Bibliografia

lunedì 21 settembre 2020

La cospirazione contro la Libia

 

 

di Eric Draitser

Il sole cocente del deserto passa attraverso strette lamelle nella minuscola finestra. Un topo corre sul pavimento di cemento incrinato, lo scalpiccio delle sue minuscole zampe è soffocato dal suono di voci lontane che parlano in arabo. Le loro chiacchiere sono in un dialetto libico occidentale, il quale si distingue peculiarmente rispetto al dialetto orientale parlato a Bengasi. Da qualche parte in lontananza, oltre l'orizzonte scintillante del deserto, c'è Tripoli, il gioiello dell'Africa ora ridotto ad una guerra perpetua.

Ma qui, in questa cella di un vecchio magazzino umido a Bani Walid, non ci sono contrabbandieri, stupratori, ladri o assassini. Ci sono africani catturati dai trafficanti mentre si dirigevano dalla Nigeria, dal Camerun, dal Ciad, dall'Eritrea o da altre parti disparate del continente, alla ricerca di una vita di fuga dalla guerra e dalla povertà, frutto marcio del colonialismo anglo-americano ed europeo. I marchi a fuoco sui loro volti raccontano una storia più tragica di qualsiasi cosa prodotta da Hollywood.

Questi sono schiavi: esseri umani comprati e venduti per il loro lavoro. Alcuni sono destinati ai cantieri, mentre altri ai campi. Tutti affrontano la certezza della servitù forzata, un incubo ad occhi aperti che è diventato la loro realtà quotidiana.

Questa è la Libia, la vera Libia. La Libia che è stata costruita dalle ceneri della guerra USA-NATO che ha deposto Muammar Gheddafi e il governo della Jamahiriya Araba Libica. La Libia ora si è divisa in fazioni in guerra, ciascuna sostenuta da una varietà di attori internazionali il cui interesse nel Paese è tutt'altro che umanitario.

Ma questa Libia non è stata costruita da Donald Trump. No, è stato il grande umanitario Barack Obama, insieme a Hillary Clinton, Joe Biden, Susan Rice, Samantha Power e il loro armonioso circolo pacifico di interventisti liberal a provocare questa devastazione. Con discorsi brillanti sulla libertà e l'autodeterminazione, il Primo Presidente Nero, insieme ai suoi compagni della NATO in Francia e Gran Bretagna, ha scatenato i cani da guerra su una nazione africana in precedenza considerata da gran parte del mondo come un modello di sviluppo economico e sociale .

Ma questo non è un mero esercizio giornalistico per documentare solo uno degli innumerevoli crimini compiuti in nome del popolo americano. No, questi siamo noi, la sinistra negli Stati Uniti contro la guerra, che scrutiamo attraverso le crepe della Washington imperiale – sgretolata com'è dal marciume interno e dal decadimento politico – per far brillare una luce attraverso l'oscurità chiamata Trump.

Ci sono verità che devono essere chiarite affinché non vengano seppellite come i tanti corpi sotto la sabbia del deserto.


La guerra in Libia: una cospirazione criminale

Per comprendere la profondità della criminalità coinvolta nella guerra USA-NATO contro la Libia, dobbiamo svelare una storia complessa che coinvolge tra gli attori sia gli Stati Uniti che l'Europa, i quali hanno letteralmente cospirato per provocare questa guerra, esponendo l'incostituzionale belligeranza del precedente presidente degli Stati Uniti.

Emerge un'immagine che è sorprendentemente in contrasto con la narrativa dominante sulle buone intenzioni e sui presunti dittatori. Infatti, sebbene Gheddafi sia stato presentato come il cattivo per eccellenza in questa storia raccontata dagli scriba dell'Impero, in realtà sono Barack Obama, Hillary Clinton, Joe Biden, l'ex-presidente francese Nicholas Sarkozy, il filosofo e neocoloniale francese Bernard Henri-Lévy e l'ex-primo ministro britannico David Cameron ad essere le vere forze malevole. Sono stati loro, non Gheddafi, ad intraprendere una guerra palesemente illegale con falsi pretesti e per la loro stessa esaltazione. Sono stati loro, non Gheddafi, a cospirare per far precipitare la Libia nel caos e nella guerra civile da cui deve ancora riprendersi. Sono stati loro a battere sui tamburi di guerra mentre proclamavano la pace sulla Terra.

La guerra USA-NATO alla Libia rappresenta uno degli esempi più eclatanti di aggressione militare e illegalità da parte degli Stati Uniti. Ovviamente non hanno agito da soli, poiché i francesi e gli inglesi erano desiderosi di venire coinvolti nella riaffermazione del controllo su una risorsa africana un tempo redditizia e strappata al controllo europeo da Gheddafi. E questo solo pochi anni dopo che l'ex-primo ministro britannico e criminale di guerra in Iraq, Tony Blair, si era incontrato con Gheddafi per inaugurare una nuova era di apertura e collaborazione.

La storia inizia con Bernard Henri-Lévy, filosofo e giornalista francese che si credeva una spia internazionale. Non essendo riuscito ad arrivare in tempo in Egitto per rafforzare il suo ego capitalizzando la rivolta contro l'ex-dittatore Hosni Mubarak, spostò rapidamente la sua attenzione sulla Libia, dove era in corso una rivolta anti-Gheddafi a Bengasi. Come ha raccontato Le Figaro, Henri-Lévy riuscì a partecipare ad un incontro con l'allora capo del Consiglio nazionale di transizione (TNC) Mustapha Abdeljalil, un ex-funzionario di Gheddafi che divenne capo del TNC anti-Gheddafi. Ma Henri-Lévy non era lì solo per un'intervista da pubblicare sul suo giornale, era lì per aiutare a rovesciare Gheddafi e, così facendo, diventare una star internazionale.

Henri-Lévy sollecitò rapidamente i suoi contatti e si mise al telefono con il presidente francese Nicholas Sarkozy per chiedergli, piuttosto schiettamente, se avesse accettato di incontrare Abdeljalil e la leadership del TNC. Pochi giorni dopo Henri-Lévy ed i suoi colleghi andarono ​​al Palazzo dell'Eliseo con la leadership del TNC al loro fianco. Con grande shock dei libici presenti, Sarkozy disse loro che intendeva riconoscere il TNC come governo legittimo della Libia. Henri-Lévy e Sarkozy avevano, almeno in teoria, deposto il governo di Gheddafi.

Ma il piccolo problema delle vittorie militari di Gheddafi e la possibilità concreta che potesse uscire vittorioso dal conflitto complicarono le cose, poiché l'opinione pubblica francese era venuta a conoscenza del piano e giustamente biasimava Sarkozy. Henri-Lévy, da opportunista quale è, alimentò il fervore patriottico annunciando che senza l'intervento francese, la bandiera tricolore che sventolava sugli hotel a cinque stelle di Bengasi si sarebbe macchiata di sangue. La campagna di pubbliche relazioni funzionò quando Sarkozy accarezzò l'idea di un intervento militare.

Tuttavia Henri-Lévy aveva ancora un ruolo ancora più critico da svolgere: portare il colosso militare statunitense nella cospirazione. Organizzò il primo di quelli che sarebbero stati diversi colloqui ad alto livello tra i funzionari americani dell'amministrazione Obama e i libici del TNC. Inoltre Henri-Lévy organizzò l'incontro tra Abdeljalil e il Segretario di Stato Hillary Clinton. Mentre la Clinton era scettica al momento dell'incontro, sarebbe stata una questione di mesi prima che lei e Joe Biden, insieme a artisti del calibro di Susan Rice, Samantha Power e altri, pianificassero la rotta politica, diplomatica e militare verso il cambiamento di governo in Libia.


Gli americani si buttano nella mischia

Non ci sarebbe stata nessuna guerra in Libia se non fosse stato per la macchina politica, diplomatica e militare degli Stati Uniti. Detto in modo più diretto, non ci sarebbe stata nessuna guerra se non fosse stato per la collaborazione attiva dell'amministrazione Obama con le sue controparti francesi e britanniche.

Come ha spiegato Jo Becker del NY Times nel 2016, Hillary Clinton incontrò Mahmoud Jibril, un eminente politico libico che sarebbe diventato il nuovo Primo Ministro della Libia post-Gheddafi, ed i suoi associati al fine di valutare la fazione che stava chiedendo supporto agli Stati Uniti. Il lavoro della Clinton, secondo Becker, era di "misurare i ribelli che sostenevamo", un modo elegante per dire che la Clinton partecipò alla riunione per determinare se questo gruppo di politici che parlava a nome di un gruppo eterogeneo di voci anti-Gheddafi (che andavano da attivisti a favore della democrazia a terroristi veri e propri affiliati a reti terroristiche globali) dovevano essere sostenuti con denaro USA e armi segrete.

La risposta, in definitiva, fu sì.

Ma ovviamente, come per tutte le disavventure bellicose americane, non c'era consenso sull'intervento militare. Come ha riportato Becker, alcuni nell'amministrazione Obama erano scettici sulla vittoria lampo e sul calcolo politico postbellico. Una voce prominente del dissenso, almeno secondo Becker, era l'ex-segretario alla Difesa Robert Gates. Era preoccupato che l'atteggiamento da falco della Clinton e Biden nei confronti della Libia avrebbe infine portato ad un incubo politico in stile iracheno, che senza dubbio sarebbe finito con gli Stati Uniti che avrebbero creato e poi abbandonato uno stato fallito... esattamente quello che è successo.

È importante notare che la Clinton e Biden erano due delle principali voci a favore della guerra. Entrambi hanno sostenuto sin dall'inizio la No-Fly Zone ed entrambi hanno sostenuto l'intervento militare. Infatti i due sono risultati favorevoli in quasi tutti i crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti negli ultimi 30 anni, compreso il crimine di Bush contro l'umanità che chiamiamo seconda guerra in Iraq.

Come ha spiegato l'ex-lacchè della Clinton (vicedirettore del personale addetto alla pianificazione delle politiche del Segretario di Stato), Derek Chollet: "[La Libia] sembrava una pratica facile". Chollet, uno dei principali partecipanti alla cospirazione americana per fare la guerra alla Libia, che in seguito ha servito direttamente sotto Obama e presso il Consiglio di sicurezza nazionale, illustra inavvertitamente l'arroganza imperiale del campo interventista Obama-Clinton-Biden. Definendo la Libia una "pratica facile", significa ovviamente che la Libia era un candidato perfetto per un'operazione di cambio di governo il cui principale vantaggio sarebbe stato quello di incoraggiare politicamente coloro che la sostenevano.

Chollet, come molti pianificatori strategici dell'epoca, vedeva la Libia come un'opportunità per trasformare le manifestazioni e le rivolte del 2010-2011, che divennero note come Primavera araba, in capitale politico per l'allora classe dirigente statunitense. Questa divenne rapidamente la posizione della Clinton e presto il consenso dell'intera amministrazione Obama.

 

La guerra di Obama fuori dalle cronache storiche

Uno dei miti più perniciosi della guerra degli Stati Uniti alla Libia era l'idea, propagandata diligentemente dai lobbisti della difesa e dai giornalisti dei principali organi di stampa, che la guerra fosse una piccola guerra a buon mercato e che non costasse quasi nulla agli Stati Uniti. Non ci sono state vite americane perse nella guerra stessa e il costo in termini monetari è stato minimo, per usare la spregevole terminologia imperialista.

Ma mentre il costo totale della guerra è impallidito rispetto ai crimini su vasta scala in Iraq e Afghanistan, i mezzi con cui è stata finanziata sono costati agli Stati Uniti molto più dei dollari; la guerra alla Libia è stata un'impresa criminale e incostituzionale che ha ulteriormente posto le basi per un presidenza imperiale e un potere esecutivo senza vincoli. Come scriveva all'epoca il Washington Post: "Notando che Obama aveva detto che la missione poteva essere pagata con denaro già stanziato al Pentagono, [l'ex-presidente della Camera] Boehner ha insistito sulla richiesta al Congresso di finanziamenti supplementari".

Operazioni militari impreviste che richiedono spese come quelle fatte per lo sforzo libico, normalmente richiedono stanziamenti supplementari poiché sono al di fuori del budget principale del Pentagono. Questo è il motivo per cui i fondi per l'Afghanistan e l'Iraq sono separati dal normale bilancio del Dipartimento della Difesa. I costi aggiuntivi per alcune delle operazioni in Libia sono minimi... ma le spese per armi, carburante e attrezzature perse sono un'altra cosa.

Poiché l'amministrazione Obama non ha cercato stanziamenti del Congresso per finanziare la guerra, c'è ben poco in termini di documenti per fare una corretta contabilità dei costi della guerra. Man mano che il costo di ogni bomba, jet e veicolo di supporto logistico scompariva nell'abisso contabile del Pentagono, lo stesso destino attanagliava anche qualsiasi parvenza di legalità costituzionale. In sostanza, Obama ha contribuito a stabilire una presidenza senza legge che non solo ha avuto poco rispetto per i controlli e gli equilibri costituzionalmente imposti, ma ha ignorato completamente lo stato di diritto. Infatti alcuni dei crimini di cui sono colpevoli Trump e il procuratore generale Bill Barr hanno il loro diretto corollario nel perseguimento della guerra in Libia da parte dell'amministrazione Obama.

Allora da dove sono usciti fuori i soldi e dove sono finiti? Nessuno lo sa davvero, a meno che non siate uno di quei sempliciotti a cui piace prendere alla parola del Pentagono. Come disse un portavoce del Pentagono alla CNN nel 2011: "Il prezzo per le operazioni del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti in Libia al 30 settembre [era] di $1,1 miliardi. Ciò includeva operazioni militari quotidiane, munizioni, prelievo di rifornimenti e assistenza umanitaria". Tuttavia, per illustrare la totale impossibilità orwelliana di discernere la verità, il vicepresidente Joe Biden ha raddoppiato quel numero parlando alla CNN: "L'alleanza NATO ha funzionato come era stata progettata, condivisione degli oneri. In totale ci è costato $2 miliardi e nessuna vita americana persa".

Come è dolorosamente evidente, non esiste un modo chiaro per sapere quanto è stato speso se non quello di prendere in parola coloro che hanno perseguito la guerra. Senza la supervisione del Congresso e senza una chiara documentazione registrata, la guerra alla Libia scompare nel buco della memoria e con essa l'idea che ci sia una separazione dei poteri, l'autorità del Congresso e una Costituzione funzionante.


La sporca guerra americana in Libia

Mentre il ricordo della Libia per la maggior parte degli americani è il teatro politico derivato dall'attacco alla struttura statunitense a Bengasi che uccise diversi americani, tra cui l'ambasciatore statunitense Stevens, non è affatto il più importante. L'uso ei gruppi terroristici (e degli insorti che ne sono emersi) come delegati militari è la vera eredità americana da una prospettiva strategica. Mentre i media generalisti presentavano la narrazione di proteste spontanee e rivolte per rovesciare Gheddafi, era in realtà una rete di gruppi terroristici che faceva il lavoro sporco.

Sebbene gran parte di questa storia sia stata sepolta sotto notizie fasulle, creazione di miti da parte dell'establishment e confusione sparsa dai media, all'epoca era ben riportata. Ad esempio, come ha scritto nel 2011 il New York Times riguardo una delle principali forze sul campo sostenute dagli Stati Uniti durante la guerra: "Il Libyan Islamic Fighting Group è stato formato nel 1995 con l'obiettivo di cacciare il colonnello Gheddafi. Spinti sulle montagne o esiliati dalle forze di sicurezza libiche, i membri del gruppo sono stati tra i primi ad unirsi alla lotta contro le forze di Gheddafi [...]. Ufficialmente il gruppo di combattimento non esiste più, ma gli ex-membri stanno combattendo in gran parte sotto la guida di Abu Abdullah Sadik [alias Abdelhakim Belhadj]".

Già a quel tempo c'era un notevole disagio tra i pianificatori strategici di Washington per il fatto che l'amministrazione Obama avesse stretto un'alleanza con un gruppo terroristico con legami noti ad al-Qaeda, cosa che avrebbe potuto rivelarsi un grave errore. "I servizi segreti americani, europei e arabi riconoscono di essere preoccupati per l'influenza che i membri dell'ex-gruppo potrebbero esercitare sulla Libia dopo che il colonnello Gheddafi verrà spodestato, e stanno cercando di valutare la loro influenza e qualsiasi legame persistente con Al-Qaeda", scriveva il NYT.

Naturalmente le varie agenzie di intelligence statunitensi avevano già un'idea abbastanza chiara di chi stessero sostenendo, o almeno degli elementi che sarebbero stati coinvolti in qualsiasi operazione americana. Nello specifico, gli Stati Uniti sapevano che le aree da cui attingevano le forze di opposizione anti-Gheddafi erano un focolaio di attività criminali e terroristiche.

In uno studio del 2007 intitolato "I combattenti stranieri di Al-Qaeda in Iraq: un primo sguardo ai documenti Sinjar", che ha esaminato le origini dei vari gruppi criminali e terroristici attivi in ​​Iraq, il Combating Terrorism Center presso l'Accademia militare degli Stati Uniti a West Point ha concluso che: "Secondo i documenti Sinjar quasi il 19% dei combattenti proveniva dalla Libia. Inoltre la Libia ha contribuito con molti più combattenti pro-capite di qualsiasi altra nazionalità, inclusa l'Arabia Saudita [...]. L'apparente aumento delle reclute libiche in viaggio in Iraq potrebbe essere collegato al rapporto sempre più collaborativo del Libyan Islamic Fighting Group (LIFG) con al-Qa'ida, culminato con l'adesione ufficiale di al-Qaeda al LIFG il 3 novembre 2007 [...]. Le città più comuni che i combattenti chiamavano casa erano Darnah [Derna], in Libia, e Riyadh, in Arabia Saudita, con 52 e 51 combattenti rispettivamente. Darnah [Derna] con una popolazione poco più di 80.000 rispetto ai 4,3 milioni di Riyadh, ha di gran lunga il maggior numero pro-capite di combattenti secondo i documenti Sinjar".

All'epoca si sapeva che la maggior parte delle forze anti-Gheddafi proveniva dalla regione, tra cui Derna, Bengasi e Tobruk (la "Libia orientale"), e che la probabilità che al-Qaeda e altri gruppi terroristici erano tra i ranghi delle reclute statunitensi era molto alta.

Prendiamo il caso della Brigata dei Martiri del 17 febbraio, incaricata dagli Stati Uniti di sorvegliare la struttura della CIA a Bengasi in cui è stato assassinato l'ambasciatore Stevens. Così scrisse il Los Angeles Times nel 2012: "Nell'ultimo anno, mentre erano stati assegnati dalla loro milizia per aiutare a proteggere la missione statunitense a Bengasi, la coppia era stata addestrata dal personale di sicurezza americano nell'uso delle armi, nel proteggere gli ingressi, nell'arrampicarsi sui muri e nel condurre combattimenti corpo a corpo [...]. I miliziani negano categoricamente di sostenere gli assalitori, ma riconoscono che la loro grande forza alleata, nota come Brigata dei Martiri del 17 febbraio, potrebbe includere elementi anti-americani [...]. La brigata del 17 febbraio è considerata una delle milizie più capaci nella Libia orientale".

Ma non sono stati solo LIFG e gruppi criminali affiliati ad al-Qaeda ad entrare nella mischia grazie a Washington.

Una risorsa di lunga data degli Stati Uniti, il generale Khalifa Hifter e il suo cosiddetto esercito nazionale libico, sono sul campo in Libia sin dal 2011 e sono emersi come una delle forze principali in lizza per il potere nella Libia del dopoguerra. Hifter ha una lunga e sordida storia al soldo della CIA nei suoi tentativi di rovesciare Gheddafi negli anni '80, prima di essere reinsediato vicino a Langley, in Virginia. Come riportato dal New York Times nel 1991: "L'operazione paramilitare segreta, avviata negli ultimi mesi dell'amministrazione Reagan, ha fornito aiuti militari e addestramento a circa 600 soldati libici tra quelli catturati durante i combattimenti al confine tra Libia e Ciad nel 1988 [...]. Sono stati addestrati da funzionari dell'intelligence americana in sabotaggio e altre abilità di guerriglia in una base vicino a Ndjamena, la capitale del Ciad. Il piano di utilizzare gli esiliati si adatta perfettamente all'entusiasmo dell'amministrazione Reagan di rovesciare il colonnello Gheddafi".

Hifter, leader di questi tentativi falliti, divenne noto come "uomo di punta in Libia" della CIA, avendo preso parte a numerosi tentativi di cambio di governo, compreso il tentativo abortito di rovesciare Gheddafi nel 1996. Quindi il suo arrivo nel 2011, al culmine della rivolta, ha segnalato un'escalation del conflitto da una rivolta armata ad un'operazione internazionale. Se Hifter stesse lavorando direttamente con l'intelligence statunitense o semplicemente complimentandosi con gli sforzi degli Stati Uniti per aver portato avanti la sua guerra personale pluriennale contro Gheddafi, è irrilevante. Ciò che conta è che Hifter e l'esercito nazionale libico, come LIFG e altri gruppi, sono diventati parte del più ampio sforzo di destabilizzazione che ha rovesciato Gheddafi e ha creato il paesaggio infernale che è oggi la Libia.

Questa è l'eredità della sporca guerra degli Stati Uniti alla Libia.

 

Il passato è un prologo

È settembre 2020. Gli americani sono concentrati su un'elezione tra Trump e un criminale di guerra democratico.

È settembre 2020. La Libia si prepara a entrare nel suo ottavo anno di guerra civile. I mercati degli schiavi come quello di Bani Walid sono all'ordine del giorno quanto lo erano i centri di alfabetizzazione giovanile nella Libia di Gheddafi. Bande armate e milizie esercitano il potere anche in aree sotto il controllo del governo. Un signore della guerra si organizza in Oriente mentre guarda alla Russia, all'Arabia Saudita, all'Egitto e agli Emirati Arabi Uniti per ricevere supporto.

È settembre 2020 e la guerra USA-NATO alla Libia è svanita in un lontano ricordo mentre altre questioni come Black Lives Matter hanno catturato l'attenzione pubblica.

La Libia, un tempo conosciuta come il "gioiello dell'Africa", un Paese che ha fornito rifugio a molti lavoratori migranti dell'Africa subsahariana pur mantenendo l'indipendenza dagli Stati Uniti e dalle ex-potenze coloniali dell'Europa, non esiste più. Al suo posto c'è uno stato fallito che ora riflette il tipo di razzismo contro i neri represso invece con la forza dal governo di Gheddafi.

La Libia è l'esempio globale dello sfruttamento del corpo dei neri.

Se usate un po' l'immaginazione potrete vedere il presidente Joe Biden rimettere insieme la vecchia band. Hillary Clinton nello Studio Ovale come voce influente, qualcuno per consigliare il Comandante in Capo. Derek Chollet e Ben Rhodes che ridono insieme mentre ordinano un altro giro nel loro ritrovo preferito a DC, brindando al ristabilimento dell'ordine a Washington. Barack Obama come éminence grise dietro la rinascita politica della struttura liberal-conservatrice.

Ma in Libia non si torna indietro, non si può aggiustare il passato per sfuggire al presente.

La stessa cosa vale per gli Stati Uniti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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