martedì 27 agosto 2019
Il capitalismo significa meno spreco, perché più spreco significa meno profitti
di Gary Galles
In "Come i capitalisti abbiano creato una guerra allo spreco", Chris Calton ha fatto un ottimo lavoro nel definire come la "spinta del profitto incoraggi la riduzione naturale dello spreco" senza la necessità della coercizione dello stato. La vendita di una parte dell'output di un processo produttivo, che altrimenti verrebbe buttata via o richiederebbe uno smaltimento costoso, è tanto una fonte di profitto quanto qualsiasi altro modo per aumentare le entrate o ridurre i costi. Inoltre ha illustrato il potere di quegli incentivi ambientali positivi con molteplici esempi sorprendenti. In altre parole, ha insegnato ai lettori qualcosa di importante.
Tuttavia l'articolo di Calton spinge a porci una domanda: perché gli studenti che hanno frequentato corsi di economia non hanno già familiarità con questo argomento? Sembra essere un'applicazione naturale del mondo imprenditoriale e dell'analisi dei processi di produzione per sfornare più output (prodotti congiunti o complementari).
Credo che la ragione principale sia che l'argomento venga trattato molto raramente nei principi della microeconomia o dei testi di microeconomia intermedia.
A ogni studente di economia viene mostrato come esistano relazioni "sia-sia" sul lato della domanda (ad esempio, caffè e ciambelle) e come un aumento del prezzo degli "altri" beni farà diminuire la domanda dei loro complementari. Tuttavia agli studenti viene mostrato molto meno spesso in che modo esistano relazioni "sia-sia" sul lato della produzione o dell'offerta (ad es. carne bovina e pelli come output congiunto dall'allevamento di bestiame) e come un aumento del prezzo degli "altri" beni farà aumentare l'offerta dei loro complementari produttivi.
In un articolo intitolato "Complementi produttivi: troppo spesso trascurati nel corso sui principi?", io ed i miei co-autori abbiamo esaminato una serie di testi sui principi economici per vedere quanti parlassero dei complementi produttivi. Abbiamo scoperto che quattro testi importanti ne parlavano, ma diciotto no. Siamo persino tornati alla prima edizione del libro Principles of Economics di Paul Samuelson e abbiamo scoperto che non li menzionava affatto. Abbiamo anche esteso la nostra ricerca ad una serie ridotta di testi di microeconomia intermedia, nessuno dei quali discute l'argomento.
Non insegnare agli studenti come i complementi produttivi siano fattori di cambiamento importanti dell'offerta e della domanda, significa accecarli e questo spesso significa non riconoscere l'applicazione ovvia dei principi analitici, come l'incentivo intrinseco del mercato a ridurre gli sprechi.
Quasi un secolo fa, nel suo testo del 1920, Alfred Marshall parlava di "prodotti congiunti: cioè cose che non possono essere facilmente prodotte separatamente; ma sono unite in un'origine comune e pertanto si può dire che abbiano un'offerta congiunta", fornendo numerosi esempi. Analizzò le applicazioni che coinvolgono non solo manzo e pelli, ma anche grano e paglia, lana e montone, e olio di cotone e semi di cotone. Propose persino una regola per il prezzo d'offerta di un complemento produttivo nei mercati competitivi.
Ancora prima William Stanley Jevons, nel 1871, sosteneva che "questi casi di produzione congiunta, lungi dall'essere casi particolari, rappresentano una regola generale, alla quale è difficile evidenziare una qualsiasi eccezione". E si contano sulle dita di una mano i processi produttivi che abbiano un solo output potenzialmente prezioso e non generino nulla che debba essere eliminato o esternalità negative, come l'inquinamento di una forma o dell'altra.
Viviamo in un mondo in cui le affermazioni di "fallimento del mercato" sono onnipresenti (anche se si guardano bene dal dimostrare come i meccanismi basati sul potere coercitivo dello stato possano fare meglio). Tuttavia le persone sembrano poco consapevoli di come gli incentivi al profitto spingano i produttori a ridurre costi e danni, anche se potremmo definirli "senza cuore" perché si preoccupano dei loro profitti. Per questo motivo gli studenti di economia dovrebbero apprendere di più sui complementi produttivi. Ciò non solo eliminerebbe i loro paraocchi facendo emergere una cornucopia di utili applicazioni imprenditoriali, ma amplierebbe anche i loro orizzonti verso l'ambientalismo di libero mercato e sgonfierebbe una delle diffamazioni più comuni che impediscono alle persone di ponderare correttamente i vantaggi degli accordi volontari rispetto alla coercizione dello stato.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento