Bibliografia

venerdì 30 aprile 2021

L'economia e l'etica di un default sovrano

 

 

di Kristoffer Mousten Hansen

Il problema della spesa pubblica in deficit e del conseguente debito pubblico rappresenta una sfida per la maggior parte delle economie moderne. Alcuni stati, come la Germania, con una reputazione di austerità fiscale, operavano con avanzi di bilancio e debito in calo, ma questo prima che il coronavirus fornisse una scusa per estendere in modo massiccio i loro poteri e aumentare la spesa. Ora sembra che tutte le nazioni dovranno sostenere il pesante carico di estinguere enormi debiti pubblici contratti nel perseguimento di politiche distruttive. Il debito pubblico netto medio, cioè il debito non dovuto a qualche agenzia statale, delle economie avanzate ha superato il 96% del PIL nel 2020 e non ci sono segni che gli stati smetteranno di indebitarsi.

Fonte: FMI. La linea piatta per gli Stati Uniti prima del 2000 è un periodo senza dati.

In tutta Europa è sempre più diffusa la sensazione che i debiti pubblici non siano altro che un peso e debbano essere cancellati. Più di recente un gruppo di economisti ha pubblicato un manifesto suggerendo che il debito pubblico detenuto dalla Banca Centrale Europea (attualmente €2.500 miliardi) debba essere cancellato. Questo manifesto è semplicemente un appello camuffato per il finanziamento inflazionistico di progetti di sinistra: non solo la BCE dovrebbe cancellare i debiti dei vari stati, ma questi ultimi dovrebbero anche impegnarsi a spendere un importo equivalente per un "piano di ripresa sociale ed ecologico". Sebbene la fonte di finanziamento per questa spesa non sia specificata, deve essere presa in prestito e l'unica istituzione disposta e in grado di prestare tali importi è la BCE.

Il mio obiettivo in questo saggio non è criticare i suggerimenti degli autori del manifesto, per quanto piacevole possa essere un compito del genere, ma di indagare seriamente sul problema del debito pubblico e in particolare sulle conseguenze di un default. Cosa significherebbe per l'economia se venisse cancellato non solo il debito nei confronti della banca centrale, ma scomparisse tutto? Non sto rivelando troppo se ora dico che, come Peter Klein e J. R. Hummel, un default sovrano sarebbe un grande vantaggio per l'economia a lungo termine.

L'idea di risolvere il problema del debito attraverso il default è generalmente considerata estrema da tutte le persone rispettabili. Secondo loro, ci sono solo due soluzioni alternative: utilizzare l'inflazione per distruggere il valore reale del debito o introdurre riforme economiche che portino ad un aumento delle entrate fiscali, che a loro volta rendono gestibile il pagamento del debito. Gli autori del manifesto europeo hanno quindi il merito di aver sollevato l'idea del ripudio del debito.

Prima di passare alla questione degli effetti economici di un default sovrano, dobbiamo prima prendere in considerazione il lato etico delle cose. Gli economisti sono restii ad accettarlo, ma tutte le proposte politiche sono intrinsecamente normative. Sarebbe moralmente giustificabile, in linea di principio, che gli stati andassero in default?


L'etica del ripudio del debito pubblico

Ripudiare il debito pubblico sembrerebbe essere l'apice della condotta immorale. Dopo tutto, il mutuatario non ha volontariamente promesso la sua persona, proprietà e sacro onore nel sostenere il debito? Come può un uomo voltare le spalle ad un tale impegno senza provare vergogna? E anche se fosse inadempiente, i creditori non avrebbero una giusta pretesa nei confronti della sua proprietà? L'essenza della giustizia è rendere a ciascuno il proprio (suum cuique tribuere) e poiché il debito è dovuto ai creditori, sarebbe immorale, un peccato contro la giustizia, rifiutarsi di pagarlo.

Al contrario, sebbene diffusa, tale opinione si basa sull'accettazione dell'equivoco di base che tutti gli stati usano per giustificare il proprio potere: lo stato è un'istituzione sociale legittima al pari di altre istituzioni, la più eminente di tutte le istituzioni e di conseguenza le sue rivendicazioni e promesse non sono solo legittime ma lo sono ad un livello superiore. Quando lo stato chiede qualcosa ai cittadini, questi sono tenuti ad obbedire; quando fa una promessa ai suoi creditori, lega non solo sé stesso, ma tutti i cittadini. Questo però non è vero: i cittadini sono sudditi dello stato e costretti a questo rapporto; non sono i suoi sponsor, mandanti o beneficiari. Anche se praticamente tutti i cittadini ad un certo punto traggono vantaggio dallo stato, questo non cambia il fatto fondamentale che lo stato è un'imposizione violenta su tutti (non è volontario e non si basa solo sui diritti di proprietà o su altre rivendicazioni legittime).

Murray Rothbard nel suo pezzo sul ripudio del debito, pubblicato per la prima volta nel 1992, enuncia in dettaglio gli errori coinvolti nel trattare il debito pubblico come se fosse la forma più sacra di debito privato. Dice Rothbard:

Le due forme di transazione del debito [debito pubblico e privato] sono totalmente diverse. Se prendo in prestito denaro da una banca, stipulo un contratto per trasferire il mio denaro ad un creditore in una data futura; in un certo senso, a quel punto è il vero proprietario del denaro e se non pago lo sto derubando della sua giusta proprietà. Ma quando lo stato prende in prestito denaro, non garantisce il proprio denaro; le proprie risorse non vengono messe in gioco. Lo stato non impegna la propria vita, fortuna e sacro onore per ripagare il debito, ma il nostro.

La santità del contratto, in altre parole, è un principio fondamentale di giustizia, ma non si applica alle promesse di pagamento dello stato. Infatti esso non promette di pagare: qualunque politico sia in carica al momento, dice ai suoi potenziali creditori "Prestaci i soldi adesso e noi promettiamo di farli ripagare agli altri". In nessun momento viene chiesto ai cittadini il loro consenso ed è quindi difficile vedere come potrebbero essere vincolati ad un contratto stipulato da altre persone. Trattandosi infatti di un contratto concluso con l'esplicito scopo di privarli della loro proprietà, è difficile vedere come possa essere considerata una transazione valida.

Una possibile obiezione qui potrebbe essere che lo stato ha la responsabilità del benessere pubblico e che mentre i cittadini non hanno acconsentito ai prestiti, sono tutti beneficiari dei beni pubblici forniti con l'aiuto di tali prestiti. Anche così non è ancora chiaro come una persona possa essere vincolata dal contratto, ma per ora lasciamo da parte questa questione. Inoltre non è affatto chiaro come lo stato sia necessario per provvedere al bene comune di tutta la società, soprattutto perché è stato dimostrato teoricamente ed empiricamenteche che le funzioni più elementari tradizionalmente attribuite allo stato, dal mantenimento della pace alla giustizia, possono essere altrettanto fornite in una società completamente libera senza alcun monopolista coercitivo. Comunque non approfondiremo ulteriormente questa questione qui. Tutto quello che ci chiederemo è: gli stati hanno contratto debiti per il bene comune di tutti? La risposta dovrebbe essere ovvia: hanno preso in prestito denaro per combattere guerre, finanziare progetti di opere pubbliche non più utili delle piramidi e per salvare/arricchire i loro clientes nel mondo della finanza. Gli stati hanno utilizzato denaro preso in prestito per corrompere i cittadini con elemosine, ma nemmeno questo può essere considerato un atto per il bene comune; soprattutto non quando suddette elargizioni hanno semplicemente lo scopo di mascherare le conseguenze della distruzione dell'economia e della società durante lo scorso anno. In ogni caso, il panem et circenses (l'equivalente moderno degli assegni governativi) non possono essere definiti bene comune, ma sono beni piuttosto particolari.

Se i creditori dello stato non hanno alcun diritto su chi paga le tasse, hanno invece un diritto sullo stato, cioè sui beni di proprietà dello stato? In alcuni casi la risposta potrebbe essere sì. Chi ha investito nel debito pubblico sapendo esattamente cosa stava facendo non può avere alcuna pretesa; anzi la domanda è se dovrebbero essere considerati complici del reato di tassazione, poiché ne beneficiano chiaramente (ad esempio, i primary dealer nel contesto statunitense). Ma la persona media che, forse ingannata dalla propaganda statale, ha acquistato un titolo di stato pensando che fosse un uso innocente del suo denaro, può avere una rivendicazione legittima. Ancor di più, i fondi pensione sottoposti a pressioni per investire in titoli di stato e le banche costrette a farlo per conformarsi ai requisiti patrimoniali hanno un legittimo diritto ad un risarcimento, non da parte del contribuente, ma da parte dello stato. Il problema qui è che c'è un grande gruppo di persone con una rivendicazione ancora migliore, vale a dire, la grande massa di contribuenti oppressi. Queste persone, i produttori a lungo espropriati coattamente della ricchezza reale, possono vantare una richiesta di risarcimento migliore rispetto ai detentori del debito pubblico. Per una questione di rigorosa giustizia, qualsiasi reclamo che i creditori di uno stato in bancarotta potrebbero presentare dovrebbe attendere il risarcimento dei contribuenti. Qualunque patrimonio rimanesse potrebbe poi essere diviso tra loro.

Sarebbe quindi giusto ripudiare il debito. Infatti è ingiusto continuare a pagare interessi su di esso, poiché ogni pagamento è un trasferimento coatto dai contribuenti ai creditori dello stato. Prima di concludere che lo stato debba andare in default, dobbiamo prendere in considerazione anche gli effetti economici del default. Se questi fossero devastanti, dopotutto, la prudenza potrebbe suggerire che sarebbe meglio subire l'ingiustizia del debito piuttosto che assistere ad un deterioramento sociale che potrebbe derivare dalla sua abolizione.


La natura del debito pubblico

Le persone che detengono debito pubblico inseriranno tale debito tra i loro attivi, insieme ad altri asset finanziari. Il debito pubblico, quindi, sembra che faccia parte del capitale delle persone investito in attività produttive, e dal punto di vista del singolo investitore è proprio così. Gli investitori non guardano necessariamente per cosa vengono utilizzati i loro fondi quando effettuano un investimento. Sono concentrati sulla sicurezza del loro capitale e sul rendimento atteso. Tuttavia l'economista ha una visione diversa del credito e può distinguere due tipi generali di investimento: credito al consumo e credito alla produzione.

Il credito al consumo è un prestito concesso al fine di un consumo presente. Il capitale risparmiato viene così distrutto o trasformato in beni di consumo durevoli come case e automobili. Il credito alla produzione, invece, viene prestato agli imprenditori che desiderano espandere la propria produzione. Se gli imprenditori hanno successo, il risultato è un allungamento della struttura della produzione e un aumento della produttività generale dell'economia. Entrambi i tipi di prestito devono essere rimborsati con il reddito attuale. Gli imprenditori, se hanno successo, rimborsano i prestiti con l'aumento delle entrate, reso possibile dall'investimento aggiuntivo, mentre i consumatori devono ridurre i loro risparmi e consumi per rimborsare i prestiti. Il credito alla produzione porta quindi ad un accumulo di capitale aggiuntivo e ad una maggiore produttività e ricchezza per tutta la società, mentre il credito al consumo riduce la quantità di capitale per gli investimenti produttivi al di sotto di quanto sarebbe stato altrimenti. Il credito al consumo è una forma di consumo di capitale, in altre parole.

Quando si tratta di valutare il debito pubblico, la domanda è se si tratti di una forma di credito alla produzione o di credito al consumo. Murray Rothbard sosteneva che tutta la spesa pubblica, compreso quello che viene chiamato investimento statale, è in realtà nella migliore delle ipotesi una forma di spesa per consumi. Anche se potrebbe sembrare che la spesa pubblica per beni immobili, come dighe o strade, costituisca una sorta di investimento, in realtà non è così:

In qualsiasi tipo di economia, i beni capitali sono costruiti non per quanto possano fare bene all'investitore, ma per usarli e produrre beni di ordine inferiore e, infine, di consumo. In breve, una caratteristica di una spesa per investimenti è che il bene in questione non viene utilizzato per soddisfare i bisogni dell'investitore, ma di qualcun altro: il consumatore. Tuttavia quando lo stato confisca risorse all'economia privata, non fa altro che distruggere i desideri dei consumatori; quando lo stato investe in un bene, lo fa per servire i capricci dei funzionari statali, non i desideri dei consumatori. Pertanto nessuna spesa pubblica può essere considerata un vero "investimento" e nessun patrimonio di proprietà dello stato può essere considerato capitale.

L'investimento statale, conclude Rothbard, deve quindi essere considerato una forma di consumo, e per di più una forma di consumo anti-produttiva. Questo è vero anche per le spese inizialmente finanziate da prestiti allo stato, poiché il rimborso di tali prestiti dipende invariabilmente dalle entrate fiscali future, non dall'impiego produttivo di "beni" statali.

Dobbiamo quindi concludere che il debito pubblico è una sorta di prestito al consumo contratto per finanziare la spesa per consumi di politici e burocrati. Ripudiarlo non interferisce e non scompone la struttura produttiva della società. Al contrario, poiché i contribuenti non dovranno più pagare le tasse per finanziare il debito, avranno redditi netti più elevati e più fondi disponibili per gli investimenti di quanto sarebbe altrimenti. Mentre il debito pubblico appare come capitale agli investitori che lo detengono, è chiaro che non si tratta di capitale reale, ma piuttosto di un diritto sulla presa forzata di risorse da cittadini produttivi. Possiamo forse appropriarci di un termine marxista e chiamare i titoli di stato "capitale fittizio" per sottolineare il fatto che non fanno parte della struttura produttiva del capitale della società, ma in realtà la deteriorano.

Un effetto immediato del default di uno stato sarà quindi un aumento dell'accumulo reale di capitale, sebbene l'eliminazione del debito pubblico possa dare alle persone l'impressione che i loro risparmi personali, nella misura in cui sono stati investiti in titoli di stato, siano stati ridotti. Questa impressione non farà che rafforzare la tendenza all'accumulo di capitale, poiché il tasso di risparmio dipende in parte da quanto le persone hanno già risparmiato. Se i loro risparmi vengono ridotti dall'inadempienza dello stato, tenderanno a limitare il consumo corrente e ad aumentare il loro tasso di risparmio.

Un secondo effetto del default è che il rating del credito dello stato ne risente. Il debito pubblico è spesso considerato un investimento molto sicuro, ma quando uno stato va in default, la fiducia degli investitori viene gravemente scossa. Sarà quindi molto più difficile per uno stato inadempiente raccogliere fondi attraverso l'assunzione di prestiti in futuro, e potrà farlo solo ad un tasso d'interesse decisamente alto. Questo, ancora una volta, significa non solo che ci saranno meno fondi disponibili per la spesa pubblica, ma anche che sarà più probabile che i fondi extra resi disponibili per gli investimenti dall'atto di un default vengano investiti nel settore privato e non in nuove emissioni di obbligazioni sovrane.


Ripudiare il debito pubblico degli Stati Uniti

Il default di uno stato sarebbe quindi economicamente vantaggioso, ma come accadrebbe nel mondo reale? Prendiamo il caso del governo degli Stati Uniti. Secondo l'orologio del debito, il fardello degli Stati Uniti è di circa $28.000 miliardi. Con l'attuale PIL del 2020 a $20.930 miliardi, ciò significa un livello di indebitamento di circa il 133% del PIL. Gran parte di questo debito è dovuto a varie agenzie governative e può essere semplicemente cancellato; dopo tutto, il debito che il governo degli Stati Uniti deve a sé stesso è sia una sua passività che attivo. La cifra ufficiale per le partecipazioni intragovernative è di circa $6.000 miliardi, ma questo è in realtà un eufemismo. Sotto il titolo di "debito detenuto dal pubblico", il Government Accountability Office (GAO) elenca i governi statali e locali. A seconda della teoria costituzionale a cui si aderisce, questi governi sono creature del governo federale o il governo federale è stato creato dagli stati; in entrambi i casi si tratta chiaramente di una sorta di holding intragovernativa. Nell'anno fiscale 2019 i governi statali e locali detenevano il 6% dei $16.800 miliardi detenuti "dal pubblico" in quel momento, o circa $1.000 miliardi. È improbabile che da allora abbiano aumentato le loro partecipazioni e penso sia ragionevole presumere che non le abbiano ridotte.

La voce molto più grande nascosta sotto il debito "detenuto dal pubblico" è il debito detenuto dalla Federal Reserve. Anche se sì, è vero che le banche Federal Reserve sono di proprietà delle banche membri private, in fin dei conti è semplicemente una facciata. La Federal Reserve è chiaramente un'agenzia creata dal governo USA, il cui consiglio di amministrazione è nominato dal governo federale e che ha il compito di gestire la politica monetaria per conto del governo USA. Potrebbe essere formalmente privata, ma in realtà la Federal Reserve è un'agenzia governativa. Il debito detenuto dal sistema dovrebbe quindi aggiungersi alle partecipazioni intragovernative che in linea di principio possono essere semplicemente cancellate. L'11 febbraio la Federal Reserve deteneva quasi $4.800 miliardi di debito pubblico degli Stati Uniti, il risultato della monetizzazione dell'enorme deficit del 2020 oltre al debito accumulato attraverso i vari cicli di quantitative easing precedenti.

Nel complesso, quindi, $11.800 miliardi sono detenuti da agenzie governative e governi statali e possono essere semplicemente cancellati. Il debito reale detenuto dal pubblico è "solo" $16.200 miliardi, o circa il 77% del PIL. L'eliminazione di questo debito rappresenterà ancora un enorme shock per il sistema. Le famiglie e le organizzazioni non profit statunitensi possedevano $98.700 miliardi in asset finanziari nel terzo trimestre del 2020. Ignorando i $6.800 miliardi di proprietà degli stranieri, il ripudio significherebbe una riduzione di $9.400 miliardi di asset finanziari dei cittadini statunitensi o un calo di circa il 10%. Tutto ciò presuppone che le valutazioni di altri asset finanziari non siano influenzate dal ripudio, ma ciò è improbabile. L'incertezza che ne deriverà porterà, almeno nel breve periodo, ad un aumento dei tassi d'interesse e quindi ad un calo generale del valore degli asset finanziari, esacerbando l'impressione di un calo del risparmio.

Il risultato sarà, da un lato, che la maggior parte degli americani scoprirà che i propri risparmi sono notevolmente inferiori a quanto pensavano che fossero, ma, dall'altro, che l'eliminazione del pagamento degli interessi sul debito pubblico ridurrà l'onere per i contribuenti e renderà loro più facile aumentare i propri risparmi. Poiché è improbabile che le persone siano talmente sciocche da investire in titoli di stato, ciò significherà un aumento della disponibilità di capitale produttivo, un aumento della produttività e, in breve tempo, un aumento dei redditi reali della popolazione in generale.

Oltre al debito del governo federale, i governi locali e statali hanno anche accumulato un debito di $3.200 miliardi. Gli effetti del ripudio di questi debiti saranno simili. I benefici per i contribuenti saranno maggiormente concentrati negli stati e nei comuni più fortemente indebitati, ma l'eliminazione del capitale fittizio avrà gli stessi effetti sull'economia nel suo complesso.


Default sovrano e privatizzazione

Il ripudio del debito metterà a repentaglio i redditi dei pensionati, troppo vecchi e fragili per ricongiungersi alla forza lavoro produttiva, dal momento che i fondi pensione privati ​​e le compagnie di assicurazione hanno investito pesantemente in titoli di stato. Ciò è particolarmente vero per quelle giurisdizioni in cui i lavoratori sono costretti ad avere i propri risparmi in specifici fondi pensione. Cedere la proprietà di asset statali, ciò che Rothbard chiama asset di scarto, ai fondi pensione mitigherebbe l'impatto sui pensionati e aumenterebbe la quantità di beni di produzione disponibili per l'occupazione produttiva.

Questa possibilità è di particolare importanza per il Giappone ed i Paesi europei. Il debito pubblico giapponese è uno dei più alti tra i Paesi sviluppati, con quasi il 177% del PIL secondo il Fondo monetario internazionale (FMI). È inoltre detenuto principalmente da investitori e fondi pensione giapponesi. I benefici di un default saranno quindi ancora maggiori in Giappone che negli Stati Uniti, ma se il ripudio non deve significare indigenza per molti anziani, i fondi pensione dovranno essere compensati con beni statali. In questo contesto sarà essenziale la privatizzazione dei beni pubblici come parte del default. Questo vale anche per i Paesi europei, sebbene i livelli del debito europeo non siano così elevati come in Giappone.

Il default statale ridurrà le tasse sui membri produttivi della società ed eliminerà il capitale fittizio. In quanto tale, è una situazione chiaramente vantaggiosa. Le persone che hanno investito molto in titoli di stato rischiano di subire perdite, ma questo può essere mitigato trasferendo gli asset statali agli obbligazionisti. Se debba essere così mitigato è una questione etica; chi è costretto a detenere obbligazioni tramite la propria pensione non è certo collaboratore del male e può ragionevolmente essere considerato spettatore innocente. Non si può quindi escludere un risarcimento per il mancato guadagno per motivi morali e la prudenza può imporre una qualche forma di privatizzazione della proprietà statale per garantire che i pensionati non siano lasciati indigenti. La nostra analisi etica chiarisce che il risarcimento può essere legittimamente pagato solo agli obbligazionisti che sono spettatori innocenti, per così dire. Coloro che hanno consapevolmente investito nel debito pubblico non possono avere diritto ad un risarcimento. Determinare esattamente chi dovrebbe essere considerato un complice dello stato e chi uno spettatore innocente è una questione pratica da determinare in ogni situazione particolare.

L'analisi economica del ripudio si applica al debito pubblico a tutti i livelli ed a tutti i Paesi. La questione centrale non è quanto è grande lo stato o quanto sia in debito, ma piuttosto se il debito è finanziato dalle tasse. In tal caso ripagare il debito pubblico, invece di ripudiarlo, è di fatto distruttivo per la ricchezza reale.

Finora non ho menzionato gli effetti del ripudio del debito sui mercati finanziari e sul sistema monetario. L'ortodossia finanziaria moderna vuole che i mercati abbiano bisogno di un asset "sicuro" e che gli stati siano incaricati di fornire tali asset sotto forma di obbligazioni prive di rischio. Se i mercati finanziari venissero improvvisamente privati ​​dei titoli di stato, ne deriverebbero dei problemi. Data la popolarità di tale pensiero, così come l'importanza dei titoli di stato nella finanza moderna, non possiamo concludere la nostra tesi a favore di un default sovrano senza esaminare anche queste argomentazioni.


Il ruolo del debito pubblico nel settore imprenditoriale

L'uso più frequente del debito pubblico nella finanza, in particolare del debito a breve termine, è da parte delle aziende, che lo detengono perché lo considerano un asset sicuro e altamente liquido. Detenendo titoli statunitensi invece di denaro, possono risparmiare sulla necessità di liquidità e guadagnare un piccolo ritorno sulle loro partecipazioni. Li considerano un mezzo di scambio secondario, come li definiva Mises, o "quasi denaro" come invece diceva Rothbard. Come spiega Mises:

Chi possiede uno stock di merci con un alto grado di commerciabilità secondaria [cioè, liquidità] è in grado di limitare la sua detenzione di liquidità propriamente detta. Può aspettarsi che, quando un giorno gli sarà necessario aumentare la sua disponibilità liquida, sarà in grado di vendere senza indugio suddette merci con un alto grado di commerciabilità secondaria al prezzo più alto ottenibile sul mercato [...]. L'entità della liquidità e le spese sostenute per mantenerla possono essere ridotte se sono disponibili merci producenti reddito con un alto grado di commerciabilità secondaria.

Il "quasi denaro" non è usato in cambio di altri beni e questo va sottolineato. È principalmente detenuto dalla tesoreria di una società al posto del denaro in modo da guadagnare un piccolo ritorno sui pagamenti delle cedole o sull'apprezzamento previsto. Quando c'è necessità di fondi, i titoli di stato statunitensi e altri tipi di "quasi denaro" vengono venduti per denaro e quest'ultimo viene quindi utilizzato in normali transazioni commerciali.

Il motivo per cui i titoli di stato statunitensi vengono utilizzati in questo modo è duplice: il mercato per loro è molto liquido e sono considerati un investimento molto sicuro o privo di rischi. In questi giorni, tuttavia, il mercato profondo dei titoli di stato statunitensi è in gran parte un'illusione. Come sottolineato in precedenza, circa il 40% del debito pubblico degli Stati Uniti è dovuto a varie agenzie governative, dalla Federal Reserve ai governi locali. È giusto dire che, a questo punto, il mercato dei titoli di stato USA è liquido solo perché la Federal Reserve è pronta a comprarli tutti. A questo punto i banchieri centrali stanno discutendo apertamente questo aspetto delle loro operazioni: la banca centrale deve agire come "market maker di ultima istanza", il che significa, in pratica, che i prezzi delle obbligazioni non possono mai e poi mai scendere.

Il fatto che i titoli di stato USA siano considerati privi di rischio è chiaramente collegato alla loro elevata liquidità, poiché sicurezza in questo senso significa semplicemente essere sempre in grado di venderli al prezzo che ci si aspetta. È anche chiaro che questo tipo di sicurezza non esiste nel mondo reale in costante cambiamento. Ciò che affermano coloro che li definiscono privi di rischio è essenzialmente che le persone hanno il diritto di godere di un reddito stabile e sicuro, e che è compito dello stato fornire un asset generatore di reddito libero dalle leggi del mercato. Mises descrisse questo punto molto tempo fa:

Lo Stato, questa nuova divinità dell'era nascente della statolatria, questa istituzione eterna e sovrumana fuori dalla portata delle fragilità terrene, offre al cittadino l'opportunità di mettere al sicuro le sue ricchezze e di godere di un reddito stabile protetto da tutte le vicissitudini [...]. Colui che investe i suoi fondi in obbligazioni sovrane emesse dallo stato e dalle sue suddivisioni non è più soggetto alle leggi ineludibili del mercato e alla sovranità dei consumatori [...]. Non è più un servitore dei suoi concittadini, soggetti alla loro sovranità; è un partner dello stato che governa il popolo e chiede loro tributi.

Il fatto che le società, e non semplicemente un'élite di redditieri parassiti, siano state indotte dallo stato ad utilizzare obbligazioni sovrane per le loro esigenze di liquidità non cambia l'analisi di Mises. È ancora una pretesa assurda pensare che esista una cosa come un asset privo di rischio, per non parlare del fatto che se ne abbia diritto o che il funzionamento del mercato dipenda da esso.

L'unico modo in cui i titoli di stato possono essere giudicati come asset privi di rischio è se la banca centrale è pronta ad acquistarli con denaro dal nulla. Gli economisti socialdemocratici se ne rendono conto e non fanno mistero di chi beneficia realmente dello status privo di rischio delle obbligazioni sovrane: lo stato stesso. Come scrive l'economista tedesco Fabian Lindner: "Solo quando i titoli di stato saranno sufficientemente a prova di insolvenza che gli investitori presteranno denaro agli stati a tassi d'interesse bassi. Solo allora gli stati potranno aumentare la spesa [...]".

I socialisti hanno un partner improbabile nella loro ricerca di obbligazioni prive di rischio: ciò che noi con un'espressione un po' datata possiamo chiamare alta finanza.


Debito pubblico e finanza

In quest'epoca di mercati iper- finanziarizzati, l'uso del debito pubblico è fondamentale per il funzionamento delle istituzioni finanziarie. In quanto garanzia di altissima qualità utilizzata nelle operazioni di riacquisto, i titoli di stato sono un ingrediente essenziale nel funzionamento dei moderni mercati dei pronti contro termine.

I pronti contro termine sono essenzialmente prestiti garantiti e altamente liquidi. In caso di pronti contro termine aperti o con scadenza giornaliera, il prestito può essere rimborsato il giorno stesso. È in corso un dibattito sull'opportunità di considerare le operazioni di pronti contro termine come una forma di sostituti del denaro, un punto sostenuto da Gabor e Vestergaard, ma per gli scopi attuali non è necessario risolvere questa diatriba. I pronti contro termine, anche se sono solo una forma di "quasi denaro", sono comunque asset molto liquidi e molto ricercati.

Tuttavia il legame tra titoli di stato e pronti contro termine è più profondo: lo stesso titolo può essere utilizzato più volte nelle operazioni di pronti contro termine, il che significa che l'offerta di pronti contro termine è un multiplo dei titoli che fungono da garanzia. Pertanto è comprensibile il motivo per cui gli investitori si lamentano della "carenza" di debito pubblico: non solo è considerato un asset privo di rischi in sé, ma può essere utilizzato per generare un flusso infinito di tali asset.


Gli effetti finanziari e monetari del default

Questa breve panoramica dovrebbe essere sufficiente per rendere evidente l'importanza finanziaria dei titoli di stato. Dal momento che nessuno, nel nostro attuale sistema inflazionistico, vuole tenere più denaro di quanto deve, le società e le istituzioni finanziarie detengono invece "quasi denaro" di diverso tipo nelle loro tesorerie. La confusione tra denaro ed asset altamente liquidi è così grande che i gestori finanziari chiamano abitualmente "contanti" le loro partecipazioni in titoli di stato. Non è solo una questione di pedanteria, poiché c'è una differenza molto grande tra il denaro contante, da un lato, e gli asset che devono essere venduti prima che i proventi possano essere utilizzati dall'altra. In circostanze normali è probabile che i mercati siano liquidi e non vi è alcun problema a realizzare le proprie disponibilità in titoli. Ma è proprio quando è probabile che uno abbia maggiormente bisogno delle proprie riserve di liquidità (cioè, in una crisi finanziaria) che i mercati diventeranno illiquidi ed i prezzi scenderanno. La dipendenza dal "quasi denaro" è quindi uno dei tratti distintivi del fragile sistema finanziario moderno e uno dei motivi per cui questo sistema cesserebbe di funzionare se le banche centrali non fossero sempre pronte ad intervenire come market maker di ultima istanza.

Quali sarebbero le conseguenze se il debito pubblico venisse ripudiato e l'offerta di titoli emessi dallo stato scomparisse? Se accadesse da un giorno all'altro, senza preavviso, è chiaro che ne deriverebbe una grave carenza di liquidità. Non solo i titoli di stato stessi diventerebbero privi di valore, ma anche tutti i pronti contro termine da essi sostenuti. Molte istituzioni finanziarie dovrebbero quindi affrontare una forte riduzione dei loro bilanci.

Questo non è così diverso da quello che abbiamo già descritto sopra: le persone si svegliano scoprendo che i loro titoli di debito pubblico sono solo "capitale fittizio". Tuttavia l'eliminazione di una grande classe di "quasi denaro"a ha più conseguenze: poiché tali asset si detengono per la loro liquidità, il risultato della loro scomparsa sarà una corsa alla liquidità. La domanda di denaro e per altri tipi di "quasi denaro" aumenterà, mentre gli attori di mercato tenteranno di ricostituire le tesorerie della loro società. Questa domanda supplementare si tradurrà in una calo dei prezzi su tutta la linea e in un aumento dei tassi d'interesse, poiché la domanda di beni presenti (il denaro) aumenta bruscamente.

Il caos che rischia di diffondersi nei mercati finanziari sarà solo mitigato in qualche modo annunciando in anticipo che un default sovrano è imminente. Man mano che diventa più certo che il debito diventerà inutile, la sua utilità nella finanza diminuirà e gli attori di mercato cercheranno di sbarazzarsene. Tuttavia questo può solo ammorbidire la caduta; la dipendenza della finanza da asset sicuri è incorporata nel sistema ed è difficile vedere come si possa rimuoverli senza far crollare l'intera struttura. Questo è un problema per il sistema finanziario e non per l'economia nel suo insieme.

Infatti è un gradito vantaggio l'eliminazione del debito, cosa che significherà anche la fine della finanziarizzazione e il ritorno a forme più solide di intermediazione del credito. La crisi sarà principalmente finanziaria, poiché l'offerta di capitale reale non sarà cambiata. Infatti, come abbiamo già sottolineato, l'eliminazione del capitale fittizio aumenterà i tassi di risparmio e porterà ad una maggiore formazione di capitale, parte del quale sarà disponibile per la ricostituzione del sistema finanziario su linee più solide.


Conclusione

Questo saggio ha esaminato la questione del debito pubblico in base ai punti di vista più importanti. Abbiamo scoperto che si tratta di un'atrocità etica, che è un fardello economico e che sostiene un sistema finanziario malsano. La conclusione non può che essere che il debito pubblico non serve al bene comune; è un'imposizione su tutta la società, e in particolare sui suoi membri più produttivi, a vantaggio di politici e speculatori finanziari irresponsabili che si credono titolari di un bene “privo di rischi”.

Il debito pubblico, come disse Mises, "è un elemento estraneo ed inquietante nella struttura di una società di mercato". Il fatto che la finanza moderna sia uno dei principali beneficiari della sua esistenza non cambia questo fatto; mostra solo quanto sia lontano il sistema finanziario dal suo ruolo in una società libera. Dopo aver esaminato la questione in ogni modo e trovato positivo il default sovrano, liberiamoci del debito pubblico, una volta per tutte. Non si tratta semplicemente del fatto che sia troppo alto, o che le tasse e l'inflazione utilizzate per sostenerlo siano troppo onerose. La cosa davvero importante è l'abuso che se ne fa!


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 29 aprile 2021

In Endgame Thanos passa dall'essere malthusiano all'essere rivoluzionario

 

 

di Jordan J. Ballor

Dopo il secondo fine settimana in cui è uscito, i registi di Avengers: Endgame hanno dichiarato che gli spoiler sono concessi, quindi è tempo di riprendere da dove avevamo lasciato ed esplorare lo sviluppo del malvagio Thanos da Infinity War a Endgame.


Il punto di vista neo-malthusiano di Thanos

Come ho già avuto modo di dire, il punto di vista di Thanos in Infinity War è neo-malthusiano:

La sua adesione dogmatica al credo neo-malthusiano richiede che egli compia un sacrificio, prima della sua stessa figlia e poi della metà dell'intero cosmo.

Ma in Endgame Thanos scopre che quelli rimasti dopo lo schiocco di dita non lo acclamano come un salvatore, come qualcuno che si è sobbarcato l'onere di fare il lavoro sporco e che dovrebbe quindi essere lodato. Invece continuano a resistere, anche anni dopo. Così Thanos si adegua: niente più mezze misure. La sua misericordia nell'eliminare metà del cosmo era un difetto.

Invece, dice Thanos, deve rifare tutto l'universo da zero. Coloro che ricordano il modo in cui le cose andavano e tenevano a coloro che sono morti, non sarebbero mai in grado di accogliere la nuova normalità. Quindi, invece di sbarazzarsi di metà degli esseri viventi, Thanos decide di voler usare il Guanto dell'Infinito per creare un mondo ed un ordine completamente nuovi.


Ciò che è vecchio è ora di nuovo nuovo

Proprio come il Thanos di Infinity War che universalizza la visione neo-malthusiana, il Thanos di Endgame universalizza una visione rivoluzionaria del mondo. Qui possiamo pensare alla "nuova umanità" promessa da Rousseau e Marx, un'umanità liberata dalle catene del passato e dalle costrizioni della civiltà. Se il Thanos di Infinity War è una specie di Paul Ehrlich cosmico, allora il Thanos di Endgame è una specie di Stalin cosmico.

Come dice Lester DeKoster in Communism & Christian Faith:

È inconcepibile come un marxista che abbia vissuto prima e durante la rivoluzione possa entrare in una società senza classi. Come potrebbe accettare il "nuovo uomo" al posto di quello che era stato formato da tutte le tensioni della lotta di classe? E se introducesse nella nuova società una delle vestigia del passato, diventerebbero germi da cui potrebbe svilupparsi ancora una volta il male.

Questa è la verità che realizza il Titano impazzito in Endgame e si impegna ad essere l'artefice di un mondo completamente nuovo, in cui tutte le vestigia di quello antico, della sua gente, della sua storia, dei suoi ricordi, vengono sradicati. Almeno Thanos salta altre mezze misure, come i gulag ed i ​​campi di rieducazione. E, ahimè, ciò che è vecchio viene fatto passare per nuovo per l'ennesima volta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

 

mercoledì 28 aprile 2021

L'ennesima rivista medica mette in guardia dalle conseguenze devastanti delle mascherine

 

 

di Jeffrey Tucker & Jenin Younes

Il fatto che le mascherine siano solo un dogma è stato illustrato dalla risposta di Anthony Fauci alla situazione in Texas, stato che ha abrogato l'obbligo di mascherine e ha visto i nuovi casi precipitare. Alla domanda di spiegare questo risultato, Fauci ha risposto: "Non sono proprio sicuro [...]. Potrebbe essere che stiano facendo cose all'aperto". Ha rifiutato anche di prendere in considerazione il fatto che le mascherine non sono efficaci nel controllare la diffusione del coronavirus. In altre parole, la teoria secondo cui mascherarsi dovrebbe arrestare il virus sta diventando falsificabile.

I contenuti dell'AIER e di questo blog si sono concentrati principalmente sui lockdown, ma sono stati pubblicati e tradotti diversi pezzi sul tema mascherine:

La questione delle mascherine

I pericoli delle mascherine

Mascheramento: un'attenta revisione delle prove

Mascherare i bambini: tragico, antiscientifico e dannoso

La non scientificità dietro l'utilizzo delle mascherine

Un anno di travestimenti

La questione delle mascherine sta acquisendo importanza sia in termini di scientificità che di preoccupazioni per la libertà e la funzione sociale. In primo luogo, ci sono crescenti richieste di indossare la mascherina come componente permanente della nostra vita. Questo articolo, ad esempio, suggerisce che le mascherine dovrebbero essere adottate durante la stagione influenzale, i picchi nei casi di coronavirus e quando una persona è malata. In secondo luogo, una delle tante riviste collegate al National Institutes of Health, Medical Hypothesis, ha accettato la pubblicazione di un'analisi devastante sui danni causati dalle mascherine. La citazione è: Vainshelboim B. Facemasks in the COVID-19 era: A health hypothesis. Med Hypotheses. 2021;146:110411.

È vero, questa non è una rivista convenzionale ed è proprio per questo che esiste. È stata fondata sulla preoccupazione che osservazioni scientifiche valide che si discostano dalle tendenze predominanti non supererano il convenzionale processo di revisione tra pari, soprattutto quando una tesi è radicale o rompe lo status quo. La rivista, pubblicata dalla Elsevier Public Health Emergency Collection, ha un prestigioso comitato editoriale che utilizza standard elevati nella selezione del materiale per la pubblicazione e può fornire una casa per articoli scientifici non ortodossi. Infatti, dato lo stato di censura e la confusione scientifica sulla scia dei lockdown, tali riviste sono più che mai necessarie.

Questo articolo è stato scritto da un singolo autore, il che significa che una persona s'è messa in gioco assumendosi la responsabilità del suo contenuto. John Ioannidis ha dimostrato che una caratteristica degli studi problematici è che vengono eseguiti e riportati da grandi team di ricercatori piuttosto che da un singolo autore. Questo ha senso: grandi team possono distribuire la responsabilità delle affermazioni coinvolte. Ciò migliora, ma non prova, la credibilità della ricerca pubblicata dai singoli autori.

Il noto autore Baruch Vainshelboim lavora nella Divisione di Cardiologia, Veterans Affairs Palo Alto Health Care System/Stanford University, Palo Alto, CA, Stati Uniti, e ha avuto un'affiliazione con il Pulmonary Institute, Rabin Medical Center, Beilinson Hospital, Petach Tikva, Israele. Ha conseguito il dottorato di ricerca (Universidade do Porto) in fisiologia dell'esercizio clinico nella riabilitazione polmonare e quindi ha un forte interesse per il rapporto tra salute e mascherine.

Vale la pena leggere l'intero documento. Cita gli studi e le conoscenze più noti nella letteratura scientifica prima della primavera del 2020, inclusa l'OMS: "Le mascherine non sono necessarie, poiché non sono disponibili prove sulla loro utilità per proteggere le persone non malate".

L'autore prosegue spiegando una miriade di pericoli fisiologici associati all'uso della mascherina:

Oltre all'ipossia e all'ipercapnia, respirando attraverso la mascherina rimangono componenti batteriche e germi sullo strato interno ed esterno della mascherina. Questi componenti tossici vengono ripetutamente repressi nel corpo, provocando l'autocontaminazione. Respirare attraverso le mascherine aumenta anche la temperatura e l'umidità nello spazio tra la bocca e la mascherina, con conseguente rilascio di particelle tossiche dai materiali della mascherina stessa. Una revisione sistematica della letteratura ha stimato che i livelli di contaminazione da aerosol delle mascherine includevano da 13 a 202.549 virus diversi. Respirare aria contaminata con alte concentrazioni di particelle batteriche e tossiche insieme a bassi livelli di O2 e alti livelli di CO2 danneggiano continuamente l'omeostasi del corpo, causando auto-tossicità e immunosoppressione.

E alcuni danni psicologici delle mascherine:

Come descritto in precedenza, indossare mascherine causa uno stato ipossico ed ipercapnico che danneggia costantemente la normale omeostasi e attiva la risposta allo stress "combatti o fuggi", un importante meccanismo di sopravvivenza nel corpo umano. La risposta acuta allo stress include l'attivazione dei sistemi nervoso, endocrino, cardiovascolare e immunitario. L'attivazione della parte limbica del cervello, il rilascio degli ormoni dello stress (adrenalina, noradrenalina e cortisolo), i cambiamenti nella distribuzione del flusso sanguigno (vasodilatazione dei vasi sanguigni periferici e vasocostrizione dei vasi sanguigni viscerali) e l'attivazione della risposta del sistema immunitario (secrezione di macrofagi e cellule natural killer). L'incontro con persone che indossano mascherine attiva un'innata emozione stress-paura, fondamentale per tutti gli esseri umani in situazioni di pericolo, come la morte o un esito sconosciuto ed imprevedibile. Mentre la risposta acuta allo stress (da secondi a minuti) è una reazione adattativa e fa parte del meccanismo di sopravvivenza, lo stato cronico e prolungato di paura-stress è disadattivo e ha effetti dannosi sulla salute fisica e mentale. La risposta stress-paura ripetuta o continua fa sì che il corpo operi in modalità sopravvivenza, con un aumento sostenuto della pressione sanguigna, stato pro-infiammatorio e immunosoppressione.

E la conclusione:

Le evidenze scientifiche esistenti mettono in discussione la sicurezza e l'efficacia di indossare una mascherina come intervento preventivo per il COVID-19. I dati suggeriscono che le mascherine sia mediche che non mediche sono inefficaci per bloccare la trasmissione da uomo a uomo di malattie virali e infettive come il SARS-CoV-2. È stato dimostrato che indossare mascherine ha effetti fisiologici e psicologici avversi sostanziali. Questi includono ipossia, ipercapnia, mancanza di respiro, maggiore acidità e tossicità, attivazione della paura e risposta allo stress, aumento degli ormoni dello stress, immunosoppressione, affaticamento, mal di testa, declino delle prestazioni cognitive, predisposizione a malattie virali e infettive, stress cronico, ansia e depressione. Le conseguenze a lungo termine dell'uso di mascherine possono causare un deterioramento della salute, sviluppo e progressione di malattie croniche e morte prematura. Governi, politici ed organizzazioni sanitarie dovrebbero utilizzare un approccio basato su prove scientifiche per quanto riguarda l'uso delle mascherine, soprattutto quando queste ultime sono considerate un intervento preventivo per la salute pubblica.

Questo articolo rappresenta una nuova sfida alla posizione pro-mascherine. Si sostiene che non sono semplicemente un “talismano”, come il Journal of American Medical Association ha detto ad aprile 2020 (prima che gli autori fossero costretti a ritirare l'affermazione tre mesi dopo), la situazione è ben peggiore: le mascherine non sono solo inutili, ma danneggiano la salute individuale ed il benessere sociale.

A dire il vero, chiunque è libero di contestare le conclusioni, attaccare le note a piè di pagina, contestare l'interpretazione, o far saltare quella che è chiaramente un'ipotesi. Tuttavia gli editori della rivista hanno scelto di pubblicare questa prospettiva non convenzionale perché è coerente con un consenso in questo stesso periodo dell'anno scorso, prima che l'ortodossia cambiasse improvvisamente ed ignorasse le prove accumulate negli ultimi dodici mesi. Inoltre sostenere questa posizione oggi comporta un serio rischio professionale: il professore di comunicazione della NYU, Mark Crispin Miller, è finito sotto indagine per aver suggerito ai suoi studenti di pensare in modo critico alle mascherine; spronandoli a leggere studi che concludono che non sono un mezzo efficace per frenare la diffusione dei virus respiratori, così come studi che giungono alla conclusione opposta.

Il documento è stato pubblicato nel bel mezzo di uno sforzo congiunto da parte di Anthony Fauci, Joe Biden e altri per normalizzare e universalizzare l'uso delle mascherine, anche se molti stati ne stanno abrogando l'obbligo con il sostegno pubblico. Le prove che mascherarsi può aver avuto un qualche effetto sulla traiettoria del virus sono scarse nella migliore delle ipotesi. Lo studio più comunemente citato da parte del CDC trova una differenza dello 0,5% nella velocità di trasmissione su 20 giorni e dell'1,8% dopo 100 giorni. Più lungo è il tempo, più variabili ci sono in gioco; una correlazione estremamente debole tra due punti aumenta la credulità, soprattutto se usata per spingere un mascheramento generale della popolazione.

Inoltre molti aspetti della nostra cultura delle mascherine non sono plausibili, come l'idea che non si prende il Covid mentre si è seduti e si mangia e si può quindi essere smascherati; ma poi, magicamente, stare in piedi e camminare rappresenta un rischio e quindi richiede il mascherarsi. C'è bisogno di commentare poi quando la si indossa all'aperto o anche da soli durante un'escursione nel bosco?

Dato che il mascheramento di popolazioni sane per lunghi periodi di tempo è una nuova politica, è sbalorditivo che i media e le riviste scientifiche abbiano deciso nel giro di pochi mesi che l'efficacia di tale pratica non potesse essere messa in discussione o studiata, né i suoi effetti negativi discussi.

Chiunque pensi che la questione sia risolta dopo un anno di attuazione di un meccanismo che riduce apparentemente la diffusione della malattia, non capisce il significato della parola "scienza". La scienza è un processo mediante il quale vengono incorporate nuove informazioni e prove man mano che vengono scoperte. Anthony Fauci e Andrew Cuomo stanno sfruttando il termine "scienza" per dire alle persone che certe convinzioni non possono essere messe in discussione.

Non importa quante volte queste persone ripetano la parola "scienza", stanno promuovendo esattamente l'opposto: il dogma. Al contrario, il dottor Baruch Vainshelboim ci sta spingendo a pensare in modo più ampio e critico. Il suo è un coraggioso tentativo di analizzare i costi dell'adozione del mascheramento universale, ed è esattamente così che la scienza progredisce realmente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 27 aprile 2021

Il Teorema dell'Impossibilità di Arrow espone un grosso problema con la democrazia

 

 

di Robert P. Murphy

Probabilmente non c'è niente di più sacrosanto per le élite odierne della "democrazia", cosa che intendono come "un risultato politico che sosteniamo". Eppure, ironia della sorte, uno dei risultati più sorprendenti e potenti nella teoria della scelta sociale, vale a dire il cosiddetto Teorema dell'Impossibilità di Kenneth Arrow, mostra che anche in linea di principio che non esiste un modo coerente per aggregare le preferenze individuali in una volontà collettiva.

In un certo senso Arrow ha fatto alla democrazia ciò che Kurt Gödel ha fatto per porre la matematica su basi assiomatiche. Dai filosofi agli scienziati cognitivi fino ai programmatori di computer, tutti citano Gödel, anche quando non capiscono veramente quello che ha dimostrato, ciononostante quasi nessuno discute di Arrow quando si tratta di politica. La mia semplice e cinica spiegazione è che il suo risultato è così devastante che è difficile dire qualcosa a riguardo (anche gli economisti di libero mercato potrebbero soffrire di questo problema se parliamo con troppa disinvoltura dell'ottimalità di un risultato di mercato).


Perché la regola della maggioranza non funziona

Prima di spiegare lo scioccante risultato di Arrow, lasciatemi apparecchiare la tavola con una dimostrazione del motivo per cui la maggioranza non è una regola praticabile per prendere decisioni di gruppo. Supponiamo che Alice, Bob e Charlie abbiano il seguente ranking soggettivo relativo a tre candidati:

In particolare, se chiediamo "La 'società' pensa che Trump sia migliore di Biden?", la risposta è sì, perché Bob e Charlie pensano che Trump sia migliore di Biden. Usando la regola della maggioranza, possiamo anche concludere che la "società" pensa che Biden sia migliore di Jorgensen, perché Alice e Charlie superano Bob. Quindi, poiché la "società" pensa che Trump batterà Biden e Biden batterà Jorgensen, allora ci dovremmo aspettare anche che la "società" pensi che Trump batterà Jorgensen. Eppure, come indica la tabella, su quest'ultima conclusione gli elettori direbbero il contrario: Alice e Bob voterebbero per Jo Jo anziché per Donald. Ora, con solo tre elettori e tre possibili candidati, dovrebbe essere relativamente semplice determinare cosa pensa "il gruppo" del miglior candidato, giusto? Tuttavia se ci capita di avere le preferenze politiche mostrate nella tabella qui sopra, allora la regola della maggioranza porta ad intransitività nel ranking sociale.

E così vediamo, anche con un esempio molto semplice, che c'è un problema fondamentale nell'usare la regola della maggioranza come meccanismo per aggregare le preferenze individuali in una singola classifica "sociale". Giusto per ripeterlo, non vi è alcuna garanzia che le classifiche "sociali" risultanti obbediscano alla transitività.

Oltre ad essere concettualmente preoccupanti, le classifiche intransitive soffrono anche del problema pratico che il vincitore assoluto dipende dall'ordine delle gare a coppie. Nel nostro esempio sopra, se il gruppo avesse prima contrapposto Biden contro Trump e poi il vincitore avesse affrontato Jo Jo, allora quest'ultima avrebbe vinto. Ma se invece le élite volessero Biden, avrebbero prima fatto decidere agli elettori tra Trump e Jo Jo, poi il vincitore si sarebbe confrontato testa a testa contro Sleepy Joe.

Poiché una solida regola di scelta sociale non dovrebbe essere vulnerabile a tale manipolazione, i pensatori politici sanno sin da Condorcet che la regola della maggioranza non è la risposta.


L'approccio di Arrow

Non so se questo retroscena sia apocrifo, ma mi è stato insegnato che Kenneth Arrow iniziò la scuola di specializzazione tra la fine degli anni quaranta e l'inizio degli anni cinquanta. Gli economisti e altri scienziati sociali sapevano che esistevano molti tipi di procedure (o regole) di scelta sociale indesiderabili. Arrow, così racconta la storia, originariamente non stava cercando di trovare la migliore, ma invece stava semplicemente cercando di eliminare le regole cattive per focalizzare l'attenzione sul pool di procedure sopravvissute.

Il framework di Arrow era una generalizzazione della nostra tabella sopra. In particolare, Arrow ipotizzava che ci fosse un numero finito di cittadini che avesse ciascuno una classifica soggettiva dei possibili "stati del mondo", e inoltre presumeva che le preferenze di ogni cittadino fossero complete (il che significa che il cittadino aveva un'opinione definita su qualsiasi confronto a coppie, inclusa la possibilità di essere indifferenti tra due esiti) e transitive.

Prendendo questo elenco di preferenze complete e transitive dei cittadini, Arrow voleva una procedura che generasse una classifica di preferenza "sociale" completa e transitiva dei vari "stati del mondo". Al fine di escludere quelle che sembravano procedure evidentemente indesiderabili, Arrow insistette sul fatto che le procedure ammissibili obbediscono anche ai seguenti principi:

• Non dittatura: non dovrebbe esistere una persona nella società in modo tale che, indipendentemente da quello che dicono gli altri, la procedura renda sempre la classifica "sociale" identica alle preferenze di quella persona. Per essere chiari, va bene se in un particolare esempio di classifiche capita di rendere il ranking "sociale" uguale a quello di Jim. Ma se, qualunque cosa Jim e tutti gli altri preferissero, si finisse sempre con la "società" d'accordo con le opinioni personali di Jim, allora il risultato sarebbe un dittatore secondo Arrow.

• Debole ottimalità di Pareto: se ogni cittadino pensa che il risultato A sia preferibile al risultato B, allora è meglio che la procedura dia il ​​risultato che la "società" preferisce A ad B.

• Indipendenza dalle alternative irrilevanti (IIA): questo è il meno intuitivo degli assiomi, ma quando lo si capisce, è anche ragionevole. Questo criterio dice che la classificazione "sociale" del risultato A contro B dovrebbe dipendere solo dal modo in cui i cittadini confrontano A con B.

Per avere un'idea di cosa cerca Arrow con le IIA, supponiamo che un bambino stia ordinando un gelato in un ristorante. Il cameriere dice: "Abbiamo vaniglia o cioccolato". Il bambino sceglie la vaniglia. Poi il cameriere torna un minuto dopo e spiega: "Mi scusi, mi sono appena accorto che abbiamo ancora del gelato alla fragola. Desidera modificare il suo ordine?" Il bambino risponde: "Sì! Ordinerò il cioccolato invece!"

Spero che il lettore possa capire perché il nostro ipotetico bambino mostrerebbe qui scelte insolite. Questo è proprio ciò che vieta il criterio delle IIA.


Il risultato scioccante di Arrow

Per continuare la storia, Arrow decise di eliminare le possibili procedure che violavano i criteri di cui sopra e si ritrovò con... un set vuoto. In altre parole, Arrow si rese conto che non esisteva una procedura per generare classifiche di preferenza "sociale" che obbedissero alla sua lista di requisiti apparentemente innocui.

La cosa veramente divertente è che ogni lettore interessato può vedere una prova effettiva del risultato di Arrow che non si basa su una conoscenza matematica precedente. Si veda, ad esempio, questa versione formulata da Amartya Sen. Incoraggio vivamente i curiosi a fare un tentativo. Scoprirete che non c'è alcun trucco; Arrow dimostrò davvero qualcosa di devastante per la nozione di sovranità politica.


Conclusione

Mentre i media esortano gli americani a votare e celebrare le meraviglie della "democrazia", ​​sia in patria che in tutto il mondo, tenete sempre a mente l'elefante nella stanza: Kenneth Arrow ha dimostrato nel 1951 che l'intero progetto della scelta sociale si basa sulle sabbie mobili.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 26 aprile 2021

Ludwig von Mises sull'obbligo intellettuale in tempo di crisi

 

 

di Jeffrey Tucker

L'anno scorso è stato spesso considerato il "periodo peggiore" della storia umana, parafrasando Dickens, ma il XX secolo ha visto altri tempi terribili. Dopo la Grande Guerra l'instabilità politica ed economica in Europa ha dato origine a ideologie totalitarie che minacciavano fondamentalmente la stessa civiltà.

Non tutti lo videro arrivare, ma un intellettuale che lo fece fu Ludwig von Mises (1881-1973).

Mentre i suoi amici e colleghi si dilettavano in varie forme di ideologia socialista e fascista e respingevano fermamente il liberalismo come inteso in modo classico, lui lanciava avvertimenti sotto varie forme: in un libro del 1919, in un saggio del 1920 che scosse il mondo accademico e in un libro del 1922 che risolse abbastanza bene la questione.

Il trattato del 1922 era Socialismo. È diventato "virale", come si dice oggi. Fu un devastante abbattimento di ogni forma immaginabile di ideologia socialista, compresa quella che in seguito fu conosciuta come nazionalsocialismo. Inizia con una solida teoria della cooperazione sociale e termina con un avvertimento: una volta che i dittatori si rendono conto che i loro piani stanno fallendo, si rivolgeranno a scopi puramente distruttivi sia per salvare la faccia che per esercitare vendetta sull'ordine sociale che ha resistito alla loro genialità.

Fu questo libro a scuotere F. A. Hayek dalle sue illusioni secondo cui gli intellettuali sostenuti dal potere dello stato potessero guidare il mondo in una sorta di stato utopico di perfetta uguaglianza, efficienza, omogeneità culturale, ecc. Dimostrò che l'ideologia socialista era un'illusione totalitaria che cercava di ristrutturare il mondo in forme che non potevano esistere, date le realtà ed i vincoli del mondo come lo conosciamo.

Verso la fine del libro, Mises scrisse un paragrafo travolgente per il suo potere retorico. Se leggete il brano in tempi di pace e prosperità, suona certamente esagerato, iperbolico, forse progettato per suscitare panico inutile. Tuttavia, rileggendolo alla luce dei lockdown e dell'intero anno 2020, assume una luce diversa. Infatti sembra proprio preveggente e convincente.

Ognuno porta una parte della società sulle spalle; nessuno è sollevato dalla sua parte di responsabilità rispetto agli altri. E nessuno può trovare una via sicura per sé stesso se la società si sta dirigendo verso la distruzione. Quindi ognuno, nel proprio interesse, deve impegnarsi con vigore nella battaglia intellettuale. Nessuno può farsi da parte con indifferenza: gli interessi di tutti dipendono dal risultato. Che lo voglia o no, ogni uomo è coinvolto nella grande lotta storica, la battaglia decisiva in cui ci ha scaraventato la nostra epoca. ~ Ludwig von Mises

È ancora meglio e più scioccante se lo leggete ad alta voce e lo leggete alla luce dei tempi in cui viviamo. Consideriamo questa affermazione frase per frase.

"Ognuno porta una parte della società sulle spalle", scrive Mises. Una tale affermazione potrebbe a prima vista essere in contrasto con l'individualismo, rifiutando quello che si potrebbe definire "individualismo atomistico". La convinzione di Mises che tutti noi condividiamo il fardello della civiltà è in parte empirica e in parte morale. L'intuizione principale nel suo libro, come nel libro di Adam Smith 150 anni prima, riguarda quella che gli economisti definiscono la "divisione del lavoro", che Mises preferì ridefinire come legge di associazione: la produttività materiale nella società aumenta in proporzione alle persone di tutti i tipi che cooperano attraverso il commercio e lo scambio.

È una definizione tecnica, ma l'estetica è più potente: significa dipendenza reciproca di tutti da tutti gli altri, e quindi potenziale inclusione di ogni persona umana, all'interno della struttura della società di mercato. Progrediamo solo concentrandoci e specializzandoci e questo è possibile solo dipendendo dalle capacità e dai talenti degli altri. Da soli non possiamo fare altro che languire nella povertà, strisciare nella sporcizia per nutrirci. Insieme possiamo costruire interi mondi che emancipano la popolazione dallo stato di natura.

A chi deve essere grata la società? Non ad una classe dirigente. Nemmeno a grandi inventori o a singole aziende. Il puro intervento di mercato non porta ad un crescente controllo oligarchico (la concorrenza, le scoperte e gli incessanti cambiamenti nella domanda e nell'offerta lo impediscono), ma piuttosto distribuisce sempre più ampiamente l'onere e il credito per la produttività in tutti i settori della società. Tutti hanno un debito di gratitudine nei confronti di tutti gli altri, perché il nostro benessere personale si basa sul contributo di tutti gli altri nel grande progetto, forse non apertamente ma inconsciamente, implicitamente e sistematicamente.

A causa di questa rete di collaborazione, voi ed io dipendiamo da Tim Cook tanto quanto dipendiamo dai produttori di sapone, dai pescivendoli, dai tecnici che riparano automobili e ponti, dalle persone che costruiscono e riparano le macchine, dai camionisti, dai commercianti, dai contabili, dai trader di borsa e dalle persone specializzate nel fare musica, pittura e danza. L'economia di mercato e la conseguente prosperità amplia sempre più la rete degli obblighi reciproci.

Diventare consapevoli di ciò è un obbligo intellettuale e implica un fardello di gratitudine. Questo senso di gratitudine è basato sulla nostra consapevolezza che nessun uomo è un'isola.

Mises conclude la frase di apertura con un "dovere": "Nessuno è sollevato dalla sua parte di responsabilità nei confronti degli altri". Non ci può essere esternalizzazione della nostra responsabilità morale, non nei confronti dello stato, non nei confronti di una classe operaia, una classe dirigente o una classe sacerdotale. Difendere il sistema di cui tutti beneficiamo è l'obbligo di ogni persona vivente: ogni persona che diventa consapevole della verità che la società funziona bene solo quando tutti sono inclusi nella matrice di proprietà, scelta, scambio e uguaglianza.

Segue la frase successiva di Mises: "E nessuno può trovare una via sicura per sé stesso se la società si sta muovendo verso la distruzione". Nessuno spazio sicuro in caso di crisi. Distruggete il mercato e distruggete il normale funzionamento dell'ordine sociale e minaccerete tutto ciò che conta per il nostro benessere materiale. Distruggete la vita ed il benessere e distruggerete la capacità delle persone di provvedere a sé stesse, il senso di autostima di tutti, l'accesso al cibo, all'alloggio e all'assistenza sanitaria e la nozione stessa di progresso materiale. Riducete la vita alla sussistenza e alla servitù ed il mondo diventa hobbesiano: solitario, povero, cattivo, brutale.

L'enfasi qui è sulla parola "nessuno". Nessuno può liberarsi degli altri nel lungo periodo. Non c'è essenziale e non essenziale, nessuna persona con più privilegi di chiunque altro. Non a lungo termine, in ogni caso. La classe Zoom potrebbe immaginare di essersi nascosta e quindi di salvarsi dai rottami, ma come il principe Prospeo nel classico di Edgar Allan Poe, l'agente patogeno alla fine li trova.

"Pertanto," continua Mises, "ognuno, nel proprio interesse, deve impegnarsi con vigore nella battaglia intellettuale". Niente nascondigli, niente isolamento, niente silenzio, niente "state a casa e state al sicuro". Dobbiamo tutti entrare nella battaglia delle idee. Forse questa sembra essere una forzatura, perché non tutti si qualificano come intellettuali. Lo sappiamo. Eppure le buone idee e il buon istinto su come dovrebbe funzionare la vita sono più distribuiti tra la popolazione di quanto si immagina normalmente.

Bill Buckley una volta disse che avrebbe preferito essere governato dalle prime 2.000 persone nell'elenco telefonico di Boston piuttosto che dalla facoltà di Harvard. Interessante. È anche interessante che i molti stati che hanno bloccato di più (Massachusetts, California, Oregon, Connecticut, New York) hanno popolazioni e leader altamente istruiti e con credenziali, rispetto a molti stati che non hanno chiuso o hanno aperto prima con grande beneficio per la popolazione. Eppure i "migliori e più brillanti" hanno perseguito le politiche più assurde e distruttive immaginabili. Oppure pensate al Regno Unito: secoli di grande scolarizzazione e attenta educazione e osservate cosa è successo.

Ciò suggerisce che da tempo abbiamo frainteso chi esattamente può far parte della battaglia intellettuale. Tutti, senza eccezioni, possono qualificarsi come intellettuali a condizione che siano disposti a prendere sul serio le idee. Chiunque ha il diritto di farne parte. Coloro che sentono più intensamente il peso e la passione delle idee, secondo Mises, hanno un obbligo maggiore di lanciarsi nella battaglia, anche quando farlo può portare disprezzo e isolamento da parte dei propri simili (ecco perché tante persone hanno taciuto).

"Nessuno può restare da parte con indifferenza", dice Mises, continuando il tema dell'obbligo sociale. "Gli interessi di tutti dipendono dal risultato". Ancora una volta Mises rafforza la sua ampia visione sociale che potrebbe sembrare in contrasto con un punto di vista pop "libertario" e individualista. Potremmo pretendere di essere indifferenti, fingere di non preoccuparci, addurre la scusa che le nostre voci non contano o invocare slogan che giustificano la nostra indifferenza e pigrizia. Infatti, in tempi di crisi, un rozzo egoismo non è nel nostro interesse personale. Non sono in gioco solo i nostri interessi, ma anche quelli di tutti gli altri.

La frase finale di suddetta citazione presenta alcune note hegeliane, ma in realtà parla della visione sottostante di Mises riguardo l'autentico desideratum della narrazione storica. Scrive: "Che lo scelga o no, ogni uomo è coinvolto nella grande lotta storica, la battaglia decisiva in cui ci ha scaraventati la nostra epoca".

Ciò equivale a riconoscere che ci sono tempi migliori e tempi peggiori. La storia è una forza che non è scritta da qualche entità esterna, che si tratti di venti di cambiamento esogeni o dello stato stesso. Le persone sono gli autori del proprio destino.

Ecco perché c'è una lotta. Niente è scritto, tutto è determinato da ciò che le persone credono, che a sua volta determina ciò che fanno. Siamo tutti arruolati nella battaglia in virtù della nostra appartenenza all'ordine sociale. Possiamo essere fortunati e vivere in tempi di pace ed abbondanza, o trovarci in condizioni di tirannia e distruzione. Indipendentemente da ciò, dobbiamo lottare per ciò che è giusto e vero, perché l'ordine sociale non è automaticamente benevolo. L'idea di progresso è qualcosa che si guadagna una generazione alla volta.

La nostra epoca oggi, come quella di Mises nel 1922, ci ha scaraventati in una battaglia decisiva. È iniziata da metà marzo 2020. Alcuni l'hanno vista arrivare. I segnali erano tutt'intorno a noi. Abbiamo osservato il disprezzo per i diritti individuali, la nuova moda della pianificazione sociale ed economica guidata dai computer, l'eccessivo affidamento sui mezzi statalisti, la denigrazione dei postulati fondamentali della civiltà che una volta davamo per scontati. Forse li abbiamo visti come sfortunate mode intellettuali o accademiche. Per anni, decenni e anche più, queste idee hanno guadagnato terreno. Forse non avremmo mai immaginato che avrebbero prevalso.

Poi, in pochi fatidici giorni, ci siamo trovati rinchiusi nelle nostre case, esclusi dai nostri luoghi di culto, impossibilitati a viaggiare, bloccati dai servizi medici, le scuole chiuse, i nostri uffici e attività commerciali chiusi per motivi di "salute". Non sorprende che se si conosce la natura della pianificazione centralizzata, si sono realizzati i risultati sociali opposti: il più grande declino della salute pubblica in una generazione.

Questa era la nostra crisi. Le idee, e quelle pessime, hanno preceduto il suo esordio, ma una volta accaduto non si poteva negarlo. Ci siamo resi conto che le cattive idee hanno conseguenze negative. E, come disse Mises, nessuno era al sicuro.

Non siamo ancora al sicuro. Sì, i lockdown stanno andando via e le cose sembrano tornare alla normalità, soprattutto a causa della crescente pressione dell'opinione pubblica sulle nostre élite affinché smettano di rovinarci la vita. Questo è vero negli Stati Uniti in generale, ma non in molte parti del mondo dove la mitigazione delle malattie rimane la scusa principale per la soppressione dei diritti e delle libertà. Mises aveva ragione: nessuno di noi è veramente al sicuro dalla violenza imposta dallo stato in nome del controllo delle malattie.

La vera domanda che dobbiamo porci ora è: in che misura siamo davvero protetti da una ripetizione di questa storia e in che misura abbiamo davvero imparato la lezione?

Siamo disposti a buttarci nella battaglia intellettuale per aggiustare le cose, ripristinare e garantire libertà e diritti essenziali, erigere barriere che rendano impossibile alla classe dominante tentare di nuovo un simile esperimento? O saremo grati di poter almeno esercitare alcune libertà limitate, anche se temporaneamente, e acconsentiremo all'idea che non c'è niente di sbagliato in un regime medico/industriale che agisce arbitrariamente ed a propria discrezione?

La nozione di obbligo sociale è stata per troppo tempo posseduta dai collettivisti e dai socialisti di ogni tipo. È sempre stato sbagliata, perché ha frainteso l'interconnessione sociale della libertà e dei diritti individuali. Il grande contributo di Mises è stato quello di capovolgere la sceneggiatura. Non siamo atomisti, non viviamo in isolamento. Viviamo invece come una rete decentralizzata di persone libere, che cooperano insieme per scelta e per il nostro reciproco miglioramento. Lo dobbiamo a noi stessi, dobbiamo lottare per il diritto di continuare a farlo e respingere ogni tentativo di portarcelo via.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


venerdì 23 aprile 2021

Il Grande Default

 

 

di Francesco Simoncelli

Per anni su queste pagine si è raccontato il lento disfacimento dell'attuale sistema economico, ma, inutile dirlo, nell'ultimo anno le cose stanno prendendo una piega decisamente più veloce di quanto ci si poteva immaginare. Questo perché i mercati sono così sovraestesi ed incapaci di prezzare in modo onesto ciò che viene negoziato, da essere praticamente alla mercé del sistema bancario centrale per ogni cosa. Tutti i punti di riferimento sono saltati e si va alla cieca. Il primo pensiero è sempre stato quello di calmare le acque dopo la crisi della Lehman e, soprattutto, evitare che qualche realtà apparentemente "insignificante" scatenasse un nuovo panico andando in bancarotta. Lo scopo degli interventi senza precedenti da parte del sistema bancario centrale è stato quello di puntellare il sistema finanziario, centro nevralgico di scosse di assestamento dopo anni e anni di ingegneria finanziaria senza freni. Il puntellamento, inutile dirlo, è stato indirizzato fondamentalmente alle grandi banche e di riflesso alle realtà che popolano Wall Street. Main Street, invece, nel periodo successivo alla Grande Crisi Finanziaria, è stato lasciato in una fase di leggero deleveraging, creando in qualche modo una zona cuscinetto da cui poi ripartire con l'ingegneria finanziaria.

Un pio desiderio, visto che per sopravvivere le piccole/medie imprese hanno iniziato a saturare i loro bilanci (quello delle grandi imprese era già saturo). Quindi se da una parte le persone comuni hanno cercato di scrollarsi di dosso il peso dell'indebitamento degli anni precedenti, questo flebile sforzo è stato inficiato dagli stessi pianificatori centrali che hanno deciso di operare i salvataggi dei big player. Come? L'interventismo è un'arma a doppio taglio visto che se da una parte tiene in vita realtà che altrimenti sarebbero dovute fallire, dall'altra per mantenerle in vita deve sequestrare risorse economiche scarse e darle in pasto a questi zombi. Il risultato inevitabile è stagnazione, un lento logoramento che devasta la struttura produttiva e di capitale della società.

E con le chiusure forzate sulla scia della crisi sanitaria, il colpo di grazia è stato inferto ad un tessuto industriale già sfilacciato. Fino ad oggi il sistema bancario centrale è riuscito a circoscrivere i salvataggi al sistema finanziario grazie alle cosiddette riserve in eccesso, ma adesso che anche Main Street richiede salvataggi diretti le cose stanno cambiando rapidamente. Parte del denaro di nuova creazione non finirà più sui bilanci presso le banche centrali, ma circolerà sulla scia di nuovi deficit per creare cattedrali nel deserto, pagare assegni di sostegno alle famiglie, finanziamenti a fondo perduto, ecc. È questo uno dei motivi principali per cui iniziano ad essere più "visibili" le pressioni inflazionistiche ed i rendimenti obbligazionari sovrani stanno persistentemente prezzando un rischio maggiore sui mercati. Le finanze dei vari governi sono un disastro e nonostante il periodo più allentato della storia finanziaria recente, la repressione economica fin qui esercitata sta mostrando i suoi limiti.

Infatti il perno sul quale l'interventismo del sistema bancario centrale ha fatto leva è stato il mercato obbligazionario sovrano, cosa che a sua volta ha avuto ripercussioni sulla catena "del risparmio" costringendo fondi pensione e fondi assicurativi a riallocare i loro portafogli in asset più rischiosi. Con le pressioni inflazionistiche che stanno crescendo ed i rendimenti dei bond sovrani che salgono, suddetta riallocazione si dimostrerà una gigantesca bomba ad orologeria finanziaria. Una crisi non emergerebbe perché possiamo vedere un aumento fino al 2% per i rendimenti del decennale USA, ad esempio, ma a causa del rischio che è stato incapsulato nei mercati dovuto alla precedente repressione dei tassi. Un rendimento del 2% nelle obbligazioni statunitensi genererebbe un massiccio deflusso di capitali dai mercati emergenti, portando i loro rendimenti obbligazionari a livelli insostenibili perché negli ultimi anni queste economie sono state abituate a credere che deficit pubblici e squilibri di bilancio fossero la strada maestra da seguire.

Questo non accadrebbe solo nei mercati emergenti. Gli asset più rischiosi, le obbligazioni ad alto rendimento e le azioni cicliche, così come i settori che hanno beneficiato maggiormente di tassi bassi e alta liquidità, soffrirebbero allo stesso modo. Questa reazione renderebbe impossibile nascondersi da una brusca correzione dei mercati, perché la correlazione costruita negli ultimi dieci anni è strettamente interconnessa.


QUANDO IL CUORE PULSANTE DI UN'ECONOMIA SI FERMA: IL RISPARMIO

Sono stati implementati massicci piani di stimolo, con la Banca Centrale Europea che ha aumentato il proprio bilancio al 63% del PIL della zona Euro, mentre la FED al 36%, e l'offerta di moneta cresce ad un ritmo annuo del 12% nell'area Euro. Anche lo stimolo fiscale è enorme, con impulsi fiscali e misure di liquidità comprese tra il 10% (Spagna) e il 50% del PIL (Germania) nelle principali economie. È importante notare che non si tratta solo di quanto viene speso, ma dove e quando. Una parte significativa dello stimolo fiscale in Spagna, Francia, Italia e Germania è stata mirata al mantenimento della spesa pubblica. Tuttavia queste misure falliranno, poiché i blocchi prolungati condurranno ad insolvenze ed inevitabilmente una parte rilevante di quei meccanismi di supporto zombificherà l'economia, soprattutto perché questo era un rischio importante che già esisteva nella zona Euro prima del Covid.

Perché? Perché la mentalità keynesiana è quella che ha avallato l'idea "più della stessa cosa inutile probabilmente aiuterà". Inutile dire che le cose non stanno così, anzi aver raddoppiato su politiche interventiste dannose e distorcenti non ha fatto altro che devastare ulteriormente il cuore pulsante dell'economia: il risparmio. Keynes, per giustificare l'intervento attivo dello stato nell'economia, dovette dapprima travisare la Legge di Say e successivamente negare la versione travisata. Nel Capitolo 3 della Teoria Generale viene affermato candidamente che la domanda aggregata di tutti i prezzi degli output è equivalente all'offerta aggregata di tutti i prezzi dei volumi degli output. La versione semplicistica di Keynes ignora, quindi, due elementi importanti: il tempo e la divisione del lavoro.

Un'azienda effettua pagamenti prima delle sue vendite: deve acquistare materiali ed assemblare gli altri fattori di produzione, deve pagare i fornitori (compresa l'acquisizione di livelli di produzione più elevati), tutto questo in anticipo rispetto alla vendita di una singola unità di produzione. Identificare le vendite di oggi con i consumi di oggi è sbagliato, perché un'azienda deve pagare i propri dipendenti prima che la loro produzione venga realizzata. Ci deve essere un equilibrio tra ciò che viene prodotto e ciò che viene consumato, perché la manodopera lavora per massimizzare la produzione in modo da poter acquisire quei beni e servizi di cui ha bisogno. La tesi centrale di Say era che i cambiamenti nella domanda portano ad un surplus di alcune materie prime e carenze in altre, il quale fenomeno, se lasciato ai mercati, si correggere attraverso il meccanismo dei prezzi. Un calo dei prezzi di alcune materie prime e merci crea disoccupazione, ma le opportunità create altrove correggeranno sempre questa situazione nel tempo. È parte integrante del modo in cui i mercati liberi si evolvono per soddisfare le esigenze ed i desideri dei consumatori.

L'intervento statale è quindi inutile e può solo ostacolare la naturale tendenza del mercato ad adattarsi ad una situazione in continua evoluzione, condizione necessaria per il progresso. Inoltre la divisione del lavoro richiede risorse di capitale, compreso il lavoro stesso, senza le quali non può esprimere il proprio potenziale. Proprio come le merci hanno un prezzo e il lavoro ha il suo salario, l'uso del capitale ha un costo e quel costo è parte integrante del funzionamento dei mercati.

Il risparmio come fonte di capitale è necessario agli imprenditori, i quali sono pronti a fare offerte per acquisirlo dopo aver stimato nei loro calcoli aziendali quale tasso d'interesse è più conveniente per loro. Invece la macroeconomia di stampo keynesiano ha convinto accademici e gente comune che il paradosso della parsimonia è un fatto reale: se si risparmia riducendo quindi il consumo corrente, ci saranno meno consumi; quindi è necessario eliminare i risparmi per aumentare la domanda dei consumatori. Questo tipo di "ragionamento" l'abbiamo visto riproposto al giorno d'oggi con la ZIRP e la NIRP. Infatti i tassi d'interesse zero e persino negativi hanno distrutto l'utilità del risparmio come fonte di finanziamento per le imprese. La convinzione che l'abbassamento dei tassi d'interesse stimoli la produzione e il consumo si è rivelata un disastro.

Jean-Baptiste Say descrisse molto bene il ruolo del risparmio e il modo in cui gli individui decidono cosa farne, perché fondamentalmente il capitale è qualcosa di scarso che richiede una compensazione sia per la preferenza temporale che per il rischio di prestito. E le aziende che pianificano di realizzare profitti sono generalmente veloci nel correggere eventuali errori per limitare le perdite sul capitale investito. L'avvento della stampante monetaria rimuove questa disciplina e le aziende "hanno imparato" che il denaro non scarseggia più. Attraverso l'inflazione un'impresa che contrae debiti a tassi d'interesse ridotti sa di beneficiare ulteriormente del trasferimento di ricchezza, cosa che poi si riflette in un aumento dei prezzi per i suoi prodotti. È creando questo effetto che le banche centrali credono di poter stimolare la produzione, ma è una frode nei confronti dei risparmiatori, i quali decidono di unirsi alla festa piuttosto che detenere depositi o asset a reddito fisso.


STAGNAZIONE PERSISTENTE

Nel frattempo la spesa pubblica finanzia praticamente tutte le passività che non sono finanziate dal credito bancario: tasse ed inflazione riducono la ricchezza reale per fornire capitale e stimoli a chi la spreca. Di conseguenza il denaro fiat è inevitabilmente finalizzato a sostenere lo stato e gli interessi politici a scapito di un'economia di libero mercato dedita al servizio dei consumatori. Le aziende zombi, che impiegano un gran numero di lavoratori in modo inefficiente, sono in prima linea per i pasti gratis, perché i politici sono più interessati alla conservazione a tutti i costi della struttura lavorativa esistente in un dato momento piuttosto che all'avanzamento commerciale. E il presunto stimolo raggiunge in piccola parte la maggior parte delle imprese (piccole e medie) che costituiscono l'80% parietano di qualsiasi economia avanzata.

Le supply chain del mondo non si sono riprese dal caos di distribuzione di un anno fa. Non si tratta più solo di riprendere i pagamenti, ma i container si trovano nei posti sbagliati, ritardi su ritardi, congestione ed i dazi sui container sono aumentati drasticamente. La produzione lorda degli Stati Uniti prima del 2020, ad esempio, era di circa $38.000 miliardi ed una parte significativa di questa cifra era alimentata da supply chain offshore (es. Cina, Giappone, UE e altrove). Sarà impossibile espandere la produzione senza che la logistica torni alla normalità ed è improbabile che accada prima della fine dell'anno. E questo a sua volta significa che quelle banche esposte a prestiti nei confronti di tali imprese rischiano di andare fallite, senza contare che hanno un ingombro di bilancio da record e prezzi delle azioni molto bassi (soprattutto in Europa). Inutile dire che è impensabile, quindi, che il sistema bancario commerciale possa estendere credito all'economia più ampia. Anzi, decisamente il contrario: continueranno a non rinnovarli e portarli a scadenza. Finché però i mercati continuano a segnare nuovi massimi ed i prezzi degli asset restano alti, le preoccupazioni per eventuali correzioni sono attenuate. Ma che succede se il rischio di controparte soffia direttamente dall'estero? Come in Europa, tanto per fare un esempio, la cui economia è effettivamente fallita.

Infatti basta guardare al sistema di settlement transfrontaliero noto come TARGET2, dove se prendiamo in considerazione i deficit di Italia e Spagna ad esempio si raggiungono circa €1.300 miliardi di indebitamento. Ma questo conto viene abilmente nascosto dall'ingegneria finanziaria alla base di questo meccanismo di settlement, visto che la Banca d'Italia, ad esempio, ha potuto prendere una parte sostanziosa dei prestiti non performanti che attanagliavano il Paese, dichiararli semplicemente performanti ed utilizzarli presso la BCE per garantirsi nuovi prestiti attraverso il TARGET2. Aver ricorso a questo stratagemma equivale ad ammettere di essere ormai arrivati alla fine della strada. Le banche centrali hanno esaurito l'efficacia una tantum di strumenti come il riacquisto di obbligazioni e il taglio dei tassi, infatti i rendimenti decrescenti sono evidenti. Ora guardano al Giappone, tra tutti i Paesi, per esaminare le politiche di controllo della curva dei rendimenti. Molti salutano tale strategia come un grande successo. È riuscita a mantenere i rendimenti obbligazionari all'interno di un intervallo ristretto intorno allo 0%, da quando ha adottato la sua politica di controllo della curva dei rendimenti nel 2016. Tuttavia tutto ciò che ha fatto è mascherare il rischio e portare l'economia verso una stagnazione sempre più pronunciata.

Proponendo sempre la stessa diagnosi ed un interventismo su scala maggiore, gli errori vengono ripetuti e accumulati. Non c'è da stupirsi se le riprese siano più lente, deboli e caratterizzate da maggiore debito. Gli stati credono che il problema sia la mancanza di domanda e si definiscono la soluzione, utilizzando i risparmiatori per finanziarla (attraverso tasse ed inflazione). Il modo migliore per aumentare il PIL? Enormi progetti infrastrutturali che generano una spinta a breve termine. Costruire qualsiasi cosa a qualsiasi costo e questo si lascia dietro di sé un debito enorme ed un'economia meno dinamica, non più forte.

In secondo luogo, le politiche dal lato della domanda perpetuano l'obsolescenza a scapito dei risparmiatori e dei settori produttivi. Gli stati sovvenzioneranno e sosterranno sempre gli inefficienti a scapito di coloro efficienti, perché il loro obiettivo è mantenere ciò che credono funzioni e raccogliere voti. Non è dovuto necessariamente a cattive intenzioni o obiettivi malvagi, significa semplicemente perpetuare il passato di cui vivono. Ciò che è noto è preferibile a ciò che invece è ignoto. Poi le massicce iniezioni di liquidità e tassi bassi sono un sussidio indiretto a coloro inefficienti. I primi beneficiari delle "politiche monetarie non convenzionali" saranno, per definizione, i più indebitati ed i meno produttivi. La distruzione creativa è pressoché eliminata, gli investimenti improduttivi vengono promossi tramite tassi insostenibilmente bassi e la liquidità viene assorbita da attività finanziarie e settori improduttivi.


CORSI E RICORSI STORICI: LTCM, I FONDI BNP E ARCHEGOS

Tra gli accademici c'è chi parla di inflazione "buona" senza aver la minima idea di cosa stia parlando. C'è una distinzione che a quanto pare sfugge ai più ed è quella tra inflazione ciclica e strutturale. L'inflazione ciclica è più o meno favorevole, anche perché è una caratteristica del ciclo economico. Mentre l'economia si surriscalda, cresce la domanda di prodotti di consumo e di materie prime per produrli. Questa è una tendenza sana: le imprese hanno bisogno di finanziamenti per aumentare la produzione e soddisfare la crescente domanda; anche i consumatori hanno bisogno di finanziamenti, migliorano i loro stili di vita contando sull'aumento dei redditi. Questa crescente domanda di credito fa salire i tassi d'interesse, il che tende a frenare l'appetito sia per il credito che per l'ulteriore consumo. L'inflazione dei prezzi si attenua e poi i tassi d'interesse tornano a scendere.

Ma come già sottolineato, ecco che arriva il denaro falso del sistema bancario centrale e l'intera ciclicità va a farsi benedire. I prezzi aumentano, non perché un'economia abbia visto un aumento genuino della domanda, ma perché ci sono più foglietti di carta a fronte di una quantità di produzione relativamente costante. Le banche centrali è come se fornissero risparmi falsi, indistinguibili dai risparmi reali, il che mantiene bassi i tassi di prestito. Questi surrogati del risparmio aiutano a deprimere i tassi d'interesse, finché le persone non si rendono conto che qualcosa decisamente non va: i prezzi di ieri non stanno al passo col reddito di oggi. Quindi comprendono che l'inflazione non è ciclica, ma strutturale. 

I prezzi salgono non perché c'è un vero boom a sostenere l'aumento della domanda di beni e servizi, ma perché la falsa domanda (es. maggiore offerta di denaro fiat) fa salire i prezzi senza compensare con un relativo aumento di beni o servizi. Questo fenomeno ha un proprio ciclo di feedback, ma non si corregge automaticamente. È autodistruttivo. "L'inflazione strutturale", in altre parole, non è una caratteristica naturale del ciclo economico: è una politica intenzionale, deliberata e disastrosa. Mises la definì Katastrophenhausse: la conseguenza logica e inevitabile della stampa di moneta e della spesa sconsiderata delle banche centrali. E l'inflazione non è sempre e ovunque un fenomeno monetario. è molto più di questo. È una catastrofe economica, sociale e politica.

Il team di Biden ha "modellato" vari scenari e a suo giudizio l'inflazione non sarà un problema. Anche Rudolf von Havenstein, che diresse la banca centrale tedesca dal 1908 al 1923, aveva modelli su cui basarsi. Così anche Gideon Gono della Reserve Bank of Zimbabwe dal 2003 al 2013. E Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve dal 2006 al 2014, aveva modelli che gli dicevano che la crisi subprime non era nulla di cui preoccuparsi. Ma la crisi partì da lontano, la Lehman fu solo l'evento visibile a tutti: in realtà l'innesco della crisi del 2008 fu il fallimento dei fondi di BNP Paribas. Allo stesso modo, quando LTCM necessitò del salvataggio della FED nel 1998, quello fu l'evento visibile a tutti, ovvero, l'ultimo anello di una catena che vide il primo vacillamento un anno prima quando il thai-baht venne sganciato dall'ancoraggio col dollaro. Lo stesso pattern lo abbiamo visto con i fondi di BNP un anno prima della Lehman che dapprima fecero finire nei guai Bear Stearns e infine portarono al crollo dei subprime nell'autunno 2008. Inutile dire che prima di tali eventi il livello di interventismo sui mercati non era neanche lontanamente paragonabile a quello odierno, soprattutto l'insistenza con cui viene mandata avanti una realtà che fa della fantasia il motore primario di tutto il castello di carte. Quando verrà scritto il capitolo finale di questa era, la conclusione sarà che tutti questi interventi, distorsioni, esplosioni di valutazione e obblighi di debito possano in qualche modo costruire un'economia sana a lungo termine si riveleranno essere solo una fantasia.

E all'inizio di questo mese abbiamo assistito alla bancarotta di uno dei più importanti hedge fund a livello mondiale data l'interconnessione finanziaria implicata. Uno degli eventi finanziari più importanti sin da LTCM, infatti. Subito sono suonati gli allarmi per Credit Suisse, Morgan Stanley, Nomura, Wells FArgo, UBS, Deutsche Bank. È bastato lo spettro della bancarotta di questo fondo per scatenare il panico tra i big player. Per chi è interessato ai dettagli, Zerohedge ha riassunto egregiamente i fatti:

Una settimana dopo il più grande e spettacolare crollo dai tempi di LTCM, ora abbiamo un quadro (quasi) chiaro di come Archegos di Bill Hwang sia riuscito da solo a fare di un noioso titolo mediatico la società con le migliori prestazioni del 2021, ma poi quando la sua fortuna è finita improvvisamente, sono fioccate le margin call portando a miliardi di perdite per le banche che hanno permesso quello che Bloomberg ha soprannominato il suo "leveraged blowout".

Grazie ai rapporti dettagliati del Financial Times e di Bloomberg, ora abbiamo i pezzi mancanti per completare il quadro della più grande implosione degli hedge fund del XXI secolo.

Ma non è finita qui, perché ci sono altre bombe ad orologeria finanziaria pronte ad esplodere sulla scia dell'innesco rappresentato da Archegos. L'ultima in ordine cronologico è Huarong:

[...] Huarong, che è stata quotata in borsa a Hong Kong nell'ottobre 2015, fornisce finanziamenti a più industrie, con gran parte dei suoi investimenti che confluiscono nel mercato immobiliare o in altre aree in cui i prestiti bancari sono soggetti a rigide restrizioni. Escludendo la sua controllata, Huarong Xiangjiang Bank Corp.Ltd., Huarong ha circa 1.000 miliardi di yuan in attività, collegando istituzioni finanziarie tra cui banche, società fiduciarie, compagnie di assicurazione e industrie non finanziarie. Ciò conferisce a Huarong le caratteristiche di un istituto finanziario di importanza sistemica a cui probabilmente non dovrebbe essere permesso di andare in bancarotta.
Ovviamente questo non deve farci dimenticare l'origine dell'attuale sconquasso economico e finanziario: il sistema bancario centrale. Gli inneschi non sono altro che il punto di maggiore stress all'interno dell'ambiente economico, rappresentando solo la punta dell'iceberg dei problemi attuali. Infatti, come abbiamo visto in questo articolo di oggi, il marciume sistemico lo ritroviamo nell'incancrenimento del sistema bancario commerciale, nella distruzione del risparmio come base per una ripresa solida e nella devastazione delle supply chain che, insieme agli stimoli fiscali, sta introducendo nell'economia più ampia lo spettro dell'inflazione strutturale. L'interventismo continuo da parte dei pianificatori monetari centrali non ha fatto altro che acuire questi problemi strutturali e il crowding out delle risorse economiche scarse da parte dei deficit statali ha generato una distorsione tale da richiedere un default generalizzato per poter tornare ad un ambiente economico in cui il rischio è correttamente prezzato.


CONCLUSIONE

Nel 2007 Ben Bernanke credeva che il caos subprime fosse contenuto e non avrebbe danneggiato l'economia. Invece è stato etichettato sull'Atlantic come "l'eroe" per aver stampato così tanto da aver disinnescato la crisi. La crisi finanziaria globale ha messo in luce false credenze a molti livelli. Molti si sbagliavano, molti avevano fiducia nelle autorità e molti avevano abbracciato pienamente la bolla immobiliare. Ora vediamo prevalere lo stesso sistema di credenze. Questo è l'ambiente che il sistema bancario centrale ha scatenato con la sua sconsiderata insistenza a continuare a stampare. I Paesi in Occidente non sono in grado di ridurre i loro enormi deficit e non vi è alcuna resistenza politica significativa alla vasta espansione del debito.

Siamo nelle fasi finali della dipendenza da debito. A nome delle generazioni future, i politici acquistano voti guadagnando tempo. Ci sarà un grande default, non c'è via di fuga. Non c'è modo di uscire da tutto questo, non esiste una exit strategy dalla trappola della stampante monetaria. Ci saranno vincitori e vinti. Nella fase di transizione ci saranno più perdenti che vincitori. Ma, una volta che il tavolo sarà stato ripulito dalle promesse insostenibili emesse da generazioni di politici bugiardi, ci sarà una ripresa.