Bibliografia

venerdì 9 ottobre 2020

Il Dilemma di Buenos Aires

 

 

di Francesco Simoncelli

Non poche sopracciglia si sono alzate quando ho pubblicato il mio ultimo pezzo qui sul blog, dove andavo a delineare come la valuta fiat è destinata a raggiungere il suo valore "intrinseco": zero. Mezzo secolo fa gli attori di mercato si sono lasciati alle spalle la copertura dell'oro e a quel tempo, a molte persone, incluso Milton Friedman, sembrava un miglioramento. Poi è diventato un caos: le imprese, le famiglie e il governo si sono resi conto che prendere in prestito denaro era più facile che guadagnarlo (o tassarlo). Ora il sistema del denaro fasullo è un racket, quindi perché preoccuparsi di prendere in prestito quando si può stampare dal nulla? La mia previsione: non passerà molto tempo prima che il dollaro USA stesso vada a gambe all'aria (anche se non sono così sciocco da dire esattamente quando).

Far finta che le leggi economiche non siano apodittiche, non fa sì che esse scompaiano. Nel caso del dollaro, far finta che il Dilemma di Triffin non esista non lo fa scomparire e nemmeno le sue conseguenze. Ciò vale anche per la Legge di Say, soprattutto per quanto riguarda una produzione industriale distorta dal denaro facile, cosa che a sua volta genera un mismatch tra domanda e offerta sui mercati. Questa disconnessione genera investimenti improduttivi, cosa che a sua volta porta ad uno spreco di risorse economiche scarse; e questo vale soprattutto per la forza lavoro, la quale non solo viene risucchiata in imprese che vengono tenute in piedi artificialmente, ma viene in gran parte lasciata a spasso e incapace di crearsi un futuro. Inutile dire che il welfare state diventa l'unica soluzione per loro per sopravvivere e questo significa deficit di bilancio crescenti per sostenere ciò che nel lungo termine è insostenibile. I finanziamenti reali sono assenti, quindi la stampa di denaro diventa l'unica risorsa da cui attingere, non solo per coprire i buchi di bilancio e cercare di tamponare un problema di offerta stimolando la domanda, ma anche per attuare la classica operazione beggar thy neighbour attraverso la svalutazione della cosiddetta moneta di riserva mondiale.

In sostanza, si cedono foglietti di carta colorata in cambio di importazioni di beni reali. Un processo silenzioso ed inesorabile, ma le cui conseguenze si fanno sentire man mano che passa il tempo. I vantaggi sono tutti dalla parte di chi emette denaro fiat, mentre gli svantaggi dalla parte di chi cede i beni. Inutile dire che il freno a questo processo di furto è proprio il Dilemma di Triffin, i cui effetti si vedono in tre aree: tassi di cambio, flussi di capitale, politica monetaria. È economicamente impossibile "controllarle" tutte e tre, soprattutto in un momento in cui il bacino dei risparmi reali è in forte stress.

A detta del sottoscritto, tutto parte dal mercato obbligazionario e dai tassi che lo governano. Il processo è già in corso. Secondo gli ultimi dati TIC del Tesoro USA, su una proprietà estera totale di $7.000 miliardi di debito statunitense, la Cina possiede $1.073 miliardi dei quali secondo il Global Times ne verranno sicuramente venduti $300 miliardi. Senza scordarci che ci sono $227 miliardi di debito delle agenzie e $189 miliardi in azioni, che se sommati ai restanti $800 miliardi ci dicono che c'è la bellezza di $1.200 miliardi di titoli che finiranno sul mercato se la Cina, in caso estremo, decide di vendere tutte le sue posizioni. Quando un detentore importante inizia a liquidare, altri sicuramente lo seguiranno.

Fino a poco tempo fa il finanziamento del governo degli Stati Uniti non rappresentava un problema, perché il deficit commerciale non si traduceva in deficit della bilancia dei pagamenti. Gli esportatori stranieri ed i loro governi conservavano e persino aumentavano il loro stash di dollari, ed è così che sono finiti all'estero circa $30.000 miliardi di titoli statunitensi. Se gli importatori stranieri vendono i loro dollari, ci possono essere due risultati: o la quantità di dollari in circolazione si contrae, oppure vengono acquistati da acquirenti nazionali. I tentativi della FED di mantenere il tasso di cambio e di accelerare lo stimolo monetario sono destinati a fallire. Il problema è una crescente quantità di denaro che insegue una quantità in diminuzione di beni prodotti dagli americani, mentre le importazioni sono bloccate o sottoposte a dazi. E la produzione interna è ostacolata anche dal lockdown e dal desiderio dei banchieri di ridurre il rischio di prestito nei confronti del settore non finanziario.

Qualsiasi cosa il governo degli Stati Uniti faccia nel tentativo di ridurre il deficit commerciale senza ridurre il deficit di bilancio è destinato a portare a un'ulteriore inflazione dei prezzi, o in altre parole, ad una riduzione del potere d'acquisto del dollaro. È sempre più difficile che il dollaro possa evitare il suo destino, decenni di vantaggi dalla Parte 1 del Dilemma di Triffin stanno volgendo al termine. La parte 2 è l'inevitabile crisi che nasce proprio dai vantaggi della parte 1.

Ma da dove ha origine questo processo? Qual è il punto iniziale di questa spirale viziosa che pare un cane che si morde la corda?


L'ORIGINE DEL CAOS PIANIFICATO

Dovrebbe essere ovvio che i cambiamenti nella quantità di denaro, soprattutto sotto forma di credito bancario, hanno un effetto sull'economia più ampia. Altrimenti perché le banche centrali si darebbero pena ad attuare una politica monetaria? Aumentando la quantità di moneta in circolazione e incoraggiando le banche a prestare, una banca centrale mira a microgestire con una certa accuratezza l'ambiente economico, ma c'è anche un effetto ciclico di boom/bust legato ai cambiamenti nella disponibilità del credito bancario, solo che la crociata del sistema bancario centrale s'è incentrata sulla volontà di voler eliminare la fase di correzione e favorire a tutti i costi quella di espansione. Questa determinazione viene espressa mediante la manipolazione dei tassi d'interesse, cosa che dovrebbe consentire a sua volta di gestire il livello generale dei prezzi e quindi, influenzare il livello della domanda dei consumatori. peccato che questa costruzione teorica cada a pezzi non solo di fronte ad un vaglio logico ma anche empirico, come dimostrato su queste pagine diverse volte.

Un imprenditore che alloca capitali per fabbricare un determinato prodotto, deve calcolare un punto di riferimento importante: il prezzo al quale può aspettarsi di venderlo. Se sale, può permettersi di pagare un tasso d'interesse più alto, e viceversa. Questa tendenza diviene particolarmente marcata se il profitto atteso per il suo prodotto è un fenomeno che viene sperimentato anche da altri imprenditori, ovvero, il livello generale dei prezzi sale. Inoltre l'aumento della domanda di capitale monetario va ad alterare il rapporto tra risparmio e consumo, fino a che entrambi questi parametri non trovano un nuovo equilibrio. Di conseguenza la manipolazione centrale dei tassi d'interesse per manipolare successivamente il tasso di risparmio è destinate a creare solo caos, perché sostituisce piuttosto che integrare il legame vitale tra la domanda di capitale (imprenditori) e la sua offerta (risparmiatori).

La soppressione dei tassi d'interesse finisce per incoraggiare le imprese ad investire più capitali nella produzione, ma la motivazione non è più alimentata dalle aspettative della domanda futura ma dall'opportunità di accedere a prestiti artificialmente a basso costo. La propensione al risparmio è materialmente ridotta, interrompendo rovinosamente il meccanismo di mercato.

In sostanza è questo il motivo per cui la politica del sistema bancario centrale riguardo ai tassi d'interesse è fallimentare: i tassi d'interesse non sono solo il prezzo del denaro, ma riflettono la differenza tra il possesso di un bene nel presente ed il suo possesso in futuro. Il denaro non è una merce in qualche modo avulsa dalle leggi economiche, in particolar modo domanda/offerta, ma in quanto tale l'interesse rappresenta la cinghia di trasmissione tra le preferenze temporali individuali nella società. Attraverso di esso la struttura di produzione viene collegata nella rete delle varie fasi di realizzazione dei prodotti, creando un dedalo intricato e complesso di meccanismi gestiti solo da un "numero". Apparentemente semplice da controllare, nella pratica impossibile anche solo da influenzare.  Questo solo fatto colpisce il cuore dell'economia keynesiana e demolisce la sua tesi di come dovrebbe essere gestito il ​​ciclo di boom/bust. Nel Capitolo 22 della Teoria Generale Keynes dice che le fluttuazioni nella propensione al consumo hanno un ruolo cruciale nel ciclo economico. In altre parole, i cambiamenti nel rapporto tra consumo e risparmio dettati dagli “spiriti animali” e dal “paradosso della parsimonia”.

Niente di tutto questo spiega la natura ciclica del ciclo economico. Keynes riteneva che come economista conoscesse meglio il mondo imprenditoriale, fatto in realtà di istinti piuttosto che di calcoli matematici, una visione che persiste con i neo-keynesiani che pianificano la politica monetaria e ora mutata nel controllo totale dei mercati. Senza una spiegazione adeguata, Keynes presumeva quindi che "l'incertezza del futuro" accompagna un crollo dell'efficienza marginale del capitale, seguito da un aumento della preferenza per la liquidità e quindi un aumento dei tassi d'interesse. Gran parte del problema con l'economia di Keynes sono le sue definizioni ingarbugliate e mutevoli, molte delle quali sono ora entrate nel lessico economico. Ma questo esame superficiale del Capitolo 22 sul ciclo economico rivela i principali errori che guidano i banchieri centrali oggi; da nessuna parte, infatti, viene menzionato il ruolo dell'espansione del credito bancario.

Le banche creano linee di prestito e a loro volta creano depositi quando vengono utilizzati tramite pagamenti. Durante un periodo di espansione del credito, tutto il sistema bancario commerciale vede un aumento dei depositi e quando questi porteranno a squilibri per le singole banche, essi verranno riconciliati attraverso i mercati interbancari. L'espansione del credito bancario favorisce le banche stesse ed i relativi clienti, che possono trarne vantaggio e spenderlo prima che i prezzi possano riflettere la valuta aggiuntiva in circolazione. Poiché il denaro extra viene speso in una distribuzione sempre più ampia, fa aumentare i prezzi in quello che è noto come Effetto Cantillon. Alla fine viene completamente assorbito dalle attività economiche, ma poiché le risorse di produzione sono anelastiche, il potere d'acquisto delle unità monetarie diminuisce poiché la maggiore quantità di denaro insegue una quantità di beni pressoché costante. Ciò si riflette in un aumento del livello generale dei prezzi.

Ma durante il processo di assorbimento del nuovo denaro nell'economia, si sviluppa un ciclo economico. Inizialmente il denaro extra crea una domanda di beni e servizi che in precedenza non esisteva: si verifica un boom temporaneo nell'attività commerciale, ma solo per quei beni e servizi nei luoghi in cui viene speso il nuovo denaro. Ciò che non si vede è il trasferimento di ricchezza che avvantaggia chi riceve per primo il denaro creato ex novo rispetto a chi lo riceve solo in seguito, o peggio non lo riceve affatto. I perdenti sono ovviamente i risparmiatori il cui capitale vale di meno e gli operai i cui salari vengono svalutati.

Man mano che il denaro extra penetra nell'economia più ampia, le imprese scoprono che il costo delle materie prime e delle merci aumenta, spinto dalla domanda in eccesso creata dal denaro aggiuntivo. Emerge quindi una carenza di manodopera qualificata, il costo del lavoro aumenta, i tempi di attesa per le apparecchiature di produzione si allungano e anche i loro prezzi aumentano, oltre a quelli dell'energia.

Ad un certo punto l'espansione del credito bancario informa il banchiere prudente che, anche se i tempi sono buoni, deve prevalere una certa cautela. Il calo del potere d'acquisto della valuta spinge gli individui a prediligere il consumo al risparmio, perché aumenta la preferenza temporale tra possesso e non possesso. Sebbene livelli di spesa più elevati assicurino che il denaro continui a circolare attraverso le banche, queste devono lasciar salire i tassi d'interesse per mantenere l'equilibrio tra l'estensione del credito bancario e la sicurezza dei depositi dei clienti, proprio perché esiste un rischio intrinseco nel finanziare il credito tramite conti correnti che possono essere utilizzati senza preavviso invece che con depositi a termine.

La salita dei tassi d'interesse sconvolge i modelli di business dei produttori e iniziano a considerare la riallocazione del capitale ad altre applicazioni. Nel caso in cui vi sia una quantità di denaro stabile, questo non è un problema, essenzialmente perché il cambiamento delle strategie aziendali è un processo casuale; inoltre l'estensione del tempo di produzione che tende ad accompagnare tassi d'interesse artificialmente soppressi, illustrata dal Triangolo di Hayek, non è mai un problema in un'economia con offerta di denaro fissa. La cosa importante da ricordare è che l'effetto di un'espansione del credito tende a far agire le imprese allo stesso modo e allo stesso tempo, sia nella parte iniziale e soprattutto in quella finale dove devono rivalutare le attività improduttive. Le banche commerciali sono sensibili a queste condizioni e sono fin troppo consapevoli dei rischi di prorogare i prestiti ad imprese non redditizie. Quindi anche la maggior parte delle banche arriverà alla stessa conclusione: ridurre i rischi di prestito per paura di finire in una crisi.

L'espansione del credito bancario va avanti per un lungo periodo di tempo, per poi interrompersi improvvisamente. L'origine del ciclo economico la ritroviamo, quindi, in un aumento della quantità di denaro circolante sotto forma di credito bancario. Senza variazioni nella quantità di quest'ultimo, non ci sarebbe alcun ciclo economico.


TRIFFIN SI AGGIORNA: IL DILEMMA DI BUENOS AIRES

L'espansione monetaria è ormai diventata inarrestabile, perché se si volesse fermare le distorsioni economiche accumulate fin dalla Grande Depressione verrebbero totalmente a galla e chiederebbero dazio. La disoccupazione aumenterebbe, la domanda crollerebbe e quindi i prezzi calerebbero, mentre gli stati perderebbero i loro finanziamenti e dovrebbero attrarre risparmi autentici. I tassi d'interesse dovrebbero salire per normalizzare i tassi di risparmio, ma allo stesso tempo la domanda di finanziamenti da parte dell'apparato statale priverebbe l'economia produttiva del capitale monetario necessario per ristrutturarsi. Non esiste ora alcuna alternativa se non perseguire politiche inflazionistiche fino alla loro amara fine. Alla fine il ritmo sempre crescente di espansione monetaria necessaria per posticipare il crollo distruggerà le valute di tutte le nazioni che seguono le politiche monetarie neo-keynesiane. E con le valute se ne andrà anche tutta la ricchezza personale attraverso il meccanismo del trasferimento inflazionistico. A meno che, ovviamente, non abbiate un Piano B...

La crisi del 2008-2009 ha fatto perdere il lavoro a 8 milioni di persone negli Stati Uniti; ci sono voluti cinque anni affinché si tornasse in pari. Oggi ci sono ancora 11 milioni di americani senza lavoro (per non parlare dei 30 milioni con l'indennità di disoccupazione); se l'economia dovesse riassorbire queste persone alla stessa velocità vista dopo l'ultima crisi, ci vorrebbe, nel migliore dei casi, fino al 2027 per tornare ai livelli di febbraio (se poi includiamo i percettori del sussidio di disoccupazione allora fino al 2038). Ma i lavori non sono le uniche cose che vengono lasciate indietro: poca burocrazia, bilanci equilibrati, denaro sano ed onesto, libera impresa, tra le altre cose

Anche le grandi industrie vengono lasciate indietro. GE, GM, P&G, J&J sono quelle società che costituiscono la spina dorsale del Dow Industrials, ma da 20 anni a questa parte sguazzano nel debito e perdono terreno. In termini di denaro reale, cioè in termini di oro, hanno perso due terzi del loro valore. E non è finita qui. Il Dow ha fatto registrare un minimo (meno di 2 once d'oro per tutte le 30 azioni Dow) nel 1980 e poi ha raggiunto un massimo di oltre 40 venti anni dopo. In questo momento è in calo, intorno a 14, e molto probabilmente scenderà di nuovo sotto 5. Dato che l'oro è denaro reale, perché la Federal Reserve non può "stampare" oro, i prezzi delle altre cose tendono ad essere più stabili in termini d'oro che in dollari. E questo ci riporta alla cosa più importante di tutte quelle che verranno lasciate indietro: il dollaro.

Basta un esempio banale per capire il punto: un Ford F-150 costava circa $2.500 nel 1970, ora costa $28.000; ma in termini d'oro è sceso da 71 once a 14 once. In altre parole, con le stesse once d'oro avreste potuto comprare cinque nuovi F-150. Inutile sottolinearlo, quindi, il dollaro è stato una cattiva forma di denaro per molti anni, se invece aveste tenuto i vostri soldi in oro, il costo della vita sarebbe sceso drasticamente. Invece, in termini di dollari, è aumentato di 5 volte (per non parlare di altre aree, come quella scolastica, dove il costo della vita è aumentato di 30 volte). Il dollaro ha perso terreno ed è destinato a perderne molto di più.

Il che ci riporta in Argentina: con l'ascesa di Péron nel giro di pochi mesi i vecchi “conservatori” erano scomparsi. Mercati liberi, diritti di proprietà, libera impresa, santità dei contratti, indipendenza finanziaria, responsabilità: tutti un ricordo del passato. Lo stato si sarebbe preso cura di tutti, tassando i ricchi, spendendo senza freni, controllando i prezzi, prendendo in prestito e infine stampando denaro. E ora, 75 anni dopo, queste fantasie ce le ritroviamo in Occidente, come se fossero una verità rivelata a cui nessuno era riuscito a dare propriamente luce. Gli argentini, però, sanno come funzionano queste cose, la storia li ha abituati ai truffatori. Infatti il mese scorso, dopo l'annuncio dell'ennesima tassa per tentare di tenere in piedi un governo all'ennesimo fallimento, c'erano file di fronte agli "spacciatori" di valuta del mercato nero, desiderosi di scambiare pesos per valuta estera e soprattutto Bitcoin.

Almeno il default dell'Argentina è alla luce del sole, tra pochi anni sarà quasi dimenticato. Il default dell'America richiederà più tempo e sarà più subdolo e molto più costoso.


CONCLUSIONE

Le leggi dell'economia sono a priori e non possono essere violate. Possono essere aggirate, temporaneamente, ma tale aggiramento richiede un costo da pagare. Più a lungo lo si rimanda, più il conto sarà salato. Gli Stati Uniti e la FED credono di essere in qualche modo super partes per quanto riguarda questi meccanismi, in realtà sono nel bel mezzo di un super ciclo economico che si è esteso sin dalla Grande Depressione, andando non solo ad esaurire il bacino dei risparmi reali interno ma addirittura quelli esterni che hanno creduto nel dollaro. Quest'ultimo farà la stessa fine di tutte le valute fiat scoperte che l'hanno preceduto. Ci sono voluti cento anni, dal 1913 al 2013, affinché la FED accumulasse i suoi primi $3.000 miliardi di attivi. Poi, in soli tre mesi, da marzo a maggio di quest'anno, ha aggiunto altri $3.000 miliardi. E ora ne promette quasi $5.000 miliardi in più!

Gli americani sono ingenui, non hanno una cronologia storica di default e l'inflazione dei prezzi, salita al 13% 40 anni fa, è un lontano ricordo. I pianificatori centrali possono distribuire migliaia di miliardi, nessuno si chiederà da dove vengono e nessuno si preoccuperà di immaginare che questa manna possa finire. Tuttavia nessuna moneta cartacea scoperta è mai sopravvissuta a un ciclo completo del credito ed è improbabile che il dollaro sia la prima. Tutti in argentina sanno che il loro governo è al verde. Quindi, se i soldi venissero lanciati dagli elicotteri, la gente saprebbe esattamente cosa fare: recarsi al mercato nero e cambiarli per denaro sano ed onesto.

Invece la FED stampa, il governo federale spende e la gente comune non fa domande finché gli assegni del welfare continuano ad arrivare. Quando questi ultimi, però, si renderanno conto che i loro dollari stanno diventando inutili, sarà troppo tardi. E lì il triplo smacco riempirà i loro occhi: i loro risparmi non valgono nulla, sono stati imbrogliati con foglietti di carta colorati senza valore e nessuno ha mai avuto intenzione si salvarli. La Guerra al Terrore ha avvantaggiato il complesso militare/industriale; è costata solo agli Stati Uniti più di $6.000 miliardi. L'anti-razzismo fa guadagnare miliardi alle teste di legno in TV; mette tutti gli altri ai ferri corti. La Guerra alla Povertà ha fatto guadagnare ricchezza e status a chi sui media appare come paladino di questa crociata; i poveri sono poveri come sempre. La ZIRP della Federal Reserve ha spostato migliaia di miliardi nelle tasche delle persone più ricche e "ben connesse"; i poveri e la classe media non hanno ottenuto nulla.

Questa è la proverbiale Palude, l'establishment (sistema bancario centrale, gruppi d'influenza sui governi, ONG, think tank, media generalisti), che continua a drenare la forza vitale della società a favore di una classe dirigente presumibilmente onnisciente. I numeri di questo articolo di Bloomberg pare non destino preoccupazione nella popolazione generale, proprio perché acclamano suddetta onniscienza fino all'accettazione della sua inevitabile trasformazione finale: il totalitarismo. A quel punto, però, la linfa vitale finisce e con essa i "sogni di conquista" dell'establishment. Non si scappa all'apodittismo delle leggi economiche.

E il bello è che ci si chiede ancora, con un certo grado di sbigottimento, come abbiano fatto comunismo e nazismo a guadagnare consensi nel corso della storia...


4 commenti:

  1. molto bello ed interessante, pero' ci sono 2 cose che non citi (ne cita mai nessuno dei tuoi autori) che mi lasciano in dubbio. premetto che condivido tutto, la critica verso il sistema e' inopinabile, solo la conclusione mi lascia puntualmente interdetto. Spero mi rispondera' Francesco, perche' le domande sono genuine come la mia curiosita', quindi procedo. Vorrei sapere che ne pensi della deflazione da debiti, questione tangibile, fenomeno storico ripetutosi diverse volte e che sembra essere, almeno secondo molti esperti non meno agguerriti di voi, il preciso contesto in cui ci troviamo ora. Siamo sicuri che il problema oggi e negli anni che verranno sia l'inflazione? Infondo uno dei grandi problemi che rende tanto inefficare quanto tossica la politica monetaria ultraespansiva di FED e company non e' proprio che il denaro stampato non arriva mai all'economia, ma siferma nei mercati finanziari? L'inflazione di cui ci dovremmo preoccupare non e' quella gia' esplosa da tempo ed in piena bolla, parlo di quella di prodotti finanziari, debito e immobili? Ma altrimenti che inflazione possiamo avere in parallelo con alti livelli di disoccupazione e deflazione salariale? Seconda ed ultima cosa, non citi mai la velocita' di circolazione della moneta, ma solo la sua quantita'. Nella mia infinita ignoranza sapevo che l'inflazione dipendeva da entrambe le cose ed i fatti ad oggi sembrano provare che nonostante questa presunta quantita' di denaro stampato la sua velocita' di circolazione sia al minimo storico, un fenomeno gia' presente prima che comparisse il Covid oltretutto. Mi scuso se mi sono dilungato troppo e spero mi farai sapere che ne pensi, in particolare di deflazione da debiti e velocita', per non dire lentezza, di circolazione della moneta che risulta non pervenuta. Cari saluti

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  2. Anch’io, come Cambiasso, ti chiedo dell’inflazione. Draghi più volte ha indicato come obiettivo una sua crescita non superiore al 2%, non riuscendo, almeno a giudicare dai dati ufficiali, a “governare” detto incremento. Ma se lo sbocco inflazionistico è la fine di tutte le politiche di danaro fiduciario e credito facile, temo che non assisteremo ad una progressiva erosione dei valori reali di asset e poi di beni (che renderebbe più agevole correre ai ripari), quanto piuttosto al doloroso scoppio di una bolla di dimensioni ben superiori a quella del 2008 e precedenti e con effetti ben più devastanti. Temo che ai “canonici” imbrogli del ventesimo secolo, nazismo e comunismo, i libri di storia dovranno aggiungere l’abbandono della convertibilità in oro e la riserva frazionaria.

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  3. Perdonate la risposta tardiva, ma volevo inizialmente scrivere un post a parte (forse lo farò lo stesso più in là) però poi ho deciso di dare una risposta quanto più sintetica qui. I deflazionisti prevedono che la deflazione dei prezzi sia inevitabile e imminente. Gli inflazionisti insistono sul fatto che l'inflazione di massa sia inevitabile, ma forse non imminente. I deflazionisti parlano raramente di deflazione di massa, per non parlare di iper-deflazione. Solo deflazione. Non dicono di quale percentuale i prezzi scenderanno ogni anno o per quanti anni. Un nuovo arrivato in questo dibattito può immaginare che questo sia qualcosa legato solo ai giorni nostri, invece è un vecchio dibattito in cui una parte - i deflazionisti - hanno avuto torto ogni anno sin dal 1955. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, la deflazione finì in tutto il mondo e non è più tornata.

    Il principale promotore della posizione deflazionista dopo il 1970 fu John Exter, un economista che era stato a Citibank ed poi con la Federal Reserve. Quasi tutti gli economisti di formazione accademica che si preoccupano della possibilità di deflazione sono keynesiani. Negano che la deflazione sia inevitabile. Credono che lo stato possa fermare la deflazione se implementa un deficit di bilancio sufficientemente ampio. Hanno fiducia nel cosiddetto stimolo. I keynesiani oggi si affidano a Milton Friedman ed ai monetaristi per assisterli nel loro obiettivo politico di evitare la deflazione dei prezzi. Riconoscono che il sistema bancario centrale deve finanziare i deficit statali e stimolare il prestito al consumo. Inoltre, non credono che sia probabile un'inflazione di massa o un'iperinflazione.

    Quindi, quando dico "deflazionisti", ho in mente un gruppo specifico: non economisti che prevedono una inevitabile deflazione dei prezzi su vasta scala, indipendentemente da ciò che fa lo stato ed il sistema bancario centrale. Gli economisti Austriaci insistono sul fatto che l'iperinflazione è sempre un'opzione. Dicono anche che se il sistema della Federal Reserve smette di inflazionare e rifiuta anche di intervenire per salvare le banche, ci sarà un collasso bancario che porterà a deflazione monetaria e dei prezzi. La maggior parte di loro pensa che questo sia politicamente improbabile.

    Sono uno che pensa che le banche centrali tenteranno di stabilizzare l'offerta di moneta per evitare l'iperinflazione. Secondo me, quindi, inflazione di massa sì, iperinflazione no. Poi deflazione. Prestate particolare attenzione ad un fatto: chiunque creda davvero nello scenario di Exter dovrebbe consigliare il denaro fiat piuttosto che l'oro agli investitori. Qualsiasi consulente per gli investimenti che prevede un'inevitabile deflazione dei prezzi e che non consiglia obbligazioni statali e cartamoneta sta fingendo. Non crede davvero alla sua posizione.

    Non abbiamo mai avuto l'opportunità di testare la teoria di Exter, perché deve ancora esserci un solo anno in cui l'IPC sia sceso. La teoria della deflazione dei prezzi di Exter si applica solo ai mercati del credito, non ai prezzi al consumo. I prezzi al consumo sono governati dall'offerta di moneta, in particolare M1.

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    1. Exter credeva che il carico di debito nei mercati dei capitali alla fine sarebbe diventato troppo grande da sopportare. I mutuatari non avrebbero pagato i creditori e ci sarebbe stata un'ondata di vendite di asset. I prezzi, di conseguenza, sarebbero scesi. Io rispondo: "Anche se questo è vero, cosa di cui dubito, non ha nulla a che fare con i prezzi al consumo".

      Gli indici nel mercato azionario sono tutti scesi, nel 2000, nel 2009 e per poco anche lo scorso marzo; i prezzi al consumo invece sono saliti. Non c'è correlazione nella teoria economica e non ce n'é nemmeno nella pratica. La logica di Exter sarebbe valida se il crollo dei prezzi degli asset portasse al fallimento delle banche, ma solo su questo presupposto: il sistema bancario centrale non interviene per salvarle. Bisogna anche presumere che lo stato non intervenga per fornire denaro a queste banche. La teoria di Exter non regge se il bancario centrale può creare nuova base monetaria acquistando asset, iniettando così nuovo denaro nell'economia. Se le banche commerciali non creano denaro prestandolo, ma invece lo detengono presso il sistema bancario centrale come riserve in eccesso, la banca centrale può iniziare a addebitare una commissione per detenere le riserve in eccesso. Le banche commerciali ritireranno il denaro e lo presteranno. Quindi fluirà nell'economia. Risultato: inflazione monetaria, quindi inflazione dei prezzi.

      In un crollo finanziario, le persone che detengono denaro fiat cambieranno. La quantità di denaro detenuta in conti bancari individuali e in valuta in portafogli individuali non cambierà. Ciò è stato dimostrato nel 2008: i prezzi al consumo non sono scesi, questo perché l'offerta di moneta non è diminuita. Exter non capiva le grandi banche e non ha capito come funzionano le banche centrali. La sua teoria sul calo dei prezzi degli asset non aveva nulla a che fare con il calo dei prezzi al consumo. Non si è mai avverata e mai si avvererà. Quella teoria era ed è sbagliata.

      La teoria di John Exter dell'inevitabile calo dei prezzi degli asset come fattore scatenante una diffusa deflazione dei prezzi non ha senso in un mondo di banche centrali ed enormi disavanzi pubblici. Finché l'offerta di moneta non si riduce, non ci sarà deflazione di massa, per non parlare dell'iper-deflazione.

      L'offerta di moneta non si ridurrà in nessun Paese a meno che lo stato ed il sistema bancario centrale non si ritirino congiuntamente e rifiutino di salvare le banche, ridefinendo ciò che costituisce solvibilità, o di creare più moneta fiat.

      Tenete d'occhio le statistiche sul denaro. Il resto è irrilevante.

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