giovedì 2 luglio 2020
Perché il recovery fund europeo sarà un fallimento
di Daniel Lacalle
Il piano di stimolo da €750 miliardi annunciato dalla Commissione Europea è stato accolto con euforia da molti analisti macroeconomici e banche d'investimento. Tuttavia, dobbiamo essere cauti. Perché? Molti sostengono che una risposta rapida e decisiva alla crisi con un'iniezione di liquidità che vada ad evitare un collasso finanziario e con un forte impulso fiscale che consolidi la ripresa, sono misure straordinariamente positive. La storia e l'esperienza ci dicono che non è da trascurare il rischio di illudersi per quanto riguarda l'impatto positivo sull'economia reale.
La storia dei piani di stimolo nella zona Euro dovrebbe metterci in guardia dall'ottimismo eccessivo.
Come ricorderete, nel luglio 2009 l'Unione Europea lanciò un ambizioso progetto per la crescita e l'occupazione chiamato "Piano europeo di ripresa economica". Uno stimolo dell'1,5% del PIL per creare "milioni di posti di lavoro in infrastrutture, opere civili, interconnessioni e settori strategici". L'Europa sarebbe emersa dalla crisi più forte degli Stati Uniti grazie all'impulso keynesiano della spesa pubblica. Invece sono stati distrutti 4,5 milioni di posti di lavoro e il deficit è quasi raddoppiato, mentre l'economia ha ristagnato. Ciò avvenne dopo che il bilancio della Banca Centrale Europea era raddoppiato tra il 2001 e il 2008. Quell'enorme piano non solo non ha aiutato la zona Euro ad uscire dalla crisi, ma l'ha addirittura prolungata, dato che nel 2019 c'erano ancora segni di evidente debolezza. L'aumento delle tasse e gli ostacoli all'attività privata che hanno accompagnato questo ampio pacchetto di spese hanno ritardato la ripresa, che in ogni caso è stata più lenta delle altre economie ad essa comparabili.
Dobbiamo anche smantellare l'idea che la Banca Centrale Europea non abbia sostenuto l'economia nella crisi del 2008: due enormi programmi di riacquisto di obbligazioni sovrane con Trichet come presidente della BCE, tagli dei tassi dal 4,25% all'1% dal 2008 e acquisti di obbligazioni sovrane per oltre €115 miliardi. Alla fine del 2011 la BCE era il maggiore detentore del debito spagnolo, sebbene fosse accusata di inazione.
Durante tutto questo tempo, il bilancio della BCE è stato superiore a quello della Federal Reserve in rapporto al PIL, e nel maggio 2020 si attestava al 44% del PIL rispetto al 30% negli Stati Uniti.
Gli stimoli non si sono mai fermati nella zona Euro. Un ulteriore piano di riacquisto in aggiunta ai programmi di liquidità TLTRO di Draghi ha portato le obbligazioni sovrane ai rendimenti più bassi della storia e alla BCE che ha acquistato quasi il 20% del debito totale dei principali stati europei. Un piano di espansione del bilancio talmente grande che, alla fine di maggio 2020, la liquidità nella BCE era di €2.100 miliardi. Era appena €125 miliardi quando è stato lanciato il cosiddetto piano di stimolo nel 2014.
Nessuno può negare che l'impatto di questi enormi piani sulla crescita, sulla produttività e sull'occupazione sia stato più che deludente. Fatta eccezione per un breve periodo di euforia nel 2017, le revisioni al ribasso della crescita dell'Eurozona sono state costanti, culminando nel quarto trimestre del 2019 con Francia e Italia in stagnazione, Germania sull'orlo della recessione e un significativo rallentamento in Spagna. La scusa della Brexit e della guerra commerciale non ha nascosto il fatto che il risultato dello stimolo fosse già più che scarso.
Abbiamo un altro esempio importante da riproporre: il cosiddetto "piano Juncker" o "piano di investimenti per l'Europa", considerato la soluzione alla mancanza di crescita nell'Unione Europea, ha avuto un risultato estremamente scarso. Ha mobilitato €360 miliardi, molti per progetti senza un reale ritorno economico o effetti reali sulla crescita. Le stime di crescita nell'area Euro sono fortemente diminuite, la crescita della produttività è rimasta stagnante e la produzione industriale è scesa a dicembre 2019 al livello più basso mai registrato.
Dobbiamo anche essere cauti con i piani "green". Siamo tutti a favore di una transizione energetica seria e competitiva, ma non possiamo dimenticare che una parte molto importante del piano "green" dell'Unione Europea si concentra sulla domanda attraverso aumenti fiscali e misure protezionistiche, come un'imposta di frontiera sui Paesi che non hanno firmato l'accordo di Parigi (ma non per coloro che non lo rispettano, quelli non corrono alcun rischio). Ciò limita il potenziale della ripresa ed aumenta la possibilità di un'ulteriore guerra commerciale.
Non possiamo ignorare l'impatto negativo sull'industria e sull'occupazione dei piani "green" tra il 2004 ed il 2018, i quali hanno causato un raddoppio della bollette di elettricità e gas naturale nei Paesi dell'area Euro mentre la crescita si è fermata.
Qual è il problema con i piani di stimolo europei rispetto a quelli degli Stati Uniti? Il primo e il più importante è che provengono da una pianificazione centrale dell'economia. Questi sono piani con una componente molto forte di decisioni politiche su dove e come debbano essere investiti. La pianificazione politica è una parte essenziale della maggior parte di questi stimoli e, come tale, generano una crescita scarsa e risultati deboli. Pertanto uno dei maggiori problemi è che i settori che già soffrono di sovraccapacità vengono “stimolati”, ovvero, viene generato un segnale falso di domanda tramite sussidi, che quindi genera problemi di capitale circolante e un aumento allarmante del numero di aziende zombi. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, il numero di compagnie zombi in Europa è esploso durante i piani di stimolo sopraccitati. Il passato viene salvato e l'economia viene zombificata.
Un altro grosso problema è che vengono stimolati i settori sbagliati, mentre muoiono migliaia di piccole aziende che non hanno accesso al credito o ai favori politici. Non è una coincidenza che la zona Euro distrugga aziende più innovative o impedisca loro di crescere, visto che la regolamentazione impone all'80% dell'economia reale di finanziarsi attraverso il canale bancario mentre negli Stati Uniti non raggiunge il 30%. Riuscite ad immaginare una Apple o Netflix che cresce attraverso i prestiti bancari? Impossibile.
Un altro grosso problema è l'ossessione per la ridistribuzione. Penalizzando fiscalmente il merito e il successo e sostenendo la spesa pubblica al di sopra del 40% del PIL a qualsiasi costo con tasse più elevate, pur sovvenzionando i settori a bassa produttività, l'Unione Europea corre un enorme rischio di malinvestment quando va a premiare i settori sovvenzionati o quelli vicini al potere politico, mentre quelli ad alta produttività sono penalizzati. Non è un caso che l'Europa non abbia campioni tecnologici. Li spaventa, visto che i campioni nazionali obsoleti sono protetti e attraverso la tassazione vengono penalizzati la remunerazione del merito e gli investimenti alternativi.
Quanto detto finora non è diverso per il pacchetto di piani appena annunciato. È la stessa cosa fatta finora, ma molto più in grande. E non possiamo credere che questa volta l'esito sarà diverso. Mentre ci parlano di piani "green", la stragrande maggioranza dei salvataggi andrà in alluminio e acciaio, automobili, compagnie aeree e raffinerie. Nel frattempo un enorme aumento delle tasse farà affogare ulteriormente le start-up, investimenti in ricerca e sviluppo e aziende innovative.
Il problema dell'Unione Europea non è mai stato la mancanza di stimoli, ma piuttosto un eccesso di questi. L'Unione Europea ha inanellato un piano di stimolo dopo l'altro sin dal suo inizio. Questa crisi aveva bisogno di una forte spinta al merito, all'innovazione, al capitale privato e all'imprenditorialità con misure sul lato dell'offerta. Temo che, ancora una volta, sia stato deciso di salvare il passato e lasciare morire il futuro.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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