venerdì 4 ottobre 2019

Il libertarismo è un'utopia?





di Duncan Whitmore


Il libertarismo, e qualsiasi posizione politica che tenda ad un maggior grado di libertà dallo stato, si oppone sia eticamente che economicamente ad una serie di proposizioni popolari al giorno d'oggi. L'idea che senza lo stato avremmo disuguaglianza, miseria per le masse, avidità dilagante, ecc. è un'accusa ricorrente volta a sottolineare che il libertarismo è indesiderabile e/o ingiustificabile.

Un ulteriore punto di opposizione è che il libertarismo e la spinta verso di esso sono semplicemente utopici o idealistici, e che i libertari sono sognatori senza speranza, privi della consapevolezza di come il mondo funziona "realmente". In altre parole, indipendentemente dal fatto che possa essere desiderabile, una combinazione di impossibilità, improbabilità o semplice riluttanza ad abbracciare l'ideale libertario, rende il libertarismo totalmente o essenzialmente irrealizzabile. È proprio questa obiezione specifica che affronteremo in questo saggio.

Innanzitutto parleremo dell'etica libertaria della non aggressione, in base alla quale nessuno può interagire fisicamente col nostro corpo o la nostra proprietà senza il nostro consenso. Da ciò possiamo affermare che, in generale, l'obiettivo del progetto libertario è un mondo di violenza e aggressività minimizzate. Di conseguenza la domande a cui dobbiamo rispondere è se un mondo di violenza e aggressività minimizzate sia davvero irrealizzabile e, quindi, utopico.



Impossibilità

Il primo aspetto da considerare è se il raggiungimento dell'etica libertaria sia un'impossibilità fisica o logica. Chiaramente, per essere valida, una proposta etica deve essere alla portata delle capacità fisiche. Un'etica che richieda a ciascuna persona di trovarsi in due posti contemporaneamente, o di equiparare tre mele a cinque aggiungendone solo un'altra, sarebbe ridicola. Questi sono obiettivi irraggiungibili, a prescindere da quanto ci si possa provare. Allo stesso modo, possiamo disporre di proposizioni etiche che non sono strettamente impossibili ma, potremmo dire, sono tecnicamente impossibili a causa del fatto che i mezzi necessari per raggiungerle sono inaccessibili a tutti o alla maggior parte degli individui. Ad esempio, un'etica che richiede che una persona salti dalla Gran Bretagna alla Cina sarebbe un fallimento. Una tale impresa non è proprio impossibile, in quanto i piedi di una persona potrebbero lasciare il terreno in Gran Bretagna e volare in aria verso la Cina, ma i mezzi per adempiere a questo imperativo non sono ancora entrati in nostro possesso e quindi come guida per agire ora nel mondo è chiaramente senza speranza.[1]

Quando prendiamo in considerazione l'etica libertaria, è chiaro che essa non ricada in questo tipo di impossibilità. Infatti questa etica, essendo uno dei suoi requisiti non commettere determinati atti, è una delle etiche più facili a cui aderire. Bisogna semplicemente astenersi dal commettere qualsiasi atto che interferisca con l'integrità fisica o la proprietà di un'altra persona. Quindi è nel potere di tutti sulla Terra, proprio in questo momento, creare un mondo libero da violenza e aggressività. Infatti possiamo anche dire che è fisicamente più difficile violare tale etica: se si vuole commettere un atto violento, bisogna alzarsi, trovare qualcuno e sforzarsi di aggredirlo o derubarlo invece di seguire la strada molto più pigra di restare fermi.

Questo punto può sembrare piuttosto banale, ma confrontate la raggiungibilità fisica di questa etica con altre etiche come la sconfitta della povertà, la diffusione della democrazia, la promozione dell'uguaglianza, o anche obiettivi più eterei come la ricerca della felicità e della realizzazione personale. Tutti questi obiettivi sono considerati come perfettamente validi e nobili, tuttavia sono molto più difficili da raggiungere rispetto all'etica libertaria perché richiedono un qualche tipo di azione positiva. Sconfiggere la povertà richiede più lavoro, più produttività e più creazione di ricchezza; la diffusione della democrazia richiede invasioni armate, mantenimento attivo della pace, creazione di istituzioni per lo svolgimento di elezioni e la volontà della popolazione di votare (supponendo, naturalmente, che un tale ideale sia autentico e non semplicemente una facciata per raggiungere invece il potere ed il controllo delle risorse); l'uguaglianza richiede una ridistribuzione attiva della ricchezza la quale deve essere prima creata mediante uno sforzo produttivo. Ragionando quindi sulle impossibilità, possiamo dire che il libertarismo, che viene deriso, è l'obiettivo meno utopistico di tutti questi altri, che invece sono lodati.

Se ciò non bastasse, lo stato e quelle persone che ci dicono che l'etica libertaria è vuota, tentano ogni giorno di raggiungere obiettivi che sono prontamente accettati dal mainstream e che sono letteralmente impossibili. Ad esempio, è impossibile garantire la piena occupazione se si impongono salari minimi; è impossibile stabilire un prezzo di un bene o servizio al di sotto del suo valore di mercato e non aspettarsi che sia inondato dalla domanda e, quindi, da carenze (si pensi all'assistenza sanitaria, alle strade rotte, ecc.); è impossibile creare ricchezza stampando cartamoneta. Eppure lo stato crede di poter fare tutte queste cose.

Su quest'ultimo punto dobbiamo sicuramente riconoscere l'impossibilità assoluta e, di conseguenza, l'utopismo dell'attuale situazione di indebitamento infinito e spese sconsiderate. Alla nascita della socialdemocrazia, le nazioni occidentali avevano accumulato un capitale di diverse generazioni che aveva innalzato significativamente il livello di vita. Ciò fornì un fondo apparentemente inesauribile ai politici per corrompere gli elettori, inondandoli di premi sotto forma di prestazioni pensionistiche, indennità sociali, industrie nazionalizzate, infrastrutture di proprietà pubblica e così via in cambio dei loro voti. Poiché ai politici piace spendere senza aumentare le tasse, gran parte di questa spesa è stata alimentata dai prestiti, con la produttività del capitale accumulato che ha funto da garanzia collaterale. L'indebitamento e l'inflazione hanno giovato agli estremi della società: i poveri che ricevono la maggior parte delle elargizioni del welfare ed i ricchi i cui beni sopravvivono all'inflazione salendo in valore nominale. Lo spreco che ne è derivato, sotto forma di consumo di capitale graduale ma incessante, ha intaccato seriamente e progressivamente la produttività che adesso non può più provvedere ai livelli di spesa. Oggi gli stati trovano addirittura difficoltà nel pagare gli interessi sul proprio debito attraverso le entrate fiscali, dovendo indebitarsi maggiormente solo per ripagare il debito precedentemente accumulato. Soprattutto ora che la generazione del baby boom ha iniziato ad andare in pensione, lasciandosi dietro una forza lavoro decimata che supporta una generazione crescente di pensionati; inutile dire che questa situazione peggiorerà. Supponendo, quindi, che non ci sarà una produttività sufficiente per far fronte a tutte queste passività, ci sono tre possibili opzioni: inadempienza sui diritti sociali, inadempienza sul debito, o stampare abbastanza soldi per pagare tutto. La prima opzione causerebbe disordini sociali di massa; la seconda causerebbe il collasso dei mercati finanziari; e la terza causerebbe iperinflazione della valuta. Questa è una scelta spiacevole, ma che presto sarà necessaria. È proprio perché l'ortodossia monetaria non funziona più che soluzioni che hanno un impulso non statale, come un ritorno all'oro, o le criptovalute, si distinguono come alternative praticabili piuttosto che sogni impossibili.[2] Quindi è ridicolo che anche gli statalisti moderati affermino che il libertarismo sia utopico, quando la linfa vitale della socialdemocrazia (denaro e finanza gestiti dallo stato) è sull'orlo del collasso.



Natura umana

Un secondo motivo per cui si afferma che l'etica libertaria sia utopica recita che non è assolutamente impossibile da raggiungere ma, piuttosto, che è contraria alla "natura umana". Questo punto di vista si basa quasi sempre sull'osservazione (corretta, ma superficiale) che "l'uomo è un animale sociale" e che gli esseri umani, nel corso della loro storia, si sono raggruppati in diversi collettivi come tribù, culture, nazioni e, in definitiva, stati. Le vicissitudini di questo tipo di gruppi (cioè regole che sottomettono l'individuo al collettivo e, in definitiva, alla presenza di violenza e aggressività) significano che l'ideale libertario è irrealizzabile, almeno nella misura che preferirebbero i libertari.

La maggior parte di queste critiche sono fasulle perché associano lo stato con la società, presumendo che un abbandono del primo porti ad una negazione della seconda. Come corollario fraintendono anche l'enfasi libertaria sui diritti individuali, come difesa di una sorta di esistenza egoistica e atomistica.[3]

Questi punti di vista possono normalmente essere eliminati abbastanza facilmente in quanto non vi è alcuna disputa libertaria con le organizzazioni sociali o la società nel suo insieme, il libertarismo tiene pienamente conto della dimensione sociale dell'umanità. I critici non riescono a rendersi conto che il ruolo della società non è quello di soddisfare un "scopo comune", o una sorta di "bene comune" indefinito dettato dallo stato, ma di agire come mezzo affinché ogni individuo possa soddisfare meglio i propri scopi in modo pacifico e volontario.[4] Né il perseguimento di tali scopi, consentito dai diritti individuali, ha nulla a che fare con l'egoismo: una persona è libera di scegliere se trascorrere tutta la sua vita aiutando gli altri o accumulando una vasta fortuna che non condivide con gli altri.

L'affermazione che desideriamo esaminare qui è più elementare: se i tipi di istituzione di cui sono preoccupati i libertari (stati, governi, parlamenti, burocrazie, ecc.) si devono alla "natura umana", nel senso che queste cose sono in qualche modo biologicamente inevitabili; o se sono il prodotto di una scelta umana consapevole. Per dirla senza mezzi termini, l'impeto che ha indotto gli umani a creare lo stato è simile all'istinto che fa rotolare un maiale nel letame?

A questa domanda si risponde comunemente con un tacito sì, o viene completamente ignorata l'obiezione libertaria. Ad esempio, durante il suo tentativo di dimostrare il disprezzo del libertarismo nei confronti della dimensione sociale dell'esistenza umana, il biologo americano Peter Corning ha detto:
Un problema con il modello [del libertario] (utopico) è che ora abbiamo prove schiaccianti che il modello individualistico, acquisitivo, del gene egoistico della natura umana è gravemente fallace [...]. Le prove sull'evoluzione umana indicano che la nostra specie si è evoluta in piccoli gruppi sociali in cui la cooperazione e la condivisione hanno prevalso sui nostri interessi personali, il tutto per il bene comune […]. Ci siamo evoluti come animali sociali intensamente interdipendenti e il nostro senso di empatia verso gli altri, la nostra sensibilità alla reciprocità, il nostro desiderio per l'inclusione e la nostra lealtà verso i gruppi con cui ci leghiamo, la soddisfazione intrinseca che deriviamo dalle attività di cooperazione e la nostra preoccupazione di avere il rispetto e l'approvazione degli altri, si sono tutti evoluti per stemperare e limitare i nostri impulsi individualistici ed egoistici.[5]

È difficile contestare queste affermazioni. Tuttavia Corning non spiega mai che cosa ha causato queste cose, o perché gli umani le hanno abbracciate. Perché collaboriamo? Perché condividiamo? Perché abbiamo un "desiderio di inclusione"? Perché esiste una "lealtà verso i gruppi con cui ci leghiamo"? Perché siamo preoccupati per "rispetto e approvazione degli altri"? Tutte queste cose sono successe nello stesso modo in cui le mosche sciamano attratte dallo sterco, o c'erano delle ragioni consapevoli affinché ogni essere umano le abbia abbracciate?

Il fatto che queste domande rimangano senza risposta suggerisce che sono i critici del libertarismo che non hanno esaminato a fondo la natura umana e, di conseguenza, hanno una scarsa comprensione del concetto. L'aspetto della natura umana che sicuramente esiste (quello che ci separa dalle altre specie animali) è la capacità di determinare, consapevolmente, i nostri obiettivi e di usare la ragione per investigare il mondo che ci circonda al fine di scoprire il i migliori mezzi per perseguire i nostri obiettivi. Queste scelte umane consapevoli e le successive azioni sono auto-evidenti. Ognuno di noi può agire di riflesso, come quando toccate un oggetto rovente e indietreggiate in un istante. Tale azione non è il prodotto della scelta, ma di stimoli che provocano il vostro cervello ad avere una reazione automatizzata e prevenire danni fisici. Tali azioni fanno quindi parte della nostra natura e c'è molto poco che possiamo fare per prevenirle. Quasi ogni altra cosa che un essere umano fa è il prodotto della propria scelta consapevole. Anche quando agiamo emotivamente o per istinto (per esempio dando un pugno ad un'altra persona in un impeto di rabbia, o saziando il desiderio carnale di rapporti sessuali con uno sconosciuto) ci aspettiamo ancora di esercitare il controllo su questi impulsi. Tale aspettativa si manifesta nel fatto che se l'atto in questione risulta illegale, la legge ci riterrà comunque responsabili. Solo una menomazione mentale assolverà una responsabilità morale per le nostre esplosioni più animalesche.

Ignorare questo aspetto della scelta consapevole significa ignorare il gioiello scintillante nella corona della natura umana, e porta a trarre conclusioni fondamentalmente false sui fenomeni sociali. Come dice Murray N Rothbard:
Solo gli esseri umani possiedono il libero arbitrio e la coscienza: perché sono coscienti e possono, e certamente devono, scegliere il loro corso d'azione. Ignorare questo fatto primordiale sulla natura dell'uomo (ignorare la sua volontà, il suo libero arbitrio) significa fraintendere la realtà e quindi essere profondamente e radicalmente non scientifici.[6]

Questa ignoranza a cui fa riferimento Rothbard rende l'obiezione della "natura umana" al libertarismo come uno dei controargomenti più fiacchi, poiché considera il comportamento umano come una sorta di inevitabilità e, quindi, l'immunità dal controllo morale. Perché se il comportamento umano è il prodotto di una scelta cosciente, non solo tale comportamento non è in alcun senso "naturale", ma il fatto stesso della scelta indica che non è possibile escludere percorsi alternativi e che, quindi, il libertario non sta lottando contro la natura umana, sta invece perseguendo il percorso perfettamente realizzabile per influenzare la volontà umana.

Nel decidere la migliore linea d'azione per soddisfare i fini che desidera, ogni essere umano deve scegliere tra tre grandi percorsi di realizzazione. Primo, un'esistenza atomistica e isolata; secondo, la cooperazione sociale; in terzo luogo, violenza e saccheggio. Il primo è stato quasi universalmente scartato a causa della sua incapacità di fornire tutto tranne l'esistenza più povera.[7] Gli altri due possono rivelarsi estremamente fruttuosi per coloro che li perseguono.

Se il perseguimento della cooperazione sociale da una parte, o della violenza dall'altra, hanno prevalso è un prodotto della valutazione umana di circostanze particolari e di come raggiungere al meglio i propri obiettivi in ​​suddette circostanze.[8] La valutazione di tali circostanze è un prodotto dello sforzo mentale; in ogni caso si tratta di obiettivi e gli umani usano, deliberatamente, quelli che pensavano siano i migliori mezzi disponibili per raggiungere i loro obiettivi nell'ambiente in cui si trovavano. Anche se la valutazione potrebbe essere sbagliata e provocare un fallimento, resta il fatto che qualunque percorso sia intrapreso non incarna un impulso "naturale", incontrollabile, istintivo. Se ci meravigliamo dei grandi traguardi raggiunti dalla cooperazione sociale (ad esempio lo splendore gotico della stazione ferroviaria di St Pancras, la complessità del motore a combustione interna, o l'ambizione di Microsoft di mettere un PC nella casa di tutti), notiamo che le persone che hanno creato queste cose sono state motivate da qualcosa di più di una semplice lotta per saziare un desiderio radicato di "comunità". Allo stesso modo, dal lato violento dell'equazione, nessuna delle due guerre mondiali si è verificata perché tutti pensavano che fosse passato troppo tempo dall'ultima battaglia. Le uniche istituzioni umane a cui è possibile accordare l'aggettivo "naturali" sono quelle emerse come risultato del cosiddetto "ordine spontaneo"; istituzioni come lingua, denaro, prezzi di mercato, e così via, che non sono il risultato deliberato di un singolo individuo o gruppo di individui che agiscono insieme. Ma anche queste istituzioni sono il risultato di uno scopo umano scelto consapevolmente: mancano solo di un design umano deliberato. Ad esempio, non avremmo né denaro né prezzi se le persone non scegliessero di commerciare.

A causa delle diverse circostanze della storia (alcune delle quali sono fenomeni naturali e altre sono il prodotto delle azioni e delle idee passate degli esseri umani), l'incidenza della cooperazione sociale da un lato e la violenza dall'altro hanno caratterizzato le sabbie del tempo. Ogni millennio è stato pervaso da periodi di relativa tranquillità e periodi di relativa turbolenza, con il percorso violento che ha raggiunto il picco negli ultimi cento anni circa. Nel frattempo la cooperazione sociale ha ricevuto importanti miglioramenti durante le rivoluzioni agricole e industriali.

Lo sviluppo di quest'ultima fornisce un chiaro esempio di come le circostanze possano motivare le scelte umane. Ad esempio, contrariamente alla visione romantica della vita preindustriale e rurale, gli umani hanno abbandonato i loro stili di vita agricoli improduttivi per fuggire verso i centri urbani perché la prospettiva del lavoro industriale, resa possibile da nuove invenzioni e macchinari, prometteva uno standard di vita molto più elevato di quanto non fosse possibile in precedenza. In altre parole, un'espansione della cooperazione sociale è stata l'opzione più interessante. Tuttavia, dopo il trascorrere di circa cento anni dalla creazione di ricchezza, divenne possibile per le teorie socialiste persuadere le persone, a causa della disparità di "distribuzione" di questa ricchezza, che era più attraente appropriarsi in modo violento dei guadagni di chi aveva fatto di più.[9] Così il ventesimo secolo fu afflitto dalla piaga del socialismo, affermando (falsamente) di dare tutta questa ricchezza alle classi presumibilmente sfruttate e quindi bandire per sempre la povertà. Tuttavia, una volta che alla fine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90 le persone hanno capito che erano tutte menzogne, si sono nuovamente rivolte alle economie di mercato. Ora sembriamo languire nel mezzo, con le società occidentali, gli apparenti vincitori della guerra fredda, che continuano a socializzare le loro economie ed a consumare il loro capitale sotto l'egida di uno stato sempre più autoritario, mentre le società asiatiche sembrano fare il contrario.[10]

Il fatto che ogni essere umano si muova verso la cooperazione sociale da un lato, o verso la violenza dall'altro, per raggiungere meglio i suoi bisogni può essere ulteriormente illustrato immaginando un futuro in cui quasi tutti i bisogni siano saziati, cioè quando la scarsità materiale sarà quasi debellata. Non sarebbe impossibile che un giorno il progresso economico raggiungerà un livello in cui qualsiasi bene o servizio potrà essere prodotto con il semplice tocco di un pulsante. In altre parole, quasi tutti i nostri bisogni potrebbero essere soddisfatti in cambio di una banale quantità di sforzi. Se così fosse, sarebbe quasi completamente cancellata la necessità per qualsiasi essere umano di perseguire la cooperazione sociale o la violenza su vasta scala? Perché preoccuparsi di cooperare con il prossimo, o perché preoccuparsi di sparargli, se tutto ciò che si vuole può essere acquisito con un qualche tipo di dispositivo "replicatore" in stile Star Trek? Anche se qualcuno vi sparasse, a quale scopo difensivo servirebbe lo stato se la persona e le proprietà di tutti potessero essere protette, per esempio, da una sorta di campo di forza invisibile? Semmai arrivassimo a vivere in un tale quasi-paradiso, qualsiasi tipo di grande organizzazione sistematica che serve a consentire la cooperazione sociale o la violenza (stati, compagnie, ecc.) si dissolverebbe per mancanza di scopo? Tutto ciò che probabilmente rimarrà sono gruppi che esisterebbero solo per piacere (famiglie, amicizie, congregazioni, gruppi che ruotano attorno a passatempi, ecc.). Quindi ciò che emergerebbe sarà qualcosa di simile a ciò che è sostenuto dai libertari "puristi": esistenza umana in cui collettivi sistematici e violenza pervasiva saranno in gran parte relegati al passato. Una tale società è, senza dubbio, una fantasia stravagante, almeno nelle nostre vite, ma è chiaro che la sua incapacità di emergere sarebbe dovuta ad una carenza di progresso economico e non da discordanze sulla "natura umana".

Il fatto che la cooperazione sia un mezzo per il raggiungimento di fini complessi non nega il fatto che la cooperazione stessa presenti benefici, ad esempio un senso di appartenenza, familiarità e il superamento di un sentimento di solitudine. Ma anche alcuni dei gruppi che apparentemente diamo per scontati, come la famiglia, erano originariamente motivati ​​da una preoccupazione economica; nel caso particolare della famiglia, trovare l'ambiente migliore in cui crescere i figli.

Allo stesso modo, potrebbero esserci teorie folli che esaltano la violenza e la guerra per il gusto di farlo. Tuttavia la mitizzazione spesso deriva ​​dalla guerra piuttosto che generare la guerra stessa, come eroismo, cameratismo, coraggio, orgoglio nazionale, medaglie e così via, almeno nella misura in cui queste cose sono viste come fini.[11] La guerra reale, d'altra parte, è molto improbabile che ottenga trazione senza un forte incentivo economico. Anche quando la mitizzazione della guerra sembra cristallizzarsi in un'ideologia più sostanziale (come nel nazismo), continua ad essere poco chiaro dove inizi l'uno e finisca l'altro. Apparve prima la mitizzazione nazista del "sangue e suolo" e del wehrbauer ("contadino guerriero") oppure acquistò slancio solo grazie alle circostanze economiche della Germania dell'epoca? O guadagnarono trazione in seguito come incarnazioni un po' romantiche di ciò che era necessario per realizzare il lebensraum?

Tuttavia, anche se dovessimo ignorare tutti questi problemi e dire che la cooperazione e la violenza erano impegnate esclusivamente per il gusto di farlo, nulla di tutto ciò avrebbe intaccato la nostra tesi di base: sono il prodotto della scelta umana consapevole, scopi valutati consapevolmente e mezzi adoperati deliberatamente.[12]

Con tutto ciò in mente, quindi, possiamo rivolgerci alla questione dell'esistenza dello stato. Senza ombra di dubbio lo stato è l'istituzione più violenta e aggressiva che l'uomo abbia mai generato. Non esiste un singolo conflitto degno di menzione nei libri di storia che non sia stato causato dallo stato o da un'entità proto-statale, né esiste un conflitto del genere che non sarebbe stato peggiorato da un coinvolgimento statale. È per questo motivo che i libertari concentrano tutti i loro sforzi su questa istituzione. Pertanto bisogna indagare se lo stato sia un fenomeno della "natura umana".

Dalla nostra analisi precedente, dovrebbe già essere chiaro che non è così. Lo stato non ha altro scopo se non quello di fungere da veicolo supremo per perseguire il metodo violento di raggiungere i propri obiettivi: prendere forzatamente da alcuni a beneficio degli altri.

Lo stato non è esistito come entità uniforme nel corso della storia umana, è sbocciato e appassito in accordo con il desiderio delle persone di usarlo come strumento di sfruttamento e la convinzione della popolazione di accettare tacitamente o promuovere attivamente la sua esistenza. Tutte le "grandi" istituzioni statali che vediamo oggi (edifici parlamentari, dipartimenti esecutivi, forze armate altamente addestrate, e così via) è in alcun modo "naturale". Devono la loro esistenza al fatto che persone specifiche, in momenti e luoghi specifici, credevano che crearle fosse uno sforzo utile. La loro forma finale che vediamo oggi è semplicemente il risultato di secoli di comportamento scelto consapevolmente.

Anche la natura dei conflitti provocati dallo stato è variata: invasione, guerre e conquiste, schiavitù diretta della popolazione interna, tassazione pesante, ecc. Nessuna di queste cose è semplicemente "avvenuta" dal nulla, ma è stata intrapresa per scopi appositamente scelti. Inoltre è anche vero che la forza e il potere dello stato sono cambiati nel corso della storia e variano in tutto il mondo ancora oggi, dall'orrore dell'ex-Unione Sovietica (forse lo stato peggiore che ci sia mai stato) alla relativa impotenza del cantone svizzero. Pertanto è tutt'altro che ridicolo che i libertari condannino lo stato come istituzione immorale e malvagio, o che spalleggino quelle istituzioni (o per un riallineato equilibrio di potere globale) volte a ridurre l'appropriazione violenta attraverso lo stato. Questo è qualcosa che il modello svizzero ha raggiunto a livello nazionale e che, a livello globale, potrebbe essere ottenuto dall'ascesa di Cina e Russia come contrappeso all'uni-polarità americana che ha permesso a quest'ultima di diffondere un'aggressione senza ostacoli in tutto il mondo .

Lo stato, quindi, è fermamente e innegabilmente una conseguenza della scelta umana, non della natura umana e, come tale, è del tutto legittimo esporlo all'esame morale. Come disse Karl Hess:
I libertari non sono deterministi che sentono che forze mistiche invisibili muovono uomini e storia in schemi inesorabili, su e giù per i grafici. I libertari, essendo radicali, sanno che gli uomini possono spostare la storia, che l'Uomo è storia e che gli uomini possono afferrare il proprio destino, alla radice, e farlo avanzare.[13]

Infine potremmo dire che la natura umana è la ragion d'essere della libertà, non la sua antitesi. Il libertarismo comprende gli esseri umani per quello che sono: pensare, desiderare, scegliere e agire in modo indipendente. Qualunque sia il modo in cui la si guardi, non esiste un'unità superiore alla persona che intraprenda queste attività. Anche quando i nostri pensieri e desideri sono influenzati dagli altri e dai gruppi ai quali scegliamo di aderire, la scelta di perseguirli alla fine rimane nostra e, come risultato di ogni scelta particolare, siamo noi come individui che provano la gioia del successo e il dolore del fallimento. Il libertarismo consente ad ogni essere umano di agire per soddisfare questi desideri e scelte all'interno dei confini della propria persona e proprietà, o all'interno di qualsiasi impresa comune.[14]

Lo statalismo, d'altra parte, ha sempre dovuto scavalcare queste scelte individuali, i desideri e le azioni per soddisfare una visione più grande di una "società migliore". In primo luogo, spera che questi desideri individuali possano essere accantonati immaginando che le persone lavoreranno con gioia per raggiungere gli ideali "superiori" desiderati dai leader e dai visionari statali. Ciò di cui non si rendono conto è che la popolarità iniziale dello statalismo deriva dal fatto che le singole persone pensano che promuoverà ciò che vogliono, costringendo gli altri a sostenerne l'onere. Se il socialismo, ad esempio, significa "da ciascuno secondo i suoi mezzi a ciascuno secondo i suoi bisogni", tutti si aspettano di ritrovarsi nella categoria "bisogni" piuttosto che in quella "mezzi"; raramente considerano il fatto che potrebbero essere loro i "mezzi" che soffrono giorno e notte per soddisfare i "bisogni" di qualcun altro. Non appena tutti si rendono conto che quest'ultima è la realtà, allora qualsiasi incentivo a cooperare si dissolve e quindi lo stato deve tirare fuori le pistole ed i gulag per costringere le persone ad allinearsi. Questa discordanza con la natura umana è uno dei motivi per cui gli esperimenti socialisti sono crollati, mentre le società più libere hanno prosperato. È quindi la libertà individuale, e non un'adesione automatizzata e robotica allo stato, che è in armonia con la natura umana.



Radicalismo & gradualismo

La terza e ultima accusa secondo cui il libertarismo è "utopico" recita che il libertarismo non è né fisicamente impossibile, né contrario alla natura umana; tuttavia è lo stesso fallimentare, poiché lo stato democratico è così radicato nel mondo e le persone sono così intrinsecamente stataliste che ogni speranza per una società libertaria sarà vana.

La motivazione di questa tesi è un assalto alla natura intrinsecamente radicale del libertarismo e alla presunta mancanza di speranza nel perseguire idee radicali più in generale. Gli anti-libertari si accontentano di respingere qualsiasi forma di libertarismo solo per questi motivi; alcuni sostenitori del libero mercato, come il defunto Milton Friedman, hanno accettato questa tesi e tentano di ottenere una maggiore libertà lavorando all'interno del sistema statale attraverso una sorta di gradualismo. Confuteremo sia la difesa anti-radicalista dello statalismo sia l'approccio graduale alla libertà.

In primo luogo, una proposizione può essere radicale a causa del fatto che una proposizione opposta è ampiamente accettata e ben radicata. Tuttavia non ne consegue che l'importanza della verità, o della giustizia, di una proposizione impopolare, debba essere in qualche modo sminuita. Ad esempio, tutti una volta pensavano che la Terra fosse piatta e che fosse al centro dell'universo. Tuttavia questo consenso non ha cambiato né il fatto che la Terra sia effettivamente sferica e in orbita attorno al sole, né il fatto che una tale comprensione avrebbe prodotto progressi significativi per la conoscenza umana del suo ambiente. Allo stesso modo, se tutti pensassero che fosse perfettamente accettabile uccidere neri o stuprare donne, ciò non cambierebbe il fatto che si tratta di atti intrinsecamente malvagi contro i quali bisogna fare ogni sforzo per fermarli. La difficoltà di contrastare opinioni ben radicate renderà sicuramente più difficile la nostra strategia nel perseguire un obiettivo radicale, ma, contrariamente alla posizione anti-libertaria, non invalida l'obiettivo in primo luogo. Le verità non scompaiono semplicemente perché tutti lo vogliono e in alcuni casi la sua rivelazione (come la vera natura dello stato e il modo in cui rovina l'umanità) avrebbe conseguenze così potenti che val la pena di soffrire per portarla a galla. Infatti potremmo dire che l'incapacità di dire la verità sul potere è un segno di codardia più che un segno di realismo. La complessità nel raccogliere il coraggio necessario è ben sottolineata da Joseph R Peden quando dice:
La rivoluzione libertaria non è il lavoro di un giorno, o di un decennio, o di una vita. È un processo continuo attraverso i secoli. Il focus della lotta cambia di volta in volta e di luogo in luogo. Una volta ha comportato l'abolizione della schiavitù; ora potrebbe essere la liberazione delle donne; una lotta per l'indipendenza nazionale; in un altro luogo può concentrarsi sulle libertà civili; in un momento diverso potrebbe essere necessaria una politica elettorale e di partito; in un'altra l'autodifesa e la rivoluzione armata […]. C'è una tendenza tra molti libertari a cercare un momento apocalittico in cui lo stato sarà distrutto per sempre e l'anarchia prevarrà. Quando si rendono conto che il grande momento non arriverà nel loro tempo, semmai arriverà, perdono la fiducia nell'integrità e nella plausibilità della filosofia libertaria [...]. [Questo] dovrebbe avvertirci che il libertarismo può facilmente diventare una fantasia adolescenziale in menti immature e non motivate da un'ampia comprensione umanistica. Non dovrebbe essere un'idée fixe o una formula magica, ma un imperativo morale con cui ci si avvicina alle complessità della realtà sociale.[15]

Dall'osservazione della storia, possiamo vedere chiaramente che le idee, e in particolare le idee radicali, contano. Il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset ci ha ricordato che "la civiltà non è fine a sé stessa".[16] In altre parole, l'esistenza della civiltà non può essere data per scontata e richiede invece la nostra volontà di aderire ad idee che la sostengono, mentre si combatte coloro che cercano di distruggerla. Una di queste idee ha iniziato come teoria radicale e veniva inizialmente derisa dagli intellettuali, eppure la sua successiva adozione diffusa ha avuto profonde conseguenze. Ad esempio, senza la filosofia dell'illuminismo, è improbabile che si sarebbero verificate la rivoluzione americana, francese e industriale; Karl Marx morì quasi nell'anonimato, eppure le sue teorie continuarono a schiavizzare metà del globo; la democrazia non è mai presa sul serio per quasi tutta la storia del pensiero politico, eppure ora si è derisi se si propone qualcosa di alternativo ad essa. Inoltre è difficile contestare il fatto che il trionfo della democrazia abbia dotato lo stato di un alone di legittimità finora invisibile, che è servito a giustificare la sua espansione sempre crescente e perpetuazione di atrocità. Ad esempio, millenni di monarchi, imperatori e dinastie non sono riusciti a creare un mondo commerciale interamente con la cartamoneta; eppure la democrazia ce l'ha fatta in pochi decenni.

In breve, quindi, ciò che la gente pensa è cambiato radicalmente e ha avuto effetti molto reali sull'umanità. Di conseguenza dobbiamo essere pronti ad influenzare ciò che pensano se vogliamo cambiare il corso della storia.[17] Le idee che vengono prese a pugni oggi saranno lodate domani, e l'apparente lontananza della vittoria oggi non significa che non arriverà mai. Come ha detto TS Eliot:
Se consideriamo la parte più profonda e saggia di una causa, non esiste una causa persa, perché non esiste una causa ottenuta. Combattiamo per cause perse perché sappiamo che la nostra sconfitta può essere la prefazione alla vittoria dei nostri successori, sebbene quella vittoria stessa sarà temporanea; combattiamo per mantenere in vita qualcosa nell'aspettativa che trionferà.

Passando ora al gradualismo, qualsiasi strategia che abbandona un obiettivo ultimo o un principio radicale finisce per determinare una situazione che è qualitativamente diversa. La ragione di ciò è che una tale strategia deve colmare il suo vuoto ideologico con qualche altra filosofia guida al fine di giustificare le sue scelte. Per quanto riguarda gli approcci esplicitamente gradualisti verso la libertà, questo è finito per essere una sorta di utilitarismo. Oltre a ciò, poiché l'obiettivo di tale gradualità è lavorare fianco a fianco con e contro lo stato, i suoi sostenitori sono stati costretti ad accettare la perpetuazione di ingiustizie di base (come le tasse, i regolamenti ed i monopoli), trasformando in tal modo le loro critiche di grado in critiche di tipo. Di conseguenza la realizzazione della loro ossessione per "l'efficienza" ha permesso a queste ingiustizie di espandersi. Pertanto la natura del progetto di liberalizzazione si è trasformata in qualcosa che, anziché sfidare l'ingiustizia, ha avallato ulteriori ingiustizie.[18]

Ad esempio, i dibattiti nel diciannovesimo secolo sull'abolizione della schiavitù furono infastiditi da considerazioni sul fatto se gli schiavisti dovessero essere "compensati" per la perdita della loro "proprietà". Ci volle il filosofo radicale, Benjamin Pearson, per sottolineare che erano gli schiavi che dovevano essere compensati per i loro anni di miseria, mentre i proprietari di schiavi dovevano essere puniti. Allo stesso modo, le proposte di "voucher scolastici" elogiano i vantaggi di "scelta", "concorrenza" e "sovranità dei consumatori", senza considerare la scelta e la sovranità dei contribuenti che sono costretti a pagare per tutto, per non parlare della natura indottrinante dell'istruzione statale. E, naturalmente, qualsiasi discorso sulla riforma fiscale è permanentemente compromesso da una percezione della necessità che qualsiasi modifica al codice fiscale rimanga "neutrale dal punto di vista delle entrate", una preoccupazione che, a giudicare dalla sua importanza nel primo paragrafo del piano di riforma fiscale del 2017, sembra essere una priorità per l'Adam Smith Institute.[19]

Quindi, tornando al nostro esempio di prima, un'ipotetica società che ama stuprare le donne e uccidere i neri chiederebbe proposte per "compensare" gli assassini e gli stupratori per la loro perdita di godimento; o emettere "voucher per stupro"; o garantire che in fondo la "riforma dell'omicidio" consentisse l'omicidio. Inquadrati in questa luce, possiamo vedere che queste proposte non sono solo ridicole ma del tutto immorali e, inoltre, porterebbero a qualcosa che è qualitativamente diverso da una società libera.

Questa critica all'approccio gradualista non cerca di ammonire chiunque accetti un movimento verso un obiettivo finale che, sebbene non lo raggiunga, produce un miglioramento significativo. Ad esempio, potremmo accettare una riduzione del 10% di tutte le tasse su tutta la linea senza vincoli, anche se ciò significherebbe far rimanere un onere fiscale residuo. Il punto è che ci si deve avvicinare al tavolo sperando di ottenere tutto ciò che si desidera nel modo più completo e rapido possibile. Di fronte all'omicidio, allo stupro e alla schiavitù, ad esempio, si deve iniziare sperando di sradicare completamente queste abomini. Tutti i risultati effettivi devono quindi essere giudicati in relazione a questo criterio. D'altra parte, se ci si presenta al tavolo chiedendo solo mezze misure, non si otterranno altro che mezze soluzioni. È per questa ragione che William Lloyd Garrison ha affermato che "il gradualismo nella teoria significa perpetuità nella pratica".[20]

Nemmeno vogliamo criticare chi ci mette in guardia contro l'abolizione di una certa ingiustizia a cui potrebbe seguire una calamità peggiore, come potrebbe accadere se, ad esempio, i beneficiari del welfare si ribellassero contro un taglio dei loro benefici. Questa è semplicemente un'espressione di prudenza che cerca di evitare più danni alle vittime dello stato di quanto sia già stato loro inflitto. Siamo anni luce distanti dalla parodia dell'approccio gradualista che considera i mezzi di sussistenza degli autori dell'ingiustizia (siano essi assassini, stupratori, schiavisti o solo genitori che si aspettano che la "società" istruisca i propri figli) più importante del libertà delle vittime. Come dice Murray N Rothbard:
Il gradualismo riduce l'obiettivo stesso ammettendo che deve prendere il secondo o il terzo posto rispetto ad altre considerazioni anti-libertarie. Una preferenza per il gradualismo implica che queste altre considerazioni siano più importanti della libertà.[21]

Infatti il difetto principale del gradualismo è che si preoccupa troppo di come venga scossa la nave piuttosto che trattare con i pirati che l'hanno sequestrata. Lo scopo delle idee radicali non è di tenere a galla la nave, ma di venire in soccorso quando affonda. E, come notato in precedenza, la nave della democrazia fortemente socializzata affonderà ad un certo punto. Quando, ad esempio, il comunismo sovietico crollò negli anni '80 -'90, l'ultima cosa che la gente sofferente desiderava era una versione annacquata di ciò che aveva già fallito in modo così catastrofico. Dato che gli accademici occidentali erano stati così occupati a glorificare il marxismo, o a predicare il keynesismo, la grande opportunità di infliggere il colpo di grazia a tutte le forme di socialismo mentre erano in ginocchio è andata sprecata.[22]

In almeno due casi in cui le riforme di libero mercato sono state attuate con successo e sono durate (a Hong Kong con John James Cowperthwaite e in Nuova Zelanda con Roger Douglas, ministri delle finanze nelle rispettive giurisdizioni), le interferenze degli statalisti sono state spazzate via su tutta la linea in un colpo solo. Lo stesso Douglas si prese il tempo di spiegare perché un simile approccio e solo tale approccio è quello meglio funzionante.[23]

In primo luogo, obiettivi chiari e la loro rapida introduzione impedisce a gruppi con interesse speciali di far naufragare il progetto: quando queste persone hanno capito come rispondere ad una particolare riforma, ne era già apparsa un'altra. In secondo luogo, raggiungere quegli obiettivi chiari con salti quantici, piuttosto che passo dopo passo, significava che i loro effetti positivi sarebbero apparsi molto prima, generando un rapido sostegno pubblico. Ciò rendeva inutile qualsiasi tentativo di raggiungere un consenso con i gruppi di interesse prima dell'introduzione delle riforme, che Douglas considerava scarsamente possibile. Ciò demolì anche il problema delle distorsioni economiche residue che persistono quando solo alcune interferenze statali vengono ripristinate in modo frammentario. In terzo luogo, l'effetto valanga del supporto ottenuto dal progresso tangibile e dalla prosperità neutralizzarono completamente l'opposizione; priva della capacità di suggerire qualsiasi alternativa pratica che potesse essere altrettanto buona, si ridusse a blaterare di banalità vuote.[24] E, infine, più si procede rapidamente, più breve è il periodo di incertezza relativa nel contesto giuridico e normativo che consente alle imprese e agli imprenditori di elaborare piani e investire capitale.[25]

Tutto sommato, Douglas ha raggiunto il suo obiettivo mentre i suoi avversari non avevano nemmeno avuto tempo di imbracciare le armi. Il fatto che i risultati parlassero da soli ha dato il via ad un movimento in cui riforme rapide e radicali hanno portato al successo effettivo che, a sua volta, è servito a creare un maggiore sostegno per ulteriori riforme. Ciò era in contrasto con l'approccio del predecessore di Douglas, Robert Muldoon, che avrebbe cambiato le cose solo se nessuno fosse stato danneggiato a breve termine. Così ha finito per cambiare poco.

Siamo in grado di completare questa difesa del radicalismo concedendo sia ai libertari che ai gradualisti il loro miglior scenario possibile. Cosa accadrebbe se l'obiettivo libertario fosse raggiunto in un istante? Cosa accadrebbe se, per imitare uno scenario proposto da Leonard Read,[26] potessimo premere un grosso pulsante rosso che ci consentirebbe di cancellare lo stato immediatamente e senza problemi?

Gli statalisti dicono che la società sfocerebbe nel caos; i gradualisti dicono la stessa cosa. Ma sarebbe necessariamente così? Come abbiamo detto prima, l'esistenza dello stato è un prodotto di una scelta consapevole: è un mezzo per raggiungere determinati fini. Quando lo stato cesserà di fornire i mezzi per raggiungere questi scopi, nessuno si siederà immobile senza cercare un'alternativa. La natura detesta il vuoto e gli essere umani agenti ancora di più.

Pertanto se lo stato dovesse svanire in un istante, potrebbe anche esserci un periodo transitorio di irrequietezza, ma le persone presto prenderebbero provvedimenti per proteggere e difendere le loro proprietà, con questi ultimi mezzi che alla fine sostituiranno la disposizione monopolistica dello stato. Le crepe nell'ordine civile non sono mai durate abbastanza a lungo affinché suddetti mezzi potessero prosperare o cristallizzarsi in organizzazioni formali, ma abbiamo visto la loro genesi in incidenti di rilievo quando la polizia è rimasta impotente, ad esempio a Koreatown durante i disordini di Los Angeles nel 1992, i disordini del Regno Unito nel 2011 e a Ferguson, nel Missouri, nell'agosto 2014.

In ogni caso, non è vero che le persone si astengono dal commettere omicidi e furti ​​semplicemente perché lo stato ci blocca. Senza lo stato il numero di persone disposte a commettere omicidi e furti ​​sarebbe ancora una minoranza. La maggioranza si astiene da questi atti non perché lo stato impedisce loro di compierli, ma perché a) li riconoscono come cattivi e b) al di là dei confini della gratificazione immediata, sono in definitiva controproducenti per mantenere il tenore di vita. L'abolizione dello stato non cambierà questa cosa. Se un sostenitore di un ordine statalista dovesse suggerire il contrario, allora è lecito chiedergli cosa farebbe se lo stato svanisse all'improvviso. Starebbe tra i saccheggiatori? Distruggerebbe le finestre e brucerebbe i negozi? O cercherebbe di creare una parvenza di ordine civile? Se optasse per quest'ultima, per quale motivo supporrebbe che tutti sceglierebbero di saccheggiare? Sbarazzarsi dello stato annichilirà l'unica istituzione che è considerata come l'unico condotto affinché gli atti di violenza possano essere perpetrati legittimamente. Quindi rimuovendo questa faccenda della legittimità, l'immediata distruzione dello stato comporterebbe un rapido miglioramento morale della popolazione piuttosto che la sua regressione nella barbarie.

È interessante notare che i gradualisti in questo caso hanno un argomento più debole degli statalisti veri e propri. Gli statalisti hanno una sfiducia assoluta nei confronti del mercato affinché possa creare un ordine sociale accettabile e quindi la loro conclusione che l'immediata scomparsa dello stato porterebbe al caos ha una certa coerenza. I gradualisti, tuttavia, elogiano quanto siano “efficienti” i privati ​​quando si tratta di fornire più cibo, vestiti, automobili e così via. Ma, per qualche motivo, non si fidano di quegli stessi privati ​​per gestire qualsiasi transizione verso una società libera.



Conclusione

In conclusione possiamo dire che sebbene i principi libertari siano radicali, il percorso per realizzarli potrebbe non essere affatto così radicale. I progetti di statalizzazione centralizzati, come l'UE, tentano di distruggere le basi culturali, consuetudinarie e religiose della civiltà occidentale al fine di sostituirla con i propri monoliti multiculturali, costruiti artificialmente e transnazionali. Sono questi obiettivi che invece vengono rifiutati e definiti troppo radicali dalle popolazioni soggiogate. Sfidandoli, i libertari stanno cercando di impedire che il mondo venga ricreato piuttosto che ricrearlo essi stessi. Inoltre la frenesia di sinistra/statalista è diventata una tale farsa che i politici stanno trovando difficoltà a mandare avanti il loro programma; e che ciò che in precedenza consideravano risultati inverosimili basati solo su un nocciolo di verità, si stanno gonfiando fino a diventare realtà.[27] Ciò non è difficile da capire in un'epoca che si considera immune non solo da consuetudini sociali ben consolidate, ma è anche impegnata in uno sforzo orwelliano per riscrivere la logica di base e il buon senso: che "la libertà di parola" è ora un principio con cui la sinistra concorda; che "tolleranza" significa attaccare violentemente coloro con cui non si è d'accordo; che il "crimine d'odio" è più nefasto di un crimine reale[28]; che la differenza di genere non esiste, o se esiste allora ce ne sono circa cinquanta; che dobbiamo discutere su chi può usare quale toilette. Nell'affrontare tutto ciò sembra che i libertari non debbano apparire radicali e certamente non utopici; invece potremmo semplicemente essere "normali".


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Note

[1] Questo non per dire che una proposizione etica è insostenibile semplicemente per il fatto che è difficile da soddisfare, o che richiede un qualche tipo di trionfo sulle avversità. Né significa che qualsiasi essere umano debba evitare di spingersi oltre i limiti delle sue precedenti conquiste. Ad esempio, le mie abilità a golf sono così basse che mi è quasi impossibile far atterrare la palla sul green piuttosto che nel bunker. Ma i mezzi per migliorare la mia abilità (mazze da golf, il campo da golf e la pratica) sono tutti disponibili, quindi non è "utopico" dire che lo possa fare, anche se mi manca il talento. Niente potrebbe farmi saltare dalla Gran Bretagna alla Cina con i mezzi disponibili ora. Altre proposizioni etiche che si collocano tra questi due punti dovranno essere giudicate caso per caso.

[2] Questo non dovrebbe essere inteso come un'approvazione di una particolare soluzione: l'importante è fornire un'alternativa.

[3] Per un esempio di questo tipo di critica, si veda Peter Corning, "Qual è il problema col libertarismo?" Corning, com'è tipico per tutti coloro che osannano la democrazia, è incoerente. Se la libertà di scegliere si basa "sull'egoismo", allora come possiamo giustificare il principio di un voto per ogni persona? Non è il caso che ogni elettore decida da solo quale governo è migliore? Di conseguenza nessun governo eletto democraticamente non sarà anch'esso un prodotto dell'egoismo?

[4] Per una spiegazione completa sulle organizzazioni di gruppo e della "società" in ottica libertaria, si veda Duncan Whitmore, "Libertarianism and the Collective".

[5] Si veda la nota 3.

[6] Murray N Rothbard, The Mantle of Science, Capitolo 1 in Economic Controversies, p.3. L'esposizione pionieristica dell'azione umana è, ovviamente, l'omonimo trattato di Ludwig von Mises. Si veda Ludwig von Mises, Human Action - a Treatise on Economics, Parte Uno.

[7] Non che ciò sia sufficiente per fermare il tentativo occasionale: https://it.wikipedia.org/wiki/Christopher_McCandless.

[8] Non stiamo suggerendo che la convenienza sia l'unica preoccupazione in questa valutazione. Come vedremo di seguito, le idee e, di conseguenza, la dimensione morale, svolgono un ruolo critico nelle scelte umane.

[9] L'attrattiva del socialismo è sempre dipesa dal fatto che esiste uno stock di ricchezza preesistente, prodotto dal capitalismo e di proprietà di ricchi capitalisti, pronto ad espropriare. Il socialismo ha SEMPRE fallito nello spiegare con precisione come creerà nuova ricchezza.

[10] Per un precedente esempio di queste dinamiche, Rothbard attribuisce la nascita del moderno stato-nazione "all'espansione della produzione e del commercio medievali" tra l'XI e il XIV secolo, cosa che provocò un accumulo di ricchezza e capitale che "fornì grandi tentazioni al potere di impadronirsi e deviare quella ricchezza per i propri scopi non produttivi [sic] […]". Murray N Rothbard, Conceived in Liberty, vol. I, p.7.

[11] Le analisi poco simpatiche di Ralph Raico su Winston Churchill suggeriscono che quest'ultimo era soggetto a questo tipo di pensiero. Si veda Ralph Raico, Rethinking Churchill, in John V Denson (a cura di), The Costs of War - America's Pyrrhic Victories; Ralph Raico, Winston Churchill: An Appreciation, Libertarian Forum, Vol. VIII, n. 8, agosto 1975.

[12] Uno dei commentatori meglio informati sugli aspetti comunitari del libertarismo è il blogger che scrive sotto lo pseudonimo di "Bionic Mosquito". Tuttavia anche lui/lei spiega questi aspetti in termini di "desiderio" di "cultura, tradizione e comunità"; un desiderio che sembra essere parte della "natura dell'uomo" e non si deve a nessuna ragione consapevole. In due articoli su un libro di Robert Nisbet (One Hand Washing the Other e Community Lost), "Bionic Mosquito" trova (almeno in parte) la spiegazione della crescita dello "stato tecnocratico" nella ricerca dell'uomo di un senso di "comunità" seguendo la profanazione di abitudini tradizionali (come "corporazioni, chiese, università, villaggi e famiglia") dalla filosofia dell'individualismo.
Nella misura in cui il liberalismo classico e l'illuminismo hanno enfatizzato troppo il razionalismo e l'individualismo a scapito degli aspetti comunitari della prosperità umana, è vero che i legami comunitari tradizionali sono rimasti ideologicamente vulnerabili. Inoltre possiamo certamente accusare una fiducia sbagliata nell'infallibilità della ragione umana (incarnata, ad esempio, in quello che Hayek definiva "razionalismo costruttivista") per aver dato il via libera agli orrori dell'ingegneria sociale. Tuttavia non è così che tali filosofie sono diventate la causa diretta della fine della comunità. La popolarità dello statalismo/socialismo non è mai nata da un desiderio radicato di "comunità", ma dalla sua promessa di un futuro economico più luminoso. Di conseguenza non è stato l'individualismo a distruggere le organizzazioni locali e tradizionali e che la popolazione ha quindi ricercato il misterioso desiderio di "comunità" nello "stato totalizzante". Invece è stato lo statalismo/socialismo a distruggere queste cose dopo che sono state introdotte dal popolo (tale distruzione è stata effettuata al fine di cancellare i centri di autorità, fedeltà e progresso economico in modo da poter attuare piani concepiti a livello centrale). La Cina, ad esempio, è stata sotto il dominio comunista per quasi venti anni prima di arrivare a vedere la Rivoluzione Culturale. Inoltre l'inevitabile fallimento del socialismo ha portato ad una rinascita dei legami comunitari tradizionali, perché i canali non ufficiali e i favori reciproci erano spesso l'unico modo per superare la carenza di beni di base.

[13] Karl Hess, What The Movement Needs, in Joseph R Peden (Pub.), Murray N Rothbard (Ed.), The Libertarian Forum, 1 luglio 1969, Vol. 1, n. VII.

[14] Pertanto, qualsiasi tipo di associazione volontaria (comunità, club, società, famiglie e così via) insieme alle loro culture, morale, regole ed editti che possono limitare l'azione individuale, sono perfettamente accettati in una società libertaria. Si veda la nota 4.

[15] Joseph R Peden, Liberty: From Rand to Christ, in Joseph R Peden (Pub.), Murray N Rothbard (Ed.), The Libertarian Forum, luglio-agosto 1971, vol. III, nn. 6-7.

[16] José Ortega y Gasset, Revolt of the Masses, pag. 62.

[17] Infatti lo stato non spenderebbe così tanti sforzi nel tentativo di giustificarsi, attraverso la cooptazione di intellettuali ed educatori, se così non fosse.

[18] La teoria politica di ogni gradualista, neoliberista e utilitarista non è sostanzialmente diversa da quella di qualsiasi statalista. Ogni filosofia politica consente la libertà individuale fintanto che non interferisce con fini che il sostenitore della filosofia considera importanti. Questa gente è felice di lasciarci tutti liberi fino a quando questa libertà non si tradurrà in qualcosa che non gli piace.

[19] L'autore ha l'audacia di considerare questo programma, che fa poco più che rimescolare le carte, come "radicale".

[20] Come afferma Hans-Hermann Hoppe: “Compromesso a livello di teoria, come lo troviamo, ad esempio, tra moderati come Hayek o Friedman […] non è solo difettoso filosoficamente ma è anche inefficace nellap ratica e controproducente. Le loro idee possono essere, e in effetti lo sono, facilmente cooptate dai governanti statali e dall'ideologia statalista. […]. In altre parole, il compromesso teorico o il gradualismo porteranno solo alla perpetuazione della menzogna, dei mali e delle bugie dello statalismo, e solo il purismo teorico, il radicalismo e l'intransigenza possono e porteranno prima a graduali riforme e miglioramenti pratici e poi eventualmente alla vittoria finale ”. Hans-Hermann Hoppe, Rothbardian Ethics, cap. 15 in The Economics and Ethics of Private Property, p. 395.

[21] Murray N Rothbard, For a New Liberty, p.380.

[22] Era una barzelletta tragicamente ironica tra gli economisti durante la Guerra Fredda che, in qualsiasi conferenza o vertice in cui l'Oriente incontrava l'Ovest, gli economisti sovietici parlassero di quanto fosse meraviglioso il libero mercato mentre gli economisti occidentali cercavano testi sul socialismo.

[23] La seguente spiegazione si basa sull'analisi di JP Floru del libro Unfinished Business di Douglas. Vedi JP Floru, Heavens on Earth – How to Create Mass Prosperity, pagg. 233-4.

[24] Secondo Floru, il sostegno alla riforma è continuato persino quando gli agricoltori hanno compreso l'importanza dell'assenza dei sussidi statali. Ibid, p. 235.

[25] A questo proposito possiamo vedere gli effetti del gradualismo in azione con la transizione della Gran Bretagna da uno stato membro dell'UE ad una nazione sovrana. I politici sottolineano continuamente la necessità di fornire alle imprese "certezza". Eppure non è quello che un'uscita dall'UE raggiungerebbe in questo momento? Al contrario, è il processo di uscita triennale straziante gestito dallo stato, di cui nessuno ha un quadro chiaro del risultante ambiente legale, che sta causando la maggior incertezza.

[26] Leonard Read, I'd Push the Button.

[27] http://www.digitalspy.com/tv/news/a850775/armando-iannucci-the-thick-of-it-wont-be-return-reason-why/

[28] http://www.breitbart.com/london/2018/01/02/london-police-will-ignore-minor-crimes-unless-hate-crime/

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