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mercoledì 11 settembre 2019
Giocate con le forze competitive a vostro rischio e pericolo
di Jeffrey Tucker
La Germania dopo la seconda guerra mondiale era un disastro economico. Spettava al nuovo ministro delle finanze, Ludwig Erhard, provi rimedio. Il problema principale che il Paese doveva affrontare era la cartellizzazione delle imprese. Prima e durante la guerra il governo controllato dai nazisti aveva monopolizzato l'economia interna e proteggeva i produttori dalla concorrenza straniera. Ancora prima della guerra, i nazisti erano partigiani dediti della pianificazione economica nazionale.
Dopo la guerra questo approccio non avrebbe mai portato ad un risveglio economico. La priorità numero uno era ripristinare la concorrenza negli affari. Spettava ad Erhard aprire la strada. Come scrisse nel suo libro del 1958, Prosperity Through Competition, i principali nemici del libero mercato erano le stesse industrie cartellizzate.
"Lo stato non deve decidere chi dovrebbe essere vittorioso sul mercato", scrisse, "né un'organizzazione industriale come un cartello; deve essere solo il consumatore. Qualità e prezzo determinano la forma e la direzione della produzione ed è solo sulla base di questi criteri che viene effettuata la selezione. In questo senso la libertà è un diritto di ogni cittadino e non deve essere ostacolata da nessuno."
"I miei sforzi mirano quindi a permettere alla concorrenza di diventare una forza trainante", ha continuato Erhard, "e ai prezzi liberi di diventare regolatori dell'economia di mercato. Chiunque desideri andare oltre questi principi, o trascurarli, indebolisce l'economia di mercato e distrugge le basi su cui poggia il nostro ordine sociale ed economico."
Questo libro è un appello appassionato per ripristinare la concorrenza, dalla prima all'ultima pagina. Il pubblico a cui si indirizzava non erano i politici, non erano i consumatori, non erano i burocrati, ma la comunità imprenditoriale. Doveva affrontare le fredde acque della competizione globale se la Germania avesse voluto riguadagnare la prosperità.
Che cos'è la concorrenza?
Cerchiamo di capire un po' meglio questa idea economica della concorrenza, anche perché il termine può essere fuorviante. Infatti si tende a pensare agli sport di squadra, o ad una gara podistica. Non è questa l'idea economica di concorrenza. La competizione non è un gioco da gestire; è un processo spontaneo di innovazione imprenditoriale.
È vero che i produttori si contrappongono nell'offerta di beni e servizi, ma cosa stanno cercando? Per cosa competono? I loro occhi sono puntati sull'interesse del consumatore: prodotti migliori, prezzi migliori, migliore realizzazione dei sogni delle persone. Ogni produttore è incentivato a diventare sempre più eccellente nel servire gli altri. Il test di redditività serve come segno di un lavoro ben fatto.
Quando un singolo produttore arriva a dominare un'industria e inizia a fare flop nel servire gli altri, il sistema deve consentire l'ingresso nel settore ad altri produttori con altre idee.
Se ci sono barriere all'ingresso, c'è un problema. Un produttore ottiene un privilegio e tale privilegio verrà sfruttato a spese del pubblico consumante. Se l'ingresso è libero, nascono una serie di istituzioni che fungono da sistemi di segnalazione. I prezzi riflettono l'offerta della disponibilità delle risorse e della domanda dei consumatori. Questi prezzi sono quindi distribuiti per calcolare profitti e perdite.
Questa idea di concorrenza sul mercato... senza privilegi, senza dettami, senza limiti, senza protezioni... ha consumato la generazione di economisti del dopoguerra per un motivo. La guerra aveva sfasciato non solo la Germania, ma anche le economie di Stati Uniti e Regno Unito. La Russia era diventata socialista da tempo. La priorità più urgente era ripristinare la concorrenza. Come dice Erhard, se non ce l'hai, non c'è speranza di prosperità.
Libero commercio significa concorrenza
Un enorme problema che Erhard aveva ereditato dall'economia hitlerizzata era il protezionismo stesso. Il governo aveva istituito una politica di autosufficienza nazionale. La propaganda politica nel corso degli anni '30 aveva etichettato le nazioni estere come partner sleali, mentre si diceva che gli interessi bancari stranieri fossero controllati dagli ebrei. Gli stranieri venivano rappresentati come saccheggiatori ed il libero scambio in contrasto con l'interesse nazionale. L'ambizione di Hitler era quella di creare un'economia autarchica che consentisse ai suoi piani di sostituire la concorrenza internazionale.
Questo è il motivo per cui Erhard considerava il ripristino del libero scambio una priorità assoluta. Significava sbarazzarsi dei muri dei dazi: inutili negoziati per pretendere che altri Paesi rispettassero i desideri della Germania di ridurre dazi o sovvenzioni. Il punto era assicurarsi che il settore economico tedesco fosse competitivo sul fronte globale.
"Rimuovere tutti gli ostacoli agli scambi deve riflettersi anche nella politica commerciale", scrisse, "su questo punto ho sempre sostenuto il principio che ciò che è giusto in linea di principio non deve aspettare che venga realizzato da qualcun altro. Quindi, sin dal 1955, quando la posizione interna della Repubblica Federale fece sembrare ragionevole rafforzare la concorrenza, ho mirato a portare la concorrenza in Germania da oltre le frontiere abbassando i dazi. Una riduzione autonoma dei dazi è stata effettuata in più fasi, anche se, secondo i miei gusti, si sarebbe potuto e dovuto fare di più di quanto il governo e il parlamento abbiano consentito."
In seguito il termine "autonomo" sarebbe stato sostituito dalla seguente formula: riduzioni unilaterale dei dazi. Il punto è che i dazi sono una tassa sui consumatori interni, ma ecco il punto chiave: se i dazi riguardano materie prime o beni acquistati dalle imprese, rappresentano anche una tassa sui produttori. Un dazio opera come un trasferimento coercitivo di ricchezza da mani private a funzionari statali. È una forma di welfare che distorce i meccanismi di segnalazione del libero mercato.
Non c'è assolutamente nulla di buono che una nazione possa ottenere da questo comportamento. Se i dazi si applicano alle merci finali, un'industria nazionale può essere temporaneamente protetta dalla concorrenza estera... ma a che scopo? Questo è un sussidio all'inefficienza e alle cattive pratiche commerciali. Funziona per un po', ma non è sostenibile. Ad un certo punto, a meno che non siate disposti a spingere l'economia indietro nel tempo, arriva un impoverimento sempre maggiore dove le imprese dovranno adattarsi a prescindere.
Scusa per prendere più potere
Un altro problema con i dazi è che se ne abusa facilmente. Diventano una scusa per una politica industriale di pianificazione a tutto tondo. Sì, c'è un certo appello populista a questo tipo di politica, perché molte persone sono sempre pronte a credere che gli stranieri cattivi facciano cose cattive ai cittadini eroici. Alla fine questa è solo una scusa che di solito finisce per alimentare le ambizioni di potere di un dittatore. Per questo motivo, protezionismo e socialismo/fascismo di solito sono andati a braccetto.
Un buon esempio di ciò che Erhard decise di ignorare fu la contabilità commerciale nazionale tra le nazioni. Non negò che i dati sui deficit commerciali fossero importanti, ma disse che tali dati "diventano fin troppo facilmente la base di calcolo per un piano economico fisso".
Erhard termina il suo libro con una ferma condanna del Dirigismo, che significa un'economia diretta dallo stato che lascia gran parte del capitale in mani private. La politica decide chi vince e chi perde, cosa viene prodotto e dove, e in quali quantità. Questo non è un percorso per la prosperità. Lo stato non può controllare la produzione, ben che meno gestire direttamente il settore commerciale. La de-nazificazione completa, affermò, richiede un impegno ad allontanarsi da cartelli e dalla monopolizzazione, spostandosi verso concorrenza e scambi senza barriere. Da qui nacque il miracolo economico tedesco.
Questa storia non è così vecchia, come si potrebbe pensare di primo acchito. La richiesta di autosufficienza nazionale e l'uso dei dazi come strumento di controllo politico sono pratiche che persistono anche nel presente. Se le cose continuano nella direzione in cui vanno negli Stati Uniti, lontano dalla competizione e verso il Dirigismo, anche noi avremo bisogno di un miracolo per salvarci.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
I dazi possono essere la risposta a pratiche di sostegno pubblico ( dumping sovvenzioni ecc ) ad aziende private che distorcono la concorrenza. In questa ottica se usati nel breve possono avere un senso.
RispondiEliminaSalve Roberto. A tal proposito è bene che lei legga il seguente articolo pubblicato tempo fa: Scardinare la "teoria" protezionista (ancora).
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