giovedì 10 giugno 2021

11 anni di Freedonia

 

 

di Francesco Simoncelli

Oggi, come ogni 10 giugno di ogni anno, il blog Freedonia spegne le candeline e in questo giro di boa è arrivato a spegnerne undici. Un risultato che è andato contro ogni mia più rosea aspettativa quando nel 2010 decisi di dare voce alle mie riflessioni. Quella voce, nel corso del tempo, è diventata sempre più risonante e diffusa, grazie soprattutto ad una platea di lettori attenti e consapevoli che qualcosa intorno a loro non andasse. Qui, ritengo, hanno trovato la spiegazione ai loro dubbi e presentimenti inquadrati secondo un quadro analitico e critico sintonizzato sulle onde degli insegnamenti della Scuola Austriaca. Infatti attraverso di essa ho cercato di divulgare la cosiddetta "buona economia", ovvero strumenti metodologici e d'indagine critica in grado di dare una spiegazione diretta e accurata dei fenomeni economici e sociali. Soprattutto perché, nell'immaginario collettivo, questa materia tende a ricadere in una sfera prettamente grigia data la vagonata di fallacia che nel tempo sono state sfornate da accademici mainstream ed autorità. In questo modo è stato possibile escludere la maggior parte delle persone dall'interessarsi a questioni cruciali per la loro vita, poiché inutile dirlo esse passano inevitabilmente dalla sfera economica. E se non ci si occupa dell'economia, allora sarà quest'ultima ad occuparsi di voi.

Infatti il disinteresse generale nei confronti dell'economia ha permesso e permette ancora ai pianificatori centrali di vendere l'illusione che solo loro sono in grado di direzionare ottimamente il corso della società e addirittura degli investimenti. In questo modo l'ambiente economico passa dall'essere libero ad essere ostacolato e infine ad essere comandato/controllato. Questa deriva, da un'economia di mercato ad una socialista/pianificata è ciò di cui ci mise in guardia Mises quando scrisse Planned Chaos: non potrà mai esistere un'economia mista. Il tutto certificato dagli accademici mainstream, i quali, appoggiando il costruttivismo di chi li foraggia, sono lieti di ergersi come latori indiscussi della conoscenza, ignorando il fatto che quest'ultima se non è distribuita porta inevitabilmente ad errori economici progressivi. È un circolo vizioso tra autorità e accademici mainstream, dove i primi erodono porzioni di libertà per consegnare privilegi ai clientes e mantenere in piedi il proprio sistema di controllo, mentre i secondi giustificano le azioni dei pianificatori centrali presentando teorie sempre più strampalate. Prendiamo ad esempio l'interventismo monetario, esistono due modi per caratterizzarlo: monetarista e keynesiano. Il monetarismo fa leva sulle relazioni macroeconomiche di lungo periodo, ovvero, la relazione positiva tra il tasso di creazione del denaro e l'inflazione. Il paradigma keynesiano presume che la macroeconomia tenda a funzionare in modo sub-ottimale e si occupa della relazione negativa di breve periodo tra reddito e tassi d'interesse. In pratica, gli elementi di ciascuno appaiono insieme.

L'intervento monetarista cerca di prevenire o alleviare disgiunzioni nei mercati finanziari garantendo un tasso d'inflazione modesto. Un tasso al 3%, ad esempio, può impedire ai mercati finanziari di avvicinarsi al proverbiale zero bound, anche se potrebbero esserci brevi periodi in cui il tasso d'interesse reale debba spostarsi in territorio negativo per portare risparmi ed investimenti nell'uguaglianza, consentendo una più rapida riallocazione delle risorse durante una recessione. In parte questo ragionamento si basa sulla convinzione che le fluttuazioni di breve periodo siano una funzione dell'incertezza: quando gli investitori sono fiduciosi nella loro valutazione del presente e futuro, l'economia si avvicinerà all'equilibrio macroeconomico. La cosiddetta inflation targeting del Federal Reserve Open Market Committee segue questa logica.

L'intervento keynesiano dice di abbassare i tassi d'interesse, attraverso l'espansione monetaria, nel tentativo di stimolare la domanda aggregata. Tassi d'interesse più bassi incoraggiano più prestiti e, di conseguenza, maggiori spese. Inutile sottolineare che entrambe le teorie sono due facce della stessa medaglia, visto che l'abbassamento artificiale dei tassi d'interesse porta inevitabilmente nel lungo periodo ad una relazione positiva tra espansione monetaria ed inflazione.

Ma questi interventi attivi, o positivi, stanno iniziando a far emergere tutta una serie di criticità. Infatti la propensione del sistema bancario centrale a trattare l'economia come se soffrisse persistentemente di mal aggiustamenti di breve periodo è diventata una barriera alla vitalità economica. La risultante crescita anemica della varie economie occidentali non è affatto un caso. Non solo, ma nonostante l'incredibile misallocation di risorse sulla scia di queste follie interventiste, le banche centrali hanno intenzione di alzare ancora di più l'asticella.

Il vero dramma è che l'attenzione pubblica è al minimo nei confronti di questa progressiva presa di potere e come diceva il compianto economista Walter Williams: "I politici sfruttano l'analfabetismo economico". Quando un politico dice che può dare a tutti cibo gratis e risolvere il riscaldamento globale con il suo piano ambizioso, o sta mentendo o è ignorante... oppure entrambe le cose. Regola n°1 in economia: esiste la scarsità. Non viviamo in un'utopia alla Star Trek in cui possiamo semplicemente materializzare ciò di cui abbiamo bisogno. Qualcuno da qualche parte deve produrlo, qualcuno deve distribuirlo, qualcuno deve assumere lavoratori, qualcuno deve fare pubblicità, e così via. Inoltre abbiamo tutti un tempo limitato, talenti diversi, risorse disuguali, idee in competizione e così via. Non possiamo fidarci dello stato affinché gestisca tutto questo attraverso il processo politico. Ecco perché le persone si dedicano alla propria attività e formano società private. Come facciamo a sapere di quanti negozi di alimentari abbiamo bisogno? Nessuno lo sa di preciso, ecco perché gli individui decidono volontariamente come e dove spendere i propri soldi.

Ogni transazione volontaria invia un segnale su quali tipi di prodotti sono desiderati, a quale prezzo, in quale posizione, e così via. E poi da qui viene presa una quantità esponenziale di decisioni riguardo catene di approvvigionamento, agricoltura, servizi pubblici, manodopera, ecc., in modo da ottenere i prodotti di cui si ha bisogno. Questo è un sistema di mercato ed è per questo che è meglio lasciare la maggior parte delle funzioni sociali al mercato (ovvero gli individui) e non nelle mani dei politici. Comunemente si pensa che si tratti solo di fare e spendere soldi, mentre invece si tratta soprattutto di creare la civiltà. Nuove invenzioni, nuovi concetti organizzativi, nuove tecniche di gestione, nuovi prodotti e praticamente tutto ciò che riguarda le nostre vite sono il prodotto dell'interazione volontaria degli attori di mercato. Questo perché la risoluzione dei problemi e la creazione di valore sono prerequisiti per fare soldi.

Prezzi e profitto sono due delle funzioni di mercato più importanti e più odiate. Senza questi due meccanismi la società andrebbe in pezzi con carestie devastanti e sprechi giganteschi, come descrisse accuratamente Ludwig Von Mises nel suo libro Economic Calculation in the Socialist Commonwealth. La proprietà privata ed i meccanismi dei prezzi sono essenziali per un processo decisionale nella società. I prezzi esistono per comunicare prima di tutto informazioni: prezzi elevati significano che c'è una carenza e ciò attrae i fornitori per alleviarla; prezzi bassi significano che c'è un eccesso di offerta, quindi le risorse sarebbero utilizzate meglio altrove. In un mondo di informazioni imperfette, queste entità associate comunemente all'avidità sono di fatto la luce guida che mantiene la società in carreggiata. Pensate solo a quelle società in cui prezzi e profitti non sono rispettati, come in Corea del Nord o nell'ex-Unione Sovietica: catastrofiche scarsità di cibo, inefficienza dispendiosa e squallida stagnazione. Tutto ciò che fanno i prezzi è consentire l'allocazione di risorse scarse e facilitare la cooperazione volontaria degli individui verso obiettivi reciprocamente vantaggiosi. Il profitto è semplicemente un segnale che le risorse vengono utilizzate in modo ottimale.

Di conseguenza l'innovazione e la prosperità sono un prodotto della libertà e la società dà il suo meglio quando lo stato si toglie dai piedi. Infatti le normative statali sono obsolete, fuorvianti, o addirittura imposte deliberatamente a beneficio dei clientes. In un sistema di associazione volontaria e proprietà privata, gli individui che agiscono nel proprio interesse tendono a raggiungere accordi reciprocamente vantaggiosi. Ecco perché c'è una forte correlazione tra Paesi con alti gradi di libertà economica e prosperità. Regolamentazioni onerose e farraginose sono un peso sulla capacità di crescita della società.

È più chiaro adesso perché è importante occuparsi dell'economia? Una maggiore consapevolezza della materia permette agli individui di non farsi fregare dagli imbonitori, ma soprattutto di votare con lo strumento che più conta realmente: il denaro. Questo articolo di oggi cerca di andare oltre ciò che gli individui comunemente "vedono", permettendo loro di saggiare anche ciò che "non si vede". Come? Utilizzando strumenti metodologici d'indagine analitica forniti dalla Scuola Austriaca, una scuola di pensiero economico che, parlando direttamente alle persone e con semplicità senza trincerarsi in matematica o formule astruse, recide finalmente quell'aura di negatività che è stata sapientemente calata sulla materia dagli accademici mainstream. Il blog ha sempre avuto questo obiettivo sin da quando è nato e dallo scorso dicembre ho messo a disposizione dei lettori un "manuale d'uso" affinché potessero accedere allo strumento analitico sopraccitato: La fine delle fallacie economiche.

Questo libro, infatti, rappresenta un esempio empirico di come si possa utilizzare la metodologia analitica "ciò che si vede/ciò che non si vede" per smascherare tutte quelle illusioni che ancora oggi imperversano nell'ambiente economico. I temi trattati sono i più famosi e reiterati, ma ciò che davvero vuole trasmettere è una visione chiara e cristallina della realtà, una che non possa essere intorbidita da suadenti promesse di de-responsabilizzazione. Una visione, questa, decisamente pericolosa perché riesce a separare "buona economia" da "cattiva economia", ma in generale "buone pratiche" da "cattive pratiche". Saper discernere da soli questi aspetti conferisce spirito critico che, al giorno d'oggi, abbiamo visto essere molto sgradito dai pianificatori centrali poiché "rovina" i loro piani presumibilmente ben congegnati. Ma, come emerso nell'articolo di oggi, senza libero mercato e quindi senza attori di mercato "pensanti" la civiltà muore e con essa la società.

Ma questa non è affatto la fine della storia, perché se con La fine delle fallacie economiche ho voluto gettare le basi metodologiche con cui sondare la realtà mutevole che ci circonda e offrire alcuni esempi per mostrarne il funzionamento, con il prossimo libro si assisterà ad una rinascita. Infatti ciò che "manca" al mio libro è la trattazione delle criptovalute, ma ero consapevole che tale argomento non poteva essere esaurito in uno, due o anche cinque capitoli. No, aveva bisogno di una trattazione omnicomprensiva sotto ogni punto di vista dello scibile umano: sociale, economico, legale, politico, ecc. Quindi ho iniziato la traduzione della magnifica opera di Wendy McElroy, La rivoluzione di Satoshi. Mancano pochissimi capitoli e sarà finita, spero quindi di riuscire a pubblicarla entro fine anno. Comunque, prima di affrontare un viaggio simile, consiglio di iniziare dal mio libro, La fine delle fallacie economiche, perché rappresenta una sorta di preambolo teorico a quello che poi verrà trattato nel libro della McElroy. Soprattutto per chi è a digiuno di teoria economica; immaginate che il mio libro sia la pars destruens con cui liberarsi da tutte quelle illusioni che nel tempo sono state erette attraverso la pianificazione centrale, mentre la pars costruens sia quella che verrà presentata con La rivoluzione di Satoshi. Uniteli ed otterrete un risultato adamantino di conoscenza, consapevolezza e indipendenza di pensiero.

Per 11 anni adesso il blog Freedonia ha fornito un porto sicuro per tutti coloro che intuivano che esistesse qualcosa di "sbagliato" ma non vi sapevano dare forma, offrendo un'opera di divulgazione attenta agli eventi del mondo presente senza dimenticarsi di quelli del passato. Senza questi ultimi come monito, il futuro sarà pingue degli stessi errori. I temi presentati quotidianamente rappresentano una trattazione specifica, mentre invece il comparto letterario tratta gli stessi temi da un punto di vista più generale.

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2 commenti:

  1. "Per 11 anni adesso il blog Freedonia ha fornito un porto sicuro per tutti coloro che intuivano che esistesse qualcosa di "sbagliato" ma non vi sapevano dare forma, ....."
    Nel mio caso, non essendo laureato in economia, sentivo che per come quella materia viene descritta e insegnata qualcosa era ed è terribilmente confuso e scricchiolante.
    Documentandomi, anche tramite questo preziosissimo sito, ho potuto comprendere che optare per una facoltà diversa da Economia è stata un'ottima scelta (un rischio da me scampato approdando a lezioni ben più solide e naturali...), in quelle aule si eseguono inquietanti lavaggi del cervello, non su tutte le materie ma sulle più "alte" e teoriche sicuramente, provocando danni ed indottrinamenti fideistici ben visibili già nei laureati e soprattutto in chi ha proseguito gli studi.
    La cultura libertaria ha cambiato la mia mente, la mia persona, la mia vita.
    Grazie per l'immenso lavoro prodotto in questi anni.

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  2. Buongiorno,
    anch'io volevo ringraziare per l'importante lavoro svolto qui per anni, augurando lunga vita e fortuna a questo blog e al suo "padrone di casa".

    Insieme ad altre speciali e qualificate "conoscenze incrociate sul web", ha contribuito e contribuisce tutt'ora a diffondere cultura e sapienza.

    Grazie ancora, a rileggersi presto.

    Antonio Pani.

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