Bibliografia

lunedì 31 agosto 2020

Perché tutti seguono con apprensione la performance dell'oro?

 

 

di Alasdair Macleod

Non sembra esserci via d'uscita per le bullion bank che deteriorano le posizioni futures sull'oro da $53 miliardi ($38 miliardi netti) presso il Comex. Un precedente tentativo tra gennaio e marzo di riprendere il controllo sui mercati dell'oro sintetico si è ritorto contro di loro.

I titolari di conti presso le banche membri della LBMA scopriranno presto che quel mercato è tutto fumo e niente arrosto. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, alla fine dello scorso anno le posizioni in oro della LBMA, la stragrande maggioranza non allocata, ammontavano a $512 miliardi: il London Bullion Mythical Market è una descrizione più appropriata per la sorpresa in arrivo.

Un enorme numero di utenti rimarrà deluso quando le loro disponibilità non allocate presso le bullion bank diventeranno polvere nei prossimi mesi e anche gli ETF esploderanno. La demolizione sistemica dei mercati sintetici dell'oro e dell'argento è una catastrofe prevedibile nel corso del crollo del potere d'acquisto del denaro fiat.

Questa è solo la fase catalizzante iniziale nella morte che si avvicina rapidamente per le valute fiat.

Introduzione

Misurato in dollari, l'attuale mercato rialzista dell'oro è iniziato a dicembre 2015, da quando il prezzo è quasi raddoppiato. A parte quando l'oro ha superato il suo precedente massimo di settembre 2011, $1.920, solo i gold bug sembrano essere eccitati. Ma nel mondo attuale fatto di valute fiat l'oro è visto come un anacronismo; una "pet rock", come lo definì Jason Zweig del Wall Street Journal nel 2015, solo pochi mesi prima dell'inizio di questo mercato rialzista.

Nonostante sia quasi raddoppiato di prezzo, il punto di vista di Zweig è ancora mainstream. Il suo commento segue lo spirito dell'eroe macroeconomico di oggi, John Maynard Keynes, che nel suo Tract on Monetary Reform del 1924 definì il gold standard una reliquia barbarica. Keynes continuò ad inventare la macroeconomia sulla scia della sua Teoria Generale del 1936, e che professiate di essere keynesiani o no, come investitori quasi certamente vi pieghereste alla macroeconomia. È quasi impossibile avere una carriera di successo nel settore degli investimenti a meno che non abbiate aderito alle teorie keynesiane. Dovete sostituire l'economia degli aggregati a quella dell'azione umana degli individui, su cui invece si basava l'economia classica. Non solo, dovete accettare senza riserve la teoria statale della moneta.

Bene, ora stiamo assistendo alla fine cataclismatica dell'errore keynesiano; la distruzione della macroeconomia in un fallimento sistemico incentrato sui mercati sintetici dell'oro e dell'argento.

 

Il tentativo di salvataggio è già fallito

Potreste aver perso l'ultimo tentativo del sistema all'inizio di quest'anno di salvarsi. Il Grafico 1 di seguito mostra il suo errore.

L'open interest sul Comex ha raggiunto il picco a gennaio, quando i contratti sull'oro erano sopraffatti dalla domanda globale. L'open interest non era mai stato così alto: il precedente record di tutti i tempi era stato nel luglio 2016, quando aveva raggiunto i 658.000 contratti. A quel tempo il mercato si era fortemente ripreso da una condizione di ipervenduto, il prezzo era salito dal minimo di dicembre nel nostro grafico principale, da $1.049 a $1.380. Questo movimento è stato schiacciato con un open interest ridotto a 392.000 e il prezzo dell'oro a $1.120. Tuttavia lo stesso tentativo di schiacciamento iniziato nel gennaio di quest'anno non è riuscito.

Non c'è dubbio che sia stato un tentativo coordinato delle bullion bank per contenere una crisi in via di sviluppo. Dal suo picco di 799.541 contratti il ​​15 gennaio, l'open interest è sceso a 553.030 il 23 marzo. Inizialmente il prezzo dell'oro ha continuato a salire a $1.680 il 9 marzo, ma il 18 marzo ha reagito, scendendo a $1.471 in sole nove sessioni di negoziazione. Ma mentre l'open interest è sceso a 470.000 all'inizio di giugno, il prezzo è esploso al rialzo con premi di prezzo senza precedenti che si sono sviluppati sul Comex dal 23 marzo in poi. L'esposizione short delle bullion bank al netto di quelle long sul Comex era salita a $35 miliardi e la posizione lorda era di $53,5 miliardi prima del tentativo di spingere il mercato al ribasso. Oggi le rispettive cifre sono $38,3 miliardi e $53 miliardi.

Il fallimento di questa tattica ne preclude il riutilizzo. Più avanti in questo articolo esamineremo la gravità dell'attuale posizione del Comex e della LBMA.

 

Il sistema finanziario dipende interamente dal denaro fiat

Nel settore degli investimenti è la svalutazione monetaria che dà da vivere. Senza contare che l'aumento del livello generale dei prezzi degli asset finanziari, misurato da vari indici, è poco più che un riflesso della perdita di potere d'acquisto della valuta del vostro stato. Il mondo si è goduto il fenomeno sin dalla metà degli anni '70, quattro anni dopo che il presidente Nixon rimosse definitivamente l'oro dalla scena monetaria. Ne è seguito un continuo calo del potere d'acquisto del dollaro. A parte qualche stop periodico, dal 1982, quando l'indice S&P 500 è salito da 291,34 ai 3270 di oggi, il pubblico in generale sembrava fare soldi.

Non è stato un ambiente facile da sfidare, essendo popolato da un pensiero unico convinto che i guadagni in azioni e proprietà fossero la conseguenza di capacità finanziarie individuali. Ma uno di quegli stop periodici incombe su di noi, minacciando di essere più dirompente di qualsiasi cosa vista finora, tanto che i macroeconomisti richiedono per la sua risoluzione finanziamenti inflazionistici praticamente illimitati.

La distinzione tra valuta fiat illimitata emessa dallo stato rispetto all'oro è importante, perché quest'ultimo è sempre stato il denaro delle persone, non amato dagli stati perché impone una certa disciplina finanziaria. La storia ha sempre visto sottrarre il diritto di emettere denaro a re, imperatori e governi e restituito al popolo, quindi l'evidenza empirica suggerisce che accadrà di nuovo. Ma i macroeconomisti sostengono che la loro scienza è un progresso rispetto alla precedente scienza economica, quindi ciò che è accaduto prima è irrilevante. E questo vale anche per l'oro.

Per questi motivi, il settore degli investimenti non è in sintonia col metallo giallo. L'oro fisico non è nemmeno un investimento regolamentato, il che significa che le autorità di regolamentazione non consentono ai fondi di detenere il metallo fisico oltre, se consentito, una piccola esposizione. La posizione inconsueta, assunta da quasi tutti, è che i gestori degli investimenti non ne debbano avere affatto. Ma oltre alle azioni minerarie, oggi ci sono gli ETF che offrono ai gestori di fondi una certa esposizione all'oro... supponendo che siano disposti a contraddire le opinioni keynesiane dei loro colleghi.

Ma anche così il contesto è sbagliato. L'oro non è un investimento ma denaro, espulso dalla circolazione negli ultimi cento anni dalla costante invasione di sostituti dell'oro evoluti poi in denaro fiat scoperto. Non è responsabilità di nessuno, a differenza del dollaro ad esempio, sostenuto solo dalla fiducia in Donald... o Joe Biden eventualmente. Nel caso dell'euro o dello yen, con tassi d'interesse negativi e sistemi bancari probabilmente sul punto del collasso, le loro banche centrali sono ugualmente impegnate ad accelerare il dissolvimento delle loro valute.

Anche i gold bug semi-ufficiali, come il World Gold Council, promuovono l'oro come investimento di portafoglio, con il suo reddito derivante dalla cartolarizzazione dell'oro attraverso l'ETF GLD. Un pubblico di gestori di investimenti professionisti, che si nutre di macroeconomia, non accetta il fatto che l'oro sia denaro, e se il World Gold Council sostenesse che sia denaro e non un investimento, senza dubbio non riuscirebbe ad attrarre investitori istituzionali.

Ma capire che l'oro è denaro è un punto fondamentale. Quando lo si considera un investimento, vi aspettate di venderlo quando finisce il suo trend positivo. Presumete che la valuta statale avrà sempre il valore di transazione oggettivo e che l'oro sia la variabile soggettiva. Le convenzioni contabili costringono i gestori di investimenti ed i consulenti ad ignorare la realtà: è la valuta fiat che si deteriora e non il prezzo dell'oro a salire. Anche la stragrande maggioranza dei gold bug applaude di fronte un aumento del prezzo dell'oro, trattandolo istintivamente come un investimento che aumenta di valore, misurato in denaro fiat.

La confusione oggettivo/soggettiva è il concetto più importante da capire quando si parla di oro. Se il pubblico più ampio comincia a capire che misurata in beni la valuta fiat non è più adatta per un ruolo oggettivo nelle transazioni quotidiane, allora essa sarà condannata. Questo segnerebbe il punto in cui il denaro fiat inizia ad essere scartato e il pubblico decide quale sia il suo denaro preferito. Ecco dove ci stiamo dirigendo.

 

Dimenticatevi di un reset monetario

Negli ultimi anni alcuni osservatori hanno suggerito che un reset monetario, centrato sul dollaro, sia stato pianificato dalle autorità monetarie. La ricerca delle banche centrali su soluzioni alternative, come quelle sulle tecnologie blockchain, si è aggiunta a questa ipotesi, ma un documento recente dell'FMI mostra che non c'è consenso tra di loro su come e per quale scopo utilizzerebbero le valute digitali.

In ogni caso, è probabile che ci vorrà troppo tempo per implementare una valuta digitale a marchio banche centrali, data la velocità con cui si stanno svolgendo gli eventi monetari. L'evidenza empirica suggerisce che una volta avviato, un crollo della valuta fiat avviene nel giro di pochi mesi. Oggi la FED ha strettamente legato il futuro dei valori degli asset finanziari al dollaro: se uno salta, saltano entrambi. La credibilità dietro i valori degli asset finanziari è già al limite e l'inevitabile collasso, che si porterà dietro il denaro fiat, è probabile che sia improvviso.

Come nota a margine, l'ultima volta che un crollo degli asset finanziari ha portato la valuta fiat verso l'oblio in circostanze simili è stato esattamente trecento anni fa: nel 1720 con la bolla Mississippi di John Law. È interessante notare che Richard Cantillon fece fortuna vendendo allo scoperto la valuta di Law, il livre, e non le sue azioni; questo lo fece in un primo momento agendo come banchiere che prestava denaro a ricchi speculatori prendendo in garanzia azioni Mississippi.

Un tentativo di reset della valuta fiat, con o senza blockchain, può essere contemplato solo dopo che il pubblico ha iniziato ad abbandonare le valute fiat esistenti. Ma la velocità con cui si svolgono gli eventi quando le valute fiat muoiono preclude la pianificazione anticipata di una loro sostituzione. Anche qualsiasi tentativo di creare una nuova moneta fiat dopo che quella esistente è fallita risulterà rapidamente un buco nell'acqua. L'idea che lo stato possa prendere il controllo della valutazione di una nuova moneta durante un azzeramento fiat per renderla durevole è il feticcio della macroeconomia, la negazione della libertà personale di compiere scelte a favore di una gestione aggregata superiore.

Uno degli argomenti fallaci che emerge ripetutamente è che l'inflazione riduce il peso del debito. Questo è vero per il debito esistente, ma i sostenitori di una tale tesi non riescono a capire che aumenta anche il costo dell'indebitamento statale futuro. E sebbene riduca allo stesso modo l'onere sui debitori nel settore privato, distruggendo il risparmio l'inflazione porta ad una desertificazione dei capitali ed ostacola qualsiasi ripresa.

È possibile ed auspicabile che i mali delle valute fiat siano adeguatamente affrontati, ma ciò richiederà un abbandono dell'inflazionismo ed un impegno per bilanci equilibrati. Richiede agli stati di frenare le loro spese, riducendo il loro ruolo nelle economie che sovrintendono. Gli interventi statali, sia regolamentari che obbligatori per legge, devono essere eliminati e la piena responsabilità delle loro azioni riconsegnata alle persone. E solo allora, il denaro sano ed onesto, che impedisce agli stati di tornare ai loro metodi inflazionistici, può essere introdotto con successo.

Supponendo che tutto ciò sia possibile, l'unica moneta solida è quella con una storia in cui gli stati non hanno alcun controllo su di essa. In altre parole, il denaro metallico. Non avranno alternativa: trasformare le loro valute in sostituti completamente convertibili in oro, con l'argento in un ruolo di conio sussidiario. Le monete in entrambi i metalli devono essere liberamente disponibili su richiesta al tasso di cambio fisso per l'oro e per l'argento. La circolazione di monete d'oro e d'argento garantisce al pubblico la piena comprensione del loro ruolo monetario, dissuadendo così gli stati dal ricorrere in futuro a politiche inflazionistiche. Anche il credito bancario dovrà essere coperto dall'oro e non ampliato dal nulla.

Ma le convinzioni errate nella macroeconomia sembrano essere un ostacolo insormontabile per un cambiamento ordinato verso il denaro sano ed onesto. Imponendo la loro fervida negazione della realtà economica, i macroeconomisti sono responsabili della politica economica e monetaria in America, Europa, Giappone e, per estensione, in quasi tutte le altre nazioni. Non è nemmeno certo che un crollo della valuta fiat li allontanerà dalla loro posizione di potere, prolungando il caos che ne deriverà.

Parlare di un reset monetario ha senso solo se coloro che lo eseguono capiscono cosa stanno facendo. E una cosa diventerà immediatamente chiara: gli americani, che rischiano di perdere il potere sugli affari globali, saranno i più riluttanti di tutte le nazioni ad accettare che i giorni della propria valuta egemonica siano contati e che un ritorno ad un gold standard credibile sia l'unica soluzione.


Transizione dolorosa al Comex

Solo attraverso la conoscenza del motivo per cui i giorni delle valute fiat sono contati si può capire cosa sta succedendo al prezzo dell'oro. Coloro che non comprendono gli errori alla base della macroeconomia e pensano all'oro come ad un investimento, vedono il movimento rialzista del metallo giallo come un momento che prima o poi probabilmente finirà, forse quando i tassi d'interesse o i rendimenti delle obbligazioni saliranno. Ma coloro che vedono l'oro come denaro sano ed onesto sanno che un suo aumento di prezzo dovrebbe essere considerato come parte integrante di un calo del potere d'acquisto della valuta fiat. Infatti è un cambiamento nel potere d'acquisto per entrambi. Quando il denaro fiat perde potere d'acquisto, l'oro lo guadagna in modo sproporzionato a causa della sua relativa scarsità.

Nel caso sempre più probabile che le valute fiat perderanno il loro ruolo monetario, il prezzo dell'oro potrà verosimilmente tendere all'infinito. È difficile immaginare come il dollaro possa evitare questo risultato, o qualcosa di simile. Stando così le cose, un movimento del prezzo dell'oro sopra i $2.000 l'oncia è un evento insignificante, a parte per coloro intrappolati con posizioni short, il che ci porta al caos sul mercato del Comex. Il Grafico 2 mostra la posizione nei mercati dei futures sull'oro al ​​28 luglio (l'ultima informazione disponibile sull'impegno dei trader), con le posizioni di spread rimosse.

Gli swap sono trading desk delle bullion bank, che in genere assumono posizioni su più di un mercato dei derivati, in particolare a Londra. Insieme alla categoria "Produttori e commercianti", hanno quasi sempre posizioni short sul Comex. I produttori, i minatori ed i loro agenti che agiscono per loro, si proteggono dai ribassi del prezzo dell'oro e costituiscono la maggior parte delle posizioni short nella loro categoria. I commercianti, tipicamente gioiellieri e acquirenti per scopi industriali, si proteggono dall'aumento dei prezzi avendo contratti long.

Il concetto di mercati dei futures originariamente non includeva le banche nella categoria non speculativa, perché i mercati dei futures erano un mezzo affinché gli agricoltori potessero liberarsi dal rischio di prezzo, dovuto a fattori stagionali, cedendolo agli speculatori. Tuttavia le banche sono riuscite a persuadere il CME ad essere classificate come non speculatori, sulla base del fatto che spesso hanno agito come agenti per i produttori in contratti non agricoli. E per quanto riguarda l'oro, che è ciò che ci riguarda, hanno anche posizioni a Londra che vogliono coprire sul Comex. Ma come si è visto nel Grafico 2, le bullion bank ora rappresentano il 70% delle posizioni short, mentre in passato ne rappresentavano molto meno. E come mostreremo più avanti in questo articolo, non hanno oro fisico a Londra per coprirsi. Il risultato è che la loro posizione short lorda di 262.796 contratti è ora un impegno scoperto di $53 miliardi tra 27 trader. Il Grafico 3 colloca quanto detto in un contesto storico degli ultimi dieci anni.

Le posizioni short delle bullion bank rispetto a quelle long (la linea blu) sono a livelli record e gli short lordi sono quasi ai massimi storici, superati solo all'inizio dell'anno (15 gennaio) quando l'open interest era salito ad un livello senza precedenti di 799.541 contratti.

Dal punto di vista degli speculatori, la categoria dominante è quasi sempre Managed Money, prevalentemente hedge fund. Raramente sono interessati alla consegna e chiuderanno o cambieranno le loro posizioni. Sono quasi sempre orientati al lato acquisti e nel lungo termine hanno in media una posizione long netta di circa 112.000 contratti, che possiamo chiamare posizione neutra. Ma attualmente sono un'insolita minoranza, il 42% degli speculatori long, e sono solo moderatamente posizionati sopra la loro media long neutra.

Lungi dall'essere i padroni dell'universo, gli hedge fund si sono dimostrati un facile bersaglio per le bullion bank. E agendo in base al pensiero dei macroeconomisti, gli hedge fund hanno utilizzato l'attuale forza del prezzo dell'oro per realizzare profitti, riducendo le loro posizioni long di 21.362 contratti. Sembrano inconsapevoli o disinteressati del quadro più ampio. Inoltre, a 42.758, il livello dei loro contratti short è superiore alla media, il che potrebbe contribuire ad uno short squeeze nelle prossime settimane quando si renderanno conto del loro errore.

La categoria "Other Reported" è composta da trader che non rientrano nelle altre tre categorie sopra descritte. I long in questa categoria sono vicini al livello record precedente, 158.963 contratti lo scorso 24 marzo. Possiamo quindi considerare tale categoria come smart money, almeno nell'attuale clima, con meno probabilità di essere scossa dalle loro posizioni dagli swap dealer che cercano di innescare degli stop.

Possiamo concludere che gli operatori di swap non solo sono finiti quasi allo scoperto, ma la liquidità sul Comex fornita dagli hedge fund, che normalmente consente loro di chiudere le loro posizioni short, è limitata. Inoltre le perdite mark-to-market arriveranno in un momento in cui le operazioni più ampie delle loro banche andranno a ridurre, ove possibile, l'esposizione al rischio. È probabile che queste perdite saliranno in modo significativo con l'accelerazione della stampa di denaro da parte delle banche centrali nel tentativo di prevenire un crollo economico e di sostenere i prezzi degli asset finanziari. Se qualcos'altro non salta prima, una crisi bancaria su vasta scala potrebbe emergere dal mercato dell'oro sintetico.

Ci si può aspettare che le autorità facciano di tutto per evitare un fallimento sul Comex, perché i danni al mercato più ampio sarebbero estremamente gravi. Invece i membri della London Bullion Market Association (LBMA) saranno probabilmente costretti a lasciar salire il prezzo dell'oro nel mercato a termine, nel tentativo di far quadrare i loro conti e permettere alle banche di attutire le perdite. Però ciò non accadrà, come verrà spiegato nella prossima sezione.

In breve, nelle prossime settimane possiamo aspettarci una fase di transizione poiché la crisi si rifocalizza sul mercato a termine di Londra, che è il casinò nascosto in piena vista.

 

Le passività nascoste di Londra

Il trading a Londra per il settlement a termine è un mercato molto più ampio del Comex. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, alla fine del 2019 l'importo nozionale dei forward e degli swap in oro over the counter (OTC) in circolazione era pari a $512 miliardi, rispetto all'open interest sul Comex di $120 miliardi nello stesso giorno.

La London Bullion Market Association si fa forte della sua liquidità: nel suo ultimo comunicato stampa ha affermato che la copertura totale per il suo mercato a termine è di 8.424 tonnellate in aprile. Attenzione, però, perché di quel totale 5.464 tonnellate sono nel caveau della Banca d'Inghilterra, di cui forse il 95% è destinato alle banche centrali ed ai finanziatori esteri. In base al deposito trimestrale di SPDR Gold Trust presso la SEC (ETF GLD) abbiamo appreso che il 27 aprile erano detenute 45.91 tonnellate del suo oro presso la Banca d'Inghilterra. Il fatto che il custode di GLD, HSBC, sia stato costretto ad utilizzare la Banca d'Inghilterra in qualità di sub-depositario suggerisce una grave mancanza di lingotti disponibili nei caveau dei membri della LBMA. Per esplorare questo problema, il grafico seguente mostra la posizione nozionale di lingotti a Londra, a conferma della mancanza di flottante.

Sebbene riportate in modo semplicistico, queste cifre mostrano che non c'è liquidità a Londra. Secondo il World Gold Council, le disponibilità fisiche totali dell'ETF alla fine di aprile erano 3.364 tonnellate, di cui, secondo la relazione Hardman di Paul Mylchreest, oltre il 70% è nei caveau a Londra, o 2.390 tonnellate come indicato nel grafico qui sopra. A questa cifra si deve aggiungere l'oro privato dei fondi sovrani, istituzioni, family office ed imprese agglomerate per conto della clientela retail. Queste scorte di lingotti sono detenute presso le società terze (Brinks, G4S, Loomis e Malca-Amit) ed è probabile che ammontino ad ulteriori 400-500 tonnellate.

Da aprile le disponibilità dell'ETF sono aumentate di ulteriori 387 tonnellate, di cui presumeremo ancora una volta che oltre il 70%, 275 tonnellate, siano immagazzinate a Londra (24 luglio – Fonte: WGC). Sebbene ci siano alcune ipotesi riguardo ai cambiamenti sottostanti in queste cifre dalla fine di aprile, potrebbero facilmente portare ad una cifra negativa, come suggerisce il grafico qui sopra. Inoltre se l'ETF e la domanda privata di lingotti dovessero aumentare ulteriormente, una crisi a Londra è praticamente assicurata.

È qui che la Banca d'Inghilterra potrebbe essere intervenuta appoggiandosi ad altre banche centrali clienti per affittare parte del loro oro accantonato – le 45.91 tonnellate detenute per l'ETF GLD ad aprile. Ma c'è un ulteriore problema: il tasso di leasing è negativo da marzo, il che significa che un leasing della banca centrale al tasso di mercato deve pagare il locatario. Ciò suggerisce che il leasing può avvenire solo se i tassi di mercato vengono ignorati e viene invece pagata una commissione.

È importante notare che in base ad un contratto di locazione, la proprietà rimane del locatore. È improbabile che l'oro affittato tramite la Banca d'Inghilterra lasci i suoi caveau, viene semplicemente accreditato tramite scritture contabili. Pertanto per il locatore non vi è alcun rischio di controparte, perché se il locatario è inadempiente, la Banca d'Inghilterra si limita a riassegnare i lingotti al locatore. Ma in una crisi più ampia, il doppio conteggio della "proprietà" dei lingotti attraverso il leasing sarà impossibile da nascondere e le passività ricadranno interamente sulle bullion bank. I detentori dell'ETF GLD dovrebbero chiedere conferma che il loro oro nei caveau non sia stato dato in affitto.

L'alternativa a banche centrali che forniscono liquidità è impensabile: che le bullion bank ottengano la loro liquidità utilizzando illegalmente i lingotti tenuti in loro custodia. Sfortunatamente i sospetti sono aggravati dalla segretezza della LBMA sulle operazioni di mercato, la quale rilascia informazioni selezionate solo quando non sono più rilevanti. Anche i comunicati stampa della LBMA sono fuorvianti; sparlare dell'oro totale a Londra crea l'impressione di liquidità fisica, cosa invece palesemente falsa.

Per i loro clienti più ricchi le bullion bank offrono conti in oro in due forme: allocati e non allocati. Sono scoraggiati dall'aprire un conto allocato, poiché le commissioni sono costose (pagamento per il caveau, assicurazione del metallo fisico e costi amministrativi). La vera ragione è che preferiscono che i loro clienti aprano conti non allocati, incoraggiandoli con commissioni minime, perché questi possono essere sottoposti a riserva frazionaria. In altre parole, una bullion bank può detenere abbastanza oro per coprire le richieste occasionali di prelievo, ma come dimostra il grafico qui sopra, non esiste nemmeno quella liquidità minima.

Mentre il settlement fisico coinvolge i conti in oro allocati ed ovviamente è verificabile, i conti non allocati vengono regolati attraverso il sistema di regolamento elettronico AURUM, il quale rappresenta quasi tutti i regolamenti commerciali di Londra. AURUM è il mezzo di regolamento tra i membri della LBMA attraverso il London Precious Metal Clearing Limited. Le transazioni per il regolamento dei conti non allocati vengono incanalate attraverso uno dei cinque membri che le collegano in un unico regolamento tramite AURUM. I cinque membri di LPMCL (JPMorgan, UBS, HSBC, ICBC Standard Bank e Scotiabank) hanno tutti conti non allocati tra loro e gli accordi determinati da AURUM sono per valuta da un lato e lingotti non allocati dall'altro.

Pertanto le massicce quantità di oro da regolare sono separate dal settlement fisico e ammontano a quasi tutta la stima dei derivati ​​BRI sopra citata: $512 miliardi di posizioni totali alla fine dello scorso anno. Ma i depositanti con conti in oro non allocati credono di avere un'esposizione al prezzo dell'oro, altrimenti insisterebbero affinché i loro conti vengano allocati con la loro bullion bank che funge da custode. Con l'evoluzione dell'attuale crisi nei mercati dell'oro sintetico, la perdita di fiducia nella capacità delle bullion bank di regolare conti non allocati rischierà di generare una corsa agli sportelli su questi conti e una corsa agli sportelli per assicurarsi l'oro fisico prima che i prezzi aumentino ulteriormente.

Mentre le autorità americane faranno di tutto per evitare una crisi dell'oro e dell'argento presso il Comex, pensare che a Londra possa essere messo tutto sotto silenzio è da ingenui. Le stesse bullion bank sono esposte su entrambi i mercati. Una crisi per tali banche minaccia di lasciare in bianco circa $500 miliardi di conti in oro non allocati a Londra, più altri 262.796 contratti al Comex ($53 miliardi a $2.030 – si veda il Grafico 2 sopra). L'espansione dell'oro sintetico dall'inizio degli anni '80, che ha messo un tetto al prezzo dell'oro, sta volgendo al termine e la rimozione di questo ostacolo servirà solo a spingere il prezzo significativamente più in alto.

 

Conclusione

Stiamo assistendo alle prime fasi di un crollo dei mercati dell'oro sintetico sul Comex ed a Londra, alimentato dalle banche centrali impegnate ad accelerare le loro politiche inflazionistiche in un atto di disperazione macroeconomica per salvare le finanze pubbliche e le loro economie. Il metodo impiegato è un fallimento assicurato, visto il precedente storico in Francia esattamente trecento anni fa: quando scoppiò la bolla Mississippi di John Law, distruggendo la sua valuta, il livre.

Se si lega il destino degli asset finanziari a quello della valuta fiat, come fece John Law e che ora sta facendo la Federal Reserve, quando scoppia la bolla scoppia anche la valuta. Questo risultato è così ovvio che gli smart money stanno ora abbandonando la valuta fiat e rifugiandosi in oro e argento fisici, come testimoniato dalle consegne alle scadenze dei contratti attivi Comex e dalla scomparsa di tutta la liquidità fisica a Londra.

Stando così le cose, è appena iniziata una corsa precipitosa fuori dalle valute fiat e dai contratti derivati per l'oro. A meno che non venga fermata in qualche modo, distruggerà i mercati dell'oro sintetico e con essi le banche che ne hanno beneficiato negli ultimi quarant'anni. L'accelerazione nella distruzione del denaro fiat guadagnerà trazione nei prossimi mesi e chiunque sputi assurdità macroeconomiche invece di agire di fronte a questi sviluppi finirà con un pugno di mosche in mano.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


venerdì 28 agosto 2020

La disintegrazione finanziaria dell'Eurozona

 

 

di Alasdair Macleod 

Il monitoraggio della crisi dell’Area Euro mostra i crescenti squilibri nei regolamenti esistenti tra i membri del sistema TARGET2: la BCE (con un deficit di €145 miliardi) assieme alle altre banche centrali dell’Eurozona. A parte piccole differenze che riflettono il commercio transfrontaliero netto non compensato da flussi d'investimento che vanno in senso contrario, questi squilibri non dovrebbero esistere. Ciononostante a seguito del fallimento della Lehman Brothers nel 2008 e dopo che l’Eurozona stessa è stata soggetta alla sua propria serie di crisi, tali squilibri che sulla carta dovrebbero essere assenti non solo non lo sono, ma mostrano un chiaro trend in crescita. I commentatori economici si sono a tal punto abituati a questo stato di cose che ora nemmeno si premurano più di menzionarli nei loro report; ma nei mesi passati la buona performance della Bundesbank (che si trova in avanzo di €995.083 milioni) ha accelerato il passo, così come – di converso – sono aumentati i disavanzi di Italia (€536.722 milioni) e Spagna (€451.798 milioni). Dunque è giunto il momento di prendere in considerazione sul serio questi disavanzi.

 

TARGET2 – L’amico “flessibile” della BCE

Il cosiddetto “TARGET2” è il sistema attualmente in vigore per regolare i pagamenti ed i trasferimenti che hanno luogo tra le diverse banche centrali. Il modo in cui funziona, o –  meglio – in cui dovrebbe teoricamente funzionare, è il seguente: un produttore industriale tedesco realizza i suoi prodotti e li vende ad un’azienda italiana, la quale paga il produttore tedesco attraverso la propria banca in Italia; questo avviene facendo sì che la banca italiana paghi attraverso la banca centrale italiana, la quale – a sua volta – realizza il pagamento passando per il sistema “TARGET2”, poi per la banca centrale tedesca e, infine, sul conto corrente del produttore tedesco.

Tuttavia, dalla crisi della Lehman Brothers e soprattutto dalla crisi dell’Eurozona, i flussi di capitale sembrano essersi spostati dai famosi PIGS (ossia Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, ve li ricordate?) per dirigersi principalmente verso la Germania, il Lussemburgo, l’Olanda e la Finlandia – in quest’ordine. Prima del 2008, il bilanciamento era mantenuto grazie ai deficit commerciali della Grecia, ad esempio, i quali venivano compensati da afflussi di capitali poiché i residenti in altre parti della zona Euro acquistavano obbligazioni greche, altri investimenti in Grecia e – inoltre – tanto il commercio quanto il settore turistico greci raccoglievano entrate nette di cassa.

In questo senso, è scorretto dire che gli squilibri commerciali hanno indotto a quelli del TARGET2, sebbene una parte del problema dovrebbe essere rintracciata nella mancata liquidazione dei flussi d'investimento del settore privato.

Quindi giungiamo alla questione della “fuga di capitali”, che – se esaminata in modo approfondito – ci porta alla conclusione che non c’è alcun problema di questo tipo.

Il problema non è che i residenti in Italia o Spagna aprano dei conti correnti bancari in Germania e vi trasferiscano i loro depositi precedentemente allocati nei conti correnti delle rispettive Nazioni; si tratta – piuttosto – di un caso curioso del problema di quella che in gergo economico si chiama “tragedia dei beni comuni”. L’origine di questo termine va rintracciata nell’applicazione dei diritti di proprietà di coloro che dovevano pascolare i loro animali in un terreno che non era proprietà di nessuno: dal momento che tutti potevano far pascolare i propri capi di bestiame in suddetto terreno comune e dal momento che nessuno era proprietario dello stesso, non c’era la necessaria struttura di incentivi tale da assicurare che la fertilità dell’appezzamento fosse gestita in modo efficiente, né che esso non fosse eccessivamente sfruttato da tutti gli altri allevatori. Come conseguenza di ciò, il terreno diventa sempre di meno produttivo nel corso del tempo. Allo stesso modo, le banche centrali nazionali (che sono pesantemente esposte a dei prestiti potenzialmente rischiosi) sanno che le loro perdite, nel caso si manifestassero nel contesto di una crisi sistemica del settore bancario, verranno socializzate grazie ed in funzione alla loro quota di partecipazione al sistema bancario centralizzato.

La cosiddetta “capital key” fa riferimento alla quota di capitale di rischio che le singole banche centrali nazionali hanno messo a disposizione della BCE. Ad esempio, la Capital Key della Germania è pari al 26,4% del totale, il che vuol dire che se – per qualsiasi ragione – il sistema TARGET2 collassasse, le perdite della Bundesbank (nella misura in cui i crediti inesigibili nell'Eurosistema sono condivisi) sarebbero nell'ordine delle migliaia di miliardi di euro dovuti dalle altre banche centrali nazionali. Ma sarebbe un’accusa troppo grande affermare che alcune banche centrali nazionali, come quelle di Spagna e Italia, stanno sfruttando il sistema. Sembra essere semplicemente una conseguenza non intenzionale del sistema TARGET2.

Se una banca centrale nazionale si trova in una posizione di deficit rispetto alle altre, ciò accade quasi certamente perché ha prestato – su una base netta – a delle banche commerciali allo scopo di coprire dei pagamenti con dei trasferimenti invece di aiutarle a portare a termine i pagamenti mediante il sistema summenzionato. Questi prestiti sono iscritti tra gli attivi nei bilanci delle banche centrali nazionali, mentre sono iscritte come passività dal punto di vista della BCE. Ma seguendo le stesse regole, se qualcosa va storto sia con il proprio prestito sia con quello delle banche centrali nazionali, i costi di queste perdite sono “socializzate” mediante la BCE sulla base della formula “capital key”. In teoria, quindi, è tutto interesse delle banche centrali nazionali far sì che queste sviluppino dei deficit superiori sulla base della capital key mediante il supporto delle rispettive banche commerciali nazionali. Non è – quindi – un atto deliberato della Banca d’Italia o della Banca di Spagna quello di erogare prestiti la cui solvibilità è poco sicura; è il sistema di incentivi ed il modo di funzionamento intrinseco al sistema – così come le varie pressioni che vengono dalle diverse nazioni – che rende possibile tutto ciò.

Per capire come mai tutto ciò rappresenti un problema, dobbiamo fare un passo indietro e vedere cosa è successo nelle precedenti crisi che si sono susseguite dopo quella della Lehman Brothers, che ha dato l’input a riformare le pratiche di regolamentazione delle singole nazioni. Se il regolatore bancario nazionale credesse che i prestiti siano poco affidabili, quella delle perdite diventerebbe una questione di rilevante importanza; così come se il summenzionato regolatore ritenesse che questi prestiti fossero sicuri, è chiaro che essi diventerebbero idonei ad essere oggetto delle operazioni di rifinanziamento delle singole banche centrali nazionali. Di conseguenza una banca commerciale può utilizzare i prestiti come garanzia collaterale e prendere a prestito denaro dalla banca centrale della sua nazione che – a sua volta – condivide il rischio con tutte le sue controparti internazionali in accordo con la regola del capital key; in questo modo i crediti inesigibili degli operatori economici insolventi vengono rimossi dal sistema finanziario dei singoli Paesi e scaricati nella BCE e nell’Eurosistema.

Nel caso dell’Italia, il livello molto alto di “non performing loans” ha raggiunto il suo massimo nel settembre 2015 quando ha toccato quota 17,1%, mentre ora si attesta a quota 6,9%. Come illustra PWC Italia: “Le banche italiane, in risposta a pressioni provenienti tanto dal legislatore quanto dai mercati, hanno di fatto dimezzato lo stock di ‘non performing loans’ a €135 miliardi nel 2019 rispetto ai €314 miliardi nel 2015; allo stesso tempo hanno rimesso in sesto la loro piattaforma dei restanti ‘non performing loans’ ed implementato una nuova struttura organizzativa in maniera tale che – nella prossima crisi – esse possano gestire il problema dei ‘non performing loans’ con maggiore resilienza”.

Stante la struttura di incentivi descritta in precedenza, che rende estremamente conveniente scaricare i debiti potenzialmente inesigibili presenti all’interno del proprio Paese e usare il TARGET2 come modo per immetterli nell’Eurosistema, sarebbe un miracolo se gran parte di questa riduzione di “Non Performing Loans” fosse genuina.

Per quanto riguarda gli stati membri con dei deficit nel contesto del sistema TARGET2, come – ad esempio – l’Italia, è insorta una serie di problemi di liquidità per quanto riguarda le industrie, il che le ha fatte classificare come insolventi. In un contesto in cui le autorità di regolazione bancaria sono incentivate a scaricare i problemi delle industrie insolventi dall’economia nazionale verso quella europea, i prestiti a queste industrie non solo sono stati continuati ma sono anche aumentati: conseguenza di tutto ciò è il fatto che le imprese di nuova costituzione sono state messe alle strette dall’accedere ai cordoni della borsa del credito bancario, dal momento che questo è stato utilizzato per mantenere in vita delle attività produttive che se ne sarebbero dovute andare molto tempo fa.

A livello ufficiale non ci sono problemi, dal momento che la posizione netta della BCE e di tutte le altre banche centrali nazionali finisce per essere uguale a zero, condizione – questa – che viene artificialmente mantenuta dalla condivisione delle passività grazie al sistema del capital key. Secondo i suoi progettisti, quindi, il sistema di pagamenti denominato “TARGET2” è – di fatto – immune dal fallimento sistemico. Tuttavia, dal momento che molte banche centrali nazionali usano il summenzionato sistema quale modalità di finanziamento per ampliare i loro bilanci (cosa, questa, che serve a sua volta per finanziare le rispettive banche commerciali a livello nazionale), alcune banche centrali nazionali hanno accumulato un'enorme quantità di passività non tanto per le loro esigenze, quanto piuttosto per quelle delle rispettive autorità di regolamentazione.

La banca centrale dell’Eurosistema che si trova nei guai più seri è la Bundesbank, a cui è dovuta una cifra vicina ai mille miliardi di euro mediante il sistema TARGET2. E il rischio di perdite si sta ora facendo più serio sia in termini quantitativi, viste le conseguenze economiche del Covid-19, sia in termini qualitativi rispetto alle attività di prestito sottostanti, le quali si stanno rapidamente deteriorando. I principali colpevoli, le banche centrali nazionali di Italia e Spagna, vedono aumentare rapidamente i loro deficit. La Bundesbank dovrebbe essere molto preoccupata. I suoi direttori sono consapevoli del problema, soprattutto perché ora è di dominio pubblico.

Ci si potrebbe chiedere come questo "mitico surplus" sia coerente con il bilancio della Bundesbank. Tale surplus rappresentava circa la metà degli attivi totali della Bundesbank al 31 dicembre 2019 e finanzia, tra le altre cose, conti correnti e depositi per €560 miliardi tra le proprie banche commerciali avverse al rischio. Il silenzio della banca centrale tedesca in merito a questo fatto si sta facendo sempre più indifendibile.

 

Le banche commerciali sono in guai seri

La posizione delle banche commerciali europee, per usare un eufemismo, è estremamente precaria. Per anni hanno operato nel contesto di tassi negativi imposti dalla BCE, il che – di fatto – si configura come una tassa sulla liquidità detenuta dalle banche commerciali; una tassa che può essere compensata solo acquistando titoli di stato e altri titoli con un rendimento inferiore o positivo. In alternativa, possono prestare credito a clienti aziendali e consumatori per ottenere un margine positivo. Infine, possono utilizzare i loro bilanci per scopi puramente finanziari che, dati i fondamentali sottostanti, stanno diventando una probabile fonte di contrazione del credito.

Si potrebbe pensare che favorire i prestiti e trasferire queste risorse nell’economia reale dovrebbe essere uno dei più importanti obiettivi della politica monetaria; tuttavia – come abbiamo visto – il sempre crescente supporto che, grazie a questo strumento, è stato dato alle aziende zombi per prevenire un’ondata di fallimenti, non ha fatto altro che impedire che queste risorse venissero utilizzate per finanziare altre imprese. E gli obiettivi di politica monetaria della BCE sono divergenti da quelle che sono le prerogative delle singole banche centrali nazionali. 

La BCE opera su livelli più alti, infatti la cosa più importante che guida la sua politica sui tassi d'interesse è fare da balia per le finanze dissestate dei governi dei Paesi membri. Questa cura rivolta alle finanze dei singoli stati viene perseguita mediante una grande moltitudine di programmi di acquisto di asset, una strategia – questa – che permette alla BCE di impostare a livelli artificialmente bassi il costo di finanziamento dei deficit pubblici. Sotto questo aspetto bisogna notare che la BCE non può fare tutto ciò direttamente; quello che può fare – però – è operare sul mercato secondario: comprando obbligazioni statali dalle banche commerciali, viene creato spazio nel bilancio della BCE affinché le banche commerciali possano continuare a comprare il deficit dei governi risolvendo – in tal modo – i loro problemi di finanziamento. 

Di conseguenza questo schema si configura come un gioco a somma positiva sia per i governi (che, oggi, sono pagati per prendere in prestito), sia per le banche. Il rendimento delle obbligazioni statali viene sempre impostato affinché vi sia un ritorno positivo per le banche che li sottoscrivono e li vendono alla BCE. Ma questo giochetto, che sembra avere un rischio nullo, viene portato avanti al prezzo di un margine di profitto sempre più sottile; fatto – questo – che ha incoraggiato una sempre maggiore espansione dei bilanci delle banche per compensarlo. La Deutsche Bank, ad esempio, ha – con riferimento al 2019 – un rapporto tra il capitale totale e il capitale di rischio pari a 21,4 volte; la banca Credit Agricole ha un rapporto pari a 28,1 e Societé Generale un rapporto pari a 21,4 volte. Gli alti indici di “leverage” possono essere sostenuti solo da banche che possono dimostrare dei bassi tassi di "non performing loans"; una situazione – questa – che è radicalmente cambiata in peggio a causa delle conseguenze economiche dei lockdown. 

Altre banche – come la banca Unicredit in Italia e la Santander in Spagna – hanno dei rapporti asset/equity più bassI (rispettivamente 14,4 e 15,2) che riflettono dei rischi di prestito e dei tassi di "non performing loan" più alti; tuttavia questi rapporti sono ancora troppo alti se presi e letti nel contesto di un'economia europea e globale che si trova ad affrontare una fase recessiva. Anche se l’enorme massa di liquidità prodotta dalla BCE è rimasta nell’economia finanziaria e di conseguenza sta mantenendo alti i prezzi delle azioni, il rating del patrimonio netto delle banche dell’Eurozona è molto basso. La Tabella 1 mostra come questo impatti sul rapporto di indebitamento risultante dai bilanci dei GSIB:

Anche se si concede che questi numeri siano scandalosamente alti, le autorità di regolamentazione si concentrano sul rapporto tra asset totali e azioni; grandezza che diventa decisamente spaventosa quando si tiene conto del vero valore del patrimonio netto valutato dal mercato. Per le autorità di regolamentazione bancaria della zona Euro ignorare i rating di queste banche è equivalente a negare la loro responsabilità primaria che ne giustifica l’esistenza: proteggere il pubblico dalla cattiva pratica bancaria.

L’intero edificio della regolazione bancaria europea è – quindi – nient’altro che un enorme castello di sabbia. Fino a che la BCE continuerà ad esistere, il ruolo delle banche commerciali sarà quello di agire – nelle rispettive nazioni – come suoi agenti nel momento in cui esse finanziano i deficit di bilancio dei governi degli Stati UE; un problema – questo – che si è aggravato negli ultimi mesi e che sta mettendo a dura prova l’interno Eurosistema. Eppure nemmeno tutto questo è bastato a dissuadere la BCE dal continuare a spingere le banche commerciali nella fossa, persuadendole – invece – ad avere rapporti ancora più elevati e margini più esigui nella sua disperata azione di finanziare i deficit dei governi europei.

Per riassumere quanto detto:

  • Le banche centrali nazionali dei PIIGS stanno ora utilizzando il sistema Target2 come mezzo per finanziare il proprio bilancio rispetto al loro capital key, il che ha l'effetto di gravare sulle banche centrali di Germania, Lussemburgo, Finlandia e Paesi Bassi con passività in eccesso in caso di shock sistemico parziale o totale.

  • Invece di gestire i prestiti in sofferenza a livello nazionale, le banche sono incoraggiate a finanziarli continuamente ed a portarli nel proprio bilancio. Questi prestiti vengono poi utilizzati come garanzia per i finanziamenti delle banche centrali italiana e spagnola, nonché di Portogallo e Grecia, che vengono a loro volta finanziati attraverso gli squilibri nel sistema Target2.

  • Questa situazione non dovrebbe essere tollerata dalla Bundesbank in particolare, essendo questa esposta per quasi mille miliardi di euro in un sistema che viene progressivamente corrotto dai suoi utilizzatori

  • Essendo il finanziamento dei disavanzi pubblici l'obiettivo primario e ora esclusivo della BCE, il sistema bancario europeo ha portato a dei grandi livelli di rapporti di indebitamento delle banche commerciali dell’Eurozona; un fatto – questo – che non può fare altro che portare ad un collasso dell’intero sistema. Intanto i prezzi delle azioni dei GSIB europei stanno cercando di riflettere questo risultato.

  • L'Eurosistema non è adatto a far fronte ad uno shock sistemico della portata che deve affrontare e, all’accadimento dello stesso, ci si può aspettare che il sistema crolli.

 

Questioni di insolvenza dei governi nazionali

Il problema che sta alla base della debolezza del sistema bancario europeo (tanto per quanto riguarda il lato delle banche commerciali quanto per quel che concerne la BCE) è l’eccessivo livello di indebitamento e di spesa in deficit; dei fattori – questi – che sono destinati a salire ed ai quali quindi non si sta cercando una soluzione. Nel processo, il corso degli eventi ha corrotto il sistema dei pagamenti bancari europei dal momento che non ha fatto altro che aizzare le banche centrali nazionali l'una contro l'altra, essendo debitori e creditori reciproci; inoltre non ha fatto altro che incoraggiare le banche commerciali ad intraprendere pratiche scorrette non cancellando i crediti inesigibili. Non dovremo assolutamente dubitare del fatto che il sistema finanziario europeo abbia imboccato una strada tale alla cui fine non ci sarà null’altro che la distruzione dello stesso. 

Prima del COVID-19, la BCE si poteva aspettare di avere ancora margine sulla strada verso l'oblio finanziario che aveva imboccato: i sistemi di controllo che procedono secondo una logica “top-down” possono persistere per decenni nonostante tutto, purché il controllo sia abbastanza forte. Ma non dovremmo avere dubbi sul fatto che i lockdown delle economie abbiano avuto un impatto indebolente che chiama in causa la sopravvivenza dell'Eurosistema.

La Tabella 2 mostra il problema summenzionato riportando i dati macroecnomici fondamentali per Francia, Spagna e Italia:

Le previsioni per il PIL nel 2020 sono state effettuate da Focus Economics. Le statistiche sul debito rispetto al PIL e le loro previsioni provengono da Trading Economics. Da questi  dati possiamo derivare l'effetto economico sui settori privati ​​nazionali. Non è ampiamente apprezzato il fatto che i dati sul PIL  siano sostenuti dalla spesa pubblica extra, che una volta eliminata lascia il settore privato esposto a cali significativi del PIL su previsioni apparentemente panglossiane. Pertanto, un calo del 10,5% delle aspettative sul PIL per l'Italia quest'anno, dopo l'aumento della spesa pubblica dovuto al virus, si traduce in un calo del 28% del PIL del settore privato.

L'effetto sull'economia italiana porterà ad un nuovo ciclo di fallimenti a tutti i livelli dell'attività italiana, che si accumuleranno – a loro volta – nei bilanci delle banche italiane. Allo stesso modo, vediamo il settore privato spagnolo contrarsi del 22,5% e quello francese del 24%. In tutti e tre i casi, le previsioni per il 2021 prevedono riprese significative, coerenti con un rimbalzo a forma a V. Ma tali previsioni sono vulnerabili alla scontro con la realtà.

Tutti i keynesiani sembrano essere dei meteorologi, in quanto si aspettano che la spesa pubblica stimoli la ripresa economica. Ma in realtà, tutto ciò che ci si può aspettare da una spesa pubblica extra è un'apparenza statistica di ripresa attraverso la creazione di più credito bancario per sostenere la spesa pubblica. Con il sistema bancario che di fatto viene monopolizzato per fornire finanziamenti inflazionistici ai governi europei e con bilanci che evidenziano dei rapporti di indebitamento già abbastanza alti (come si vede nella Tabella 1), le prospettive di ripresa economica sono remote.

Non appena sarà chiaro che la ripresa richiederà più tempo del previsto, possiamo legittimamente aspettarci che la fragile fiducia sul fatto che la BCE possa continuare a mantenere in piedi il teatrino svanirà. Questo accadrà non prima che una o più di quelle banche dell'Eurozona altamente indebitate andrà in bancarotta.

 

Le conseguenze del dissesto finanziario

La situazione insita nel sistema denominato TARGET2 ha nascosto quella che è la questione centrale della crisi dell'Eurosistema. Le conseguenze degli squilibri sono poco comprese e quindi ignorate dai commentatori finanziari, ma come abbiamo visto l'Eurosistema e la sua struttura di regolamenti interni hanno favorito l'occultamento delle sofferenze a livello nazionale, trasferendole nella rete delle banche centrali nazionali.

I principali perdenti in questo gioco sono Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Finlandia. Con l'eccezione del Lussemburgo, da cui ci si può aspettare che assecondi il fluire degli eventi, gli altri potrebbero essere abbastanza determinati da formare il nucleo di una nuova area valutaria, ma è improbabile che lo facciano prima che l'Eurosistema imploda. Farlo equivarrebbe a partecipare attivamente alla distruzione del sistema stesso e delle sue banche centrali.

Il crollo dell'Eurosistema manderebbe in bancarotta i PIGS, e forse altri stati membri, tagliando tutti i finanziamenti monetari. Grossi dubbi aleggiano che in una tale crisi possa emergere una leadership politica forte, abile e determinata che sia capace di traghettare queste nazioni fuori dalla tempesta. In quanto forza centralizzatrice, Bruxelles è del tutto inutile e dopo la crisi perderà ogni credibilità. Inoltre il crollo dell'Eurosistema significherebbe la fine dell'euro come moneta circolante, quindi dovrebbero emergere delle soluzioni a livello nazionale in merito alla sua sostituzione.

La fine dell'euro sarà qualcosa che verrà pianto da molti. Quelli che grazie ad esso ed alla sua forza sono stati assoggettati ai voleri di Bruxelles si rammaricheranno di aver perso una valuta la cui offerta era controllabile da loro stessi; mentre quelli che finiranno per pagare per il suo fallimento avranno sacrificato tutti i risparmi.

Per il momento l'euro è forte contro la valuta di riserva mondiale, il dollaro. Questa forza deriva in parte dal suo moderato surplus commerciale internazionale rispetto all'enorme deficit commerciale degli Stati Uniti, e in parte dal fatto che il dollaro è di proprietà degli stranieri mentre l'euro non lo è. In termini di potere d'acquisto entrambe le valute sono sulle loro diverse traiettorie verso la distruzione.

La politica della FED di legare il dollaro alle fortune dei valori degli asset finanziari è una forma di distruzione della valuta, ma l'euro sarà distrutto quando l'Eurosistema cadrà a pezzi.

 

[*] traduzione di Giordano Felici per Francesco Simoncelli's Freedonia: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 27 agosto 2020

Dal lockdown al “Grande Reset”

 

 

di Antony P. Mueller 

I lockdown sulla scia dell'epidemia di coronavirus hanno accelerato l'attuazione di piani a lungo termine per stabilire un cosiddetto nuovo ordine mondiale. Sotto gli auspici del World Economic Forum (WEF), i policymaker globali stanno sostenendo un "Grande Reset" con l'intento di creare una tecnocrazia globale. Non è un caso che il 18 ottobre 2019 a New York il WEF abbia  partecipato al cosiddetto “Event 201”: un'esercitazione di “alto livello” per una pandemia, organizzata dal John Hopkins Center for Health Security.

Questa tecnocrazia implica una stretta collaborazione tra i capi dell'industria digitale ed i governi. Con programmi come il reddito minimo garantito e l'assistenza sanitaria per tutti, il nuovo tipo di governance combina un rigoroso controllo sociale con la promessa di una giustizia sociale globale.

La verità è che questo nuovo ordine mondiale viene fornito con un sistema di credito sociale. La Repubblica popolare cinese è la pioniera di questo metodo di sorveglianza e controllo di individui, società ed entità sociopolitiche.

Per l'individuo la propria identità è ridotta ad un'app, o un chip, che registra quasi ogni attività personale. Al fine di ottenere alcuni diritti individuali, o solo per viaggiare in un certo luogo, una persona deve bilanciare tali privilegi con la sua sottomissione ad una rete di normative che definiscono in dettaglio ciò che è un "buon comportamento" ed è ritenuto utile per umanità ed ambiente. Ad esempio, durante una pandemia questo tipo di controllo si estenderebbe dall'obbligo di indossare una mascherina e praticare distanziamento fisico fino ad avere vaccinazioni specifiche se si vuole fare domanda per un lavoro o per viaggiare.

È, in breve, un tipo di ingegneria sociale che è l'opposto di un ordine spontaneo. Come l'ingegnere meccanico con una macchina, l'ingegnere sociale – o tecnocrate – tratta la società come un oggetto. Diversamente dalle brutali soppressioni dei totalitarismi dei tempi passati, l'ingegnere sociale moderno cercherà di far funzionare la macchina sociale da sola secondo un certo progetto. A tal fine, l'ingegnere sociale deve applicare le leggi della società nello stesso modo in cui l'ingegnere meccanico segue le leggi della natura. La teoria comportamentale ha raggiunto una fase di conoscenza che rende possibili i sogni dell'ingegneria sociale. Le macchinazioni dell'ingegneria sociale non operano attraverso la forza bruta, ma subdolamente, per spinta.

Secondo l'ordine previsto dal Great Reset, il progresso della tecnologia non è inteso a servire il miglioramento delle condizioni delle persone, ma a sottomettere l'individuo alla tirannia di uno stato tecnocratico. "Gli esperti sanno meglio" è la giustificazione.

 

L'agenda

Il piano per una revisione del mondo è il frutto di un gruppo d'élite composto da uomini d'affari, politici e il loro entourage intellettuale che si riunisce a Davos, in Svizzera, a gennaio di ogni anno. Nato nel 1971, il World Economic Forum è diventato da allora un evento d'importanza globale. Più di tremila leader da tutto il mondo hanno partecipato all'incontro nel 2020.

Sotto la guida del WEF, il programma del Grande Reset afferma che il completamento dell'attuale trasformazione industriale richiede una profonda revisione dell'economia, della politica e della società. Una tale trasformazione globale richiede l'alterazione del comportamento umano e quindi il "transumanesimo" fa parte del programma.

Il Grande Reset sarà il tema del cinquantunesimo incontro del World Economic Forum di Davos nel 2021. L'impegno è quello di spostare l'economia mondiale verso "un futuro più equo, sostenibile e resiliente". Il programma richiede "un nuovo contratto sociale" incentrato sull'uguaglianza razziale, la giustizia sociale e la protezione della natura. Il cambiamento climatico ci impone di "decarbonizzare l'economia" e di portare il pensiero e il comportamento umano "in armonia con la natura". L'obiettivo è costruire "economie più eque, inclusive e sostenibili". Questo nuovo ordine mondiale deve essere attuato "urgentemente", affermano i promotori del WEF, e sottolineano che la pandemia "ha messo a nudo l'insostenibilità del nostro sistema", il quale pecca di "coesione sociale".

Il progetto del WEF è l'ingegneria sociale ai massimi livelli. I suoi sostenitori affermano che le Nazioni Unite non sono riuscite a stabilire l'ordine nel mondo e non hanno potuto far avanzare con forza il suo programma di sviluppo sostenibile, nota come Agenda 2030, a causa del suo modo di lavorare burocratico, lento e contraddittorio. Al contrario, le azioni della commissione organizzativa del World Economic Forum sono rapide e intelligenti. Quando un consenso è stato raggiunto, può essere implementato dall'élite globale in tutto il mondo.

 

Ingegneria sociale

L'ideologia del World Economic Forum non è né di sinistra né di destra, né progressista o conservatrice, non è nemmeno fascista o comunista, ma è decisamente tecnocratica. In quanto tale, include molti elementi delle ideologie collettiviste precedenti.

Negli ultimi decenni, negli incontri annuali di Davos è emerso il consenso sul fatto che il mondo ha bisogno di una rivoluzione e che le riforme hanno richiesto troppo tempo. I membri del WEF immaginano un profondo sconvolgimento con breve preavviso. L'intervallo di tempo dovrebbe essere così breve che la maggior parte delle persone difficilmente si possa rendere conto che è in corso una rivoluzione. Il cambiamento deve essere così rapido e scioccante che coloro che riconoscono che è in corso una rivoluzione non hanno il tempo di mobilitarsi contro di essa.

L'idea alla base del Grande Reset è lo stesso principio che ha alimentato le trasformazioni radicali dalla Rivoluzione francese a quella russa e cinese. È l'idea del razionalismo costruttivista incorporato nello stato. Ma progetti come il Grande Reset lasciano senza risposta la domanda su chi governa lo stato. Lo stato stesso non governa, è uno strumento di potere. Non è lo stato astratto che decide, ma i leader di determinati partiti politici e di certi gruppi sociali.

I primi regimi totalitari avevano bisogno di esecuzioni di massa e campi di concentramento per conservare il loro potere. Ora, con l'aiuto delle nuove tecnologie, si ritiene che i dissidenti possano essere facilmente identificati ed emarginati. I non conformisti saranno messi a tacere squalificando opinioni divergenti in quanto moralmente spregevoli.

I lockdown del 2020 offrono un'anteprima di come funziona questo sistema. Essi hanno funzionato come se fossero stati orchestrati, e forse lo erano; come se seguissero un unico comando, infatti i leader delle nazioni grandi e piccole hanno approvato misure quasi identiche. Non solo molti governi hanno agito all'unisono, ma hanno anche applicato queste misure con scarsa considerazione per le orribili conseguenze di una chiusura totale.

Mesi di stasi economica hanno distrutto le basi economiche di milioni di famiglie. Insieme al distanziamento sociale, il lockdown ha prodotto una massa di persone incapaci di prendersi cura di sé stesse. Prima i governi hanno distrutto i mezzi di sussistenza, poi si sono presentati come salvatori. La richiesta di assistenza sociale non è più limitata a gruppi specifici, ma è diventata una necessità delle masse.

Una volta, la guerra era la salute dello stato; adesso è la paura della malattia. Ciò che ci aspetta non è uno stato sociale benevolo con un reddito minimo garantito, assistenza sanitaria e istruzione per tutti. Il lockdown e le sue conseguenze hanno portato un assaggio di ciò che verrà: uno stato permanente di paura, un rigoroso controllo comportamentale, una massiccia perdita di posti di lavoro e una crescente dipendenza dallo stato.

Con le misure prese sulla scia dell'epidemia di coronavirus, è stato fatto un grande passo per resettare l'economia globale. Senza la resistenza della popolazione, la fine dell'epidemia non significherà la fine dei blocchi e del distanziamento fisico. Al momento gli oppositori del nuovo ordine mondiale hanno ancora accesso ai media e alle piattaforme social per dissentire, ma il tempo sta scadendo. Gli autori del nuovo ordine mondiale hanno annusato il sangue: dichiarare il coronavirus una pandemia è tornato utile per promuovere l'agenda del loro Grande Reset. Solo una massiccia opposizione può rallentare e infine fermare l'estensione della presa di potere di questa tecnocrazia.

 

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 26 agosto 2020

Al virus non importa della burocrazia



di Jeffrey Tucker

Sulla base dei dati a nostra disposizione, non c'è alcuna relazione tra lockdown e vite salvate. È decisamente incredibile, dato che sappiamo per certo che i lockdown hanno distrutto le economie di tutto il mondo.

Ogni modello epidemico rilasciato a marzo è stato costruito partendo dal presupposto che il lockdown avrebbe controllato il virus. All'inizio si trattava di preservare la capacità degli ospedali, successivamente è diventato un principio generale: rallentare la diffusione del morbo. I metodi sono stati gli stessi in quasi tutti i Paesi: divieto di grandi raggruppamenti, chiusura delle scuole, imprese costrette ad abbassare la serranda, obbligo di restare a casa, distanziamento fisico, mascherine, restrizioni agli spostamenti.

Niente di simile è stato tentato in tutta la storia dell'umanità, certamente non su questa scala. Si potrebbe supporre, quindi, che ci fosse la certezza assoluta di una relazione causale tra i lockdown e la traiettoria del virus. Proprio come la FDA non approva un farmaco a meno che non se ne dimostri la sicurezza e l'efficacia, si potrebbe supporre che lo stesso sarebbe dovuto essere vero per una politica che ha infranto ogni routine e calpestato i diritti umani in nome della mitigazione di una malattia.

Abbiamo invece scoperto che non era così: si trattava di una semplice ipotesi, che il lockdown avrebbe dovuto sopprimere questo virus, e si basava su una presunzione arrogante di potere da parte dei governanti.

Per cinque mesi gli stati di tutto il mondo sono andati fuori di testa, ordinando alle persone di fare questo e quello, mandato dopo mandato, eppure non ci sono prove che nulla di ciò abbia importanza per il virus.

Già a metà aprile sono sorte diverse domande. Isaac Ben-Israel, capo del programma di studi sulla sicurezza presso l'Università di Tel Aviv e presidente del Consiglio nazionale per la ricerca e lo sviluppo, ha esaminato i dati in tutto il mondo e ha concluso che il virus va e viene dopo 70 giorni indipendentemente dalle politiche implementate. Non ha trovato alcuna relazione tra il lockdown, la trasmissione e la morte.

A metà luglio gli analizzatori di dati hanno studiato l'esperienza della scorsa primavera. Anche loro non hanno trovato alcuna relazione tra il virus e le scelte burocratiche. In parole povere: "Chiusure rapide delle frontiere, blocchi completi e test diffusi non erano associati alla mortalità con COVID-19 per milione di persone".

È fantastico. Miliardi di vite radicalmente alterate, economie sono fallite, tradizioni secolari di libertà e legge buttate via, stati di polizia ovunque, e a che scopo? I dati indicano che è stato tutto inutile. Non si può controllare un virus con le politiche statali. Al virus non importa.

Uno strumento utile che potete utilizzare per osservare tutto ciò lo troviamo su OurWorldinData, che offre un indice di rigore delle politiche statali basato sui dati dell'Università di Oxford.

Diamo un'occhiata all'indice per quei Paesi del mondo che hanno avuto i più alti tassi di mortalità con C-19: San Marino, Belgio, Regno Unito, Spagna, Perù, Italia, Cile, USA, Francia, Brasile, Paesi Bassi e Messico.

Ecco tutti questi Paesi sull'indice di rigore.


La maggior parte di questi stati ha imposto un lockdown all'incirca nello stesso periodo, seguito da uno sforzo graduale e frammentario di liberazione. La Svezia è il grande valore anomalo qui, ovviamente. Tutti mostrano alti tassi di mortalità, alcuni più alti e altri più bassi rispetto alla Svezia. I controfattuali sono impossibili, ovviamente, ma già questo grafico solleva interrogativi sul se e in quale misura le politiche burocratiche abbiano qualcosa a che fare con la prevenzione delle morti.

Un altro modo per vederlo è confrontare i primi sei Paesi con la più alta mortalità per milione con i sei Paesi con la più bassa mortalità per milione. Questi Paesi a bassa mortalità sono: Uganda, Burundi, Mozambico, Tanzania, Ruanda e Sri Lanka. Tutti questi Paesi hanno imposto un lockdown.

Notate l'assenza di una relazione tra le morti, il lockdown e il rimanere aperti.

Prendiamo in considerazione ora 12 Paesi con morti molto simili per milione (50, più o meno 10). È possibile osservare una vasta gamma di linee di politica e nessuna relazione apparente tra esse e risultati in termini di decessi.

Ecco un grafico globale dei decessi per milione rispetto alla severità del lockdown. Potete guardarlo tutto il giorno, ma non mostra assolutamente nulla di significativo in termini di linee di politica.

Tracciare solo Paesi europei produce un risultato un po' strano, uno schema opposto a quello che dovremmo vedere. Todd Kenyon ha utilizzato i dati di Oxford per produrre il seguente grafico allarmante, il quale mostra che quanto è più stretto il lockdown, maggiori sono le morti per milione. Potrebbero esserci molte altre spiegazioni per questo ma, anche in questo caso, non vediamo nulla che suggerisca che i lockdown abbiano migliorato i risultati.

In "Did Lockdown Worked? An Economist's Cross-Country Comparison", Christian Bjørnskov non trova alcuna chiara associazione tra le politiche di lockdown e lo sviluppo della mortalità, offrendo il seguente grafico.

Potete fare il confronto all'interno degli Stati Uniti, grazie a quest'ottimo studio di cinque economisti. I risultati sono gli stessi: sia che si chiuda o si resta aperti, non c'è alcun modello prevedibile per le morti. Se i lockdown hanno salvato vite, la curva dovrebbe inclinarsi verso il basso a destra. Non è affatto inclinata invece, è solo casuale.

Ancora una volta, al virus non importa.

Potreste contestare questi dati sulla base del fatto che sono troppo aggregati, che ci sono troppe variabili basate sui dati demografici (l'età media della morte nel mondo è 82 anni con comorbidità, quasi la metà nelle case di riposo), e così via.

Ad un certo punto dovremo gettare la spugna. Il fatto che un Paese attui un lockdown o no ha tanto potere predittivo sulle morti per milione quanto la correlazione tra il maltempo e il colore dei miei calzini. O se gli uragani sono controllati dai tassi di alfabetizzazione.

In altre parole, l'affermazione che il lockdown controlli i virus è pseudoscienza o superstizione di un tipo profondamente pericoloso; distrugge economie e vite.

A dire il vero, ci sono molti studi che affermano che i lockdown abbiano salvato vite, ma sono estrapolazioni basate su modelli che presumono l'esistenza di una correlazione che i fatti invece non confermano. Se c'è uno studio di ricerca che utilizza dati reali e che dimostra qualcosa di salvavita sulla distruzione dei diritti e delle libertà in nome del controllo dei virus, devo ancora vederlo.

Nel frattempo siamo sopraffatti dalle prove che è stato tutto inutilmente distruttivo. Libertà significa pratica della salute e della ricchezza; i lockdown portano esattamente a ciò che D.A. Henderson predisse: catastrofe.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 25 agosto 2020

La spesa di Trump sta ritardando la ripresa, ma con Biden sarebbe molto peggio

 

 

di Daniel Lacalle

Il drammatico declino economico dovuto alla crisi del COVID-19 e ai piani di spesa per la ripresa approvati dal presidente Trump porteranno il deficit di bilancio degli Stati Uniti ad un record di $3.800 miliardi, o il 18,7% del prodotto interno lordo, secondo la Commissione per un bilancio federale responsabile (CRFB). Secondo le stesse stime, il deficit fiscale per il 2021 raggiungerà $2.100 miliardi e una media di $1.300 miliardi entro il 2025, poiché l'economia si riprenderà dall'impatto del lockdown.

Per finanziare questo sbalorditivo sforzo fiscale, il leader del Partito Democratico, Joe Biden, annuncia un massiccio aumento delle tasse... che non aiuterà l'economia né ridurrà il deficit.

La soluzione al deficit di bilancio degli Stati Uniti non sono più tasse. Anche nello scenario più ottimistico per le entrate, non esiste un programma di aumento delle tasse che possa compensare un deficit strutturale da $1.000 miliardi all'anno, figuriamoci uno come le stime di cui sopra.

Più tasse danneggeranno la ripresa, danneggeranno il potenziale di miglioramento dei posti di lavoro e ridurranno gli investimenti nell'economia. Più tasse significa meno crescita e nessun miglioramento del deficit.

L'amministrazione Obama ha imparato rapidamente questa lezione ed ha esteso fino al 2020 i tagli fiscali di Bush. Gli aumenti di tasse nel 2013 non hanno fatto nulla per ridurre il debito e hanno mantenuto la crescita economica e occupazionale al di sotto del suo potenziale.

Una tassa sul patrimonio, spesso spinta dai politici più estremisti in America, non solo fornirebbe entrate estremamente piccole per il Tesoro, ma genererebbe più negatività di qualsiasi miglioramento nelle entrate fiscali. C'è un motivo per cui quasi tutte le nazioni europee hanno abbandonato l'imposta sul patrimonio. Le entrate sono trascurabili e l'impatto negativo sugli investimenti, l'attrazione di capitali e la creazione di posti di lavoro supera qualsiasi aumento delle entrate. Il gettito dell'imposta sul patrimonio rispetto al PIL nei Paesi in cui esiste varia tra lo 0,07% in Finlandia e lo 0,22% in Francia. Non c'è modo che una tassa sul patrimonio raccolga l'1,4% del PIL come ha stimato la senatrice Elizabeth Warren. Una tassa sul patrimonio negli Stati Uniti non comporterebbe alcuna riduzione visibile del deficit esistente, per non parlare di finanziare i migliaia di miliardi di spese per il welfare che Biden ha annunciato.

Allora, come possono gli Stati Uniti ridurre il deficit?

Il deficit statunitense è in salita a causa di aumenti eccessivi della spesa, nonostante i periodi buoni per le entrate fiscali. Le entrate del governo federale sono aumentate del 4%, a $3.460 miliardi, nell'anno fiscale 2019, secondo il rapporto del Congressional Budget Office (CBO). Tuttavia la spesa è aumentata di oltre l'8%, a $4.450 miliardi.

L'aumento del deficit nel 2019 non è stato dovuto ai "tagli delle tasse", semmai questi ultimi hanno aiutato l'economia a rimanere in fase espansiva, creando posti di lavoro e aumentando allo stesso tempo le entrate. I ricavi dalle imposte sul reddito per le società sono aumentati di $25 miliardi (+12%), mentre le imposte sul reddito individuale e sui salari insieme hanno dato un ricavo di $107 miliardi (+4%). Complessivamente le entrate totali sono aumentate del 4% ($3.462 miliardi nell'anno fiscale 2019). Le entrate totali sono rimaste al 16,15% del PIL, che è il dato tendenziale di lungo termine e coerente con un'economia rimasta in fase espansiva, con una crescita moderata.

Il problema principale è che le spese totali sono aumentate dell'8% (a $4.446 miliardi), alimentate principalmente dalle spese non discrezionali di previdenza sociale, Medicare e Medicaid.

Chi dice che il deficit sarebbe stato risolto eliminando i tagli delle tasse di Trump ha un problema con la matematica. Nessun economista serio può credere che mantenere un tax rate ben al di sopra della media OCSE avrebbe generato più entrate. Inoltre nessun economista serio può credere che l'eliminazione dei tagli delle tasse di Trump avrebbero generato più di $300 miliardi di entrate nuove e aggiuntive.

Ricordate che le entrate fiscali dalle società erano già diminuite dell'1% nel 2017 e del 13% nel 2016, prima dei tagli di Trump. La recessione nell'utile operativo era già evidente. Semmai la riduzione del tax rate sulle aziende le ha aiutate a riprendersi, il che a sua volta ha fatto aumentare le entrate fiscali totali di $13 miliardi a $3.328 miliardi nell'anno fiscale 2018, secondo il CBO.

Il problema del bilancio degli Stati Uniti è la spesa non discrezionale.

Essa è stata di $2.000 miliardi sui $4.450 miliardi di spese totali nell'anno fiscale 2019, ma si prevede che aumenterà a $3.300 miliardi. Anche se la spesa discrezionale rimane invariata, si stima che le spese totali aumentino in modo significativo.

Stampare moneta non ha ridotto i deficit o il debito. La Federal Reserve ha aumentato il proprio bilancio ai massimi storici, raggiungendo i $10.000 miliardi, e l'acquisto di bond del Tesoro USA ha solo spinto lo Zio Sam a continuare a spendere al di sopra del budget e della tendenza delle entrate.

Inoltre, se i sostenitori di una massiccia stampa di moneta ci dicono che i deficit non contano e che il governo degli Stati Uniti dovrebbe spendere tutto ciò di cui ha bisogno perché la FED acquisirà tutto il debito, allora non c'è bisogno di tasse più alte, no? Infatti, se i fautori della MMT hanno ragione, le tasse dovrebbero essere tagliate ed i deficit monetizzati per alimentare una ripresa.

Il problema è che non esiste un albero magico su cui crescono i soldi. La politica monetaria sta solo mascherando un problema di spesa strutturale e pericoloso, e questo comportamento sconsiderato può essere mantenuto solo se il dollaro rimane la valuta di riserva mondiale. Pertanto, non solo c'è un limite a quanto può stampare la FED, ma c'è anche il rischio che se i governi statali/locali non riducono la spesa gli Stati Uniti possano perdere il loro status di valuta di riserva mondiale.

Di conseguenza l'unica soluzione per l'America per ridurre il debito è tagliare la spesa ed il welfare.

Qualsiasi politico dovrebbe capire che è semplicemente impossibile raccogliere altri $3.000 miliardi all'anno rispetto alle entrate esistenti. Dovrebbero anche capire che la fiducia nel dollaro potrebbe crollare se i deficit continueranno a gonfiarsi.

È del tutto impossibile raddoppiare le entrate di un anno come il 2019 facendo ricorso a tasse più alte, poiché esse non faranno altro che distruggere un'economia già debole e ritarderanno la ripresa. Ed è completamente impossibile ridurre i deficit stampando denaro, lo Zio Sam pomperà la spesa solo se potrà monetizzarla a scapito dei salari e dei risparmi reali.

Credere che il deficit possa essere ridotto aumentando in modo massiccio le tasse significa non voler comprendere l'economia statunitense e la situazione globale. Porterebbe alla distruzione di posti di lavoro, delocalizzazione aziendale in altri Paesi e alla riduzione degli investimenti. Credere che il deficit verrà ridotto stampando moneta significa non voler comprendere gli incentivi perversi dello stato.

La prova che il problema degli Stati Uniti è la spesa: coloro che propongono massicci aumenti delle tasse non vogliono tagliare in modo significativo il deficit, tanto meno ridurre il debito. Questo è il motivo per cui aggiungono la stampa di denaro alle loro soluzioni magiche. Non funzionerà e questa politica sconsiderata potrebbe distruggere lo status del dollaro come valuta di riserva mondiale.

Il debito è importante, anche se i tassi d'interesse sono bassi. L'aumento del debito e della spesa pubblica significa una crescita inferiore e salari reali più deboli in futuro.

 

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 24 agosto 2020

La tirannia del pensiero di massa

 

 

di David Stockman

Il mercato (S&P 500) è trattato ai più alti multipli PE dal novembre 1999, ma la stampa finanziaria è piena di chiacchiere mendaci che affermano che non c'è alcuna bolla. Ad esempio, per celebrare il massimo storico di martedì sull'indice S&P 500, un certo James Mackintosh sul Wall Street Journal non è stato affatto criptico: "La presunta Everything Bubble è nell'immaginazione dei molti investitori che se ne lamentano. Primo, non è in tutto. Secondo, non è una bolla".

Proprio così. Presumibilmente l'affermazione di cui sopra è vera perché i prezzi delle azioni del settore energetico languiscono, ma il mercato è guidato dai giganti della tecnologia dove (presunte) solide prospettive di crescita degli utili vengono premiate con multipli PE più alti grazie ai tassi d'interesse estremamente bassi.

La pigrizia e il conformismo dei cosiddetti giornalisti finanziari di oggi è una meraviglia da vedere. Quando il leader dei titoli tecnologici, Apple, ha attraversato per la prima volta la barriera della capitalizzazione di mercato di $2.000 miliardi, incarnando così una capitalizzazione di mercato maggiore dell'intero Russell 2000 (società statunitensi a bassa capitalizzazione), il collega di Mackintosh sul Wall Street Journal ha vomitato lo stesso pensiero.

Apple non è un titolo in crescita. Punto.

L'aumento delle vendite triennale citato dal WSJ è stato solo del 6,4% all'anno, ma riflette anche ciò che equivale a negligenza giornalistica.

Questo perché la cifra iniziale di $216 miliardi per le vendite di Apple nell'anno fiscale 2016 rifletteva in realtà un calo del 7,8% rispetto alle vendite di $234 miliardi nell'anno fiscale 2015. Quindi il tasso di crescita quadriennale delle vendite fino all'anno fiscale 2019 è stato, beh, un mero 2,67% all'anno.

Allo stesso modo, l'aumento delle vendite dell'11% durante il secondo trimestre 2020 rispetto all'anno precedente è completamente fuorviante. Negli ultimi quattro trimestri, gli aumenti delle vendite anno su anno sono stati rispettivamente 10,9%, 1,0%, 8,8% e 1,8%. Di conseguenza, per l'arco annuale terminato a giugno, l'incremento delle vendite è stato solo del 5,7%, una cifra di crescita decisamente modesta.

Allo stesso modo, il presunto aumento degli utili per $11,25 miliardi nel secondo trimestre non era affatto un aumento. Durante il secondo trimestre 2018, ad esempio, l'utile netto ha registrato un aumento a $11,52 miliardi. L'impennata recente, quindi, era un movimento all'indietro.

Infatti l'unica cosa di Apple che è stata in modalità di crescita negli ultimi cinque anni è il suo multiplo PE, che è sostanzialmente raddoppiato da 14X a 35X al prezzo record delle azioni di oggi.

Per quanto riguarda la tendenza a 5 anni di crescita delle vendite e degli utili, anche qui c'è poco da dire.

Nel giugno 2015 Apple è stata valutata $715 miliardi sulla forza del suo ineguagliabile franchising di prodotti tecnologici, che si è riflesso in $224 miliardi di vendite annuali e $50,7 miliardi di profitti annuali.

Tuttavia, c'era una ragione per il modesto multiplo PE di 14,1X: il tasso di crescita del colosso tecnologico stava rapidamente rallentando, a causa dei limiti intrinseci nella sua enorme scala e dalle aspettative allora modeste di espansione degli utili negli anni successivi.

Quelle modeste aspettative erano corrette. Cinque anni dopo, i dati per giugno 2020 ammontano a $273,9 miliardi di vendite e $58,4 miliardi di reddito netto.

Sì, quest'ultima cifra rappresenta molti profitti, ma rappresenta anche una crescita minima. Infatti il tasso di crescita delle vendite di Apple su cinque anni è stato solo del 4,1%, mentre il tasso di crescita del reddito netto è stato solo del 2,9% all'anno.

Inoltre non vi è stato alcuno scatto di crescita recente che abbia accelerato questi tassi di crescita tendenziali quinquennali. I tassi di crescita a due anni sono ancora più lenti, con un fatturato del 3,6% annuo e un utile netto in aumento solo del 2,03% annuo.

Inutile dire che il raddoppio del multiplo PE di Apple non ha nulla a che fare con il suo tasso di crescita del reddito netto quinquennale al 2,9% annuo; si tratta invece della repressione dei tassi d'interesse da parte della FED e della conseguente deviazione di migliaia di miliardi di capitale preso in prestito nell'inflazione dei tassi di capitalizzazione degli asset di rischio.

Né Apple è una sorta di mosca bianca. Nel complesso i cosiddetti Fantastici Cinque (Amazon, Apple, Microsoft, Facebook e Google) riflettono la stessa storia di inflazione dei multipli PE; e sono ovviamente il driver che sta spingendo il mercato azionario, pesantemente guidato dagli ETF.

Pertanto, nel giugno 2014, la capitalizzazione di mercato combinata dei Fantastici Cinque pesava $1.630 miliardi e rappresentava il 9,5% della capitalizzazione di mercato complessiva dell'indice S&P 500 (circa $17.000 miliardi).

Avanti veloce di sei anni ed i Fantastici Cinque sono stati valutati alla chiusura di oggi a $7.100 miliardi, che rappresentano il 26% della capitalizzazione di mercato totale di $27.700 miliardi dell'indice S&P 500.

Quindi, sì, il termine "driver" è probabilmente un eufemismo. Il 50% dell'aumento della capitalizzazione di mercato ($10.700 miliardi) dell'indice S&P 500 da giugno 2014 è attribuibile ai Fantastici Cinque.

Allo stesso tempo, l'utile netto combinato dei Fantastici Cinque è passato da $76,3 miliardi a $170,7 miliardi, il che significa che il già vivace multiplo PE di 21,4X per il gruppo nel suo insieme nel giugno 2014 è ora pari a 42,0X.

Ovviamente le medie possono essere fuorvianti, ma non mentono. Negli ultimi sei anni il tasso di crescita del reddito netto composito dei Fantastici Cinque è stato solo del 14,4%.

In un mondo che sta letteralmente cadendo a pezzi a causa dell'epidemia Covid e di un onere di debito da $260.000 miliardi, un multiplo di valutazione pari a 42 volte o quasi tre volte il tasso di crescita finale non ha alcun senso.

Questo perché il pensiero di massa alla James Mackintosh è segnato da un potente difetto: non è possibile valutare i guadagni in un futuro indefinito a causa dei tassi d'interesse estremamente bassi di oggi, che tra l'altro non sono assolutamente sostenibili.

La politica della FED di repressione dei tassi d'interesse sfida le leggi della finanza e del buon senso, perché i rendimenti reali sono negativi e nel lungo periodo i rendimenti reali negativi sono un ossimoro.

Il grafico qui sotto è la pistola fumante. C'era una volta un distacco significativo tra la linea marrone (rendimento nominale del decennale USA) e la linea viola (tasso d'inflazione corrente misurato dall'IPC medio ridotto del 16%).

Cioè, anche il cosiddetto debito del Tesoro statunitense privo di rischio aveva un rendimento reale di 200-400 punti base per tenere conto delle tasse e un reale ritorno sugli investimenti.

Ma dopo l'ultimo balzo nella follia monetaria iniziato con la crisi finanziaria del 2008-2009, il rendimento reale è praticamente scomparso; e poi, dopo la massiccia corsa all'acquisto di obbligazioni da parte della FED iniziata a metà marzo, il titolo di riferimento dell'intero mercato globale del reddito fisso è diventato profondamente negativo in termini reali.

Nell'ultimo mese il tasso d'inflazione corrente si è attestato al 2,27% annuo rispetto ad un rendimento minimo storico sul decennale USA di 52 punti base poche settimane fa.

Inutile dire che quando il costo reale del debito "privo di rischio" è -175 punti base, non ci troviamo lungo un percorso sostenibile. In realtà si sta rasentando un disastro finanziario.

Questo soprattutto perché la politica fiscale negli Stati Uniti e in altre parti del mondo è diventata completamente fuori di testa.

Quindi, a meno che la FED e le altre banche centrali continuino i loro massicci acquisti di obbligazioni in risposta a questo tsunami di debito pubblico, i mercati obbligazionari si stanno dirigendo verso un disastro; e se le banche centrali continueranno a stampare a questi ritmi folli, il sistema monetario stesso collasserà.

Tuttavia l'idea sbagliata che il mercato azionario non sia sopravvalutato perché i prezzi delle obbligazioni sono stati enormemente gonfiati dal pompaggio di denaro della banca centrale, è solo un esempio dell'attuale tirannia del pensiero di massa.

Infatti il pensiero di massa è onnipresente nella narrativa mainstream e nelle cosiddette notizie. La convinzione quasi universale che i lockdown fossero necessari ed efficaci, e che il coronavirus possa essere fermato da un'irreggimentazione economica e sociale di forza bruta, è un altro esempio calzante, sottolineato da una nuova analisi del risultato svedese.

La narrativa mainstream recita che la politica di non lockdown della Svezia (scuole, ristoranti, cinema, palestre, centri commerciali ecc., sono rimasti aperti) sia stata un disastroso fallimento, rivendicando così l'approccio di quarantena universale del dottor Fauci, del Governatore Cuomo e degli altri fanatici del virus nei cosiddetti Blue State.

Ma ciò si basa sull'osservazione irrilevante che il tasso di mortalità CON Covid della Svezia, 56 per 100.000 abitanti, è di gran lunga superiore a quello di Norvegia, Finlandia e Danimarca.

La verità è che il tasso di mortalità della Svezia si è concentrato nelle strutture a lunga degenza, dove si è verificato il 75% dei 5.800 decessi CON Covid del Paese fino ad oggi.

Fortunatamente è disponibile una ripartizione delle morti CON Covid della Svezia in base a fasce di età dettagliate e mette in evidenza, anche per i più ciechi, l'inutilità del lockdown..

Numero di morti CON Covid / Popolazione / Tasso per 100.000 abitanti per coorte di età:

  • 0-9 anni: 1 / 1,22 milioni / 0,08 per 100.000 abitanti;
  • 10-19 anni: 0 / 1,19 milioni / 0,0 per 100.000 abitanti;
  • 20-29 anni: 10 / 1,31 milioni / 0,77 per 100.000 abitanti;
  • 30-39 anni: 16 / 1,37 milioni / 1,16 ogni 100.000 abitanti;
  • 40-49 anni: 45 / 1,31 milioni / 3,42 ogni 100.000 abitanti;
  • 50-59 anni: 162 / 1,27 milioni / 12,8 per 100.000 abitanti;
  • 60-69 anni: 398 / 1,14 milioni / 34,8 per 100.000 abitanti;
  • 70-79 anni: 1.250 / 0,917 milioni / 128,7 per 100.000 abitanti;
  • 80-90 anni: 2.408 / 0,425 milioni / 567,0 per 100.000 abitanti;
  • 90 anni più: 1.512 / .119 milioni / 1.271,0 per 100.000 abitanti.

Quindi, sì, la Svezia ha un tasso di mortalità CON Covid di 56 su 100.000 abitanti per l'intero Paese. Ma il 26% di questi decessi si è verificato tra la popolazione di 90 anni e oltre, che rappresenta solo l'1,1% della popolazione svedese.

Allo stesso modo, il 67% dei decessi è avvenuto tra la popolazione di 80 anni e oltre e il 93% tra quelli di età pari o superiore a 65 anni. Al contrario, le persone di età pari o superiore a 65 anni rappresentano solo il 19% della popolazione svedese, e la quota preponderante di questi ultimi, che hanno subito gravi sintomi o sono morti, si trovava già in strutture a lunga degenza.

Inutile dire che il blocco di scuole, palestre, ristoranti e centri commerciali non fa nulla per la popolazione degli anziani vulnerabili e con comorbidità. Proteggere e curare questi ultimi, piuttosto che mettere in quarantena le popolazioni più giovani e più sane, è la risposta ovvia.

Infatti la virtù della strategia anti-lockdown della Svezia è indiscutibile. La Svezia non ha chiuso le sue scuole, ma c'è stato un solo decesso CON Covid tra i suoi 2,4 milioni di ragazzi in età scolare sotto i 20 anni.

Allo stesso modo, ci sono stati solo 71 decessi tra i suoi 4,0 milioni di persone in età lavorativa e consumatrice primaria (età 20-49). Questo è un tasso di mortalità di 1,77 per 100.000 abitanti. Chi sano di mente vorrebbe chiudere l'economia sulla base di rischi così infinitesimali?

Detto in modo diverso, il rischio di morte per Covid in Svezia è stato 720 volte più alto per la popolazione di 90 anni e più rispetto alla fascia in età lavorativa principale (20-49 anni); ed è stato 157 volte superiore per l'intera popolazione di 65 anni e oltre che per la popolazione nei settori dell'aggregazione sociale.

Fortunatamente la Svezia ha anche dati disponibili sulla mortalità normale, anno dopo anno, il cui tasso è di circa 862 su 100.000 abitanti. Ma quando si scompongono questi normali tassi di mortalità per coorte di età e causa della morte, la follia del lockdown diventa ancora più evidente.

In particolare, ci sono circa 3.429 morti all'anno in Svezia per incidenti automobilistici, cadute, annegamenti, elettrocuzioni, avvelenamenti e altri incidenti, e questi rappresentano circa il 4% del totale dei decessi della Svezia nel 2019 per tutte le cause (in tutto circa 89.000).

Tuttavia, se si considerano i tassi di mortalità per 100.000 abitanti per i soli incidenti, il risultato dello storno è che il rischio esistente di morte è di gran lunga superiore a quello del Covid per l'intera popolazione di 8,4 milioni di età inferiore a 65 anni e per i giovani e persone di mezza età.

Tassi di mortalità per 100.000 abitanti per infortuni rispetto a Covid e rapporto rischio infortuni/Covid:

  • 0-14 anni; 1,38 contro 0,06 = 25X;
  • 15-44 anni: 12,3 contro 1,2 = 10X;
  • 45-64 anni: 20,6 contro 15,4 = 1,34X;
  • 65 anni e oltre: 115 contro 257 = 0,45X.

In breve, quando il rischio ordinario di morte è 10-25 volte maggiore per gli incidenti rispetto al Covid per la popolazione giovane e lavoratrice, non si blocca l'economia e le principali vie di aggregazione sociale.

Grazie alla leadership illuminata dei professionisti sanitari svedesi e dei suoi principali epidemiologi, hanno capito bene la situazione e ora sia i nuovi casi che i decessi CON Covid sono praticamente scomparsi.

E questo per non parlare del fatto che il calo del PIL della Svezia nel secondo trimestre, appena l'8,6%, è stato di gran lunga migliore del calo a due cifre negli Stati Uniti e nella maggior parte dei Paesi europei che invece hanno imposto lockdown molto più draconiani.

In America, al contrario, la tirannia del pensiero di massa sulla questione è diventata così grande che il football universitario e le lezioni al college vengono chiuse da costa a costa, quando il rischio di gravi malattie o morte tra la popolazione in età universitaria qui, come in Svezia, è praticamente nullo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/