di Alasdair Macleod
La distruzione economica e periodica causata dal credito bancario non è qualcosa di nuovo. È un problema vecchio di millenni, alla cui base c'è la proprietà dei depositi bancari che dovrebbero essere tenuti in sicurezza come beni in custodia e non presi in proprietà dalle banche.
I romani dimostrarono come tale pratica fosse fraudolenta nel terzo secolo e da allora una sequenza infinita di prove empiriche hanno ulteriormente dimostrato che le banche che assorbono gli asset dei depositanti di solito finiscono in crisi.
Questo articolo analizza brevemente la storia del credito bancario dall'antica Grecia, il Bank Charter Act del 1844, il dibattito sulle scuole di pensiero economico, fino alle moderne interpretazioni economiche.
La conclusione è che gli economisti neo-keynesiani ignorano le dimensioni morali e legali del deposito. Senza una corretta comprensione di queste basi, i policymaker gestiranno i sintomi e non affronteranno le cause. Qualsiasi presunta riforma monetaria è destinata a fallire.
Introduzione
Bisogna innanzitutto capire che un ciclo di credito bancario porta a cicli di boom e bust e nel corso degli anni si sono verificati molti dibattiti su come gestirli. Questo argomento sta diventando di nuovo importante, poiché vi sono segnali crescenti che l'espansione del credito bancario stia sbiadendo, cosa che sarà seguita da una sua contrazione e, cosa ormai sempre più certa, da una recessione delle imprese, o anche peggio.
Per molti neo-keynesiani la questione si riduce al comportamento imprevedibile del settore privato rispetto ed a quello più certo del sistema bancario centrale. Alcuni, come i sostenitori del piano di Chicago del 1935, hanno sostenuto che il modo per affrontare i cicli boom/bust è quello di introdurre una riserva bancaria al 100% e consegnare pieni poteri alle banche centrali (stabilità dei prezzi, tasso di crescita stabile dell'offerta di moneta, ecc.).
Il piano di Chicago è stato elaborato durante la grande depressione, la cui colpa è stata affibbiata al gold standard. Nel diciannovesimo secolo c'era un'accesa discussione tra la scuola metallista (currency school) e quella bancaria, e il Piano di Chicago era una specie di ibrido: incline a soddisfare le proposte della scuola metallista ma senza la disciplina dell'oro su cui tale scuola le sue proposte. Ad ogni modo, gli interessi bancari si assicurarono che il piano non fosse mai attuato.
Era anche ingenuo, supponendo che il rapporto tra la quantità di denaro e il livello generale dei prezzi fosse semplicemente di natura matematica, quando dovremmo sapere attraverso le prove empiriche e la teoria economica ragionata che non è così. C'è soggettività nel livello generale dei prezzi, cosa che si riflette nelle preferenze relative tra il desiderio della popolazione di consumare e invece risparmiare denaro. Inoltre, a seguito della grande depressione, nel dibattito su questi temi prese piede, e rimane ancora, una tesi velenosa: lasciare qualsiasi forma di denaro in balia del libero mercato è pericoloso e dovrebbe essere sotto il controllo dello stato.
Promemoria: come è nato il credito bancario
Quando una banca prende i depositi, ne acquisisce il possesso ed i suoi depositanti vantano solo un credito. Le passività patrimoniali della banca sono costituite dal capitale proprio e da ciò che è dovuto ai depositanti e agli altri creditori. La corrispondenza di queste passività rappresenta l'attivo totale della banca. Il rapporto tra il capitale proprio e le passività è gestito dalla direzione della banca e, tecnicamente, questo può essere fatto in due modi. O viene creato un conto di prestito con un deposito corrispondente, in modo che il prestito sia compensato dal deposito, o in alternativa viene resa disponibile una linea di credito e creati i depositi man mano che viene utilizzata. Eventuali squilibri in una singola banca sono costituiti da depositi prelevati da altre banche, o da prestiti accesi presso altre banche attraverso i mercati monetari.
Pertanto una banca può utilizzare il possesso dei depositi dei clienti per estendere il credito. Espandendo il proprio bilancio in questo modo, il reddito lordo derivante dalla differenza tra gli oneri finanziari e gli interessi pagati sui depositi aumenta il rapporto tra utili e capitale della banca.
Allo stesso modo, mutuatari e depositanti possono far contrarre il bilancio della banca pagando i propri obblighi e riducendo i loro depositi. Se una banca deve mantenere un bilancio espanso, deve trovare ripetutamente nuove attività. Di conseguenza esiste una propensione intrinseca a favore della continua espansione dei bilanci bancari e quindi del credito bancario. Ma l'espansione del credito distorce la struttura dei prezzi nell'economia, riducendo il costo del prestito e scoraggiando i risparmiatori, riducendo il valore della preferenza temporale riguardo il denaro.
Nel corso del tempo un'economia trainata dall'espansione del credito bancario passerà dall'essere alimentata dal risparmio, in cui il capitale di investimento per l'economia più ampia è finanziato dai profitti passati e gli utili trattenuti come risparmi, ad essere alimentata dal debito.
Mettendo da parte il pio desiderio che il credito bancario possa continuare ad espandersi su un percorso uniforme in perpetuità, una volta avviato un corso espansivo la domanda di credito bancario inizia ad essere inferiore a quella che le banche sono disposte a finanziare. Spinti dall'aumento della fiducia dei banchieri e dalla crescente concorrenza per le attività di prestito, i tassi vengono quindi abbassati al di sotto di quelli che sarebbero stati altrimenti in un'economia guidata dal risparmio. Ciò porta ad un boom artificiale che alla fine genera più domanda di credito rispetto a quanto le banche sono disposte a fornire o sono costrette a rispettare dalla regolamentazione bancaria.
Quando le banche fermano l'ulteriore espansione del credito, i mutuatari non possono più finanziare i loro piani incompleti e le banche vorranno proteggersi dalle ricadute riducendo prestiti e depositi per salvaguardare il proprio capitale. L'urgenza di questo cambiamento di rotta è dovuta all'impatto catastrofico sul capitale proprio di una banca in presenza di squilibri significativi sul bilancio.
La conseguenza è un ciclo ripetitivo di boom e improvvisi bust.
L'unico modo per impedire tutto questo è arginare in primo luogo la creazione di credito bancario, una soluzione così estranea ai banchieri e agli economisti inflazionisti di oggi che ogni volta viene prontamente respinta. La progressione di suddetti cicli in Gran Bretagna dopo le guerre napoleoniche ha portato, nei tempi moderni, ad un punto di rottura nella creazione del credito bancario, in cui i consumatori hanno risparmi minimi o nulli e la maggior parte vive di busta paga in busta paga. Avendo abbandonato tutte le forme di moneta sana ed onesta a favore dell'inflazione della valuta fiat, la creazione di moneta dal nulla viene ora accelerata nel tentativo finale delle banche centrali di aggiustare le conseguenze non solo dell'attuale ciclo dell'inflazione del credito bancario, ma di tutte quelle passate.
Niente può andare avanti per sempre e prima o poi questo sistema finirà. Verrà quindi ideato un nuovo sistema bancario e il suo successo richiederà un ritorno al denaro sano ed onesto, che non può essere creato dal nulla.
Nel più ampio contesto della storia, l'attuale dibattito sul ruolo e il comportamento delle banche ha avuto luogo soprassedendo questioni morali e legali, ignorando tesi che sono state dibattute sin dalla storia antica. E furono i romani a risolverlo nel terzo secolo d.C., in modo diverso dalle nostre ipotesi moderne.
La posizione legale
Nel corso della storia l'assunzione di depositi a titolo di custodia è diventata di volta in volta sempre più comune. Non per niente gli antichi cercavano i templi, come quello di Apollo a Delfi, per condurre i loro affari bancari. Non solo detenevano i soldi dei depositanti per la custodia, ma i templi prestavano i loro soldi e quelli degli altri in cambio di interessi.
Verso il 393 a.C. Passio, un banchiere ateniese, fu accusato di distribuire fraudolentemente depositi. Aveva usato l'oro che gli era stato affidato in custodia per finanziare i suoi affari e non era in grado di restituirlo al legittimo depositante quando richiesto. Questa probabilmente è stata la prima istanza documentata di un banchiere che è finito in tribunale accusato di aver preso la proprietà di qualcuno solo per usarla per i propri scopi senza il permesso del proprietario. Da allora però di tanto in tanto abbiamo assistito di nuovo a questa pratica, la quale portava a crisi finanziarie e occasionalmente ad un ritorno al deposito bancario come funzione di custodia. L'uso fraudolento dei depositi è assistito dalla fungibilità del denaro, il che rende impossibile stabilire la proprietà definitiva.
Non sono mancate variazioni però. A Siviglia Carlo V di Spagna (1516-1558) rubò ai banchieri il loro oro, lasciando scoperti gli obblighi nei confronti dei loro depositanti. La cattiva gestione economica da parte del re insieme alla scomparsa del metallo dalle casse delle banche si concluse con una crisi per le banche di Siviglia.
Gli studiosi della Scuola di Salamanca identificarono correttamente il problema sulla base del diritto romano: la proprietà dei depositi. In questo caso fu lo stato a confiscare i depositi dalle banche, lasciando a loro l'onere di dare una spiegazione ai depositanti. Le banche cercavano di prevenire la confisca prestando oro a terzi e quindi tenerlo fuori dalle mani del re. Tuttavia le banche spagnole continuarono ad ignorare i loro obblighi di custodia fino a quando alla fine non andarono in bancarotta.
John Law nel 1715-20 si mise in cordata con lo stato per sostenere il suo schema inflazionistico: dispiegò i depositi dei clienti per fare leva sul prezzo delle azioni della sua società. Richard Cantillion, famoso per i suoi saggi di economia, trasse beneficio da quella situazione e citò in giudizio tre clienti a Londra per £70.000 dovuti alla sua banca. Le azioni erano in forma al portatore e senza numero, il che gli permise di sostenere che le azioni depositate presso la sua banca erano fungibili e non potevano essere identificate come proprietà di un depositante. La funzione di custodia di depositi e altre forme di proprietà era stata completamente ignorata dal tribunale di Londra e Cantillon ne approfittò due volte.
Dovremmo pensare alle implicazioni, ignorando per un momento la licenza concessa alle banche. Se dicessi ad un amico, che ritengo competente e degno di fiducia, di prendersi cura dei miei interessi in mia assenza, e al mio ritorno scopro che li ha fatti suoi ed usati, senza potermi restituire i soldi, lo considererei un ladro così come lo farebbe qualsiasi tribunale. Non importa se il mio amico sia un banchiere o no, se costruisce un edificio simile ad un tempio per elevare il suo status di rispettabilità negli affari copiando gli antichi greci e prende i soldi di qualcun altro con il raggiro, questa è una frode bella e buona.
Certo, la persona comune non pensa al rapporto con la sua banca in questi termini, ma chiaramente considera i suoi depositi bancari come soldi suoi. È ingenuo: se una banca paga interessi sul suo deposito, quindi è ragionevole presumere che sia usato a beneficio suo e del suo banchiere.
La convinzione di un depositante che il deposito rimanga di sua proprietà è legittima se non gli vengono pagati gli interessi. Ma se il punto di riferimento è se il deposito è uno scambio per beni futuri, allora dobbiamo distinguere tra depositi a tempo e depositi che possono essere richiesti senza preavviso. Se un banchiere paga interessi su un deposito senza preavviso, ciò non significa che può fare quello che vuole con quel deposito, perché l'elemento cruciale dei beni futuri non si applica.
Stiamo discutendo di questi temi nel contesto della giustizia naturale, secondo la legge romana, che definì un deposito come qualcosa dato ad un altro affinché venisse custodito. Si chiama così perché un bene viene posto o posizionato. La preposizione de intensifica il significato, il che significa che tutti gli obblighi corrispondenti alla custodia del bene sono a carico del custode.
Così diceva il giurista romano Ulpiano nel III secolo d.C. Il caso determinante nella legge inglese fu Foley contro Hill e altri nel 1848, quando il giudice Lord Cottenham decise diversamente:
Il denaro, quando in una banca, cessa del tutto di essere il denaro del proprietario; a quel punto il denaro è del banchiere, che è tenuto a restituire una somma equivalente a quella depositata quando gli viene chiesto. Il denaro affidato ad un banchiere è denaro che il proprietario originale gli cede affinché venga custodito; sono quindi soldi del banchiere; è noto che se ne occupi come se fossero suoi; ne ricava il profitto che può, e può tenerlo per sé rimborsando solo il capitale, oppure, secondo l'usanza dei banchieri in alcuni luoghi, può rimborsare il capitale e dare un piccolo tasso d'interesse. Il denaro posto in custodia presso un banchiere è, a tutti gli effetti, denaro del banchiere e può gestirlo a suo piacimento; non è colpevole di nessuna violazione della fiducia se lo usa; non ne risponde al proprietario originale se lo mette in pericolo, se si impegna in una speculazione pericolosa; non è tenuto a mantenerlo o trattarlo come proprietà del suo proprietario originale; ma ovviamente è responsabile per l'importo, perché ha accettato, avendo ricevuto quei soldi, di rimborsare la somma equivalente al proprietario originale quando richiesto.
Questo è stato oggetto di discussione in vari casi ed è qui deciso che si tratta della situazione relativa di banchiere e cliente. Essendo ciò deciso, il banchiere non è un agente o un fattore, ma è un debitore.
Come punto di riferimento ignorò la sentenza di Ulpiano nella legge romana, codificata poi da Giustiniano nel sesto secolo. Prese invece come riferimento il Bank Charter Act del 1844, che stabiliva le condizioni del sistema bancario in Inghilterra e Galles e in base al quale la struttura di emissione delle banconote sarebbe diventata la riserva della Banca d'Inghilterra. L'obiettivo del Bank Charter Act era contenere l'inflazione attraverso il gold standard, ma non riuscì a risolvere il problema del credito bancario. La sentenza in Foley v. Hill legittimò l'espansione inflazionistica del credito bancario e da quando la legge bancaria inglese è diventata lo standard di riferimento globale, il possesso di depositi ha permesso alle banche di tutto il mondo di trarne profitto.
In termini legali, il trattamento dei depositi bancari è pertanto in conflitto. Il fatto che la legge moderna abbia creato un'eccezione ci dice che il comportamento delle banche nei confronti dei loro clienti è illegale. I banchieri si trovano in una posizione privilegiata, al di sopra della legge. Una volta rimosso il vincolo dei diritti di proprietà, una licenza bancaria diventa quindi una licenza per creare denaro dal nulla, le cui implicazioni non sono state completamente comprese in seguito al Bank Charter Act del 1844, nonostante il dibattito infuriato sin dal 1810, quando venne costituita la Commissione Metallista.
Il dibattito tra la scuola metallista e bancaria
Nel diciannovesimo secolo le opinioni sul denaro, incluso lo stato dei depositi bancari, si unirono in due gruppi. La scuola metallista (currency school) sosteneva una forma di denaro in oro e sostituti dell'oro, mentre la scuola bancaria sosteneva attività bancarie senza restrizioni. Il dibattito viene spesso travisato oggi da economisti che mancano di una base in economia classica e sono invece immersi nella macroeconomia moderna.
Il dibattito è interpretato dai post-keynesiani come uno tra il controllo statale sul denaro (la scuola metallista) e i mercati liberi (la scuola bancaria). Questo è il tema di un articolo di Charles Goodhart e Meinhard Jensen (Currency School versus Banking School) pubblicato dalla London School of Economics ed echeggiato in altri articoli sull'argomento. Un passaggio chiave nel documento è il seguente:
Uno dei motivi a volte proposti dai sostenitori della Scuola metallista [...] è l'affermazione che la creazione di denaro dovrebbe essere un monopolio statale, quindi se tale creazione viene portata avanti dalle banche nel settore privato è, in un certo senso, un trasferimento inappropriato di signoraggio dal settore pubblico al settore privato. Un problema con questa affermazione è che molti di questi stessi economisti probabilmente appoggerebbero anche la teoria (non valida) di Karl Menger sulla creazione del denaro: una risposta del settore privato ai vincoli del baratto, in cui lo stato gioca solo un ruolo sussidiario. Sostenere entrambe le posizioni contemporaneamente è incoerente.
Qualsiasi economista di formazione classica vi dirà che la scuola metallista non considerava il denaro come un monopolio statale, ma che fosse sempre oro. La funzione dello stato era quella di produrre sostituti dell'oro in base a regole che non consentivano l'intromissione della politica monetaria. La descrizione come monopolio di stato è puro inganno, confermata dalla negazione nascosta dell'oro come denaro, interponendo l'opinione degli autori a quella di Menger. (Tanto ignoranti gli autori di quel paper da rivolgersi a Karl Menger, figlio di Carl Menger. Ndt)
Allo stesso modo, la descrizione della scuola bancaria come opzione di libero mercato è anch'essa errata. Al contrario, sosteneva un monopolio concesso in licenza per prelevare depositi in custodia e creare ulteriori depositi dal nulla emettendo credito bancario. Questo è il vero monopolio, quello che legittimato da Foley v. Hill, scavalcando il giudizio fattuale di Ulpiano. Il documento citato è una distorsione macroscopica, ma purtroppo frequente, dei fatti, progettata per supportare i fallimenti macroeconomici moderni.
Non sorprende, quindi, se oggi sia un fatto conclamato che la proprietà dei depositi possa passare ai banchieri, ma è l'aspetto più importante dell'argomento. Senza di essa, non ci sarebbe stata nessuna scuola bancaria e nessun dibattito.
Conclusione
La controversia sul ruolo delle banche che accettano depositi per farci ciò che vogliono ha una storia che risale ai tempi antichi. La giustizia naturale e la legge romana affermano che è una pratica fraudolenta, ma la sentenza inglese Foley v. Hill ha ribaltato la realtà. Ha avuto un profondo effetto sul modo in cui gli economisti moderni considerano il ruolo del denaro in un'economia.
Sembrano inconsapevoli che l'aggiunta dei depositi ai bilanci delle banche sia una pratica fraudolenta. La creazione di una licenza statale per consentire alle banche di operare in questo modo ammette la frode, ma non risolve il problema. Invece di capire come funzionano i soldi, gli economisti mainstream incolpano il settore privato di destabilizzare l'economia e non vedono l'ora che le banche centrali assumano il pieno controllo dell'espansione monetaria.
Il modo corretto di risolvere questo problema non è quello di conferire maggiori poteri alle banche centrali, ma di abolirle del tutto. Solo restituendo il denaro alla sua forma sana ed onesta, insieme con una divisione del settore bancario in funzioni di custodia ed investimento, potrà esserci una soluzione duratura. Le licenze bancarie, che concedono alle banche un'esenzione legale dalle attività chiaramente fraudolente, devono essere abolite.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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