Bibliografia

giovedì 31 ottobre 2019

Il capitalismo non alimenta il consumismo sfrenato, è lo stato che lo fa





di Ryan McMaken


Condannare il consumismo va praticamente di moda nei media generalisti di oggi e nella cultura popolare. Chiunque abbia visto "A Charlie Brown Christmas", prodotto nel 1965, sa bene quello di cui sto parlando. Ogni volta che vediamo Charlie Brown che vuol passare un Natale "autentico" (acquistare un piccolo albero di Natale vero piuttosto che uno vistoso in alluminio rosa prodotto in serie) ci viene ricordato che è importante non rivolgersi ai rivenditori aziendali.

Da allora poco è cambiato: "9 modi per resistere al richiamo delle sirene del consumismo", recita un titolo di una rivista; "4 cose da fare invece di fare shopping nella frenesia del Black Friday", recita un altro titolo dell'HuffPo.

Poi c'è Papa Francesco che ha ripetutamente condannato il consumismo negli ultimi mesi, mentre il politico inglese Ken Livingstone insiste sul fatto che il consumismo provoca cambiamenti climatici e quindi "distruggerà il mondo".

Spesso i difensori dei mercati e del capitalismo considerano queste critiche come attacchi diretti ai mercati stessi e spesso si lanciano in appassionate difese del consumismo, come se tale atto sia necessariamente una difesa del capitalismo.

È un errore. Consumismo e capitalismo non sono la stessa cosa, né sono necessariamente collegati.

La sinistra anti-capitalista vuole invece che ci sia questa connessione e vuole generare un'opposizione pubblica nei confronti del consumismo affinché poi possa fungere da opposizione ai mercati in generale. Permettendo alla sinistra di stabilire una connessione tra mercati e consumismo la aiutiamo solamente a perpetuare un falso mito.



Che cos'è esattamente il consumismo?

Troppo spesso il dibattito sul consumismo è carente di precisione. Quindi, prima di poter continuare, dobbiamo prima definire cos'è esattamente il consumismo. Per farlo potremmo consultare Wikipedia, che è generalmente utile per la definizione popolare delle cose. Wikipedia definisce il consumismo come "un ordine sociale ed economico che incoraggia l'acquisizione di beni e servizi in quantità sempre maggiori". Il Mirriam-Webster fornisce anche due definizioni che sono utili per i nostri scopi:
  1. "la teoria secondo cui un consumo crescente di beni sia economicamente desiderabile";
  2. "preoccupazione e propensione all'acquisto di beni di consumo".

In tutte queste definizioni troviamo un certo elemento di insaziabilità: il consumismo è la convinzione che sia una buona cosa aumentare continuamente il proprio consumo di beni.



La teoria che i mercati creino consumismo e dipendano da esso

Queste definizioni sono tutte abbastanza giuste, ma perché il capitalismo dovrebbe essere il colpevole?

Dopotutto è stato spesso associato agli avari ed a teorici di economia che hanno posto una notevole enfasi su lavoro, risparmio e parsimonia. Ebenezer Scrooge è forse il capitalista cattivo più famoso della letteratura inglese. Tuttavia Scrooge è noto per la sua famosa condanna del Natale, proprio perché secondo lui il Natale ha incoraggiato il consumismo. Allo stesso modo i pro-capitalisti della cosiddetta "etica protestante del lavoro" (come descritto da Max Weber) hanno ripetutamente condannato un consumo eccessivo, esaltando il risparmio e il duro lavoro. Gli studiosi hanno sottolineato il ruolo della "parsimonia" come imperativo sia morale che capitalista nella cultura americana durante il diciottesimo e diciannovesimo secolo.

Quindi, se una volta i capitalisti erano associati all'uso prudente del denaro, perché ora sono accusati della presunta ossessione di un consumo infinito?

La teoria che la sinistra usa è sostanzialmente questa: se il capitalismo deve sopravvivere, richiede livelli di consumo sempre maggiori. Se le persone smettono di spendere, il capitalismo crollerà su sé stesso. Questo è il riassunto di una spiegazione (sorprendentemente sgrammaticata) del consumismo presentata da Ahmad Jansiz nel Journal of Politics and Law.

Sfortunatamente per i promotori di questa teoria, tale descrizione del capitalismo è sbagliata.

Sembrerebbe dare una visione accurata di alcuni settori: i produttori di auto di lusso e scarpe di alta gamma traggono vantaggio quando riescono a convincere gli attori sul mercato a consumare cose molto al di sopra e al di là di ciò che Jansiz chiama "bisogni biologici". Allo stesso modo, il bisogno di scarpe eleganti potrebbe essere annoverato tra i cosiddetti "falsi bisogni", giusto per usare la terminologia di Jansiz.

Ma le aziende che vendono abbigliamento costoso e grandi SUV non sono gli unici attori sul mercato. Infatti ci sono aziende che vendono servizi come conti di previdenza o strumenti di investimento progettati per fornire investimenti a lungo termine allo scopo di posticipare i consumi.

Le aziende che offrono fondi pensione e conti di risparmio non sono meno "capitaliste" delle aziende che vendono jeans firmati. Ebenezer Scrooge sorriderebbe senza dubbio di fronte ai fondi pensione, mentre condannerebbe i venditori di auto di lusso.

Quindi perché dobbiamo credere che i mercati e il capitalismo siano incarnati solo dalle imprese che chiedono ai consumatori di spendere tutti i loro soldi in consumo immediato?



Cattiva economia = La convinzione che la spesa alimenti la crescita economica

Risposta: le nozioni popolari di crescita economica insistono sul fatto che un sistema economico sano si debba basare quasi esclusivamente sul consumo.

Questo viene ricordato ogni volta che ci viene detto che la domanda dei consumatori deve essere aumentata per aumentare la crescita economica o sostenere il boom. Ci viene ricordato quando, durante un periodo di crisi economica, gli economisti dicono alle persone che devono spendere, o l'economia crollerà.

A volte questa visione diventa così estrema che ci viene detto che la spesa è il nostro dovere patriottico. Questa non è una semplice iperbole, gli scrittori finanziari ed economici lo dicono davvero. Già nel 2001, ad esempio, quando entrò in scena la recessione e gli Stati Uniti reagirono all'11 settembre, Dick Cheney disse che gli americani non avrebbero dovuto farsi veder deboli agli occhi dei terroristi e non avrebbero dovuto permettere che quello che era successo potesse in qualche modo inficiare la loro quotidianità. Ciò che intendeva in realtà era: "Comprate più roba o i terroristi vinceranno".

La stessa idea è emersa di nuovo nel 2009, quando gli "esperti" di economia hanno insistito sul fatto che il modo di salvare l'economia dalla Grande Recessione fosse una spesa maggiore da parte delle persone. Ci avvertivano che il "paradosso della parsimonia" ci avrebbe condannati tutti ad una depressione perpetua, quindi dar fondo ai propri risparmi era inteso come una sorta di dovere agli occhi della patria.

Ma le economie non funzionano affatto in questo modo. Come ha riassunto Lew Rockwell nel 2010:
Il problema è che la spesa non alimenta la crescita economica. Gli investimenti, che iniziano dal risparmio, sono la radice della crescita economica. Non importa se il consumo rappresenta una certa percentuale di attività economica. Spendere e consumare senza risparmi e investimenti è una ricetta per erodere le prospettive di prosperità futura. La cosa migliore che i ricchi possono fare per un futuro di crescita economica non è spendere, ma di risparmiare mediante gli investimenti.

Ciò dovrebbe essere evidente se riflettessimo su come le persone e le economie diventano più ricchi. Se i lavoratori vogliono spendere in beni di consumo, devono prima produrre abbastanza beni e servizi di valore da ritrovarsi poi un surplus. E come possono i lavoratori produrre beni di maggior valore in meno tempo? Coi beni di capitale: macchine, computer, trattori e fabbriche. Prima che tutte queste cose fossero disponibili, la maggior parte degli esseri umani viveva ad un livello di sussistenza.

Fu solo dopo secoli di accumulo di capitale, reso possibile dal risparmio e dagli investimenti, che ebbe luogo l'industrializzazione e che i lavoratori furono in grado di diventare abbastanza produttivi da produrre e consumare tutti i beni e servizi che ora associamo ad una società orientata al mercato.

Senza risparmio, si deteriora la capacità di mantenere, migliorare, inventare, sviluppare e costruire macchine e fabbriche. E quando questo accade, tutti torniamo al livello della sussistenza.

Alcuni faranno notare: "Ma senza consumo, nessuno comprerà ciò che fanno queste aziende e fabbriche e tutto andrà in crash!"

Sì, è vero che le economie richiedono sia il consumo che il risparmio per funzionare, ma uno non è più importante dell'altro. Fortunatamente i mercati hanno un meccanismo intrinseco per bilanciare risparmi e investimenti e si chiama "tasso d'interesse". I tassi d'interesse sono segnali che il mercato invia ai consumatori e dicono loro se è una buona idea risparmiare o consumare. Quando i risparmi sono scarsi, i tassi d'interesse salgono e i consumatori risparmiano più denaro per trarne vantaggio. Quando i risparmi sono abbondanti, i tassi d'interesse scendono, segnalando ai consumatori che è un buon momento per approfittarne e prendere in prestito di più (es. consumare più auto, case e altri beni).



Quando gli stati intervengono per stimolare più spese

Questo equilibrio va in frantumi quando stati e banche centrali intervengono per "stimolare" l'economia attraverso una maggiore spesa pubblica e attraverso un abbassamento artificiale dei tassi d'interesse.

Questo "stimolo" viene attuato per indurre i consumatori a spendere di più. Ma non è qualcosa che i mercati o i capitalisti possono fare. Richiede l'intervento dello stato e quindi non fa parte dell'economia di mercato.

Non si può negare che ciò porti a maggiori spese... almeno per un po'. Ma questo tipo di intervento centrale produce anche livelli di debito insostenibili, bassi livelli di risparmio e spese eccessive. In altre parole, sono le politiche dello stato che causano quello che ora chiamiamo "consumismo".

Stranamente, però, è al capitalismo e ai mercati che danno la colpa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 30 ottobre 2019

Bravo Donald! Una guerra da cui Washington potrebbe finalmente ritirarsi





di David Stockman


Proprio quando potreste pensare che Donald abbia perso completamente la ragione, ecco che tira fuori un coniglio di razionalità dal suo cappello. Ci riferiamo alla sua ragionevole decisione di rifiutare l'opportunità di mettere in pericolo i soldati americani in una imminente resa dei conti tra turchi e curdi al confine settentrionale della Siria. A nostro ricordo questa particolare inimicizia tribale è andata avanti per secoli e non ha bisogno di alcun aiuto da parte di Washington e rovinarsi negli anni a venire.

Ma già viene attaccato dalle scimmie urlatrici dal Partito della Guerra bipartisan, perché con il ritiro delle forze statunitensi dalle città contese lungo il confine, Trump sta fondamentalmente abbandonando il progetto di cambio di regime sanguinoso, illegale e demenziale dei neocon in Siria.

Ora i curdi dovranno fare un accordo con Assad e i suoi alleati russi e iraniani per contrastare l'incursione della Turchia, compresa la creazione di una "zona sicura" lungo il confine turco che sarebbe vietata alle forze armate curde.

E quindi?

Nella mappa qui sotto c'è la striscia (rossa) dello storico Kurdistan che abbraccia il confine nord-nordorientale siriano/turco. Non c'è assolutamente nulla che metta a rischio la sicurezza della patria americana in ciò che accade in quelle città e villaggi.

Infatti Donald si è ritrovato alle strette tra due fuochi solo perché in precedenza erano stati alleati di convenienza in una guerra di cambio di regime condotta da Washington contro Assad... che non sarebbe mai dovuta accadere tra l'altro.

In sostanza, Washington ha armato e addestrato una milizia curda per respingere la pestilenza del califfato dell'ISIS, il quale aveva invaso le loro città e territori storici, terrorizzando le loro popolazioni con la sua forma demenziale di jihadismo sunnita.

Ma da dove proviene il califfato se non dall'Iraq occidentale, territorio dominato dai sunniti grazie alla distruzione di Washington dello stato iracheno? Washington ha aperto le porte dell'inferno quando ha interrotto il modus vivendi (discutibile, ciononostante efficace) che Saddam Hussein aveva cucito insieme tra sunniti, sciiti e curdi.

Dove l'esercito del califfato dell'ISIS ha ottenuto i mezzi per terrorizzare e occupare ampie zone delle polverose città della Siria settentrionale a est dell'Eufrate?

Dai grandi magazzini di carri armati, artiglieria, veicoli militari, pistole e munizioni lasciati dall'esercito americano quando abbandonò la provincia di Anbar e Mosul; senza dimenticare come tali capacità belliche siano state aumentate dal massiccio flusso di armi fornito dalla CIA ai cosiddetti ribelli moderati, che il più delle volte le vendevano all'ISIS o se le lasciavano indietro mentre si ritiravano dal campo di battaglia.

In breve, il YPG curdo di sinistra ed i suoi aiutanti militari, compreso il battaglione internazionale marxista-terrorista, sono diventati alleati di Washington. Ma questa mossa di opportunismo è nata solo dopo che Washington aveva scatenato su queste comunità curde una piaga che non sarebbe mai esistita se non ci fossero stati progetti di cambiamento di regime neocon (prima in Iraq e poi in Siria).

Inutile dire che una stupidità del genere ne dà vita ad una peggiore. In questo caso la Turchia ha continuato i suoi storici litigi con la famiglia Assad, permettendo al suo territorio di essere utilizzato come linea di rifornimento, addestramento e campo base per l'esercito siriano, che era anche sponsorizzato, addestrato e armato da Washington.


Inutile dire che, in questo angolo etnicamente e religiosamente complesso del Medio Oriente, l'esercito siriano arabo-sunnita (FSA) e le forze democratiche siriane curde-sunnite (SDF) erano dalla stessa parte, ma solo nel senso che tutti loro venivano riforniti dalle armi e dalla sponsorizzazione di Washington.

In realtà la Turchia ha sempre visto l'FSA come uno strumento per contenere l'SDF, per quanto apparentemente fosse una forza di combattimento contro l'ISIS. Questo perché un esercito curdo armato e addestrato dai migliori di Washington è il peggior incubo che i nazionalisti turchi ad Ankara avrebbero potuto immaginare.

Uno degli attriti duraturi in quel fazzoletto di terra è la forte nazione del Kurdistan che non ha uno stato ma annovera tra le sue fila 30 milioni di persone, diffusa tra la Turchia (12 milioni), l'Iran (6 milioni), l'Iraq (6 milioni) e un piccolo frammento di popolazione (2 milioni) nella Siria nord-orientale.

Sfortunatamente i curdi furono tra i pochi a Versailles nel 1919 che non ottennero il loro stato, perché le politiche colonialiste di Francia e Inghilterra preferivano le demarcazioni territoriali e le rispettive sfere di influenza che portarono agli stati artificiali di Libano, Siria e Iraq.

Di conseguenza le popolazioni curde degli stati menzionati poco sopra sono state spesso aggredite a causa del loro status di minoranza; e sono state una forza latente di separatismo e talvolta insurrezione armata, soprattutto in Turchia, dove le inimicizie sono molto antiche e precedono l'arrivo di Colombo in America.

L'unica cosa che si può veramente dire delle ostilità ormai decennali tra il governo turco e le forze curde è che l'America non ha niente a che vedere con questa faida.

Non ci deve interessare prendere le parti di qualcuno, cioè, se Erdogan è un tiranno brutale o i ribelli curdi organizzati sono terroristi, come insiste Ankara.

Ma è dannatamente ovvio che quando Washington armò e addestrò le milizie curde della Siria settentrionale come mercenari per fare morire il mostro dell'ISIS, era solo una questione di tempo prima che la Turchia le attaccasse, come sta facendo ora.

Inutile dire che il Partito della Guerra sta gridando a gran voce il presunto tradimento di Trump nei confronti di un "alleato", ma questa è l'essenza del perché Washington è attaccata alla sua Guerra Infinita.

I repubblicani neocon sono i peggiori, perché sono arrivati ​​a sostenere il YPG curdo di sinistra non perché avesse qualcosa a che fare con la sicurezza nazionale americana o coi valori politici condivisi o l'ideologia, ma per contenere il cancro dell'ISIS creato in prima istanza da Washington e indebolire il regime di Assad nel loro grande piano per il cambio di regime e la divisione della contea per gli obiettivi di Bibi Netanyahu.

Pertanto il senatore Lindsay Graham, il peggiore tra i peggiori nella Città Imperiale, non ha perso tempo e ha subito invocato una rinnovata guerra in Siria. A ciò Donald ha replicato in un modo che dice tutto: "Lindsey vorrebbe rimanere lì per i prossimi 200 anni e forse aggiungere alla pila di cadaveri altre centomila persone".

Infatti, mentre la Turchia ha lanciato il suo attacco contro le posizioni della milizia curda, Trump si è allineato con i non-interventisti guidati dal senatore Rand Paul.

Quindi questa settimana abbiamo assistito al meglio di Donald, il quale ha essenzialmente messo alla berlina le idee folli dell'Impero a cui Washington è così irrimediabilmente schiava. Stiamo andando via dalla Siria, ha insistito Trump, e forse questa volta è vero perché non ha completamente dimenticato le sue promesse elettorali, o perché la nazione è stanca della Guerra Infinita. I suoi tweet meritano di essere letti per intero, perché dice chiaramente che un'antica disputa tra turchi e curdi non ha nulla a che fare con la sicurezza dell'America.

Quell'affermazione particolare, le ancelle bipartisan della Città Imperiale non potevano rispettare perché le città di confine abbandonate dalla frontiera turca sulla frontiera turca sono semplicemente un microcosmo della maggior parte di ciò con cui Washington imperiale si impegna. In altre parole, le altre persone litigano che non minacciano né la pace del pianeta né la libertà e la sicurezza degli americani domiciliati in modo sicuro tra i grandi fossati oceanici.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 29 ottobre 2019

Una tassa sulla ricchezza erode il capitale





di Keith Weiner


Sembra che non ci si possa fare un nome tra i ranghi della Sinistra se non si propone almeno una volta una tassa sulla ricchezza. Accademici come Tomas Piketty l'hanno proposta e ora anche i candidati democratici alla presidenza negli Stati Uniti la propongono, mentre Jeremy Corbyn la propone nel Regno Unito. A luglio il Venezuela ha infine aggiunto un'imposta sul patrimonio.

Ma come funziona una tassa sul patrimonio? I politici cavillano tra loro, come se i piccoli dettagli di attuazione tra le varie giurisdizioni siano importanti, ma condividono l'idea chiave: il fisco deve andare da quelle persone che hanno ricchezza e prenderne un po'. E l'anno successivo poi torna e ne prende di più, e così via.

Dovrebbe essere ovvio come tutto questo sia moralmente sbagliato, ma concentriamoci sull'economia. Per farlo, dobbiamo approfondire la natura della ricchezza. Cos'è la ricchezza?

Il socialista direbbe che è un mucchio di beni di consumo che i ricchi intendono consumare avidamente e non condividere con tutti gli altri. Come se avesse immagazzinato potere d'acquisto. Non è letteralmente un mucchio di beni di consumo, ma qualcosa che in futuro può essere scambiato con beni di consumo.

Tutti si immaginano una Bentley, un jet, un vino Bordeux e un attico in un grattacielo a New York. Hanno torto. Il consumo è l'effetto della ricchezza, non la causa e nemmeno la sua natura.



La Legge di Say

L'economista Jean Baptiste Say, all'inizio del XIX secolo, sottolineò una di quelle verità universali che oggi viene spesso ricordata come: "L'offerta costituisce la propria domanda".

Questo concetto viene spesso frainteso, spiegandolo come l'offerta aggregata va a creare una domanda aggregata (specialmente in un contesto di pianificazione centrale). Ad esempio, se la Direzione della Pianificazione ordina la produzione di 1.000.000 di pneumatici di una taglia, allora i conducenti di auto li richiederanno.

Say aveva un altro modo di riassumere la sua Legge: "I prodotti sono pagati con i prodotti".

In altre parole, per consumare bisogna prima produrre. Cosa potete consumare? Potete consumare ciò che producete, o ciò che qualcun altro produce e che è disposto a scambiare con ciò che producete. Se coltivate 1.000 mele, potete mangiarne 1.000. Oppure se volete scambiare 100 mele con 100 patate, potete consumare 900 mele e 100 patate.

Se non producete nulla, non potete consumare nulla. I socialisti considerano questa Legge una sorta di ingiustizia e cercano di porvi rimedio con una varietà di mezzi, inclusa una tassa sul patrimonio.



Ricchezza come beni di consumo

Quindi considerano la ricchezza come beni di consumo. E molti di coloro che ipotizzano di aumentare il loro potere d'acquisto, cioè di ricevere la ricchezza altrui convertita in reddito, sono d'accordo. La ricchezza è potere d'acquisto in base a questa prospettiva. Il modo per massimizzare il valore di un'azienda agricola, secondo questo punto di vista, è di venderne i pezzi per acquistare generi alimentari.

Pensiamo che un'azienda agricola debba essere gestita per coltivare alimenti, non essere liquidata per acquistare generi alimentari.

Questo esempio ci dà un'idea della ricchezza: una fattoria non è un mucchio di beni di consumo, immagazzinati, in attesa di essere consumati; non viene immagazzinato potere d'acquisto. È un bene capitale, non usato per il consumo ma usato per produrre altri beni.

Il capitale aggiunge leva allo sforzo umano. Oggi non lavoriamo più duramente di quanto facessero nel mondo antico, ciononostante produciamo molto di più. Proprio perché abbiamo accumulato una grande quantità di capitale.

Questo è ciò che Thomas Piketty, Elizabeth Warren, Bernie Sanders, Jerry Yang e Jeremy Corbyn vogliono portare via. E lo scopo di separare la ricchezza (il capitale) da coloro che ce l'hanno, non significa semplicemente metterla nelle mani dello stato. Non è il semplice mantra di possedere i mezzi di produzione.

Significa consumarla.

Secondo le stesse parole della Warren et al., ci sono milioni di persone a cui manca il cibo, l'abitazione e le cure mediche di cui hanno bisogno. Quindi cercano di prendere il capitale dei ricchi per pagare tutto questo. Lo fanno anche per prevenire il riscaldamento globale, la plastica negli oceani e altri mali ambientali. (Inoltre lo fanno per correggere la disuguaglianza, cioè rendere i ricchi più simili ai poveri, ma non è una tesi che affronteremo qui).

In realtà lo consumano.



Liquidazione

Facciamo un esempio. Supponiamo che Richard Filthy possieda una fattoria di 1000 acri. Richard è ricco e per renderlo meno ricco e nutrire gli affamati, curare i malati e curare la Terra, il governo gli sottragga ogni anno il 3% della sua ricchezza. Supponendo che Richard non abbia altro che la sua fattoria, allora può pagare questa tassa o vendendo un po' di terra oppure indebitandosi.

Quindi Richard vende alcuni acri per soddisfare la voracità assassina del fisco. Fa la stessa cosa l'anno successivo, e così via.

Dopo 24 anni Richard si ritrova meno della metà della fattoria, ma probabilmente è peggio di così. Se la fattoria di 1.000 acri è stata sufficiente per sostenere il suo stile di vita, man mano che la superficie si riduce deve integrare il suo reddito agricolo cercando di vendere più di quello che prende il fisco (cosa che fa scattare le sirene del fisco sul suo reddito).

In questo esempio la terra non è utilizzata per coltivare cibo dopo che è stata venduta. Lo stato ci ospita i senzatetto, quindi converte i terreni agricoli in lotti abitativi. La terra è stata sottratta all'uso produttivo. Una casa è un bene durevole, ma è pur sempre un bene di consumo.

Ora prendiamo in considerazione il fratello di Richard, William. Anche lui vende un po' di terra per pagare il fisco. L'acquirente è Happy Debtmore, un agricoltore che sta espandendo la sua superficie. Almeno non c'è distruzione della produzione alimentare in questo caso.

Ma come fa Debtmore a pagare William visto che anche lui viene privato del 3% del suo capitale ogni anno? Va alla ConBank di Conversionville.

La banca ha molti fondi da prestare a buon mercato, perché la città ospita numerosi riciclatori di attrezzature agricole. Comprano trattori da Richard e William, visto che le aziende agricole sono diventate più piccole e hanno bisogno di meno trattori. Le aziende agricole, però, hanno bisogno di soldi e quindi si rivolgono ai riciclatori di Conversionville.

I riciclatori le pagano e poi vendono alcune delle parti per creare oggetti d'arte dove possono, e fondono il resto e lo vendono alle acciaierie. Con l'imposta sulla ricchezza che schiaccia gli agricoltori, i riciclatori fanno affari e depositano molti contanti nella ConBank.



Incentivi perversi

Quindi Debtmore accende un prestito per acquistare i terreni agricoli di William. La tassa sul patrimonio è perversa, perché trasferisce la terra da un agricoltore prudente ad uno accecato dal debito. E la tassa sul patrimonio non ha alcun impatto su Debtmore: ha una passività, il prestito, per bilanciare il patrimonio fondiario. Quindi la terra aggiuntiva non si aggiunge al suo patrimonio netto e il fisco la ignora. Tutto funziona a condizione che gli interessi passivi siano inferiori alle entrate aggiuntive derivanti dalle vendite delle colture.

Abbiamo detto che non vi è alcuna distruzione della produzione alimentare. Questo è vero, ma solo nel contesto limitato dei terreni agricoli di William Filthy, venduti a Happy Debtmore. Quando guardiamo al quadro generale, vediamo che il prestito di Debtmore è possibile perché qualcun altro sta distruggendo il capitale (che in questo esempio è il capitale utilizzato nella produzione alimentare, ma non è necessariamente così).

A parte ciò, si potrebbe obiettare che le banche prestino risparmi e che il risparmio non sia liquidazione del capitale. È vero, in un mondo normale le persone non fondono trattori agricoli funzionanti per il valore dell'acciaio alla base, arricchendo alcuni riciclatori e impoverendo gli agricoltori ed i loro clienti. Ma questo non è un mondo normale ora c'è una tassa sulla ricchezza.



Preservare il potere d'acquisto

Ed è un mondo con una banca centrale e un tasso d'interesse in calo. Quindi torniamo a Richard Filthy. Supponiamo che il tasso d'interesse stia scendendo abbastanza velocemente da far salire i prezzi dei terreni dell'1,030928% all'anno (gli asset vanno su quando gli interessi scendono).

Ad esempio, un acro inizialmente vale $1.000 e Richard ha 1.000 acri, quindi la sua fattoria vale $1,000,000. L'anno successivo è costretto a vendere il 3% della sua terra, ma la FED spinge un aumento proporzionale del valore di un acro di terra. Quindi il 3% di terreno in meno vale lo stesso di prima, e così via. La sua fattoria rimane allo stesso valore di $1.000.000, anno dopo anno.

Dopo 24 anni Richard rimane con soli 496 acri, ma grazie alla FED ognuno di esso vale $2.015. La fattoria molto più piccola, al prezzo del terreno molto più alto, vale ancora $1.000.000. Richard dovrebbe esserne contento?

Ciò ci illustra il concetto di rendimento del potere d'acquisto. Un terreno che vale $1.000.000 ora produce metà del raccolto rispetto a prima.

Coloro che pensano solo in termini di valore della liquidazione, il potere d' acquisto degli acri in diminuzione, non comprendono il dolore di Richard. Pensano che abbia ancora una fattoria del valore di $1.000.000 e che conservi gli stessi beni di consumo di prima.

Ma quelli che pensano come un contadino sanno che la fattoria di medie dimensioni produce metà del grano e genera la metà del reddito per la sopravvivenza di Richard.



Invidia

Questo non è un difetto, è un pregio. Thomas Piketty ha proposto la sua tassa sulla ricchezza non per pagare il costo per curare Madre Gaia, ma per correggere un grande errore: "R > G"

R è il tasso di rendimento del capitale e G è il tasso di crescita dell'economia. Piketty è come una vittima di un incidente che dopo essere rimasto in coma per decenni, all'improvviso si sveglia e osserva un fatto casuale (nel nostro caso, il tasso di rendimento del capitale è superiore alla crescita economica). Ma, essendo stato in coma per decenni, non nota che abbiamo una banca centrale che ha presieduto un calo dei tassi d'interesse. E non pensa che l'interesse decrescente provochi un aumento del prezzo degli asset.

Quindi Piketty propone una tassa sul patrimonio, che in teoria dovrebbe rimediare a questa malattia immaginaria secondo cui i ricchi si arricchiscono ad un ritmo più veloce di quanto cresca l'economia. Inutile dire che si sbaglia di grosso. Un raddoppio del prezzo della terra non rende Richard più ricco; significa solo che la liquidazione dei terreni consentirà di acquistare il doppio dei generi alimentari.

I politici non sono così eruditi come accademici del calibro di Piketty. Non scrivono formule pseudo-matematiche, fanno invece appello all'invidia. Alcune persone non sono felici quando altri hanno qualcosa. Ci viene in mente una vecchia battuta sovietica: "Un contadino scavando in un campo trova una lampada magica. La sfrega ed esce il genio: “Ti concederò un desiderio, ma qualunque cosa farò per te la raddoppierò al tuo vicino". "OK, allora accecami un occhio."



Consumo di capitale

Qualunque sia la motivazione alla base di coloro che sostengono una tassa sul patrimonio, possiamo dire che toglie il capitale a coloro che ce l'hanno. E possiamo dire che questa sottrazione è una conversione del capitale produttivo in reddito, il quale può essere consumato dagli altri.

La tassa sul patrimonio significa consumo di capitale.

Quello che abbiamo detto molte volte sul calo dei tassi d'interesse e sull'aumento dei prezzi degli asset. Ogni nuovo speculatore investe il proprio capitale sul venditore di un bene, che poi lo consuma come reddito. Gli speculatori lo fanno perché si aspettano che gli speculatori successivi diano loro ancora più capitale. Con ogni aumento del prezzo degli asset, il capitale di qualcuno viene convertito in reddito di qualcun altro e consumato.

Il socialismo, sotto forma di banca centrale o confisca della ricchezza, è un processo deliberato e intenzionale di consumo di capitale.

Al socialismo non deve essere permesso di consumare il nostro prezioso capitale ed erodere la base da cui dipende la nostra civiltà. Nessuno sa quando si verificherà il momento del collasso, ma possiamo affermare con certezza che questa è la fase finale del socialismo. Come in Venezuela.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 28 ottobre 2019

Davvero il debito pubblico lo dobbiamo a noi stessi?





di Bill Bonner


YOUGHAL, IRLANDA - Oggi parleremo di qualcosa a cui nessuno tiene, anche se minaccia di provocare la più grande calamità finanziaria nella storia degli Stati Uniti:

Il debito.

Il debito totale degli Stati Uniti, pubblico e privato, si avvicina ora ai $74.000 miliardi. L'economia che sostiene questo debito è cresciuta costantemente, ma non abbastanza velocemente da tenersi al passo.

Come abbiamo osservato ieri, il denaro in fondo è anche tempo. Quando dovete soldi a qualcuno, il vostro debito in verità è in termini di tempo. E il tempo non è qualcosa con cui si può scherzare. Viene e va... non importa cosa pensate o cosa fate.

Nel corso della storia gli americani hanno dovuto 1,5 giorni di lavoro in futuro per ogni giorno di lavoro nel presente. Cioè, il rapporto debito/PIL è stato in media di circa 1,5 a 1 per i primi otto decenni del 20° secolo.

Quindi il debito è aumentato e ora si attesta a 3,5 giorni di PIL futuro per ogni giorno di produzione nel presente.

Siamo finiti ​​in qualche grande e glorioso Valhalla, dove le vecchie regole non si applicano più, dove il debito non conta più... o dove il tempo non è più il nostro padrone, ma il nostro servitore?

Wow... stiamo andando un po' troppo in fretta. Rallentiamo.

Ci sono due ragioni per cui si dice che il debito non è un problema. La prima, fornita dall'economista Paul Krugman et al., è che "lo dobbiamo a noi stessi". La seconda, proposta da Donald Trump, dall'economista Gale Pooley e altri, è che "ne usciremo attraverso la crescita economica".

La prima possiamo facilmente gettarla nel cestino. Che "lo dobbiamo a noi stessi" è semplicemente un'identità contabile. Per ogni debitore, c'è un creditore. Per ogni dollaro di debito, esiste un dollaro di credito. Per ogni numero negativo sul lato sinistro del libro contabile, ce n'è uno positivo sul lato destro.

Ma allora? Questo è solo il modo in cui i contabili tengono su la contabilità. Nel mondo reale il "noi" è ingannevole. Alcune persone devono e ad altre persone è dovuto.

John lavora per 20 anni, risparmia i suoi soldi, li presta a Tom, John ha un credito pari al debito di Tom. "Siamo" pari.

John pensa di avere 20 anni di lavoro e risparmio che pensa gli torneranno indietro, su cui intende andare in pensione. E supponendo che Tom sia in grado di guadagnare e risparmiare denaro allo stesso ritmo di John, il primo dovrà dedicare 20 anni di lavoro futuro e risparmio per saldare i conti col secondo.

Tutto il debito è essenzialmente un contratto tra passato e futuro. Il denaro può essere prestato solo se è stato guadagnato in passato. Quindi può essere rimborsato solo se lo si guadagna di nuovo... in futuro.

E se Tom non potesse pagare? Venti anni di lavoro e risparmi andrebbero persi. Di conseguenza il mondo sarà più povero e il povero John dovrà continuare a lavorare il più a lungo possibile.

In termini di contabilità, Tom deve ancora a John esattamente lo stesso importo che ha preso in prestito... e John potrebbe avere un credito esattamente uguale all'importo che ha prestato.

Ma non ha senso in realtà. Un debito che non può essere rimborsato, che sia dovuto a "noi stessi" o al re del Siam, è inutile.

Ma aspettate... John cancellerà il debito, perderà i suoi soldi, ma Tom sarà liberato dal suo obbligo di pagamento. John sarà più povero, ma Tom sarà più ricco. Tutto pari, giusto?

No. Tom ha preso i risparmi di John e li ha spesi. Quella ricchezza non esiste più. "Noi" siamo più poveri.

Ora diamo un'occhiata all'altra menzogna: "Ne usciremo attraverso la crescita economica".

Come sottolinea Krugman, durante la seconda guerra mondiale il governo degli Stati Uniti prese in prestito un'enorme quantità di denaro, ma nei decenni seguenti l'economia crebbe più velocemente del debito. Così come un idolo di un film che invecchia, il debito dell'era della Seconda Guerra Mondiale scomparve.

Nel 1948 misurava il 126% del PIL; nel 1980 si era ridotto al 42% ed era a malapena riconoscibile.

Ma "crescere per uscirne" funziona solo se l'emergenza passa e se il PIL cresce più rapidamente del debito.

Attualmente, senza bombardieri giapponesi in testa e senza carri armati della Wehrmacht che attraversano gli Champs-Élysées, il PIL degli Stati Uniti sta crescendo di circa il 2% all'anno. Il debito degli Stati Uniti, tuttavia, sta crescendo a circa $1000 miliardi all'anno... o circa il 5%.

E come abbiamo sottolineato ieri, questa esplosione di debito si sta verificando meno di due anni dopo che una forte riduzione delle tasse avrebbe dovuto favorire la crescita del PI ... e mentre siamo alla fine di un boom di 10 anni.

Cosa succederà quando il boom finirà?

Ci arriveremo tra un minuto... Innanzitutto che dire della tesi di Pooley?

Dice che le misure del PIL non tengono conto dei miglioramenti tecnologici... e che grazie ai tanti progressi il debito non sarà un problema. Dopotutto il nuovo iPhone è 120 volte più potente del primo e il nuovo F-150 ha 600 microchip. Sicuramente questo aiuterà Tom a pagare i suoi debiti, no?

Vediamo... come funziona?

In teoria, diranno i tecnofili, l'innovazione e le invenzioni daranno a Tom un tasso di rendimento più elevato per il suo tempo. Ciononostante non si può ripagare i debiti con la potenza di calcolo. Li si ripagano con i soldi. E da dove vengono i soldi? Tempo e lavoro.

I tassi di crescita salariale sono diminuiti negli ultimi 40 anni e nonostante più innovazioni che mai nella storia, i salari reali oggi non sono superiori a quelli degli anni '70.

Ora, alla fine di questo ciclo, si dice che i salari crescano di circa il 5% all'anno, ma non appena arriverà la crisi suddetta crescita salariale scomparirà rapidamente... proprio come il debito aumenterà ancora di più.

E poi cosa? Tutti sanno cosa accadrà...

Non importa chi sia il presidente, gli Stati Uniti sono finiti in una trappola "Inflaziona o muori" e nessuno vuole che il boom muoia. Quindi non si farà altro che inflazionare di più...

Quantitative easing, attività per costruire cattedrali nel deserto... crediti d'imposta... cancellazione del debito degli studenti... previdenza sociale sempre più ingombrante... e tutti gli altri sprechi che dovrebbero rendere più facile per Tom saldare i suoi conti!

Nella prossima crisi i deficit statunitensi saliranno a $2000 miliardi o più all'anno. Il debito pubblico salirà a $40.000 miliardi... e oltre. Il debito totale, incluso il debito delle imprese e delle famiglie, supererà i $100.000 miliardi.

A poco a poco... e poi all'improvviso... i prezzi al consumo saliranno e poi sarà un gioco completamente nuovo...

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


venerdì 25 ottobre 2019

La via verso la schiavitù: come imboccarla e come deviare





di Francesco Simoncelli


C'era un tempo, che ci crediate o meno, in cui gli economisti svolgevano la loro professione osservando semplicemente ciò che li circondava e arrivando quindi alle conclusioni. Non si sostituivano alla realtà. Osservavano e cercavano di capire, non si sarebbero mai sognati, ad esempio, di dirci a che altezza sarebbe dovuto essere il tasso d'interesse; questo parametro di riferimento è sempre stato in piena evoluzione. È scoperto, non centellinato alla seconda cifra dopo la virgola. Poi, però, è arrivata la cosiddetta "economica moderna", con tutto il suo carico di formule, matematica, equazioni, statistica, dati, ecc. L'apparente irrazionalità dell'economia di colpo poteva essere trasformata in un ordine razionale e addirittura controllata. La fama, la fortuna e il richiamo del potere ha attirato questa categoria lungo una china pericolosa per l'ambiente economico nel suo complesso ed i risultati disastrosi sotto i nostri occhi sono l'esempio più fulgido di questa deriva.

Da semplici osservatori, sono passati all'essere scienziati il cui laboratorio è diventato l'economia del mondo intero; gli attori di mercato sono stati trasformati in presunte cavie in questo gigantesco esperimento. Il lato sociale è stato completamente depennato dalla caratterizzazione dell'economia. Ora gli economisti vengono pagati fior di denari per consigliare, pontificare, direzionare e manipolare intere economie. Keynes è stato l'alfiere di questo pensiero e l'ha messo su carta quando nel 1936 ha pubblicato la sua Teoria Generale. Attraverso l'incensazione accademica delle politiche anticicliche, si è consegnato nelle mani di un gruppo ristretto di persone la "validità scientifica" di poter condurre verso lidi di prosperità intere economie. Paul Samuelson ha poi aggiunto maggiore rigore matematico e accademico alla professione, cosa che gli valse il premio Nobel sulla scia della sua previsione: "Entro e non oltre il 1997 l'URSS supererà gli Stati Uniti". Sappiamo tutti com'è andata a finire...

Questa filosofia dell'interventismo è arrivata fino ai giorni nostri e non senza estremi di follia, dovuti semplicemente al fatto che le persone dietro queste macchinazioni stanno perdendo il controllo. Perché non lo mettono mai in conto? Non dovrebbero essere presumibilmente onniscienti? E invece abbiamo profeti di un nuovo mondo del calibro di Piketty secondo cui i ricchi non dovrebbero affatto esistere, che addirittura sono la sventura del nostro tempo. Non sorprende che questo demente stia consigliando Elizabeth Warren (che molto probabilmente diventerà presidente degli USA nel caso in cui dovesse arrivare la recessione prima del novembre del prossimo anno), la quale già pensa ad aliquote fantasiose per "punire" i ricchi.

Ma non è finita qui, perché tra le fila di questi pazzi e tra quelle dei banchieri centrali, come Draghi e la Lagarde ad esempio, si sta facendo strada anche la soluzione "Keynes sotto steroidi": la MMT. In sostanza, uno stato può spendere come se non ci fosse un domani visto che può emettere offerta di moneta senza andare in bancarotta e una volta che salta fuori l'inflazione dei prezzi pareggiare le cose con una tassazione selvaggia.



LA PAROLA AGLI SCHIAVISTI

L'idea chiave della MMT è che lo stato debba controllare l'emissione della sua valuta e in quanto tale possa essere disconnesso dalla possibilità di fallire, perché può sempre emettere denaro per pagare i suoi creditori. Lo stato potrebbe quindi permettersi qualsiasi spesa, proprio perché grazie al suo monopolio sul denaro non può rimanere senza soldi. In un certo senso è vero, ma questo è il motivo per cui sentiamo parlare di iperinflazione e l'esempio più recente è il Venezuela, che non solo ha esercitato la sua sovranità monetaria, ma lo ha fatto su larga scala. Non è un caso, poi, che anche lo Zimbabwe ci sia ricascato. Inoltre questo discorso si applica anche alle banche centrali, per le quali si dice lo stesso che non possano andare in bancarotta. Una banca centrale può tecnicamente coprire tutte le sue perdite, ma può farlo solo attraverso un'inflazione elevata, distruggendo il sistema monetario e compromettendone la credibilità.

È vero che la MMT riconosce il rischio dell'inflazione, ma presuppone che questo genio possa uscire dalla lampada solo quando l'economia raggiunge la piena occupazione; ma anche così non dovremmo preoccuparci, perché in questo caso lo stato può facilmente ridurre l'inflazione aumentando le tasse. Ecco alcune domande... Quando si saprà che l'economia ha raggiunto una produzione potenziale inosservabile ed è tempo di aumentare le tasse? Perché un aumento delle tasse, che sono trasferimento di denaro dal settore privato a quello pubblico, fermerebbe l'inflazione con un'offerta di moneta invariata? Che dire dell'inflazione dei prezzi degli asset e dell'ammortamento del tasso di cambio? Che dire di tutte le controversie sulla Curva di Phillips? E, ultimo ma non meno importante, perché dovremmo credere che uno stato con sovranità monetaria illimitata smetterà di stampare denaro e aumenterà le tasse non appena il tasso d'inflazione supererà un valore determinato arbitrariamente?

Un'altra preoccupante carenza della MMT è che confonde il denaro con il capitale. È vero che lo stato ha potere di stampare denaro, ma il denaro non è capitale reale. Le banconote o le cifre elettroniche non rappresentano ricchezza reale, sono mezzi di scambio che ci permettono di scambiare informazioni in modo più efficiente e sbrigativo (in questo caso la nostra produzione con quella di qualcun altro). È importante solo la quantità di beni e servizi che possiamo permetterci. Lo stato può pompare qualsiasi somma di denaro nell'economia, ma non può rimuovere la scarsità di risorse e creare magicamente nuovi beni. I sostenitori della MMT si lamentano della scarsità di beni, ma ciò non deriva da "interessi di classe": è un problema fondamentale dell'economia e della sua ragion d'essere, quindi l'aumento dell'offerta di moneta non risolve questo problema. L'inflazione e l'Effetto Cantillon ridistribuiscono le risorse da un gruppo di persone ad un altro.

L'affermazione secondo cui la MMT incarni l'alternativa migliore all'economia mainstream è quindi un pio desiderio. Un'analisi economica approfondita dimostra che la MMT è una combinazione di vecchie ovvietà (lo stato può aumentare indefinitamente l'offerta di moneta) e nuovi concetti, con conseguenti implicazioni per la macroeconomia e la politica economica. Malgrado ciò, si sta rivelando lo strumento ideale affinché gli schiavisti moderni possano imbrigliare la popolazione e portare alle estreme conseguenze il loro esperimento monetario.



LA VIA VERSO LA SCHIAVITÙ

La deriva verso cui sta scivolando il panorama economico è quella delineata da Mises nel suo fantastico libro degli anni '50, Planned Chaos, dove spiegava accuratamente come esistessero solo due tipi di economie: una libera e una di comando. La follia, l'assurdità, il distacco dalla realtà sono tutti ingredienti che stanno caratterizzando lo spostamento continuo verso un'economia di comando, le cui singole componenti devono essere "misurate" peculiarmente pena una perdita di controllo. Questo a sua volta significa giustificazione di tutta una serie di misure draconiane che andranno a limitare lo spazio di manovra degli attori di mercato. Il tutto in nome della cosiddetta stabilità dei mercati. Si gioca con la semantica, l'unico obiettivo dei pianificatori centrali è quello di non agitare troppo le acque e continuare ad esercitare tutti i loro privilegi acquisiti.

Ma a lungo andare questo tipo di organizzazione ha un prezzo: l'economia viaggia su binari paralleli. Viene ad esistere un'economia reale e vicino si sviluppa quella che viene raccontata/manipolata. Per capire meglio questo aspetto, basta spostare un attimo l'attenzione sul settore auto. Ad oggi acquistare un'auto significa sborsare in media $30.000 e dato che lo stipendio medio di un lavoratore è di $23 l'ora, stiamo parlando come minimo di 1300 ore di lavoro per acquistare un mezzo basilare. Quando Ford produsse per la prima volta la Model T costava $850, ma già nel 1925 grazie alla sue linee di produzione riuscì a far scendere il prezzo fino a circa $350. All'epoca il salario medio era di circa $1,50 e questo significa che bastavano solo 300 ore di lavoro circa per potersi permettere una macchina.

Non solo, ma l'aspetto peggiore è come il metodo di consumo sia cambiato man mano che l'economia è passata dall'essere libera a diventare di comando. Risparmio, duro lavoro e contanti sono diventati una reliquia del passato, lasciando spazio a tutta una serie di nuovi arzigogoli finanziari in grado di mettere credito nelle tasche di chi non ha il becco di un quattrino. Grazie alle evoluzioni nei mercati del credito, il povero acquirente è stato spinto ad indebitarsi sempre di più e ora è schiavo di prestiti studenteschi, prestiti immobiliari, prestiti al consumo e soprattutto prestiti per auto. Non appena si avvicina alla fine di un prestito, deve accenderne uno nuovo.

Il debito alla base dei prestiti per auto è quasi raddoppiato dal 2009 e tutto questo debito aggiuntivo (circa $720 miliardi) ha solo riportato le vendite ai livelli pre-crisi.


In altre parole, l'unico modo per rimanere nello stesso posto è aggiungere debito e l'unico modo per farlo coi finanziamenti per le auto è allungare i pagamenti. Ma alla fine del termine il valore collaterale dell'auto è compromesso e come per i prestiti ipotecari del 2007, è probabile che gli investitori finiscano con molto meno di quanto si aspettassero. Il debito auto e il debito degli studenti totalizzano circa $1.300 miliardi ed entrambi colpiscono soprattutto i giovani. Sempre più politici stanno iniziando a proporre la cancellazione di tali debiti, un buon modo per ottenere voti ovviamente... ma chi sopporta le perdite? Ogni centesimo di debito per auto cancellato è un penny aggiuntivo al debito federale, il quale è già salito di $12.000 miliardi dalla Grande Recessione e continua a salire oltre $1.000 miliardi all'anno. E cosa succederà quando tutte queste idee bislacche faranno andare a carte quarantotto i vari sistemi di debito planetari?

Le banche centrali stanno pianificando maggiori tagli dei tassi d'interesse, in una coordinazione di azione che non si era mai vista nella storia mondiale. La Banca del Giappone, spaventata dai risultati dell'asta obbligazionaria ad inizio mese, si prepara a riacquistare i JGB; la Francia sta esaminando un vasto programma di incentivi fiscali; Germania e Gran Bretagna potrebbero già essere in recessione e saranno costrette a fare "tutto il necessario" per rilanciare la crescita economica; la Danske Bank sta introducendo il primo mutuo a tasso fisso negativo; il Ministero delle Finanze tedesco ha espresso delusione per la mancanza di domanda per le obbligazioni trentennali a cedola zero; gli Stati Uniti e la Svezia stanno prendendo in considerazione l'emissione di obbligazioni a cento anni; il Consiglio direttivo della BCE ritiene che l'inflazione sia troppo bassa e la crescita anemica.

I processi di mercato sono processi sociali e gli esseri umani sono attori economici per i quali la soddisfazione attuale è una condizione preferibile ad una soddisfazione futura. I tassi d'interesse non rappresentano altro, quindi affermare che possa esistere un tasso d'interesse naturale negativo significa che, data la scelta tra ricevere $100 oggi o $10 tra un anno, gli attori economici scelgano la seconda. Il tasso d'interesse naturale è una sorta di aggiustamento del valore personale, un confronto tra la valutazione presente di un desiderio con uno successivo. Sebbene questo confronto possa cambiare è sempre e comunque positivo. Non scompare e non diventa mai negativo.

I tassi d'interesse positivi sono una funzione dell'intersezione di desiderio infinito, disponibilità limitata e mortalità. I tassi d'interesse negativi rappresentano una corruzione del calcolo economico.

Su vasta scala i tassi d'interesse negativi permettono a molte aziende e progetti che sarebbero falliti in condizioni normali (e in presenza di tassi d'interesse positivi) di continuare ad operare come se niente fosse. Il fallimento e la liquidazione che le politiche delle banche centrali cercano di prevenire liberano invece capitali per nuove imprese e progetti, i quali mantengono sempre viva l'innovazione e premiano chi amministra in modo più efficiente il capitale. Ritardando o contrastando le forze della distruzione creativa, i tassi d'interesse negativi comportano una carenza di investimenti e una mancanza di opportunità. I segnali del mercato sono corrotti e la crescita economica ne risente.



Capite benissimo che i tassi d'interesse fanno molto di più che influenzare semplicemente i tassi di risparmio ed il semplice consumo. I tassi d'interesse coordinano le decisioni di investimento, la produzione ed il consumo nel tempo, che vanno dai beni di consumo più complessi ai quelli più semplici. Gli individui e le imprese effettuano scelte in base a prezzi che, a loro volta, sono influenzati dai finanziamenti. Queste scelte inviano segnali ai produttori in tutta l'economia in merito a cambiamenti nei gusti e nelle preferenze.

La maggior parte delle banche accetta depositi a breve termine e concede prestiti a lungo termine. Le entrate e gli utili netti (profitti) delle banche dipendono pertanto dal differenziale tra il tasso che addebitano ai mutuatari e il tasso che pagano ai depositanti. Con tassi d'interesse negativi, le banche dovranno trovare un modo per recuperare le entrate perse; ma se applicano un tasso d'interesse negativo ai depositanti, sperimenteranno un deflusso di risparmi depositati. I dirigenti bancari si trovano di fronte ad una decisione non invidiabile: chiedere prestiti per soddisfare i depositanti in uscita, oppure liquidare le strutture e ridurre il personale. Entrambe queste scelte non farebbero che diminuire la fiducia nella banca e accelerare il ritiro dei risparmi.

La soluzione potrebbe quindi essere quella di mantenere alti gli utili allargando il differenziale tra i tassi di deposito e quelli di prestito, caricando tassi negativi sui primi e aumentando i secondi. Insomma i tassi d'interesse negativi determineranno un aumento delle commissioni bancarie: per l'utilizzo di sportelli bancomat, per i trasferimenti, ecc. E l'aumento delle commissioni bancarie colpirà in modo sproporzionato i poveri, il che invita ad una maggiore regolamentazione e controllo da parte delle entità politiche. Capite adesso la spinta verso la digitalizzazione del denaro fiat e l'abolizione del contante?

Un'ultima conseguenza dei tassi d'interesse negativi è che la spesa improduttiva dello stato diventerà il principale contributo alla "crescita economica". Se i tassi d'interesse negativi significano che qualsiasi impresa o individuo può ricevere un prestito, i banchieri centrali dovranno infine perseguire una politica di razionamento del credito. Le entità politiche, anziché i mercati, decideranno quali imprese e individui possano ricevere prestiti e in base a quali termini e condizioni. Con i mercati del credito in queste condizioni, le banche centrali influenzeranno le scelte in termini di produzione, consumo e condizioni di scambio. Anche la remota possibilità che ciò possa accadere dovrebbe essere allarmante, e ricordiamoci che la possibilità anche di un solo QE in Occidente era derisa dagli economisti mainstream prima del 2008.



UNA BIFORCAZIONE

Il ruolo di bitcoin in un mondo con tassi d'interesse negativi sta diventando sempre più cruciale, soprattutto per un motivo: si può immaginare una nuova era in cui le criptovalute faranno evolvere il sistema bancario, un'era in cui la preferenza temporale (espressa attraverso il risparmio) influenza i tassi d'interesse, che a loro volta finanziano la produzione attuale per i consumi futuri. E una volta che milioni di depositanti si renderanno conto che i loro risparmi saranno annullati in assenza di un consumo costante, si affretteranno verso l'uscita. A questo punto è possibile uno di questi due esiti: ci saranno corse agli sportelli o, più probabilmente, l'imposizione di controlli sui prelievi. Tassi d'interesse negativi, MMT e una serie di altre proposte di politica monetaria hanno tutti lo stesso obiettivo: impedire una massiccia ondata di prelievi da banche e altri istituti finanziari che metterà a rischio la loro redditività.

La recente e rinnovata spinta dei media generalisti per la creazione di un'economia senza contanti (propagandata in vari modi, soprattutto come contrasto all'attività criminale) dovrebbe essere guardata con molto più sospetto di quanto non sia stato fatto finora. Il fine ultimo di questa campagna è uno stato di sorveglianza delle finanze personali.

Non è un caso infatti che di recente Alipay abbia precisato nuovamente che ha sempre bloccato e continuerà a bloccare le transazioni finalizzate all'acquisto di bitcoin e altre criptovalute. La campagna pubblica volta a denigrare le criptovalute come meri strumenti per acquisire oggetti e beni illegali non è stata altro che il tentativo dello stato paternalista di avallare la sua presunta lungimiranza sulla popolazione e ricordare come siano magnanimi e giusti i suoi decreti, volti a preservare i sottoposti. Quindi impedire preventivamente una persona "dal farsi del male" è cosa buona è giusta. In una società senza contanti una delle criticità è appunto la censura preventiva sulle transazioni, oltre alla confisca del denaro. Nel caso in cui vorreste acquistare qualcosa che per lo stato è diventato illegale, non potete farlo. Non solo, ma nemmeno potete farlo attraverso quegli istituti in cui sono conservati i vostri risparmi, perché o per politica interna o per conformità ad un decreto statale vi impediscono di utilizzare come meglio credete i vostri risparmi.

Se non con bitcoin, come potete emanciparvi da un sistema di sorveglianza tale dove si viene etichettati come criminali nel momento in cui si mette in dubbio il vangelo unico?



Gli stati odiano da sempre quelle situazioni in cui non possono fare soldi con la contraffazione. Non potendo controllare direttamente bitcoin, vogliono influenzarlo attraverso la legislazione e in particolar modo quella riguardante gli exchange centralizzati. Lo stato cerca sempre di fare quello che ha sempre saputo fare meglio: violare i contratti volontari tra individui. Questa era l'essenza dell'ordinanza che consentì alle banche e alle strutture di deposito private di emettere ricevute scoperte per oro o argento. Ciò violava il diritto dei contratti privati e autorizzava la frode. Si trattava di contraffazione legalizzata.

La storia dello stato è stata un susseguirsi di affermazioni di sovranità sul denaro. C'è una ragione: con la sola eccezione di Bisanzio dal 325 al 1453, gli stati hanno deliberatamente manomesso il contenuto di metallo dell'unità monetaria. Inutile ricordare come questa non sia altro che contraffazione: aggiungere metallo meno costoso all'argento o all'oro e quindi spendere i nuovi soldi al valore più vecchio e più elevato. Questo è un furto. Gli stati rubano da individui ingenui e fiduciosi che vendono ai prezzi di ieri, supponendo ingenuamente che il contraffattore ufficiale non abbia rubato argento o oro sostituendolo con stagno o altri metalli comuni. Gli scettici sanno cosa succede e aumentano i prezzi, oppure prendono in prestito con l'intenzione di rimborsare il prestito con denaro il cui potere d'acquisto si ridurrà nel tempo.

La contraffazione, quando praticata da un'agenzia privata non autorizzata dallo stato, è denunciata come furto ed è perseguita. D'altro canto, ogni qualvolta la contraffazione è praticata da uno stato, o da una banca centrale autorizzata dallo stato stesso, o da banche commerciali a riserva frazionaria, questa viene definita politica monetaria e incensata dagli economisti mainstream.

La guerra a bitcoin continuerà, perché i pianificatori centrali sanno che è l'unico modo attraverso il quale le persone oneste possono evadere dalla tirannia di istituzioni la cui sopravvivenza dipenderà sempre più dai soldi degli altri. Non solo, ma oltre a fornire un porto sicuro bitcoin smaschera anche la semantica truffaldina dietro cui si trincerano le istituzioni ufficiali, facendo emergere la vera natura di entità osannate in passato per consuetudine e ora per timore. Timore di chi ha capito che di fronte ha uno schiavista.



CONCLUSIONE

Negli ultimi 30 anni gli interventi delle banche centrali si sono fatti più pervasivi attraverso uno tsunami di nuova liquidità che ha rappresentato una manna per speculatori, banche e addetti ai lavori a Wall Street. I ricchi sono diventati più ricchi, la classe media è stata lentamente spogliata della ricchezza accumulata nel corso della storia ed i poveri sono finiti sempre più su libro paga del welfare state. Durante i primi 80 anni del secolo scorso il debito totale era 1,5X il PIL; poi, dopo il 1980, il debito totale ha superato i $70.000 miliardi, oltre 3,5X il PIL. E tutto questo è debito che non verrà mai ripagato.

Quando una nazione è giovane e in crescita, le persone vogliono poco stato. Sono impegnate con la propria vita, a badare ai propri affari ed a creare la propria prosperità. I leader generalmente restano fuori dai piedi, credendo che uno stato governa meglio quando governa meno. Ma poi, quando la nazione diventa abbastanza grande da farla da padrone, ci si rivolge ai Roosevelt, ai Wilson e ai Johnson che sono disposti ad entrare in guerre senza importanza e ad approvare programmi di spesa che indeboliscono l'economia reale.

Quando poi si finisce per costruire un impero, le persone vogliono aggrapparsi a ciò che hanno e la nazione ha bisogno di un leader degno di una catastrofe. Ha bisogno dei Trump o delle Warren che, senza alcun senso della storia o dell'umiltà, guideranno la nazione verso il fallimento e la disperazione. Affidarsi a queste figure non è altro che l'ultimo step che possiamo leggere nel leggendario libro di F. A. Hayek, La via verso la schiavitù. Oggi la via passa per i mercati del credito i quali rappresentano il centro nevralgico attraverso il quale i pianificatori centrali cercano di controllare le diramazioni che prendono le informazioni scambiate dagli individui. Il denaro è sempre stato il mezzo prediletto per controllare questo flusso, solo che la dinamicità dei mercati sta dimostrando il punto sottolineato da Mises: non esiste un'economia mista. Ma allo stesso tempo tempo svicolare verso un'economia di comando significa esporre il fianco ad un default purgativo.

La pianificazione centrale, come ogni pianificazione centrale che si rispetti, non è mai pronta a questa evenienza e combatte con tutte le sue forze per evitare questo inevitabile destino. Futilmente. Ciò che si lascia dietro, però, è una scia di dispotismi, tirannie e interventi progressivamente draconiani.

Ciononostante il dinamismo che si cerca di soffocare con tutto questo controllo maniacale e fiumi di semantica velenosa, erutta prorompente attraverso le azioni singole degli individui che riescono a generare anticorpi robusti. Il Blat sarà sempre superiore a Stalin. Oggigiorno questi anticorpi prendono il nome di Bitcoin e grazie alla sua natura è possibile tornare ad avere un ambiente economico in cui l'informazione possa viaggiare libera senza interferenze. Trustless, permissionless, borderless, timeless e soprattutto non censurabile sono tutte caratteristiche che rendono questa criptovaluta il modo migliore per tornare ad avere mercati onesti e deviare lungo la strada verso la schiavitù.


giovedì 24 ottobre 2019

La Spagna può gestire una crisi globale?





di Daniel Fernández Méndez


Se dovesse arrivare una recessione globale, e le probabilità stanno salendo, la Spagna ne soffrirà e potrebbe entrare in una recessione tutta sua?

Diamo un'occhiata ai principali indicatori riguardanti la Penisola iberica.

In primo luogo, dall'ultima recessione terminata nel 2013 la Spagna è quella che è cresciuta di più tra i Paesi europei, soprattutto dal 2014, sebbene il declino nella sua attività economica prima del 2014 sia stato molto più pronunciato. Possiamo anche vedere che prima del 2009 l'economia spagnola stava crescendo molto più rapidamente rispetto al resto dell'Eurozona.


Come possiamo vedere nel Grafico 1, la Spagna sta vivendo un rallentamento, sebbene il declino sia meno pronunciato di quello nel resto dell'Eurozona sin dal 2018. La crescita della Spagna ha rallentato allo stesso ritmo prima del 2018.

Gli indici dei gestori degli acquisti (PMI) della Spagna sono i migliori indicatori anticipatori di una crescita del PIL, sebbene non forniscano informazioni sulle cause del declino. Sono derivati ​​semplicemente chiedendo ai responsabili degli acquisti nelle società se hanno acquistato più o meno dai loro fornitori rispetto al periodo precedente. Se più della metà risponde di aver effettuato più acquisti, ciò suggerisce che l'economia crescerà. Se meno della metà risponderà in senso affermativo, allora ciò suggerisce che l'economia rallenterà.

Il PMI manifatturiero spagnolo ha fatto segnare un rallentamento economico sin dal giugno 2019. In questo grafico possiamo vedere che la correlazione con la crescita del PIL è molto alta. Possiamo anche vedere che il PMI anticipa i cambiamenti nella crescita economica. In altre parole, il PMI manifatturiero spagnolo indica un rallentamento significativo nel futuro prossimo.


L'andamento del PMI dei servizi è molto simile a quello del PMI manifatturiero. Nonostante ciò, il PMI dei servizi è ben lungi dal mostrare segni di recessione. La tendenza è al ribasso, ma la lettura di agosto, a 54,3, era molto al di sopra dei livelli visti in una recessione.


I dati mostrano che il deterioramento dell'attività economica nel mondo è evidente anche in Spagna, sebbene sia meno marcato.

La Spagna non è immune dall'attuale rallentamento globale e da una possibile recessione. La domanda è: quanto è preparata ad affrontare una tempesta economica?

Sotto alcuni aspetti l'economia spagnola è molto più preparata ad affrontare problemi economici rispetto alla recessione precedente. Sotto altri invece, in particolare quegli indicatori relativi al settore pubblico, la Spagna si trova in una situazione più fragile rispetto al 2007. Diamo prima un'occhiata ai segnali buoni.

La produttività del lavoro nell'economia spagnola cresceva a malapena prima della recessione del 2007. La crescita economica non fu accompagnata dagli aumenti necessari nella produttività del lavoro. Dal 2009 la produttività del lavoro in Spagna è cresciuta più di quella dell'Eurozona nel suo insieme.


L'economia spagnola oggi è molto più diversificata rispetto alla crisi precedente. Infatti l'economia spagnola dedica meno risorse (in termini relativi) alla formazione di capitale fisso nell'edilizia e nel settore immobiliare rispetto al 1995.


Se analizziamo solo la percentuale di investimenti fissi lordi nelle costruzioni e nel settore immobiliare, possiamo vedere come sia precipitata sin dal 2007.


Invece gli investimenti nell'industria sono cresciuti esponenzialmente sin dal 2007, quasi raddoppiando la loro dimensione relativa in dieci anni.


Inoltre l'economia spagnola era incredibilmente dipendente dai finanziamenti esterni prima dell'ultima recessione. Dal 2013 la Spagna ha registrato un saldo positivo nelle partite correnti. Ciò significa che la Spagna ha trascorso più di sette anni producendo più di quanto ha consumato e risolvendo i suoi problemi di debito.

La più grande debolezza dell'economia spagnola è il settore pubblico. Il settore pubblico spagnolo è stato particolarmente lento ad adeguarsi al calo post-crisi delle entrate. Per quanto riguarda il suo deficit, il governo spagnolo non è stato in grado di soddisfare i criteri di Maastricht richiesti per stare nella zona Euro (deficit inferiore al 3% del PIL), malgrado la forte crescita economica della Spagna sin dal 2014.


L'anno 2018 appare notevolmente diverso dal 2006. Nel 2006 la Spagna fece registrare un avanzo considerevole, mentre nel 2018 ha fatto registrare un disavanzo significativo. Infatti la Spagna è colpevole di avere i deficit più alti nell'Eurozona, pari nel 2018 a quasi il 50% del totale.


Il colpevole è la previdenza sociale, la quale è entrata in deficit nel 2010 e da allora ha accumulato deficit record anno dopo anno. Nel 2018 la previdenza sociale ha rappresentato il 57% del deficit della Spagna. Ciò è particolarmente grave se si considera che non finanzia più l'assistenza sanitaria sin dal 1994. Il disavanzo è dovuto esclusivamente ai pagamenti delle pensioni.


Per quanto riguarda il debito pubblico, il problema è molto simile. La Spagna ha affrontato la crisi precedente con finanze pubbliche solide. Al contrario, nel 2018 aveva un debito pubblico molto elevato (97,1% del PIL). Il debito è molto più elevato di quello dell'Eurozona nel suo insieme (85,1% del PIL) e molto lontano dal soddisfare il criterio di Maastricht per il debito pubblico massimo (60% del PIL).


Questo problema ostacola significativamente la capacità di manovra dello stato spagnolo. Il calo delle entrate e l'aumento delle spese causati da una recessione potrebbero portare il disavanzo pubblico al 10% del PIL, una cifra che i conti pubblici già malconci potrebbero sopportare a malapena. Conti pubblici così disordinati potrebbero rovinare gli sforzi di ripresa del settore privato e inaugurare una spirale di distruzione della ricchezza.



Conclusione

Sembra esserci un crescente consenso tra gli analisti economici sul fatto che stia arrivando una recessione globale. Gli indicatori principali indicano che le economie mondiali stanno soffrendo.

Una crisi globale frantumerebbe la crescita economica della Spagna. La buona notizia è che il settore privato spagnolo sta molto meglio oggi e rispetto al 2007 sarebbe preparato per una crisi. La cattiva notizia è che il settore pubblico si trova in una situazione critica, con un margine minimo di manovra in un tale evento.

Rispetto al 2007 l'economia spagnola è meglio equipaggiata per far fronte ad un rallentamento dell'economia globale. Tutto ciò che manca è che il settore pubblico spagnolo, in particolare la previdenza sociale, metta a posto i suoi conti.

Le crisi e le recessioni offrono opportunità positive alle persone e ai Paesi che hanno la volontà e la capacità di coglierle. Spetta al settore pubblico spagnolo mettere ordine nei conti pubblici e gettare le basi affinché la Spagna possa sfruttare tali opportunità.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 23 ottobre 2019

Una depressione inflazionistica





di Aladair Macleod


I mercati finanziari stanno ignorando gli sviluppi negativi nel commercio internazionale, i quali coincidono con la fine di una lunga fase espansiva del credito. Se guardiamo all'ultima volta in passato in cui si sono verificate queste condizioni capiamo che le conseguenze di questa follia collettiva saranno enormi, andando ad indebolire sia i valori degli asset finanziari che le valute fiat.

L'ultima volta che si è verificata questa condizione è stata tra il 1929 e il 1932, portando alla Grande Depressione, quando i prezzi delle materie prime ed i prezzi alla produzione dei beni di consumo calarono significativamente. Con unsound money e una determinazione delle banche centrali a sostenere i prezzi, le condizioni di depressione saranno nascoste dall'espansione monetaria, ma ci saranno comunque.

Le anime sfortunate a cui piace osservare la macroeconomia intenderanno il titolo di questo articolo come una contraddizione, perché considerano l'inflazione come uno stimolo e una depressione come una conseguenza della deflazione, l'opposto dell'inflazione.

Una depressione economica non richiede deflazione, se per questo termine si intende una contrazione del denaro in circolazione. Rappresenta l'impoverimento collettivo delle persone, che arriva sulla scia di una svalutazione della valuta: in altre parole, l'inflazione monetaria. Fondamentali per il mito secondo cui un'inflazione dell'offerta di moneta sia la strada per la ripresa economica sono le previsioni dell'establishment economico, secondo cui il mondo, o le sue unità nazionali più piccole, non subiranno più di una lieve recessione prima che la crescita economica riprenda. Non solo lo dicono gli economisti compiacenti nelle banche centrali e nei governi, ma anche i loro seguaci nel settore privato.

È per questo motivo che l'indice S&P 500 è ancora solo di alcuni punti inferiore al suo massimo storico. Se ci fosse il minimo accenno che il tessuto imprenditoriale americano rischia di essere destabilizzato da una depressione, non sarebbe così. Tutte le chiacchiere allarmistiche nella blogosfera non hanno alcuna rilevanza: il mondo degli investimenti è più ottimista che mai. Tutti hanno aderito alla promessa della macroeconomia ed ignorano i segnali contrari sottolineati dall'economia classica, convinti dai macroeconomisti che ciò che si applica agli individui a livello micro non si applica a loro a livello macro.

A breve si rivelerà un errore. Lo scopo di questo articolo è spiegare perché è un errore, esaminando l'interazione tra il picco del ciclo del credito e l'aumento dei dazi introdotti dal presidente Trump. Quasi sicuramente si rivelerà una di quelle volte in cui uno più uno fa molto più di due: la concomitanza di questi fattori ha il potenziale di scatenare effetti molto più distruttivi di quanto immaginato dalla maggior parte degli economisti mainstream.



Cicli di credito all'interno di cicli di credito e la loro forza crescente

Di per sé il ciclo del credito porta sempre ad una crisi periodica di grado maggiore o minore, che può o meno tradursi in una vera e propria crisi bancaria. Un'espansione del credito bancario, anche in un gold standard, porta ad investimenti sbagliati, che possiamo definire in modo semplicistico come investimenti guidati dall'opportunismo monetario anziché intrapresi su solide basi commerciali. Ha l'effetto di trasformare le occorrenze casuali della distruzione creativa di Schumpeter in una distorsione coordinata, consentendo ai malinvestment di crescere fino a quando non si schiantano tutti insieme. Senza il sistema bancario a riserva frazionaria, o la capacità delle banche di prestare denaro scoperto, non vi sarebbe alcun ciclo del credito e neppure i sintomi, un ciclo economico o commerciale. Esiste anche una proporzionalità: maggiore è l'espansione del credito, maggiore è l'eventuale crash.

Questa verità fondamentale è ignorata dalle teorie statali sul denaro, che peggiorano le cose espandendo l'offerta di moneta come ulteriore stimolante del credito e sopprimendo i tassi d'interesse per incoraggiare ulteriormente le imprese ad investire male. Ciò avvenne per la prima volta nei tempi moderni in seguito alla breve crisi postbellica del 1920-21. La FED, nata prima della prima guerra mondiale, divenne pienamente operativa come una moderna banca centrale sotto Benjamin Strong, che era il suo primo ufficiale esecutivo e rimase al comando fino alla sua morte nel 1928. Presiedette ad un'espansione monetaria che durò fino all'anno successivo la sua morte, quando il mercato azionario iniziò il suo crollo.

Il crollo di Wall Street del 1929-1932 fu la crisi del credito innescata dall'espansione del credito presieduta da Strong. In combinazione con i tentativi fallimentari del presidente Hoover di prevenire la disoccupazione e sostenere i prezzi per evitare danni peggiori, la depressione venne prolungata ulteriormente dal New Deal del presidente Roosevelt.

Ritorneremo su questo periodo quando più avanti parleremo dei dazi. Dopo gli anni '30 la seconda guerra mondiale aveva pervaso le economie dei Paesi alleati e dell'Asse, e quando terminò ebbe quindi inizio un nuovo ciclo di espansione del credito. L'esperienza della depressione degli anni trenta portò ad una determinazione postbellica di bandire gli alti livelli di disoccupazione e a tal fine gli stati misero in atto la nuova religione della macroeconomia.

Il sostegno dei prezzi inaugurato da Benjamin Strong attraverso operazioni di mercato aperto portarono allo schianto di Wall Street e alla conseguente depressione. Le banche centrali moltiplicarono le politiche di Strong, incoraggiate dagli scritti di luminari come Irving Fisher e Lord Keynes. Secondo il National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti, gli anni '50 videro una serie di cicli economici minori e poi uno più lungo, che andò dal 1961 al 1969. Fu l'espansione dei primi anni '70, unita all'abbandono del gold standard nel 1971, che alimentarono l'inflazione dei prezzi negli anni '70. L'inflazione monetaria portò all'aumento dei prezzi del petrolio e dell'energia, dando potere all'OPEC. E poiché l'inflazione monetaria indebolì il potere d'acquisto delle valute fiat in generale, i tassi d'interesse record nel 1980-81 divennero inevitabili.

L'attuale ciclo del credito è stato alimentato dalle riforme del sistema finanziario negli anni '80, quando le banche hanno integrato le loro operazioni d'investimento e di vendita al dettaglio, ampliando il credito bancario nel market-making, nel proprietary trading e nei derivati. Ciò ha portato a tre picchi inflazionistici nei mercati: il boom delle dot-com, il boom delle proprietà residenziali/mercato azionario nel 2005-2007 e l'attuale boom.

Quest'ultimo può quindi essere considerato il culmine di una serie di inflazioni monetarie mirate ai prezzi degli asset finanziari. È stato anche evidente che il lato produttivo delle principali economie si è mantenuto a galla solo grazie all'espansione del credito al consumo e alla riduzione dei risparmi. E quando i politici americani lamentano il trasferimento della produzione in Cina e nel Sud-est asiatico, non riescono a riconoscere il proprio ruolo nella distruzione della produzione interna attraverso l'inflazione del credito.

Dovrebbe essere evidente a tutti coloro che comprendono che la radice dei cicli economici è un ciclo del credito e che quello attuale arriva sulla scia dei due precedenti, a cui è stato impedito di correggere gli errori economici precedenti. Nel suo insieme si tratta di una creazione di credito molto, molto maggiore rispetto a quella del 1922-1929, che portò alla più grande depressione dei tempi moderni... finora.

Il fattore aggiuntivo che causò il crash di Wall Street nel 1929-32 fu il protezionismo commerciale, quando il Congresso approvò lo Smoot-Hawley Act il 30 ottobre dello stesso anno. E ottobre è stato il mese in cui è iniziato il crollo del mercato azionario.



Il ruolo dei dazi nel ciclo del credito: una prospettiva storica

Per l'America gli anni '20 iniziarono col Tariff Act del 1921 ed il Fordney-McCumber Tariff del 1922, a cui seguì il crollo del 1921-22. Lo scopo principale di questi dazi era proteggere l'agricoltura, che si era notevolmente ampliata durante la prima guerra mondiale grazie ai prezzi più alti durante la guerra, alla domanda dall'Europa dilaniata dalla guerra e al ritiro della Russia dai mercati mondiali. Ma al momento del crollo nel 1921, il valore della produzione agricola americana scese da un massimo di $17,7 miliardi a soli $10,5 miliardi, per un calo del 40%.

Dopo la prima guerra mondiale le importazioni dall'Europa iniziarono a minacciare gli agricoltori americani, che avevano avuto la protezione di un'economia in tempo di guerra ed i produttori nei settori non agricoli temevano che avrebbero subito la stessa sorte. Ciò portò ad estendere i dazi Fordney-McCumber dalla protezione della produzione agricola a schermare l'America dalle turbolenze economiche e monetarie degli anni del dopoguerra.

Val la pena di notare che, a seguito della guerra, l'economia americana era quasi completamente autosufficiente. I dazi sulle importazioni non intaccarono più di tanto la produzione interna. Inoltre l'espansione del credito bancario era nelle prime fasi del ciclo del credito, quindi c'era una bassa tendenza ad espanderlo per alimentare un deficit commerciale. Di conseguenza il divario economico derivante da un aumento dei dazi era considerevolmente inferiore a quello che si sarebbe rivelato successivamente nel ciclo del credito.

La situazione commerciale altrove non era così buona. Tra la prima guerra mondiale e il 1924 la maggior parte delle nazioni europee vide le proprie valute, non più coperte dall'oro, crollare del tutto. L'America, che aveva prestato $10 miliardi in crediti di guerra all'Europa, divenne il creditore del mondo ed i suoi debitori europei scoprirono che le esportazioni in America erano necessarie per rimborsare i loro prestiti. Ma quando alla fine le economie europee si ripresero dalla devastazione del tempo di guerra, i governi reagirono imponendo dazi sui beni americani e su quelli dei loro vicini.

In base alla bilancia dei pagamenti, gli Stati Uniti fecero registrare un avanzo commerciale con ampio margine ogni anno dopo la fine della Grande Guerra, nonostante il crescente protezionismo commerciale in Europa. Allo stesso tempo, l'offerta di prodotti agricoli si espanse rapidamente man mano che la terra marginale negli Stati Uniti veniva sempre più coltivata e Australia, Canada, Regno Unito, Francia, Germania e Italia aumentavano la produzione agricola e i dazi per proteggere i loro agricoltori. La meccanizzazione migliorò rapidamente i risultati, mentre le popolazioni, i cui stili di vita stavano migliorando, spendevano meno in cibo in proporzione alla spesa totale. I prezzi dei prodotti agricoli continuarono ad indebolirsi.

L'aumento del protezionismo nell'agricoltura portò inevitabilmente a costosi sussidi statali, in particolare in Europa, creando deficit di bilancio che tendevano a provocare maggiori squilibri commerciali. Tuttavia, a parte i problemi incontrati dall'industria agricola globale, ci furono progressi economici significativi in America dopo la crisi del 1921 e in Europa dal 1925 circa in poi. Queste riprese economiche vennero coadiuvate dall'espansione del credito, non solo in America, e alimentate dai deficit di bilancio dei governi in Europa, in particolare in Francia e Germania.

Le grandi aziende iniziarono a capire che i dazi rappresentavano un ostacolo al loro commercio, purtroppo però erano diventati la risposta automatica dei politici a tutti i cambiamenti nelle condizioni commerciali, non solo in America. L'elezione del presidente Hoover nel 1928 spinse ulteriormente il feticcio del protezionismo. Fu questa atmosfera politica che portò allo Smoot-Hawley Tariff Act, che aumentò la media di tutti i dazi sulle importazioni dal 38% al 60%.

Lo Smoot-Hawley fu approvato dal Congresso il 30 ottobre 1929, il mese in cui iniziò il crash di Wall Street fino alla metà del 1932. Le successive analisi degli storici di mercato citano una serie di ragioni per il crollo, mettendo i dazi in fondo alla lista senza menzionare affatto un ciclo del credito.



La combinazione di espansione del credito e Smoot-Hawley fu letale

Le differenze tra le conseguenze del Ford-McCumber e dello Smoot-Hawley possono essere riassunte come segue:
  • I dazi del Ford-McCumber nel 1921 preservarono l'economia americana del dopoguerra e rappresentarono pochi cambiamenti nelle attività domestiche americane. Lo Smoot-Hawley fu un'aggiunta sostanziale alle politiche protezionistiche e finì per colpire duramente gli affari americani.
  • Mentre l'onere dei dazi Ford-McCumber non era significativo per gli americani, fu più sentito dai partner commerciali europei dell'America. Aggravò le loro recessioni e le loro difficoltà monetarie nei primi anni venti. Inoltre, in uno stato di protezionismo, gli europei approvarono dazi l'uno contro l'altro, soffocando il commercio transfrontaliero.
  • Il Fordney-McCumber aumentò i dazi ad una media del 38% sulle merci importate, mentre lo Smoot-Hawley li portò al 60%. I governi stranieri risposero minacciando ritorsioni e smisero d'importare merci americane ancor prima che lo Smoot-Hawley fosse approvato.
  • Le conseguenze diverse del Ford-McCumber e dello Smoot-Hawley sul mercato azionario statunitense riflettono l'espansione del credito che alimentò i prezzi delle azioni nel periodo intermedio.

I livelli ai quali erano saliti i dazi in conseguenza dell'introduzione dello Smoot-Hawley erano molto più alti dei dazi americani introdotti contro la Cina dal presidente Trump. Inoltre oggi è stata presa di mira solo una nazione, a differenza di tutti i partner commerciali nel 1930. Diviene quindi allettante tentare di eliminare i confronti tra gli eventi di oggi e quelli di novant'anni fa, ma sarebbe un errore.

Finora il presidente Trump ha annunciato dazi fino al 30% sui beni importati cinesi e altri in arrivo entro il 15 dicembre. In tal caso tutte le importazioni cinesi saranno soggette a dazi. La Cina ha reagito ed entro la fine dell'anno intende includere altri 3.000 prodotti americani nel suo regime tariffario. L'aumento dei dazi americani è simile in scala alle percentuali introdotte dallo Smoot-Hawley. Era chiaro che il mondo si era abituato ai dazi Fordney-McCumber, quindi quelli aggiuntivi dello Smoot-Hawley rappresentarono il vero shock globale. Allo stesso modo il mondo oggi si è abituato alle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, che sono in media del cinque o sei per cento, nel qual caso lo shock nei confronti del commercio tra Stati Uniti e Cina deve essere di entità simile.

Le condizioni commerciali globali di oggi sono notevolmente più sviluppate rispetto a novanta anni fa, con le nazioni che non sono più dipendenti solo dall'importazione di prodotti alimentari, materie prime ed energia, ma hanno catene di approvvigionamento che si estendono in più giurisdizioni. Le aziende americane possiedono molte delle fabbriche che producono i loro beni in Cina e altrove, quindi sono esse stesse vittime dei dazi di Trump. E gli agricoltori americani, per i quali la Cina rappresenta un mercato in crescita e redditizio, si ritrovano esclusi dalla rappresaglia della Cina. Le aziende manifatturiere, che dipendono dall'acciaio lavorato e da altri materiali provenienti dalla Cina per la loro produzione, scoprono che i loro costi sono gonfiati dai dazi, rendendole meno competitive sui mercati sia in patria che all'estero.

In materia di commercio, Trump è tanto protezionista quanto lo era Hoover nel 1930. Rimarrà deluso nello scoprire che, nonostante i suoi sforzi per affrontare la presunta ingiustizia cinese, il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina persisterà, essendo salito nella prima metà del 2019 a $244 miliardi rispetto ai $212 miliardi nella prima metà del 2018. E con l'America che sta ora contemplando la deviazione dei flussi di capitali dalla Cina, la guerra commerciale finirà per intensificarsi.

La quantità di denaro e credito in circolazione è aumentata del 91% sin dalla crisi della Lehman, rappresentando un tasso di crescita composto di poco più del 6%. Con il tasso di risparmio sostanzialmente invariato in suddetto periodo dopo aver considerato l'aumento del debito dei consumatori, l'espansione monetaria può solo alimentare l'inflazione dei prezzi e un deficit commerciale. Nella misura in cui i consumatori acquistano beni esteri più economici, il deficit commerciale non fa altro che posticipare l'inflazione dei prezzi. Visto che aumentano i prezzi per il consumatore senza un aumento compensativo dei salari e con le sue carte di credito al massimo, i dazi finiscono per deprimere la domanda interna in generale.

Questo è il meccanismo attraverso il quale i dazi sulle importazioni finiscono per indebolire la produzione interna, fatto sempre più evidente dalle indagini sulle imprese. Possiamo anche vedere questo effetto sul livello generale dell'attività commerciale della Cina, la quale ha subito un marcato rallentamento. A sua volta il commercio tra le altre nazioni e la Cina è stato compromesso, con la Germania che è stata particolarmente colpita. E solo due giorni fa, la Svezia, la cui economia aperta è vista come un faro per la direzione del commercio globale, ha fatto registrare un crollo delle attività. La produzione in tutto il mondo sembra essere diventata una tartaruga.

Non vi è dubbio che la contrazione del commercio globale sta ora iniziando a mordere le economie domestiche. E poiché la fonte è l'interruzione del commercio internazionale, i motivi per cui il commercio interno ne risente non sono subito evidenti, il che probabilmente spiega perché i mercati finanziari sembrano inconsapevoli di tutto ciò.



La differenza tra il 1929-32 e oggi

Prima del 1933 il dollaro era coperto da un gold-exchange standard a $20,67 l'oncia, il che significava che i prezzi erano misurati in oro attraverso il dollaro. Di conseguenza quando i mercati vennero travolti dalla combinazione di Smoot-Hawley e fase di bust del ciclo del credito, l'effetto fu evidente poiché il potere d'acquisto dell'oro salì.

La situazione oggi è diversa. Invece di un presidente degli Stati Uniti che introduce programmi di sostegno ai prezzi e al lavoro, oggi le banche centrali inflazioneranno le rispettive offerte di moneta nel tentativo di raggiungere la stabilità dei prezzi. Le statistiche dell'IPC degli Stati Uniti ci dicono che i prezzi al consumo scesero del ventiquattro per cento tra il 1929 e il 1933. Se ciò deve essere accadere nei prossimi anni, il potere d'acquisto del dollaro scenderà di almeno il 30%, se si vuole rispettare l'obiettivo del 2% d'inflazione.

Se solo fosse così semplice... Non solo non dovremmo prendere troppo sul serio i calcoli dei prezzi al consumo, ma le relazioni tra i cambiamenti nella quantità di denaro e dei prezzi sono tenui, a seconda delle preferenze della popolazione a tenerlo rispetto ai beni. È probabile che i piani di stabilizzazione dei prezzi dei banchieri centrali finiranno per destabilizzare le valute fiat anziché stabilizzare i prezzi, poiché la popolazione comprenderà le conseguenze di politiche monetarie sempre più aggressive.

La combinazione di un crollo degli scambi commerciali a causa di misure protezionistiche e il credito bancario che tende a contrarsi quando i banchieri percepiscono un aumento dei rischi sui prestiti, porta sempre a problemi sistemici per le banche. Mentre il capitale bancario in America è stato rafforzato sulla scia della crisi della Lehman (è aumentato del 41,6%), il patrimonio netto totale delle banche è stato di 11,5 volte, il più alto che sia mai stato. Nei periodi di congiuntura favorevole, tale rapporto garantisce un'elevata redditività; in periodi di crisi significa che le perdite spazzano via rapidamente il capitale delle banche.


Il sentimento nei circoli bancari cambierà in un attimo quando i banchieri smetteranno di credere ai loro economisti interni e presteranno attenzione a ciò che dice il loro istinto. Scopriranno rapidamente che la crisi del commercio internazionale indebolisce la solvibilità delle imprese non finanziarie. Faranno tutto il possibile per ridurre il rischio di controparte con banche estere ritenute a rischio di fallimento.

Mentre la notte segue il giorno, un'altra crisi bancaria si intensificherà rapidamente, questa volta su una scala maggiore rispetto a dieci anni fa. E le prove dei fallimenti nel mercato dei pronti contro termine nelle ultime settimane indicano che il sistema bancario sta iniziando a vedere le prime crepe.

Tra le due guerre mondiali, il mondo ha sofferto di una depressione deflazionistica. Questa volta sembra che stiamo viaggiando verso una depressione inflazionistica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/