Bibliografia

venerdì 24 luglio 2020

Bitcoin ed il copyright





di Francesco Simoncelli


Una delle domande che spesso i libertari si pongono è come sia possibile che un determinato individuo possa sostenere due posizioni contrastanti nello stesso ragionamento. Come si può sostenere la libertà nella frase principale e nella subordinata successiva sostenere l'esatto contrario? Come si può sostenere che il libero mercato sia necessario per la prosperità ma al tempo stesso trovare un ruolo per lo stato affinché lo regoli? Come si può sostenere che Bitcoin dovrebbe essere un punto di riferimento nel sistema monetario globale, ma al tempo stesso invocare un'autorità che ne stabilizzi il prezzo? Di questi esempi schizofrenici ne esistono a iosa. Il mio compito qui non è quello di ricercare l'origine di questa schizofrenia (lo farò in un articolo a parte), bensì di far capire a coloro che adottano simili linee di pensiero la natura schizofrenica dei loro assunti. Infatti una delle massime espressioni di suddetta schizofrenia la ritroviamo nel copyright e chi mastica di criptovalute dovrebbe saperne qualcosa.

Cosa sarebbe successo se, in un momento di disaccordo come quello del 2017, Bitcoin non fosse stato forkato in due percorsi distinti? Se Bitcoin doveva essere un'idea immutabile e perenne così come immaginata dal suo autore, cosa sarebbe accaduto a tutti i conflitti emersi nel tempo? Se le linee di codice iniziali dovevano appartenere solo ed esclusivamente a Satoshi Nakamoto, e quindi a come aveva lasciato il suo lavoro prima di scomparire, cosa ne sarebbe stato dello sviluppo futuro di Bitcoin? Inutile dire che sarebbe stata preclusa ogni possibile soluzione. Perché pensate che Nakamoto sia rimasto uno pseudonimo e abbia strutturato Bitcoin affinché fosse opensource? Eppure la mentalità schizofrenica del copyright ha contaminato l'ambiente Bitcoin.

Nakamoto, dal canto suo, è/era un profondo conoscitore della filosofia libertaria e dell'economia Austriaca, e tale aspetto è auto-evidente nella natura stessa di Bitcoin, da come è stato progettato: i successivi hard fork che hanno caratterizzato la blockchain di Bitcoin. Ogni manifestazione di libertà, ogni cambiamento che osserviamo, ogni parcellizzazione della comunità, non è altro che il risultato di un processo di libertà che continua a confermare la saggezza di Nakamoto stesso e l'incredibile rinascita di Bitcoin in uno strumento impossibile da controllare centralmente. Per capire bene questi punti, torniamo alla base delle definizioni: cos'è la proprietà? Cosa definisce il possesso? Cos'è un'idea?

Iniziamo col dire che è possibile definire la proprietà come un mezzo per appianare eventuali conflitti o divergenze tra due o più individui. Viviamo in un mondo fatto di scarsità e l'economizzazione dell'ambiente circostante permette a determinate persone di utilizzare al meglio quelle risorse scarse che se utilizzate da altri sarebbero state usate peggio o sprecate. Il punto di questa linea prasseologica non è solo quello di spianare la strada alla questione morale, dopotutto sia l'azione umana che la moralità derivano dalla stessa legge naturale. Un produttore non ha diritto al frutto del suo lavoro? Certo, ecco perché gli scrittori sono pagati.

Ma se faccio una copia di un orologio, di una porta o di una sedia (con la mia sega copiata), l'orologiaio e il falegname riscuotono una royalty? La proprietà è un concetto della natura umana per "disperdere" la distribuzione dei beni scarsi. Ma se io ho un'idea, qualcun altro potrebbe avere la stessa idea e io non prendo nulla. Voi userete la vostra e io userei la mia. Credete che questo esempio sia fuori dal mondo? Ripensateci, perché è proprio così che è nata la teoria Austriaca d'economia, dalla mente di tre individui contemporaneamente: Carl Menger, Leon Walras e William Stanley Jevons. La teoria soggettiva del valore, infatti, e successivamente la rivoluzione marginalista non hanno affatto un unico "inventore", bensì tre individui distinti che grazie alle idee sono arrivati al medesimo risultato. Eppure nessuno dei tre ha fatto causa all'altro o accusato l'altro di aver rubato le relative idee.

Le idee sono avulse dalle leggi della scarsità proprio perché possono essere in pattern illimitati ed infiniti, tanto che è impossibile porre un limite oggettivo alla loro diffusione ed uso. E in tal senso il copyright è un cortocircuito per come inteso dalla maggior parte delle persone, visto che è impossibile decretare oggettivamente un confine alle idee. Il copyright delle idee è l'antitesi della proprietà, visto che, come abbiamo visto, la proprietà dei beni materiali serve esattamente per evitare conflitti su elementi scarsi. Ma, attenzione, perché il copyright non solo va contro lo scopo della proprietà, ma addirittura contro la sua caratteristica peculiare: il trasferimento.

È inutile sottolineare che il possesso di un qualsiasi bene scarso significa altresì la possibilità di disfarsene o venderlo. Infatti ciò distingue precisamente il mondo materiale dal mondo delle capacità, dei talenti e delle informazioni. Quando, ad esempio, si comprano le doti e le idee di un insegnante, non si acquisisce affatto un titolo di proprietà (come accadrebbe in caso si acquistasse una casa), visto che l'insegnante non può disfarsi materialmente del suo sapere. Non può separarsi dalle sue idee ed informazioni, può solo condividerle. Quando un musicista suona o vende un brano senza alcun contratto, coloro che ascoltano ricevono informazioni, non proprietà. Affinché un brano musicale possa essere proprietà, dovrebbe essere reso trasferibile, separabile dalla fonte originale.

In altre parole, se il compositore musicale afferma la proprietà sulle note o sulle parole che adesso balenano nella mente di un qualsiasi ascoltatore, allora sta affermando la proprietà su un corpo altrui e quindi la schiavitù. Perché? Perché il titolo di proprietà si estende al corpo di chi ascolta: la sua testa, la sua conoscenza. Questo è come dire che dall'oggi al domani una persona possa reclamare per sé gli organi interni di un'altra persona. Certo, può esserci una donazione, ma questa deve essere volontaria e soprattutto trascritta su un contratto. In sostanza, non è un diritto naturale estendere la proprietà al corpo altrui. L'unica deroga a quanto detto finora è se il suddetto brano musicale, una volta trascritto su carta ad esempio e non divulgato, viene chiuso in cassaforte. L'autore ha il diritto di vivere in pace e mantenere una cassaforte chiusa a chiave; nessuno può forzarla e rubare la proprietà all'interno. Quando un autore sceglie di pubblicizzare le sue idee basandosi solo sul consenso di un ascoltatore o lettore, perde qualsiasi titolo di proprietà su di esse.

Le idee sono come la chiave privata di un wallet che viene custodita gelosamente in un posto sicuro: qualcun altro può conoscerla solo se è volontà del proprietario, oppure può appropriarsene attraverso il furto. Ma se durante una conversazione il proprietario rivela, anche inavvertitamente, la sua chiave privata, allora non ne è più il legittimo proprietario. Al che quest'ultimo potrebbe obiettare: "L'altra persona non è costretta a rubare i miei possedimenti. Esiste un tacito accordo una volta che inavvertitamente pronuncio determinati fonemi che impediscono all'ascoltatore di trarne vantaggio". E questa è la prova provata che il copyright non è affatto un diritto naturale.

Adesso affrontiamo un altro aspetto del copyright, visto che non è così raro trovare persone che concordino sul fatto che le idee non possano essere oggettivamente limitate. Esse infatti dicono che il copyright serva a proteggere lo stile o il modo in cui l'autore si esprime piuttosto che le idee presentate. Riprendiamo l'esempio di prima, un individuo che espone al mondo un suo brano musicale. Inutile sottolineare che tra i vari brani che ascoltiamo ogni giorno, esistono delle assonanze incredibili. Queste assonanze rappresentano una copia? Violano il diritto al copyright? Se il copyright lo impedisce, significa che anche le similitudini sono messe al bando. E le similitudini sono piuttosto comuni nell'ambito delle possibilità, specialmente quando ciò che costituisce una similitudine è alquanto vago.

Ciononostante molti sostenitori del diritto d'autore sostengono che le similitudini oneste in natura sono decisamente impossibili o altamente improbabili. Ma le leggi dovrebbero essere basate sui principi, non sulle probabilità. Esempi di similitudini nello stile sono ovunque: vestiti, auto, acconciature, mobili, libri, canzoni, articoli, ecc. Se il diritto d'autore non fosse la norma, lo considereremmo assurdo come un giardiniere che rivendica un diritto speciale sul modo di tagliare l'erba. Oppure, ad oggi, vivremmo in un mondo solo con la Coca-Cola e non la Pepsi... e sarebbe un mondo molto triste.

Infatti, per essere coerente, chi difende il copyright deve ridurre la sua posizione a questa proposizione assurda. Ad esempio, non solo la scrittura ma anche i discorsi pubblici sono una forma personale di espressione, pertanto si dovrebbe avere diritto alla protezione su tutte le frasi pronunciate in modo che nessuno in seguito possa emetterle senza il suo consenso. Non serve una profonda riflessione per notare l'assurdità di questa preposizione. Anche perché la storia non ci avrebbe consegnato i legittimi proprietari di grandi discorsi proferiti da celeberrimi oratori. Non è una questione di originalità e protezione della stessa, ma di carisma, spontaneità e passione. Questi sono talenti unici e scarsi, posseduti solo da un gruppo ristretto di individui che riescono ad emergere grazie ad essi. E nessuno può copiare questi talenti.

Immaginate ora, alla luce di quanto scritto finora, se in base alle regole stringenti e ferree sul copyright le parole enunciate da Satoshi sarebbero dovute rimanere scolpite nella pietra: avremmo avuto solo conflitti irrisolvibili pacificamente e lo sviluppo abbandonato a sé stesso. L'essenza stessa e lo scopo di Bitcoin sarebbero morti quel giorno stesso. Fortunatamente le cose non stanno così, grazie alla profonda conoscenza di Satoshi del mondo libertario ed Austriaco, di autori come Murray Rothbard e Benjamin Tucker. A tal proposito, questo saggio breve può essere concluso solo con un aforisma di quest'ultimo: "Volete che una certa invenzione rimanga solo nelle vostre mani? Allora tenetevela per voi".


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