Bibliografia

martedì 12 novembre 2019

Le spese pazze dell'Europa stanno rallentando la sua economia

Un fattore chiave che limita la capacità delle persone di generare beni e servizi è la scarsità di finanziamenti e, contrariamente al pensiero popolare, non riguardano il denaro in quanto tale ma il risparmio reale. Per un dato consumo di beni, maggiore è la loro produzione più grande sarà il bacino di finanziamenti o risparmi reali. La quantità e la qualità dei vari strumenti e macchinari (cioè l'infrastruttura disponibile) rappresentano un limite alla quantità e alla qualità della produzione di beni di consumo. Quindi l'introduzione di strumenti e macchinari migliori garantisce una maggiore produzione. Ciò significa che attraverso l'aumento dei risparmi reali è possibile costruire un'infrastruttura migliore e questo a sua volta costituisce la piattaforma per una crescita economica corposa. Quest'ultima genera una maggiore quantità di beni di consumo, che a sua volta consente più risparmi e anche più consumi. I risparmiatori sono coloro che creano ricchezza ed impiegano i loro risparmi per migliorare le infrastrutture. Poiché lo stato non produce ricchezza reale, ovviamente non può risparmiare e quindi non può "finanziare" alcuna attività. Pertanto deve deviare i finanziamenti (ovvero i risparmi reali) da chi crea ricchezza reale. I cosiddetti dati non possono confutare questa tesi, poiché essi da soli non possono andare contro il ragionamento logico. Una volta giunti alla conclusione che lo stato non può far crescere l'economia, possiamo rifiutare i vari studi econometrici che ci dicono l'esatto contrario. Bisogna rendersi conto che i dati da cui vengono prodotti i cosiddetti "fatti" sembreranno supportare le conclusioni della ricerca empirica, a condizione che il settore privato dell'economia generi abbastanza risparmi reali da sostenere attività produttive e non. Lo stato non può aumentare le sue spese senza ridurre i risparmi di chi produce ricchezza reale. Una volta che la capacità di questi ultimi viene ridotta, la crescita economica rallenta e nessuna somma di denaro creata dal nulla può farla crescere.
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di Daniel Lacalle


L'idea che gli stati non possano abbassare le tasse perché c'è un deficit, ma sono liberi di aumentare tutte le spese che vogliono anche se c'è suddetto deficit, la ritroviamo in molti proclami politici oggigiorno. I pianificatori centrali considerano sempre i problemi economici come una questione di domanda, di conseguenza rabbrividiscono all'idea di investimenti prudenti e propensione al risparmio. Quando la crescita del PIL, la formazione lorda di capitale e il consumo sono inferiori a quelli che i keynesiani vorrebbero, incolpano sempre il presunto problema del "troppo risparmio". Questa è una premessa ridicola basata sulla percezione che i cicli economici e l'eccesso di capacità non contano, e se le aziende e i cittadini non spendono quanto vuole lo stato, il settore pubblico dovrebbe spendere molto di più.

Questo è il motivo per cui i tagli delle tasse sono odiati e la spesa pubblica viene osannata: i primi danno potere ai cittadini mentre la seconda dà potere ai politici. Una visione sciocca dell'economia in cui i politici e alcuni economisti ritengono che voi guadagniate troppo e che loro spendano troppo poco.

La grande scommessa alla base degli enormi aumenti di spesa e tasse in tutta la zona Euro è: a) non avranno un impatto sulla crescita, b) miglioreranno i conti pubblici, c) supereranno le aspettative di bilancio.

Tuttavia disponiamo di prove empiriche che dimostrano che l'aumento di spesa pubblica e tasse generano l'effetto opposto: crescita economica più debole, debito più elevato e squilibri più ampi. La probabilità di incapacitare la crescita potenziale, peggiorare i conti pubblici e violare le stime ottimistiche è più che elevata.

Le prove empiriche degli ultimi quindici anni mostrano una serie di moltiplicatori fiscali della spesa pubblica che, quando positivi, sono molto scarsi (sotto 1) e nella maggior parte dei Paesi, in particolare con economie aperte e indebitate, un moltiplicatore fiscale della spesa pubblica più elevato ha sempre portato risultati dannosi.

I moltiplicatori fiscali sono particolarmente negativi in ​​periodi di debolezza delle finanze pubbliche e nessuno può negare che la zona Euro abbia esaurito il suo spazio fiscale dopo che la BCE ha aumentato il suo bilancio di oltre €3000 miliardi in ​​un decennio.

Una maggiore spesa pubblica non stimolerà la crescita nelle economie in cui il settore pubblico assorbe già più del 40% del PIL e dove i precedenti grandi piani di stimolo hanno generato più debito e stagnazione.

Aggiungere ulteriori aumenti fiscali alla formula è ancora più dannoso. L'FMI ​​ha di recente analizzato 170 casi di consolidamento fiscale in 15 economie avanzate dal 1980 al 2010 e ha scoperto un impatto negativo di un aumento delle tasse sulla crescita economica.

Ma questo è solo l'ultimo di una lunga serie, perché è la stragrande maggioranza degli studi empirici fino al 1983, e soprattutto negli ultimi quindici anni, che mostra un impatto negativo degli aumenti delle tasse sulla crescita economica e un impatto neutro o negativo degli aumenti della spesa sulla crescita. Inoltre studi sull'effetto di maggiori aumenti delle tasse sul gettito fiscale rivelano un impatto negativo sulle entrate. Infatti un aumento dell'1% dell'aliquota fiscale marginale può ridurre la base imponibile del 3,6%.

Il rischio per la zona Euro è enorme, perché uno dei motivi principali della sua stagnazione è proprio la catena di grandi di stimoli fiscali attuati negli ultimi due decenni. Dire che la Germania dovrebbe copiare la strategia fiscale della Francia, un Paese che è stato in stagnazione per tre decenni, va contro qualsiasi logica economica. Non ci sono prove che la Germania stia spendendo o investendo meno di ciò di cui ha bisogno, anzi il contrario.

Il problema della zona Euro non è la mancanza di spesa pubblica o tasse, ma l'eccesso di entrambi.

La serie di aumenti di spesa annunciata quotidianamente in Europa nasconde qualcosa di estremamente pericoloso: la BCE salverà per sempre la zona Euro, soprattutto perché gli effetti decrescenti della politica monetaria e fiscale sono evidenti.

I tagli delle tasse non funzioneranno se non saranno abbinati a miglioramenti dell'efficienza e ad un ridimensionamento marcato della burocrazia.

Caricare il settore privato con più tasse e aumentare una spesa pubblica già gonfia può portare la zona Euro al paradosso argentino. Ignorare la fonte da dove viene generata la ricchezza reale, nonché la creazione di posti di lavoro, e tartassarla con politiche confiscatorie, non farà altro che generare disoccupazione e stagnazione.

La zona Euro non può aspettarsi di raggiungere la crescita ripetendo gli stessi errori che finora non l'hanno innescata, indebolendo ulteriormente un'economia che invece deve scommettere sull'attrazione degli investimenti, sul rafforzamento della crescita e sul miglioramento della tecnologia e la competitività delle imprese.

Quando i politici gravano un'economia con costi fissi elevati e in crescita, senza dare priorità all'attrattiva degli investimenti, alla produttività e alla libertà economica, mettono a repentaglio il benessere che pretendono di difendere.

Il problema della produttività, della crescita e dell'occupazione non viene risolto ponendo ostacoli agli investimenti e aumentando le misure confiscatorie.

La crescita e lo stato sociale non vengono rafforzati ponendo come pilastri di un'economia la spesa politica e il debito.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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