Bibliografia

mercoledì 23 ottobre 2019

Una depressione inflazionistica





di Aladair Macleod


I mercati finanziari stanno ignorando gli sviluppi negativi nel commercio internazionale, i quali coincidono con la fine di una lunga fase espansiva del credito. Se guardiamo all'ultima volta in passato in cui si sono verificate queste condizioni capiamo che le conseguenze di questa follia collettiva saranno enormi, andando ad indebolire sia i valori degli asset finanziari che le valute fiat.

L'ultima volta che si è verificata questa condizione è stata tra il 1929 e il 1932, portando alla Grande Depressione, quando i prezzi delle materie prime ed i prezzi alla produzione dei beni di consumo calarono significativamente. Con unsound money e una determinazione delle banche centrali a sostenere i prezzi, le condizioni di depressione saranno nascoste dall'espansione monetaria, ma ci saranno comunque.

Le anime sfortunate a cui piace osservare la macroeconomia intenderanno il titolo di questo articolo come una contraddizione, perché considerano l'inflazione come uno stimolo e una depressione come una conseguenza della deflazione, l'opposto dell'inflazione.

Una depressione economica non richiede deflazione, se per questo termine si intende una contrazione del denaro in circolazione. Rappresenta l'impoverimento collettivo delle persone, che arriva sulla scia di una svalutazione della valuta: in altre parole, l'inflazione monetaria. Fondamentali per il mito secondo cui un'inflazione dell'offerta di moneta sia la strada per la ripresa economica sono le previsioni dell'establishment economico, secondo cui il mondo, o le sue unità nazionali più piccole, non subiranno più di una lieve recessione prima che la crescita economica riprenda. Non solo lo dicono gli economisti compiacenti nelle banche centrali e nei governi, ma anche i loro seguaci nel settore privato.

È per questo motivo che l'indice S&P 500 è ancora solo di alcuni punti inferiore al suo massimo storico. Se ci fosse il minimo accenno che il tessuto imprenditoriale americano rischia di essere destabilizzato da una depressione, non sarebbe così. Tutte le chiacchiere allarmistiche nella blogosfera non hanno alcuna rilevanza: il mondo degli investimenti è più ottimista che mai. Tutti hanno aderito alla promessa della macroeconomia ed ignorano i segnali contrari sottolineati dall'economia classica, convinti dai macroeconomisti che ciò che si applica agli individui a livello micro non si applica a loro a livello macro.

A breve si rivelerà un errore. Lo scopo di questo articolo è spiegare perché è un errore, esaminando l'interazione tra il picco del ciclo del credito e l'aumento dei dazi introdotti dal presidente Trump. Quasi sicuramente si rivelerà una di quelle volte in cui uno più uno fa molto più di due: la concomitanza di questi fattori ha il potenziale di scatenare effetti molto più distruttivi di quanto immaginato dalla maggior parte degli economisti mainstream.



Cicli di credito all'interno di cicli di credito e la loro forza crescente

Di per sé il ciclo del credito porta sempre ad una crisi periodica di grado maggiore o minore, che può o meno tradursi in una vera e propria crisi bancaria. Un'espansione del credito bancario, anche in un gold standard, porta ad investimenti sbagliati, che possiamo definire in modo semplicistico come investimenti guidati dall'opportunismo monetario anziché intrapresi su solide basi commerciali. Ha l'effetto di trasformare le occorrenze casuali della distruzione creativa di Schumpeter in una distorsione coordinata, consentendo ai malinvestment di crescere fino a quando non si schiantano tutti insieme. Senza il sistema bancario a riserva frazionaria, o la capacità delle banche di prestare denaro scoperto, non vi sarebbe alcun ciclo del credito e neppure i sintomi, un ciclo economico o commerciale. Esiste anche una proporzionalità: maggiore è l'espansione del credito, maggiore è l'eventuale crash.

Questa verità fondamentale è ignorata dalle teorie statali sul denaro, che peggiorano le cose espandendo l'offerta di moneta come ulteriore stimolante del credito e sopprimendo i tassi d'interesse per incoraggiare ulteriormente le imprese ad investire male. Ciò avvenne per la prima volta nei tempi moderni in seguito alla breve crisi postbellica del 1920-21. La FED, nata prima della prima guerra mondiale, divenne pienamente operativa come una moderna banca centrale sotto Benjamin Strong, che era il suo primo ufficiale esecutivo e rimase al comando fino alla sua morte nel 1928. Presiedette ad un'espansione monetaria che durò fino all'anno successivo la sua morte, quando il mercato azionario iniziò il suo crollo.

Il crollo di Wall Street del 1929-1932 fu la crisi del credito innescata dall'espansione del credito presieduta da Strong. In combinazione con i tentativi fallimentari del presidente Hoover di prevenire la disoccupazione e sostenere i prezzi per evitare danni peggiori, la depressione venne prolungata ulteriormente dal New Deal del presidente Roosevelt.

Ritorneremo su questo periodo quando più avanti parleremo dei dazi. Dopo gli anni '30 la seconda guerra mondiale aveva pervaso le economie dei Paesi alleati e dell'Asse, e quando terminò ebbe quindi inizio un nuovo ciclo di espansione del credito. L'esperienza della depressione degli anni trenta portò ad una determinazione postbellica di bandire gli alti livelli di disoccupazione e a tal fine gli stati misero in atto la nuova religione della macroeconomia.

Il sostegno dei prezzi inaugurato da Benjamin Strong attraverso operazioni di mercato aperto portarono allo schianto di Wall Street e alla conseguente depressione. Le banche centrali moltiplicarono le politiche di Strong, incoraggiate dagli scritti di luminari come Irving Fisher e Lord Keynes. Secondo il National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti, gli anni '50 videro una serie di cicli economici minori e poi uno più lungo, che andò dal 1961 al 1969. Fu l'espansione dei primi anni '70, unita all'abbandono del gold standard nel 1971, che alimentarono l'inflazione dei prezzi negli anni '70. L'inflazione monetaria portò all'aumento dei prezzi del petrolio e dell'energia, dando potere all'OPEC. E poiché l'inflazione monetaria indebolì il potere d'acquisto delle valute fiat in generale, i tassi d'interesse record nel 1980-81 divennero inevitabili.

L'attuale ciclo del credito è stato alimentato dalle riforme del sistema finanziario negli anni '80, quando le banche hanno integrato le loro operazioni d'investimento e di vendita al dettaglio, ampliando il credito bancario nel market-making, nel proprietary trading e nei derivati. Ciò ha portato a tre picchi inflazionistici nei mercati: il boom delle dot-com, il boom delle proprietà residenziali/mercato azionario nel 2005-2007 e l'attuale boom.

Quest'ultimo può quindi essere considerato il culmine di una serie di inflazioni monetarie mirate ai prezzi degli asset finanziari. È stato anche evidente che il lato produttivo delle principali economie si è mantenuto a galla solo grazie all'espansione del credito al consumo e alla riduzione dei risparmi. E quando i politici americani lamentano il trasferimento della produzione in Cina e nel Sud-est asiatico, non riescono a riconoscere il proprio ruolo nella distruzione della produzione interna attraverso l'inflazione del credito.

Dovrebbe essere evidente a tutti coloro che comprendono che la radice dei cicli economici è un ciclo del credito e che quello attuale arriva sulla scia dei due precedenti, a cui è stato impedito di correggere gli errori economici precedenti. Nel suo insieme si tratta di una creazione di credito molto, molto maggiore rispetto a quella del 1922-1929, che portò alla più grande depressione dei tempi moderni... finora.

Il fattore aggiuntivo che causò il crash di Wall Street nel 1929-32 fu il protezionismo commerciale, quando il Congresso approvò lo Smoot-Hawley Act il 30 ottobre dello stesso anno. E ottobre è stato il mese in cui è iniziato il crollo del mercato azionario.



Il ruolo dei dazi nel ciclo del credito: una prospettiva storica

Per l'America gli anni '20 iniziarono col Tariff Act del 1921 ed il Fordney-McCumber Tariff del 1922, a cui seguì il crollo del 1921-22. Lo scopo principale di questi dazi era proteggere l'agricoltura, che si era notevolmente ampliata durante la prima guerra mondiale grazie ai prezzi più alti durante la guerra, alla domanda dall'Europa dilaniata dalla guerra e al ritiro della Russia dai mercati mondiali. Ma al momento del crollo nel 1921, il valore della produzione agricola americana scese da un massimo di $17,7 miliardi a soli $10,5 miliardi, per un calo del 40%.

Dopo la prima guerra mondiale le importazioni dall'Europa iniziarono a minacciare gli agricoltori americani, che avevano avuto la protezione di un'economia in tempo di guerra ed i produttori nei settori non agricoli temevano che avrebbero subito la stessa sorte. Ciò portò ad estendere i dazi Fordney-McCumber dalla protezione della produzione agricola a schermare l'America dalle turbolenze economiche e monetarie degli anni del dopoguerra.

Val la pena di notare che, a seguito della guerra, l'economia americana era quasi completamente autosufficiente. I dazi sulle importazioni non intaccarono più di tanto la produzione interna. Inoltre l'espansione del credito bancario era nelle prime fasi del ciclo del credito, quindi c'era una bassa tendenza ad espanderlo per alimentare un deficit commerciale. Di conseguenza il divario economico derivante da un aumento dei dazi era considerevolmente inferiore a quello che si sarebbe rivelato successivamente nel ciclo del credito.

La situazione commerciale altrove non era così buona. Tra la prima guerra mondiale e il 1924 la maggior parte delle nazioni europee vide le proprie valute, non più coperte dall'oro, crollare del tutto. L'America, che aveva prestato $10 miliardi in crediti di guerra all'Europa, divenne il creditore del mondo ed i suoi debitori europei scoprirono che le esportazioni in America erano necessarie per rimborsare i loro prestiti. Ma quando alla fine le economie europee si ripresero dalla devastazione del tempo di guerra, i governi reagirono imponendo dazi sui beni americani e su quelli dei loro vicini.

In base alla bilancia dei pagamenti, gli Stati Uniti fecero registrare un avanzo commerciale con ampio margine ogni anno dopo la fine della Grande Guerra, nonostante il crescente protezionismo commerciale in Europa. Allo stesso tempo, l'offerta di prodotti agricoli si espanse rapidamente man mano che la terra marginale negli Stati Uniti veniva sempre più coltivata e Australia, Canada, Regno Unito, Francia, Germania e Italia aumentavano la produzione agricola e i dazi per proteggere i loro agricoltori. La meccanizzazione migliorò rapidamente i risultati, mentre le popolazioni, i cui stili di vita stavano migliorando, spendevano meno in cibo in proporzione alla spesa totale. I prezzi dei prodotti agricoli continuarono ad indebolirsi.

L'aumento del protezionismo nell'agricoltura portò inevitabilmente a costosi sussidi statali, in particolare in Europa, creando deficit di bilancio che tendevano a provocare maggiori squilibri commerciali. Tuttavia, a parte i problemi incontrati dall'industria agricola globale, ci furono progressi economici significativi in America dopo la crisi del 1921 e in Europa dal 1925 circa in poi. Queste riprese economiche vennero coadiuvate dall'espansione del credito, non solo in America, e alimentate dai deficit di bilancio dei governi in Europa, in particolare in Francia e Germania.

Le grandi aziende iniziarono a capire che i dazi rappresentavano un ostacolo al loro commercio, purtroppo però erano diventati la risposta automatica dei politici a tutti i cambiamenti nelle condizioni commerciali, non solo in America. L'elezione del presidente Hoover nel 1928 spinse ulteriormente il feticcio del protezionismo. Fu questa atmosfera politica che portò allo Smoot-Hawley Tariff Act, che aumentò la media di tutti i dazi sulle importazioni dal 38% al 60%.

Lo Smoot-Hawley fu approvato dal Congresso il 30 ottobre 1929, il mese in cui iniziò il crash di Wall Street fino alla metà del 1932. Le successive analisi degli storici di mercato citano una serie di ragioni per il crollo, mettendo i dazi in fondo alla lista senza menzionare affatto un ciclo del credito.



La combinazione di espansione del credito e Smoot-Hawley fu letale

Le differenze tra le conseguenze del Ford-McCumber e dello Smoot-Hawley possono essere riassunte come segue:
  • I dazi del Ford-McCumber nel 1921 preservarono l'economia americana del dopoguerra e rappresentarono pochi cambiamenti nelle attività domestiche americane. Lo Smoot-Hawley fu un'aggiunta sostanziale alle politiche protezionistiche e finì per colpire duramente gli affari americani.
  • Mentre l'onere dei dazi Ford-McCumber non era significativo per gli americani, fu più sentito dai partner commerciali europei dell'America. Aggravò le loro recessioni e le loro difficoltà monetarie nei primi anni venti. Inoltre, in uno stato di protezionismo, gli europei approvarono dazi l'uno contro l'altro, soffocando il commercio transfrontaliero.
  • Il Fordney-McCumber aumentò i dazi ad una media del 38% sulle merci importate, mentre lo Smoot-Hawley li portò al 60%. I governi stranieri risposero minacciando ritorsioni e smisero d'importare merci americane ancor prima che lo Smoot-Hawley fosse approvato.
  • Le conseguenze diverse del Ford-McCumber e dello Smoot-Hawley sul mercato azionario statunitense riflettono l'espansione del credito che alimentò i prezzi delle azioni nel periodo intermedio.

I livelli ai quali erano saliti i dazi in conseguenza dell'introduzione dello Smoot-Hawley erano molto più alti dei dazi americani introdotti contro la Cina dal presidente Trump. Inoltre oggi è stata presa di mira solo una nazione, a differenza di tutti i partner commerciali nel 1930. Diviene quindi allettante tentare di eliminare i confronti tra gli eventi di oggi e quelli di novant'anni fa, ma sarebbe un errore.

Finora il presidente Trump ha annunciato dazi fino al 30% sui beni importati cinesi e altri in arrivo entro il 15 dicembre. In tal caso tutte le importazioni cinesi saranno soggette a dazi. La Cina ha reagito ed entro la fine dell'anno intende includere altri 3.000 prodotti americani nel suo regime tariffario. L'aumento dei dazi americani è simile in scala alle percentuali introdotte dallo Smoot-Hawley. Era chiaro che il mondo si era abituato ai dazi Fordney-McCumber, quindi quelli aggiuntivi dello Smoot-Hawley rappresentarono il vero shock globale. Allo stesso modo il mondo oggi si è abituato alle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, che sono in media del cinque o sei per cento, nel qual caso lo shock nei confronti del commercio tra Stati Uniti e Cina deve essere di entità simile.

Le condizioni commerciali globali di oggi sono notevolmente più sviluppate rispetto a novanta anni fa, con le nazioni che non sono più dipendenti solo dall'importazione di prodotti alimentari, materie prime ed energia, ma hanno catene di approvvigionamento che si estendono in più giurisdizioni. Le aziende americane possiedono molte delle fabbriche che producono i loro beni in Cina e altrove, quindi sono esse stesse vittime dei dazi di Trump. E gli agricoltori americani, per i quali la Cina rappresenta un mercato in crescita e redditizio, si ritrovano esclusi dalla rappresaglia della Cina. Le aziende manifatturiere, che dipendono dall'acciaio lavorato e da altri materiali provenienti dalla Cina per la loro produzione, scoprono che i loro costi sono gonfiati dai dazi, rendendole meno competitive sui mercati sia in patria che all'estero.

In materia di commercio, Trump è tanto protezionista quanto lo era Hoover nel 1930. Rimarrà deluso nello scoprire che, nonostante i suoi sforzi per affrontare la presunta ingiustizia cinese, il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina persisterà, essendo salito nella prima metà del 2019 a $244 miliardi rispetto ai $212 miliardi nella prima metà del 2018. E con l'America che sta ora contemplando la deviazione dei flussi di capitali dalla Cina, la guerra commerciale finirà per intensificarsi.

La quantità di denaro e credito in circolazione è aumentata del 91% sin dalla crisi della Lehman, rappresentando un tasso di crescita composto di poco più del 6%. Con il tasso di risparmio sostanzialmente invariato in suddetto periodo dopo aver considerato l'aumento del debito dei consumatori, l'espansione monetaria può solo alimentare l'inflazione dei prezzi e un deficit commerciale. Nella misura in cui i consumatori acquistano beni esteri più economici, il deficit commerciale non fa altro che posticipare l'inflazione dei prezzi. Visto che aumentano i prezzi per il consumatore senza un aumento compensativo dei salari e con le sue carte di credito al massimo, i dazi finiscono per deprimere la domanda interna in generale.

Questo è il meccanismo attraverso il quale i dazi sulle importazioni finiscono per indebolire la produzione interna, fatto sempre più evidente dalle indagini sulle imprese. Possiamo anche vedere questo effetto sul livello generale dell'attività commerciale della Cina, la quale ha subito un marcato rallentamento. A sua volta il commercio tra le altre nazioni e la Cina è stato compromesso, con la Germania che è stata particolarmente colpita. E solo due giorni fa, la Svezia, la cui economia aperta è vista come un faro per la direzione del commercio globale, ha fatto registrare un crollo delle attività. La produzione in tutto il mondo sembra essere diventata una tartaruga.

Non vi è dubbio che la contrazione del commercio globale sta ora iniziando a mordere le economie domestiche. E poiché la fonte è l'interruzione del commercio internazionale, i motivi per cui il commercio interno ne risente non sono subito evidenti, il che probabilmente spiega perché i mercati finanziari sembrano inconsapevoli di tutto ciò.



La differenza tra il 1929-32 e oggi

Prima del 1933 il dollaro era coperto da un gold-exchange standard a $20,67 l'oncia, il che significava che i prezzi erano misurati in oro attraverso il dollaro. Di conseguenza quando i mercati vennero travolti dalla combinazione di Smoot-Hawley e fase di bust del ciclo del credito, l'effetto fu evidente poiché il potere d'acquisto dell'oro salì.

La situazione oggi è diversa. Invece di un presidente degli Stati Uniti che introduce programmi di sostegno ai prezzi e al lavoro, oggi le banche centrali inflazioneranno le rispettive offerte di moneta nel tentativo di raggiungere la stabilità dei prezzi. Le statistiche dell'IPC degli Stati Uniti ci dicono che i prezzi al consumo scesero del ventiquattro per cento tra il 1929 e il 1933. Se ciò deve essere accadere nei prossimi anni, il potere d'acquisto del dollaro scenderà di almeno il 30%, se si vuole rispettare l'obiettivo del 2% d'inflazione.

Se solo fosse così semplice... Non solo non dovremmo prendere troppo sul serio i calcoli dei prezzi al consumo, ma le relazioni tra i cambiamenti nella quantità di denaro e dei prezzi sono tenui, a seconda delle preferenze della popolazione a tenerlo rispetto ai beni. È probabile che i piani di stabilizzazione dei prezzi dei banchieri centrali finiranno per destabilizzare le valute fiat anziché stabilizzare i prezzi, poiché la popolazione comprenderà le conseguenze di politiche monetarie sempre più aggressive.

La combinazione di un crollo degli scambi commerciali a causa di misure protezionistiche e il credito bancario che tende a contrarsi quando i banchieri percepiscono un aumento dei rischi sui prestiti, porta sempre a problemi sistemici per le banche. Mentre il capitale bancario in America è stato rafforzato sulla scia della crisi della Lehman (è aumentato del 41,6%), il patrimonio netto totale delle banche è stato di 11,5 volte, il più alto che sia mai stato. Nei periodi di congiuntura favorevole, tale rapporto garantisce un'elevata redditività; in periodi di crisi significa che le perdite spazzano via rapidamente il capitale delle banche.


Il sentimento nei circoli bancari cambierà in un attimo quando i banchieri smetteranno di credere ai loro economisti interni e presteranno attenzione a ciò che dice il loro istinto. Scopriranno rapidamente che la crisi del commercio internazionale indebolisce la solvibilità delle imprese non finanziarie. Faranno tutto il possibile per ridurre il rischio di controparte con banche estere ritenute a rischio di fallimento.

Mentre la notte segue il giorno, un'altra crisi bancaria si intensificherà rapidamente, questa volta su una scala maggiore rispetto a dieci anni fa. E le prove dei fallimenti nel mercato dei pronti contro termine nelle ultime settimane indicano che il sistema bancario sta iniziando a vedere le prime crepe.

Tra le due guerre mondiali, il mondo ha sofferto di una depressione deflazionistica. Questa volta sembra che stiamo viaggiando verso una depressione inflazionistica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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