Bibliografia

giovedì 26 novembre 2020

Antonio Gramsci: il padrino del marxismo culturale

 

 

di Bradley Thomas

C'è poco dibattito sul fatto che le università americane, l'istruzione pubblica, i media tradizionali, Hollywood e i gruppi di difesa politica siano dominati dalla sinistra. Non è un caso, ma parte di una strategia deliberata per aprire la strada alla rivoluzione comunista sviluppata più di ottant'anni fa da un teorico politico italiano di nome Antonio Gramsci.

Descritto come uno dei teorici marxisti più importanti e influenti del mondo dopo lo stesso Marx, se non avete familiarità con Gramsci, dovreste averla.

Il comunista italiano (1891 - 1937) è considerato il padrino del progetto che è servito come base per il movimento marxista culturale nell'America di oggi.

Successivamente soprannominata dall'attivista tedesco degli anni '60, Rudi Dutschke, come "la lunga marcia attraverso le istituzioni", Gramsci scrisse negli anni '30 di una "guerra di posizione" per socialisti e comunisti in modo da sovvertire la cultura occidentale dall'interno e costringerla ad essere ridefinita.

Gramsci usò metafore di guerra per distinguere tra una "guerra di posizione" politica, che paragonò alla guerra di trincea, e la "guerra di movimento (o manovra)", che sarebbe stata un improvviso assalto frontale con conseguente sconvolgimento sociale.


Un cambiamento nella strategia

Nel libro del 1998, The Antonio Gramsci Reader a cura di David Forgacs, viene chiarito lo sviluppo da parte di Gramsci di una nuova forma di strategia per inaugurare la rivoluzione socialista.

Gramsci sosteneva che la rivoluzione bolscevica del 1917 ebbe successo perché le condizioni erano mature per uno sconvolgimento così improvviso. Descrisse la rivoluzione russa come un esempio di "guerra di movimento" in base al suo improvviso e completo rovesciamento della struttura di governo esistente. Gramsci pensava che in Russia nel 1917 "lo stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa".

In quanto tale, un attacco diretto ai governanti avrebbe potuto essere efficace perché non esistevano altre strutture o istituzioni significative di influenza politica da soverchiare.

Nelle società occidentali, al contrario, Gramsci disse che lo stato è "solo un fossato esterno" dietro il quale si trova una società civile robusta e solida.

Gramsci credeva che le condizioni in Russia nel 1917, che resero possibile la rivoluzione, non si sarebbero concretizzate nei Paesi capitalisti più avanzati dell'Occidente. La strategia doveva essere diversa ed includere un movimento democratico di massa, una lotta ideologica.

La sua difesa di una guerra di posizione invece che di una guerra di movimento non era un rimprovero alla rivoluzione stessa, ma solo una tattica diversa, una tattica che richiedeva l'infiltrazione nelle organizzazioni influenti che compongono la società. Gramsci paragonò queste organizzazioni alle “trincee” in cui si sarebbe dovuta combattere la guerra di posizione.

Le strutture delle democrazie moderne, sia come organizzazioni statali, sia come complessi di associazioni nella società civile, costituiscono per l'arte della politica una sorta di "trincea", una fortificazione permanente nella guerra di posizione: rendono "parziale" l'elemento di manovra che prima utilizzava il "tutto" della guerra, ecc.

Gramsci sosteneva che un "attacco frontale" ad istituzioni consolidate come i governi nelle società occidentali avrebbe potuto incontrare una resistenza significativa e quindi richiedere una maggiore preparazione, lavorando quindi sullo sviluppo di una volontà collettiva tra le persone e una presa di potere tra società civile e posizioni politiche.


Guerra di posizione & guerra di movimento

È importante tenere a mente che l'obiettivo finale di Gramsci è sempre il socialismo e il rovesciamento dell'ordine capitalista. Il suo contributo è stato quello di delineare una strategia diversa affinché ciò avvenisse.

Come descritto da Forgacs: "La guerra di movimento è un attacco frontale allo stato, mentre la guerra di posizione è condotta principalmente sul terreno della società civile".

Gramsci paragonò la "guerra" politica alla guerra militare, con la sua guerra di movimento simile all'assalto frontale: un rapido attacco militare ad una breccia nelle difese nemiche in modo da ottenere una vittoria rapida e definitiva.

Al contrario, Gramsci paragonò la guerra di posizione alla guerra di trincea, accontentandosi di una lotta a lungo termine con vittorie strategiche più piccole per guadagnare più territorio un po' alla volta. La guerra di posizione è anche caratterizzata da un'abbondanza di rifornimenti per rifornire le truppe e "una grande massa di uomini sotto le armi".

Gramsci sosteneva che una guerra di posizione fosse necessaria per le società capitaliste avanzate in cui la società era diventata una "struttura molto complessa", resistente alle "incursioni" come le depressioni economiche, che altrimenti avrebbero dovuto indebolire la struttura del potere in termini di supporto ideologico. In altre parole, la società ha fornito un sistema di supporto alla struttura politica e coloro al potere in modo da aiutarla a resistere a shock altrimenti negativi come le recessioni economiche.

Gramsci credeva che nelle società occidentali capitalistiche, il sistema di supporto ideologico prevalente per una struttura economica capitalistica e valori borghesi avrebbe protetto la classe dirigente da qualsiasi opposizione organizzata.

Di conseguenza riteneva essenziale studiare in profondità "quali elementi della società civile corrispondono ai sistemi difensivi in ​​una guerra di posizione".


L'analisi di Gramsci della “società civile” e dell'egemonia

Gramsci definì la società civile come "l'insieme di organismi comunemente chiamati 'privati'".

Più direttamente, descrisse la società civile come quella sfera delle attività sociali e delle istituzioni non direttamente parte del governo. Esempi primari includevano partiti politici, sindacati, organizzazioni ecclesiastiche e altre associazioni popolari di volontariato.

Gramsci osservò che i gruppi sociali dominanti nella società civile organizzavano il consenso e l'egemonia, assumendo una posizione di leadership con il consenso dei membri. Il loro ruolo di leadership includeva la promozione di un consenso ideologico tra i loro membri. Gramsci immaginava che questi gruppi avrebbero organizzato la loro opposizione all'ordine sociale esistente.

Gramsci, tuttavia, vedeva la società occidentale come un forte sistema difensivo per lo stato, che a sua volta esisteva per proteggere gli interessi della classe capitalista.

"In Occidente c'è una relazione tra stato e società civile, e quando il primo barcollava subito appariva una solida struttura della società civile. Lo stato è solo un fossato esterno, dietro il quale sorge un potente sistema di fortezze e terrapieni", scrisse. In breve, in tempi in cui lo stato stesso potrebbe aver mostrato debolezze per il rovesciamento da parte di forze ideologiche opposte, le istituzioni della società civile hanno fornito un rinforzo politico all'ordine esistente.

A suo avviso era necessaria una nuova volontà collettiva per portare avanti questa guerra di posizione. Per lui era vitale valutare cosa potesse ostacolare questa volontà, vale a dire alcuni gruppi sociali influenti con le ideologie capitaliste prevalenti che avrebbero potuto impedire il progresso della rivoluzione.

Gramsci parlò di organizzazioni tra cui chiese, enti di beneficenza, media, scuole, università e potere "economico aziendale" come organizzazioni che dovevano essere invase dai pensatori socialisti.

La nuova dittatura del proletariato in Occidente, secondo Gramsci, doveva nascere solo da un consenso attivo delle masse lavoratrici, guidate da quelle organizzazioni critiche nella società che generano un'egemonia ideologica.

Come la definì Gramsci, egemonia significa leadership "culturale, morale e ideologica" sui gruppi alleati e subordinati. Gli intellettuali, una volta sistemati, dovevano raggiungere ruoli di leadership sui membri di questi gruppi attraverso il consenso e la persuasione piuttosto che il dominio o la coercizione.

L'obiettivo della guerra di posizione era quello di plasmare una nuova volontà collettiva delle masse al fine di indebolire le difese che la società forniva allo stato capitalista.

Gramsci sottolineò inoltre il ruolo di un partito politico nell'assumere la leadership e la direzione filosofica di tutte queste alleanze nella società. Uno degli obiettivi principali del partito sarebbe stato quello di inserire i soldati di fanteria della guerra rivoluzionaria di posizione nelle istituzioni statali: tribunali, polizia, consigli d'amministrazione e burocrazie. Occorreva stabilire una base di socialisti su cui far funzionare l'apparato statale una volta completato il suo rovesciamento, sosteneva Gramsci.


Condizioni di preparazione per l'attacco frontale

Come la descrisse Gramsci, una guerra di posizione implica una sorta di “rivoluzione passiva”; passaggio dall'ordine borghese dominante a quello del socialismo senza alcun sconvolgimento sociale violento.

Affinché potesse avvenire la transizione sociale, le "condizioni necessarie" nella società dovevano essere "già state incubate", secondo Gramsci. Egli faceva riferimento ad una nuova volontà collettiva tra le masse, la quale coincideva con l'avere le persone giuste in posizioni strategiche nella società e nelle burocrazie statali.

Gramsci indicò il fascismo italiano come un esempio di rivoluzione passiva. Il fascismo economico "consiste nel fatto che la struttura economica si trasforma in modo 'riformista' da un'economia individualista ad un'economia pianificata (economia di comando)". Questa "economia intermedia" sarebbe servita come punto di partenza per la transizione successiva verso il controllo totale dei mezzi di produzione, una transizione che sarebbe potuta avvenire "senza cataclismi radicali e distruttivi di tipo sterminatore".

Il fascismo economico fa un passo verso la collettivizzazione dei mezzi di produzione senza toglierli ai capitalisti, sosteneva Gramsci. Il fascismo serve ad "accentuare l'elemento della pianificazione" nella struttura economica, facilitando la transizione verso la completa collettivizzazione. Questo spostamento avrebbe contribuito a facilitare l'accettazione diffusa di un maggiore controllo centralizzato sulla produzione senza strappare il controllo sui mezzi di produzione ai capitalisti o eliminare il profitto. Almeno inizialmente...

Una volta che tutte queste condizioni sarebbero state messe in atto (una nuova volontà collettiva, il controllo ideologico sulle istituzioni della società, rivoluzionari in posizioni strategiche nello stato), il tempo sarebbe giusto per la "guerra di movimento" conclusiva.

Questa guerra frontale di movimento per rovesciare lo stato e l'ordine sociale non solo avrebbe avuto successo, ma sarebbe stata anche permanente. Perché secondo Gramsci: "In politica, la 'guerra di posizione', una volta vinta, è definitiva e decisiva".

La “lunga marcia attraverso le istituzioni” della sinistra ha creato le condizioni giuste per il rovesciamento finale della nostra società. Tale successo ha significato e sta significando il disastro economico e sociale.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. Quando oggi ho pubblicato il pezzo su Gramsci, credevo che i tempi fossero maturi affinché la maggior parte di chi l'avesse letto avrebbe capito come mai la sua strategia per conquistare l'Occidente è stata un successo. Con mia sorpresa ci sono ancora individui che non hanno capito quanto male abbia fatto Gramsci non solo all'Italia, ma al mondo intero. Marx, Stalin e Lenin credevano che la rivoluzione potesse essere raggiunta attraverso la violenza e che sarebbe bastato sovvertire il modo di produzione all'interno della società occidentale. Si sbagliavano ed il loro metodo s'è dimostrato fallimentare alla prova storica dei fatti. Chi invece ha avuto ragione su di loro è stato Gramsci, il quale aveva individuato nella religione il pilastro da abbattere per poter poi avviare la conquista. Il trio di macellai di cui sopra credeva che la religione fosse definita dal modo di produzione, ma anche qui si sbagliavano.

    Bisogna sottolineare che la rivoluzione industriale e lo spirito capitalista che ha caratterizzato il più grande progresso sociale/tecnologico nella storia umana, non sono spuntati fuori per caso in quella determinata epoca e senza un supporto alla base. Alla famosa domanda: "Perché la rivoluzione industriale è saltata fuori proprio nel XIX secolo e non prima?" ha risposto magistralmente Deirdre McCloskey nella sua trilogia sulla borghesia. Infatti fu la riforma protestante ad accendere la scintilla del progresso personale visto in ottica positiva. La retorica protestante iniziò a trovare terreno fertile in Olanda alla fine del XVII secolo, dove diffuse un senso di legittimità nei confronti della ricchezza personale derivata dall'imprenditorialità e dalla creatività personale che poi avrebbe portato a delle innovazioni tecnologiche. Non solo, nel corso del tempo a questi cambiamenti se ne aggiunsero altri due man mano che si diffondevano in Europa (soprattutto nelle isole britanniche): cambiamento dell'etica, un cambiamento di mentalità alimentato inizialmente dai Calvinisti (es. la ricchezza personale è legittima); fiducia nel futuro, orientamento verso il futuro.
    Adam Smith con La Ricchezza delle Nazioni non fece altro che fornire supporto accademico a quello si stava diffondendo: la ricerca della ricchezza personale genera ricchezza anche per l'intera nazione. Ci è arrivata anche la Chiesa Cattolica alla fine, ma con un certo ritardo. Notando che la società occidentale era profondamente religiosa, Gramsci riteneva che l'unico modo per realizzare una rivoluzione proletaria era spezzare la fede delle masse degli elettori occidentali nel cristianesimo e nel sistema morale derivato dal cristianesimo. La religione e la cultura erano alla base della piramide. Era la cultura, e non la condizione economica della classe operaia, la chiave per portare il comunismo in Occidente.

    Friedrich Nietzsche scrisse questo nel libro, Il Crepuscolo degli Idoli: "Se rinunciate alla fede cristiana, toglierete il tappeto della moralità cristiana da sotto i vostri piedi". Cos'è la morale cristiana, alla fine della fiera, se non il principio di non aggressione? Gramsci lo capì più di ottant'anni fa. È la sua strategia politica alla base di ciò che vediamo accadere oggi nelle università, nel governo, nel discorso pubblico, nel politically correct, nei cinema, nella musica e nella società più in generale. E, con la seguente notizia, anche alla Chiesa Cattolica. Alla luce di ciò, credete sia un caso che la maggior parte delle persone in Italia abbia tranquillamente fatto a meno della fede durante l'epidemia di virus C a favore dell'escatologia statale?

    RispondiElimina