Il problema della spesa pubblica in deficit e del conseguente debito pubblico rappresenta una sfida per la maggior parte delle economie moderne. Alcuni stati, come la Germania, con una reputazione di austerità fiscale, operavano con avanzi di bilancio e debito in calo, ma questo prima che il coronavirus fornisse una scusa per estendere in modo massiccio i loro poteri e aumentare la spesa. Ora sembra che tutte le nazioni dovranno sostenere il pesante carico di estinguere enormi debiti pubblici contratti nel perseguimento di politiche distruttive. Il debito pubblico netto medio, cioè il debito non dovuto a qualche agenzia statale, delle economie avanzate ha superato il 96% del PIL nel 2020 e non ci sono segni che gli stati smetteranno di indebitarsi.
Fonte: FMI. La linea piatta per gli Stati Uniti prima del 2000 è un periodo senza dati. |
In tutta Europa è sempre più diffusa la sensazione che i debiti pubblici non siano altro che un peso e debbano essere cancellati. Più di recente un gruppo di economisti ha pubblicato un manifesto suggerendo che il debito pubblico detenuto dalla Banca Centrale Europea (attualmente €2.500 miliardi) debba essere cancellato. Questo manifesto è semplicemente un appello camuffato per il finanziamento inflazionistico di progetti di sinistra: non solo la BCE dovrebbe cancellare i debiti dei vari stati, ma questi ultimi dovrebbero anche impegnarsi a spendere un importo equivalente per un "piano di ripresa sociale ed ecologico". Sebbene la fonte di finanziamento per questa spesa non sia specificata, deve essere presa in prestito e l'unica istituzione disposta e in grado di prestare tali importi è la BCE.
Il mio obiettivo in questo saggio non è criticare i suggerimenti degli autori del manifesto, per quanto piacevole possa essere un compito del genere, ma di indagare seriamente sul problema del debito pubblico e in particolare sulle conseguenze di un default. Cosa significherebbe per l'economia se venisse cancellato non solo il debito nei confronti della banca centrale, ma scomparisse tutto? Non sto rivelando troppo se ora dico che, come Peter Klein e J. R. Hummel, un default sovrano sarebbe un grande vantaggio per l'economia a lungo termine.
L'idea di risolvere il problema del debito attraverso il default è generalmente considerata estrema da tutte le persone rispettabili. Secondo loro, ci sono solo due soluzioni alternative: utilizzare l'inflazione per distruggere il valore reale del debito o introdurre riforme economiche che portino ad un aumento delle entrate fiscali, che a loro volta rendono gestibile il pagamento del debito. Gli autori del manifesto europeo hanno quindi il merito di aver sollevato l'idea del ripudio del debito.
Prima di passare alla questione degli effetti economici di un default sovrano, dobbiamo prima prendere in considerazione il lato etico delle cose. Gli economisti sono restii ad accettarlo, ma tutte le proposte politiche sono intrinsecamente normative. Sarebbe moralmente giustificabile, in linea di principio, che gli stati andassero in default?
L'etica del ripudio del debito pubblico
Ripudiare il debito pubblico sembrerebbe essere l'apice della condotta immorale. Dopo tutto, il mutuatario non ha volontariamente promesso la sua persona, proprietà e sacro onore nel sostenere il debito? Come può un uomo voltare le spalle ad un tale impegno senza provare vergogna? E anche se fosse inadempiente, i creditori non avrebbero una giusta pretesa nei confronti della sua proprietà? L'essenza della giustizia è rendere a ciascuno il proprio (suum cuique tribuere) e poiché il debito è dovuto ai creditori, sarebbe immorale, un peccato contro la giustizia, rifiutarsi di pagarlo.
Al contrario, sebbene diffusa, tale opinione si basa sull'accettazione dell'equivoco di base che tutti gli stati usano per giustificare il proprio potere: lo stato è un'istituzione sociale legittima al pari di altre istituzioni, la più eminente di tutte le istituzioni e di conseguenza le sue rivendicazioni e promesse non sono solo legittime ma lo sono ad un livello superiore. Quando lo stato chiede qualcosa ai cittadini, questi sono tenuti ad obbedire; quando fa una promessa ai suoi creditori, lega non solo sé stesso, ma tutti i cittadini. Questo però non è vero: i cittadini sono sudditi dello stato e costretti a questo rapporto; non sono i suoi sponsor, mandanti o beneficiari. Anche se praticamente tutti i cittadini ad un certo punto traggono vantaggio dallo stato, questo non cambia il fatto fondamentale che lo stato è un'imposizione violenta su tutti (non è volontario e non si basa solo sui diritti di proprietà o su altre rivendicazioni legittime).
Murray Rothbard nel suo pezzo sul ripudio del debito, pubblicato per la prima volta nel 1992, enuncia in dettaglio gli errori coinvolti nel trattare il debito pubblico come se fosse la forma più sacra di debito privato. Dice Rothbard:
Le due forme di transazione del debito [debito pubblico e privato] sono totalmente diverse. Se prendo in prestito denaro da una banca, stipulo un contratto per trasferire il mio denaro ad un creditore in una data futura; in un certo senso, a quel punto è il vero proprietario del denaro e se non pago lo sto derubando della sua giusta proprietà. Ma quando lo stato prende in prestito denaro, non garantisce il proprio denaro; le proprie risorse non vengono messe in gioco. Lo stato non impegna la propria vita, fortuna e sacro onore per ripagare il debito, ma il nostro.
La santità del contratto, in altre parole, è un principio fondamentale di giustizia, ma non si applica alle promesse di pagamento dello stato. Infatti esso non promette di pagare: qualunque politico sia in carica al momento, dice ai suoi potenziali creditori "Prestaci i soldi adesso e noi promettiamo di farli ripagare agli altri". In nessun momento viene chiesto ai cittadini il loro consenso ed è quindi difficile vedere come potrebbero essere vincolati ad un contratto stipulato da altre persone. Trattandosi infatti di un contratto concluso con l'esplicito scopo di privarli della loro proprietà, è difficile vedere come possa essere considerata una transazione valida.
Una possibile obiezione qui potrebbe essere che lo stato ha la responsabilità del benessere pubblico e che mentre i cittadini non hanno acconsentito ai prestiti, sono tutti beneficiari dei beni pubblici forniti con l'aiuto di tali prestiti. Anche così non è ancora chiaro come una persona possa essere vincolata dal contratto, ma per ora lasciamo da parte questa questione. Inoltre non è affatto chiaro come lo stato sia necessario per provvedere al bene comune di tutta la società, soprattutto perché è stato dimostrato teoricamente ed empiricamenteche che le funzioni più elementari tradizionalmente attribuite allo stato, dal mantenimento della pace alla giustizia, possono essere altrettanto fornite in una società completamente libera senza alcun monopolista coercitivo. Comunque non approfondiremo ulteriormente questa questione qui. Tutto quello che ci chiederemo è: gli stati hanno contratto debiti per il bene comune di tutti? La risposta dovrebbe essere ovvia: hanno preso in prestito denaro per combattere guerre, finanziare progetti di opere pubbliche non più utili delle piramidi e per salvare/arricchire i loro clientes nel mondo della finanza. Gli stati hanno utilizzato denaro preso in prestito per corrompere i cittadini con elemosine, ma nemmeno questo può essere considerato un atto per il bene comune; soprattutto non quando suddette elargizioni hanno semplicemente lo scopo di mascherare le conseguenze della distruzione dell'economia e della società durante lo scorso anno. In ogni caso, il panem et circenses (l'equivalente moderno degli assegni governativi) non possono essere definiti bene comune, ma sono beni piuttosto particolari.
Se i creditori dello stato non hanno alcun diritto su chi paga le tasse, hanno invece un diritto sullo stato, cioè sui beni di proprietà dello stato? In alcuni casi la risposta potrebbe essere sì. Chi ha investito nel debito pubblico sapendo esattamente cosa stava facendo non può avere alcuna pretesa; anzi la domanda è se dovrebbero essere considerati complici del reato di tassazione, poiché ne beneficiano chiaramente (ad esempio, i primary dealer nel contesto statunitense). Ma la persona media che, forse ingannata dalla propaganda statale, ha acquistato un titolo di stato pensando che fosse un uso innocente del suo denaro, può avere una rivendicazione legittima. Ancor di più, i fondi pensione sottoposti a pressioni per investire in titoli di stato e le banche costrette a farlo per conformarsi ai requisiti patrimoniali hanno un legittimo diritto ad un risarcimento, non da parte del contribuente, ma da parte dello stato. Il problema qui è che c'è un grande gruppo di persone con una rivendicazione ancora migliore, vale a dire, la grande massa di contribuenti oppressi. Queste persone, i produttori a lungo espropriati coattamente della ricchezza reale, possono vantare una richiesta di risarcimento migliore rispetto ai detentori del debito pubblico. Per una questione di rigorosa giustizia, qualsiasi reclamo che i creditori di uno stato in bancarotta potrebbero presentare dovrebbe attendere il risarcimento dei contribuenti. Qualunque patrimonio rimanesse potrebbe poi essere diviso tra loro.
Sarebbe quindi giusto ripudiare il debito. Infatti è ingiusto continuare a pagare interessi su di esso, poiché ogni pagamento è un trasferimento coatto dai contribuenti ai creditori dello stato. Prima di concludere che lo stato debba andare in default, dobbiamo prendere in considerazione anche gli effetti economici del default. Se questi fossero devastanti, dopotutto, la prudenza potrebbe suggerire che sarebbe meglio subire l'ingiustizia del debito piuttosto che assistere ad un deterioramento sociale che potrebbe derivare dalla sua abolizione.
La natura del debito pubblico
Le persone che detengono debito pubblico inseriranno tale debito tra i loro attivi, insieme ad altri asset finanziari. Il debito pubblico, quindi, sembra che faccia parte del capitale delle persone investito in attività produttive, e dal punto di vista del singolo investitore è proprio così. Gli investitori non guardano necessariamente per cosa vengono utilizzati i loro fondi quando effettuano un investimento. Sono concentrati sulla sicurezza del loro capitale e sul rendimento atteso. Tuttavia l'economista ha una visione diversa del credito e può distinguere due tipi generali di investimento: credito al consumo e credito alla produzione.
Il credito al consumo è un prestito concesso al fine di un consumo presente. Il capitale risparmiato viene così distrutto o trasformato in beni di consumo durevoli come case e automobili. Il credito alla produzione, invece, viene prestato agli imprenditori che desiderano espandere la propria produzione. Se gli imprenditori hanno successo, il risultato è un allungamento della struttura della produzione e un aumento della produttività generale dell'economia. Entrambi i tipi di prestito devono essere rimborsati con il reddito attuale. Gli imprenditori, se hanno successo, rimborsano i prestiti con l'aumento delle entrate, reso possibile dall'investimento aggiuntivo, mentre i consumatori devono ridurre i loro risparmi e consumi per rimborsare i prestiti. Il credito alla produzione porta quindi ad un accumulo di capitale aggiuntivo e ad una maggiore produttività e ricchezza per tutta la società, mentre il credito al consumo riduce la quantità di capitale per gli investimenti produttivi al di sotto di quanto sarebbe stato altrimenti. Il credito al consumo è una forma di consumo di capitale, in altre parole.
Quando si tratta di valutare il debito pubblico, la domanda è se si tratti di una forma di credito alla produzione o di credito al consumo. Murray Rothbard sosteneva che tutta la spesa pubblica, compreso quello che viene chiamato investimento statale, è in realtà nella migliore delle ipotesi una forma di spesa per consumi. Anche se potrebbe sembrare che la spesa pubblica per beni immobili, come dighe o strade, costituisca una sorta di investimento, in realtà non è così:
In qualsiasi tipo di economia, i beni capitali sono costruiti non per quanto possano fare bene all'investitore, ma per usarli e produrre beni di ordine inferiore e, infine, di consumo. In breve, una caratteristica di una spesa per investimenti è che il bene in questione non viene utilizzato per soddisfare i bisogni dell'investitore, ma di qualcun altro: il consumatore. Tuttavia quando lo stato confisca risorse all'economia privata, non fa altro che distruggere i desideri dei consumatori; quando lo stato investe in un bene, lo fa per servire i capricci dei funzionari statali, non i desideri dei consumatori. Pertanto nessuna spesa pubblica può essere considerata un vero "investimento" e nessun patrimonio di proprietà dello stato può essere considerato capitale.
L'investimento statale, conclude Rothbard, deve quindi essere considerato una forma di consumo, e per di più una forma di consumo anti-produttiva. Questo è vero anche per le spese inizialmente finanziate da prestiti allo stato, poiché il rimborso di tali prestiti dipende invariabilmente dalle entrate fiscali future, non dall'impiego produttivo di "beni" statali.
Dobbiamo quindi concludere che il debito pubblico è una sorta di prestito al consumo contratto per finanziare la spesa per consumi di politici e burocrati. Ripudiarlo non interferisce e non scompone la struttura produttiva della società. Al contrario, poiché i contribuenti non dovranno più pagare le tasse per finanziare il debito, avranno redditi netti più elevati e più fondi disponibili per gli investimenti di quanto sarebbe altrimenti. Mentre il debito pubblico appare come capitale agli investitori che lo detengono, è chiaro che non si tratta di capitale reale, ma piuttosto di un diritto sulla presa forzata di risorse da cittadini produttivi. Possiamo forse appropriarci di un termine marxista e chiamare i titoli di stato "capitale fittizio" per sottolineare il fatto che non fanno parte della struttura produttiva del capitale della società, ma in realtà la deteriorano.
Un effetto immediato del default di uno stato sarà quindi un aumento dell'accumulo reale di capitale, sebbene l'eliminazione del debito pubblico possa dare alle persone l'impressione che i loro risparmi personali, nella misura in cui sono stati investiti in titoli di stato, siano stati ridotti. Questa impressione non farà che rafforzare la tendenza all'accumulo di capitale, poiché il tasso di risparmio dipende in parte da quanto le persone hanno già risparmiato. Se i loro risparmi vengono ridotti dall'inadempienza dello stato, tenderanno a limitare il consumo corrente e ad aumentare il loro tasso di risparmio.
Un secondo effetto del default è che il rating del credito dello stato ne risente. Il debito pubblico è spesso considerato un investimento molto sicuro, ma quando uno stato va in default, la fiducia degli investitori viene gravemente scossa. Sarà quindi molto più difficile per uno stato inadempiente raccogliere fondi attraverso l'assunzione di prestiti in futuro, e potrà farlo solo ad un tasso d'interesse decisamente alto. Questo, ancora una volta, significa non solo che ci saranno meno fondi disponibili per la spesa pubblica, ma anche che sarà più probabile che i fondi extra resi disponibili per gli investimenti dall'atto di un default vengano investiti nel settore privato e non in nuove emissioni di obbligazioni sovrane.
Ripudiare il debito pubblico degli Stati Uniti
Il default di uno stato sarebbe quindi economicamente vantaggioso, ma come accadrebbe nel mondo reale? Prendiamo il caso del governo degli Stati Uniti. Secondo l'orologio del debito, il fardello degli Stati Uniti è di circa $28.000 miliardi. Con l'attuale PIL del 2020 a $20.930 miliardi, ciò significa un livello di indebitamento di circa il 133% del PIL. Gran parte di questo debito è dovuto a varie agenzie governative e può essere semplicemente cancellato; dopo tutto, il debito che il governo degli Stati Uniti deve a sé stesso è sia una sua passività che attivo. La cifra ufficiale per le partecipazioni intragovernative è di circa $6.000 miliardi, ma questo è in realtà un eufemismo. Sotto il titolo di "debito detenuto dal pubblico", il Government Accountability Office (GAO) elenca i governi statali e locali. A seconda della teoria costituzionale a cui si aderisce, questi governi sono creature del governo federale o il governo federale è stato creato dagli stati; in entrambi i casi si tratta chiaramente di una sorta di holding intragovernativa. Nell'anno fiscale 2019 i governi statali e locali detenevano il 6% dei $16.800 miliardi detenuti "dal pubblico" in quel momento, o circa $1.000 miliardi. È improbabile che da allora abbiano aumentato le loro partecipazioni e penso sia ragionevole presumere che non le abbiano ridotte.
La voce molto più grande nascosta sotto il debito "detenuto dal pubblico" è il debito detenuto dalla Federal Reserve. Anche se sì, è vero che le banche Federal Reserve sono di proprietà delle banche membri private, in fin dei conti è semplicemente una facciata. La Federal Reserve è chiaramente un'agenzia creata dal governo USA, il cui consiglio di amministrazione è nominato dal governo federale e che ha il compito di gestire la politica monetaria per conto del governo USA. Potrebbe essere formalmente privata, ma in realtà la Federal Reserve è un'agenzia governativa. Il debito detenuto dal sistema dovrebbe quindi aggiungersi alle partecipazioni intragovernative che in linea di principio possono essere semplicemente cancellate. L'11 febbraio la Federal Reserve deteneva quasi $4.800 miliardi di debito pubblico degli Stati Uniti, il risultato della monetizzazione dell'enorme deficit del 2020 oltre al debito accumulato attraverso i vari cicli di quantitative easing precedenti.
Nel complesso, quindi, $11.800 miliardi sono detenuti da agenzie governative e governi statali e possono essere semplicemente cancellati. Il debito reale detenuto dal pubblico è "solo" $16.200 miliardi, o circa il 77% del PIL. L'eliminazione di questo debito rappresenterà ancora un enorme shock per il sistema. Le famiglie e le organizzazioni non profit statunitensi possedevano $98.700 miliardi in asset finanziari nel terzo trimestre del 2020. Ignorando i $6.800 miliardi di proprietà degli stranieri, il ripudio significherebbe una riduzione di $9.400 miliardi di asset finanziari dei cittadini statunitensi o un calo di circa il 10%. Tutto ciò presuppone che le valutazioni di altri asset finanziari non siano influenzate dal ripudio, ma ciò è improbabile. L'incertezza che ne deriverà porterà, almeno nel breve periodo, ad un aumento dei tassi d'interesse e quindi ad un calo generale del valore degli asset finanziari, esacerbando l'impressione di un calo del risparmio.
Il risultato sarà, da un lato, che la maggior parte degli americani scoprirà che i propri risparmi sono notevolmente inferiori a quanto pensavano che fossero, ma, dall'altro, che l'eliminazione del pagamento degli interessi sul debito pubblico ridurrà l'onere per i contribuenti e renderà loro più facile aumentare i propri risparmi. Poiché è improbabile che le persone siano talmente sciocche da investire in titoli di stato, ciò significherà un aumento della disponibilità di capitale produttivo, un aumento della produttività e, in breve tempo, un aumento dei redditi reali della popolazione in generale.
Oltre al debito del governo federale, i governi locali e statali hanno anche accumulato un debito di $3.200 miliardi. Gli effetti del ripudio di questi debiti saranno simili. I benefici per i contribuenti saranno maggiormente concentrati negli stati e nei comuni più fortemente indebitati, ma l'eliminazione del capitale fittizio avrà gli stessi effetti sull'economia nel suo complesso.
Default sovrano e privatizzazione
Il ripudio del debito metterà a repentaglio i redditi dei pensionati, troppo vecchi e fragili per ricongiungersi alla forza lavoro produttiva, dal momento che i fondi pensione privati e le compagnie di assicurazione hanno investito pesantemente in titoli di stato. Ciò è particolarmente vero per quelle giurisdizioni in cui i lavoratori sono costretti ad avere i propri risparmi in specifici fondi pensione. Cedere la proprietà di asset statali, ciò che Rothbard chiama asset di scarto, ai fondi pensione mitigherebbe l'impatto sui pensionati e aumenterebbe la quantità di beni di produzione disponibili per l'occupazione produttiva.
Questa possibilità è di particolare importanza per il Giappone ed i Paesi europei. Il debito pubblico giapponese è uno dei più alti tra i Paesi sviluppati, con quasi il 177% del PIL secondo il Fondo monetario internazionale (FMI). È inoltre detenuto principalmente da investitori e fondi pensione giapponesi. I benefici di un default saranno quindi ancora maggiori in Giappone che negli Stati Uniti, ma se il ripudio non deve significare indigenza per molti anziani, i fondi pensione dovranno essere compensati con beni statali. In questo contesto sarà essenziale la privatizzazione dei beni pubblici come parte del default. Questo vale anche per i Paesi europei, sebbene i livelli del debito europeo non siano così elevati come in Giappone.
Il default statale ridurrà le tasse sui membri produttivi della società ed eliminerà il capitale fittizio. In quanto tale, è una situazione chiaramente vantaggiosa. Le persone che hanno investito molto in titoli di stato rischiano di subire perdite, ma questo può essere mitigato trasferendo gli asset statali agli obbligazionisti. Se debba essere così mitigato è una questione etica; chi è costretto a detenere obbligazioni tramite la propria pensione non è certo collaboratore del male e può ragionevolmente essere considerato spettatore innocente. Non si può quindi escludere un risarcimento per il mancato guadagno per motivi morali e la prudenza può imporre una qualche forma di privatizzazione della proprietà statale per garantire che i pensionati non siano lasciati indigenti. La nostra analisi etica chiarisce che il risarcimento può essere legittimamente pagato solo agli obbligazionisti che sono spettatori innocenti, per così dire. Coloro che hanno consapevolmente investito nel debito pubblico non possono avere diritto ad un risarcimento. Determinare esattamente chi dovrebbe essere considerato un complice dello stato e chi uno spettatore innocente è una questione pratica da determinare in ogni situazione particolare.
L'analisi economica del ripudio si applica al debito pubblico a tutti i livelli ed a tutti i Paesi. La questione centrale non è quanto è grande lo stato o quanto sia in debito, ma piuttosto se il debito è finanziato dalle tasse. In tal caso ripagare il debito pubblico, invece di ripudiarlo, è di fatto distruttivo per la ricchezza reale.
Finora non ho menzionato gli effetti del ripudio del debito sui mercati finanziari e sul sistema monetario. L'ortodossia finanziaria moderna vuole che i mercati abbiano bisogno di un asset "sicuro" e che gli stati siano incaricati di fornire tali asset sotto forma di obbligazioni prive di rischio. Se i mercati finanziari venissero improvvisamente privati dei titoli di stato, ne deriverebbero dei problemi. Data la popolarità di tale pensiero, così come l'importanza dei titoli di stato nella finanza moderna, non possiamo concludere la nostra tesi a favore di un default sovrano senza esaminare anche queste argomentazioni.
Il ruolo del debito pubblico nel settore imprenditoriale
L'uso più frequente del debito pubblico nella finanza, in particolare del debito a breve termine, è da parte delle aziende, che lo detengono perché lo considerano un asset sicuro e altamente liquido. Detenendo titoli statunitensi invece di denaro, possono risparmiare sulla necessità di liquidità e guadagnare un piccolo ritorno sulle loro partecipazioni. Li considerano un mezzo di scambio secondario, come li definiva Mises, o "quasi denaro" come invece diceva Rothbard. Come spiega Mises:
Chi possiede uno stock di merci con un alto grado di commerciabilità secondaria [cioè, liquidità] è in grado di limitare la sua detenzione di liquidità propriamente detta. Può aspettarsi che, quando un giorno gli sarà necessario aumentare la sua disponibilità liquida, sarà in grado di vendere senza indugio suddette merci con un alto grado di commerciabilità secondaria al prezzo più alto ottenibile sul mercato [...]. L'entità della liquidità e le spese sostenute per mantenerla possono essere ridotte se sono disponibili merci producenti reddito con un alto grado di commerciabilità secondaria.
Il "quasi denaro" non è usato in cambio di altri beni e questo va sottolineato. È principalmente detenuto dalla tesoreria di una società al posto del denaro in modo da guadagnare un piccolo ritorno sui pagamenti delle cedole o sull'apprezzamento previsto. Quando c'è necessità di fondi, i titoli di stato statunitensi e altri tipi di "quasi denaro" vengono venduti per denaro e quest'ultimo viene quindi utilizzato in normali transazioni commerciali.
Il motivo per cui i titoli di stato statunitensi vengono utilizzati in questo modo è duplice: il mercato per loro è molto liquido e sono considerati un investimento molto sicuro o privo di rischi. In questi giorni, tuttavia, il mercato profondo dei titoli di stato statunitensi è in gran parte un'illusione. Come sottolineato in precedenza, circa il 40% del debito pubblico degli Stati Uniti è dovuto a varie agenzie governative, dalla Federal Reserve ai governi locali. È giusto dire che, a questo punto, il mercato dei titoli di stato USA è liquido solo perché la Federal Reserve è pronta a comprarli tutti. A questo punto i banchieri centrali stanno discutendo apertamente questo aspetto delle loro operazioni: la banca centrale deve agire come "market maker di ultima istanza", il che significa, in pratica, che i prezzi delle obbligazioni non possono mai e poi mai scendere.
Il fatto che i titoli di stato USA siano considerati privi di rischio è chiaramente collegato alla loro elevata liquidità, poiché sicurezza in questo senso significa semplicemente essere sempre in grado di venderli al prezzo che ci si aspetta. È anche chiaro che questo tipo di sicurezza non esiste nel mondo reale in costante cambiamento. Ciò che affermano coloro che li definiscono privi di rischio è essenzialmente che le persone hanno il diritto di godere di un reddito stabile e sicuro, e che è compito dello stato fornire un asset generatore di reddito libero dalle leggi del mercato. Mises descrisse questo punto molto tempo fa:
Lo Stato, questa nuova divinità dell'era nascente della statolatria, questa istituzione eterna e sovrumana fuori dalla portata delle fragilità terrene, offre al cittadino l'opportunità di mettere al sicuro le sue ricchezze e di godere di un reddito stabile protetto da tutte le vicissitudini [...]. Colui che investe i suoi fondi in obbligazioni sovrane emesse dallo stato e dalle sue suddivisioni non è più soggetto alle leggi ineludibili del mercato e alla sovranità dei consumatori [...]. Non è più un servitore dei suoi concittadini, soggetti alla loro sovranità; è un partner dello stato che governa il popolo e chiede loro tributi.
Il fatto che le società, e non semplicemente un'élite di redditieri parassiti, siano state indotte dallo stato ad utilizzare obbligazioni sovrane per le loro esigenze di liquidità non cambia l'analisi di Mises. È ancora una pretesa assurda pensare che esista una cosa come un asset privo di rischio, per non parlare del fatto che se ne abbia diritto o che il funzionamento del mercato dipenda da esso.
L'unico modo in cui i titoli di stato possono essere giudicati come asset privi di rischio è se la banca centrale è pronta ad acquistarli con denaro dal nulla. Gli economisti socialdemocratici se ne rendono conto e non fanno mistero di chi beneficia realmente dello status privo di rischio delle obbligazioni sovrane: lo stato stesso. Come scrive l'economista tedesco Fabian Lindner: "Solo quando i titoli di stato saranno sufficientemente a prova di insolvenza che gli investitori presteranno denaro agli stati a tassi d'interesse bassi. Solo allora gli stati potranno aumentare la spesa [...]".
I socialisti hanno un partner improbabile nella loro ricerca di obbligazioni prive di rischio: ciò che noi con un'espressione un po' datata possiamo chiamare alta finanza.
Debito pubblico e finanza
In quest'epoca di mercati iper- finanziarizzati, l'uso del debito pubblico è fondamentale per il funzionamento delle istituzioni finanziarie. In quanto garanzia di altissima qualità utilizzata nelle operazioni di riacquisto, i titoli di stato sono un ingrediente essenziale nel funzionamento dei moderni mercati dei pronti contro termine.
I pronti contro termine sono essenzialmente prestiti garantiti e altamente liquidi. In caso di pronti contro termine aperti o con scadenza giornaliera, il prestito può essere rimborsato il giorno stesso. È in corso un dibattito sull'opportunità di considerare le operazioni di pronti contro termine come una forma di sostituti del denaro, un punto sostenuto da Gabor e Vestergaard, ma per gli scopi attuali non è necessario risolvere questa diatriba. I pronti contro termine, anche se sono solo una forma di "quasi denaro", sono comunque asset molto liquidi e molto ricercati.
Tuttavia il legame tra titoli di stato e pronti contro termine è più profondo: lo stesso titolo può essere utilizzato più volte nelle operazioni di pronti contro termine, il che significa che l'offerta di pronti contro termine è un multiplo dei titoli che fungono da garanzia. Pertanto è comprensibile il motivo per cui gli investitori si lamentano della "carenza" di debito pubblico: non solo è considerato un asset privo di rischi in sé, ma può essere utilizzato per generare un flusso infinito di tali asset.
Gli effetti finanziari e monetari del default
Questa breve panoramica dovrebbe essere sufficiente per rendere evidente l'importanza finanziaria dei titoli di stato. Dal momento che nessuno, nel nostro attuale sistema inflazionistico, vuole tenere più denaro di quanto deve, le società e le istituzioni finanziarie detengono invece "quasi denaro" di diverso tipo nelle loro tesorerie. La confusione tra denaro ed asset altamente liquidi è così grande che i gestori finanziari chiamano abitualmente "contanti" le loro partecipazioni in titoli di stato. Non è solo una questione di pedanteria, poiché c'è una differenza molto grande tra il denaro contante, da un lato, e gli asset che devono essere venduti prima che i proventi possano essere utilizzati dall'altra. In circostanze normali è probabile che i mercati siano liquidi e non vi è alcun problema a realizzare le proprie disponibilità in titoli. Ma è proprio quando è probabile che uno abbia maggiormente bisogno delle proprie riserve di liquidità (cioè, in una crisi finanziaria) che i mercati diventeranno illiquidi ed i prezzi scenderanno. La dipendenza dal "quasi denaro" è quindi uno dei tratti distintivi del fragile sistema finanziario moderno e uno dei motivi per cui questo sistema cesserebbe di funzionare se le banche centrali non fossero sempre pronte ad intervenire come market maker di ultima istanza.
Quali sarebbero le conseguenze se il debito pubblico venisse ripudiato e l'offerta di titoli emessi dallo stato scomparisse? Se accadesse da un giorno all'altro, senza preavviso, è chiaro che ne deriverebbe una grave carenza di liquidità. Non solo i titoli di stato stessi diventerebbero privi di valore, ma anche tutti i pronti contro termine da essi sostenuti. Molte istituzioni finanziarie dovrebbero quindi affrontare una forte riduzione dei loro bilanci.
Questo non è così diverso da quello che abbiamo già descritto sopra: le persone si svegliano scoprendo che i loro titoli di debito pubblico sono solo "capitale fittizio". Tuttavia l'eliminazione di una grande classe di "quasi denaro"a ha più conseguenze: poiché tali asset si detengono per la loro liquidità, il risultato della loro scomparsa sarà una corsa alla liquidità. La domanda di denaro e per altri tipi di "quasi denaro" aumenterà, mentre gli attori di mercato tenteranno di ricostituire le tesorerie della loro società. Questa domanda supplementare si tradurrà in una calo dei prezzi su tutta la linea e in un aumento dei tassi d'interesse, poiché la domanda di beni presenti (il denaro) aumenta bruscamente.
Il caos che rischia di diffondersi nei mercati finanziari sarà solo mitigato in qualche modo annunciando in anticipo che un default sovrano è imminente. Man mano che diventa più certo che il debito diventerà inutile, la sua utilità nella finanza diminuirà e gli attori di mercato cercheranno di sbarazzarsene. Tuttavia questo può solo ammorbidire la caduta; la dipendenza della finanza da asset sicuri è incorporata nel sistema ed è difficile vedere come si possa rimuoverli senza far crollare l'intera struttura. Questo è un problema per il sistema finanziario e non per l'economia nel suo insieme.
Infatti è un gradito vantaggio l'eliminazione del debito, cosa che significherà anche la fine della finanziarizzazione e il ritorno a forme più solide di intermediazione del credito. La crisi sarà principalmente finanziaria, poiché l'offerta di capitale reale non sarà cambiata. Infatti, come abbiamo già sottolineato, l'eliminazione del capitale fittizio aumenterà i tassi di risparmio e porterà ad una maggiore formazione di capitale, parte del quale sarà disponibile per la ricostituzione del sistema finanziario su linee più solide.
Conclusione
Questo saggio ha esaminato la questione del debito pubblico in base ai punti di vista più importanti. Abbiamo scoperto che si tratta di un'atrocità etica, che è un fardello economico e che sostiene un sistema finanziario malsano. La conclusione non può che essere che il debito pubblico non serve al bene comune; è un'imposizione su tutta la società, e in particolare sui suoi membri più produttivi, a vantaggio di politici e speculatori finanziari irresponsabili che si credono titolari di un bene “privo di rischi”.
Il debito pubblico, come disse Mises, "è un elemento estraneo ed inquietante nella struttura di una società di mercato". Il fatto che la finanza moderna sia uno dei principali beneficiari della sua esistenza non cambia questo fatto; mostra solo quanto sia lontano il sistema finanziario dal suo ruolo in una società libera. Dopo aver esaminato la questione in ogni modo e trovato positivo il default sovrano, liberiamoci del debito pubblico, una volta per tutte. Non si tratta semplicemente del fatto che sia troppo alto, o che le tasse e l'inflazione utilizzate per sostenerlo siano troppo onerose. La cosa davvero importante è l'abuso che se ne fa!
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
La situazione economica attuale è praticamente una riedizione di quella degli anni '70, dove prima Arthur Burns e poi William Miller, fecero sprofondare l'economia americana in una deflagrazione di inflazione dei prezzi sulla scia della manipolazione dei tassi d'interesse e dello stock monetario (ormai privo di qualsiasi ancoraggio con la realtà). Oggi non c'è alcun Paul Volcker a salvare la baracca. Perché? Perché non esiste una exit strategy appropriata e convincente dalla trappola "Inflate or die" in cui è finito il sistema bancario centrale del mondo. Ma questa è una inevitabile conseguenza quando si distorce artificialmente la natura del denaro, disarcionandolo dalla realtà e rendendolo uno strumento per dividere gli individui. E per la legge delle conseguenze non intenzionali, la pianificazione centrale più cerca di sopravvivere più si scava la fossa.
RispondiEliminaInfatti la natura divisoria del denaro fiat non fa altro che creare confusione all'interno dei mercati, i quali non segnalano più genuinamente le informazioni vitali affinché la produzione possa continuare lungo linee sostenibili. L'attuale aumento dei prezzi delle commodity è solo l'inizio, visto che la maggior parte delle imprese sta lavorando ancora con i prezzi dello scorso autunno-inverno. Ma man mano che le scorte si esauriranno l'effetto sui prezzi alla produzione diventerà significativo, percolando poi nel resto dell'economia. Diversamente dagli anni '70, però, la capacità di bilancio della maggior parte dei settori dell'economia è satura, quindi le zone cuscinetto su cui poter far affidamento e mandare avanti ancora un po' il gioco della ZIRP sono praticamente assenti.