest'ultimo si sta anche preoccupando del fatto che tale accumulo di debito, combinato con guadagni più deboli, sta compromettendo la capacità di molte aziende di servire il debito, creando società zombi (Grafico 7). La preoccupazione è dovuta in particolare al fatto che il numero di insolvenze nelle obbligazioni societarie ad alto rendimento ha raggiunto il livello più alto dalla crisi finanziaria globale dello scorso anno (Grafico 8) ed i fallimenti societari sono diminuiti durante la pandemia a causa delle politiche per proteggere le imprese in difficoltà. Le preoccupazioni dell'FMI sono giustificate, ma lo sono da tempo. Le aziende zombi sono già proliferate negli ultimi decenni e la loro quota ha raggiunto il 12% del totale delle aziende nelle economie avanzate nel 2016, da circa il 2% alla fine degli anni '80; tra l'altro il 16% delle società pubbliche statunitensi erano già "zombi" prima della pandemia. 

Fonte: FMI, Relazione sulla stabilità finanziaria globale (Washington, DC: FMI, aprile 2021).

Ma come affrontare il problema delle "imprese zombi" senza ritirare il sostegno politico e quindi aumentare il numero di fallimenti aziendali a breve termine? Questo è un altro problema al quale l'FMI offre una soluzione di compromesso impraticabile. Suggerisce che i policymaker identifichino le società redditizie, ovvero quelle che dovrebbero essere redditizie entro un orizzonte di tre anni, e fornire liquidità o supporto invece di lasciarle in balia della prossima crisi economica. Consapevole dell'alto rischio di azzardo morale implicato, l'FMI suggerisce che gli stati collaborino con il settore privato per valutare la redditività delle imprese e mettere in atto tutele adeguate. Tuttavia questo è solo un pio desiderio, perché è chiaro in quale direzione gli stati potrebbero sbagliare e che suddetto meccanismo porterebbe ad una socializzazione di fatto di molte aziende e settori economici.


Debito e tassazione del settore pubblico

Il massiccio stimolo fiscale, insieme ad un forte calo delle entrate causato dalle contrazioni economiche, ha portato ad un'impennata dei disavanzi pubblici e del debito. Secondo l'FMI i disavanzi fiscali dello scorso anno sono stati in media di quasi il 12% del PIL nelle economie avanzate e il 10% del PIL nelle economie emergenti. Il debito pubblico globale è salito al 97% del PIL nel 2020, un balzo di 13 punti percentuali rispetto al 2019. Il debito pubblico è salito in media al 120% del PIL nelle economie avanzate nel 2020, raggiungendo nuovamente il picco della seconda guerra mondiale (Grafico 9). Con un debito pubblico vicino al 130% del PIL, gli Stati Uniti sono ora allo stesso livello di Francia, Spagna e Italia.

Fonte: FMI, Fiscal Monitor: A Fair Shot (Washington, DC: FMI, aprile 2021).

Nell'affrontare il sovraindebitamento pubblico, l'FMI vuole avere la botte piena e la moglie ubriaca. È decisamente contro un ritiro prematuro del sostegno fiscale che potrebbe rallentare la ripresa e allo stesso tempo chiede agli stati di mettere in atto quadri fiscali credibili a medio termine per ricostruire le riserve di bilancio, ma "ad un ritmo dipendente dalla ripresa". In altre parole, ci si può aspettare un consolidamento fiscale solo quando la crescita diventerà autosufficiente, il che è quasi impossibile finché gli stimoli statali non verranno ritirati. Ciò che è ancora più preoccupante è che la maggior parte dei Paesi dovrà mobilitare entrate aggiuntive per sostenere la seconda fase della ripresa, la quale dovrebbe essere "verde", "digitale" e "inclusiva". Sotto queste parole d'ordine, ci si aspetta che una valanga di politiche socialiste plasmi il nuovo mondo post-Covid-19.

L'FMI chiede agli stati di investire di più nelle infrastrutture verdi per combattere il cambiamento climatico, nella digitalizzazione per aumentare la produttività e nell'istruzione e nella sanità per aumentare il capitale umano. Anche i servizi pubblici e gli ammortizzatori sociali dovrebbero essere rafforzati per ridurre le disuguaglianze. Poiché tutto ciò ha un costo, agli stati viene chiesto di aumentare la progressività della tassazione sul reddito e il ricorso alle tasse di successione, alla tassazione sulla proprietà e alle tasse sul patrimonio. Potrebbero essere presi in considerazione anche contributi per la ripresa dal Covid-19 ed imposte sugli utili societari “in eccesso”, mentre dovrebbe essere eliminata la concorrenza fiscale globale illimitata. Si può facilmente immaginare l'impatto negativo sulla crescita e sulla produttività che deriverebbe da questa follia normativa e fiscale, in particolare per le economie che già lottano con sistemi di previdenza sociale gonfiati ed una tassazione oppressiva. Non bisogna dimenticare che le entrate fiscali totali e la spesa sociale sono aumentate entrambe di circa 10 punti percentuali in media nei Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sin dal 1965 (Grafico 10), mentre la crescita della produzione e della produttività ha rallentato notevolmente .

Fonte: OCSE e FMI.


Lezioni dalla Grande Depressione

Gli stimoli alla crescita che non sono riusciti a fornire una ripresa economica sostenibile dalla crisi finanziaria globale sono stati rafforzati per affrontare il problema dei lockdown. Come previsto, la crescita economica non è solo anemica, ma anche piena di crescenti vulnerabilità finanziarie che illustrano la continua allocazione errata delle risorse. La fiducia dell'FMI che stimoli più mirati alla fine porteranno ad una ripresa sostenibile è del tutto fuori luogo. Nonostante la politica monetaria ultra espansiva, i tassi d'interesse sui titoli decennali statunitensi sono aumentati in modo significativo, di circa 120 bps (punti base) dall'estate 2020, spinti da massicce emissioni di debito pubblico e da aspettative d'inflazione più elevate. E la lettura più recente dell'indice dei prezzi al consumo (CPI) è arrivata al 4,25% ad aprile, il tasso mensile più alto da più di dieci anni. Un rialzo dei tassi d'interesse a lungo termine alimentato dal mercato invaliderà le attuali politiche di stimolo e farà precipitare l'attuale ripresa artificiale in un'altra recessione.

Inoltre l'esperienza della Grande Depressione mostra che non solo l'espansione monetaria e fiscale, ma l'intera gamma di politiche statali che interferiscono con il funzionamento del libero mercato possono indebolire una sana ripresa. Sia sotto l'amministrazione Hoover che sotto quella Roosevelt, gli interventi socialisti paralizzanti, come il forte aumento dei dazi, il carico fiscale, i salari minimi, la normativa sul lavoro e la protezione sindacale, crearono un'insormontabile "incertezza sistemica" ed inflissero un duro colpo ai privati, prolungando la depressione fino alla seconda guerra mondiale. Gli appelli odierni per una pletora di politiche socialiste al fine di inaugurare il nuovo mondo post-pandemico rappresentano un rischio simile per la ripresa economica globale.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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