Bibliografia

lunedì 3 giugno 2019

Vette assurde





di David Stockman


Nelle ore piccole della scorsa notte, Donald ha dato vita alla sua minaccia di colpire l'economia degli Stati Uniti con enormi dazi per insegnargli una lezione! Ma poi, almeno per poche ore, il mercato è diventato verde e come ha spiegato Zero Hedge, il ragionamento non poteva essere più contorto.

Vediamo un po'. Dopo mesi di bollettini di Kudlow e Mnuchin incentrati su un "progresso solido delle trattative", pensavamo che ci sarebbero state diverse migliaia di punti Dow sulla scia di un "affare fatto". Invece il contrario: nessun affare e un aumento dei dazi è stato un esito gradito a Wall Street.

Vale a dire, il casinò è così truccato che non c'è nulla che non possa essere fatto per farlo apparire verde quando gli algoritmi ed i day trader schiacciano il pulsante buy.

Per quanto riguarda i negoziati in corso con i cinesi, per quanto ne sappiamo sono andati avanti quasi senza interruzione sin dalla fine degli anni '90. Così come "i soldi ai margini", apparentemente anche "i negoziati commerciali ai margini" sono diventati un altro motivo sempreverde per comprare.

Quando si arriva a vette che fanno impallidere l'assurdità, praticamente qualsiasi idea è buona per portare avanti la farsa.


Questo è un segno che qualcuno sa qualcosa?

In realtà, è solo un'ulteriore prova del fatto che lo smantellamento del sistema si è metastatizzato a tal punto che nessuno ormai sa davvero nulla. L'intero baraccone di trader, politici, stenografi dei media e, forse, anche il Deep State, stanno brancolando nel buio.

Il mercato è tornato a rimbalzare dallo shock della scorsa notte nella speranza che si tratti di una specie di fugace momento di chiarimento e che le due parti torneranno a fare ciò che devono fare.

Questo perché Wall Street richiede un accordo commerciale e ha sempre creduto, sin dal secondo voto TARP del settembre 2008, che otterrà sempre e comunque ciò di cui ha bisogno per mantenere gonfiate le bolle.

Eppure ecco cosa ha detto Mnuchin ad un reporter:
Secondo Edwards Lawrence Mnuchin ha anche detto al vicepremier Liu "avete circa quattro settimane altrimenti quasi tutte le importazioni dalla Cina negli Stati Uniti si ritroveranno un dazio del 25%. Il presidente dice che parliamo di articoli per un valore di $325 miliardi. In altre parole, gli Stati Uniti ricordano sempre alla Cina che ha una pistola alla testa e il tempo stringe.

In realtà, non è affatto una pistola. Si tratta di una bomba a tempo da $140 miliardi che può esplodere su tutta l'economia statunitense e sull'intera filiera mondiale focalizzata sulla Cina, che ora trasporta merci per $7,2 miliardi nei porti degli Stati Uniti ogni giorno, contando le domeniche, le vacanze e le giornate di neve.

Sì, alcuni economisti keynesiani feticisti dei numeri o venditori ambulanti di strategie finanziarie dicono che non preoccuparsi, perché il potenziale dazio del 25% di Donald sui $563 miliardi di esportazioni cinesi negli Stati Uniti ammontano a solo lo 0,7% del PIL.

Poi, come al solito, le cose non si verificano a livello macroeconomico, ma a livello microeconomico e sull'infinita cascata di effetti a catena sul futuro.

Ora è chiaro che:
  • la Fed è diventata una confusa torre di babele che sicuramente distruggerà la fiducia, non la instillerà;
  • Washington è divisa e paralizzata politicamente come mai prima;
  • il debito pubblico e l'indebitamento degli Stati Uniti sono in aumento, con volontà politica pari a zero nel voler arrestare l'emorragia;
  • il cigno arancione nell'Ufficio Ovale è quasi completamente fuori controllo.

Queste condizioni sarebbero abbastanza problematiche in tempi normali, figuriamoci adesso in cui i tempi sono tutt'altro che normali. Il sistema non può reggere GRANDI SHOCK, perché la FED è senza frecce al proprio arco, Main Street è sepolto nel debito e Wall Street è spaventato dalla fine delle bolle e delle speculazioni febbrili.

Eppure, data la possibilità di uscire presentatasi la scorsa notte, il casinò oggi mostrava la proverbiale intelligenza di una falena che si dirige verso la proverbiale lampadina. La determinazione onesta dei prezzi è morta e la prospettiva di una guerra commerciale incontrollata tra le due economie più grandi del pianeta non ha più risonanza di un albero che cade in una foresta.

Né la drammatica escalation della guerra commerciale di Donald è stata l'unica esplosione di assurdità di oggi. L'IPO di Uber fa impallidire la minaccia di una guerra commerciale, perché è l'ennesimo manifesto della gigantesca bolla tecnologia che è la fonte di calamità future.

Abbiamo solo bisogno di quattro cifre per cogliere la follia alla base di questa storia. La prima è $33,2 miliardi e rappresenta la somma di denaro che Uber ha speso per operazioni e spese generali negli ultimi tre anni (2016-2018). La seconda è $23,1 miliardi e riflette l'importo delle entrate nette generate da tutte queste spese.

La terza è la perdita operativa cumulativa della società, $10,1 miliardi, durante gli ultimi 36 mesi; numero peggiorato dalla perdita operativa di $1,1 miliardi registrata nel trimestre appena conclusosi.

Inutile dire che la quarta cifra è $86 miliardi e rappresenta un grosso "vedremo": una IPO in cui né la storia della società, né i punti al suo interno mostrano una tabella di marcia chiara anche per un solo centesimo di profitti.

Tuttavia le teste di legno alla CNBC lo hanno riassunto bene... Dopo aver notato il passato di Uber e le potenziali perdite, e l'ammissione del suo CEO che le perdite massime non sono state ancora registrate, Joe Kiernan ha individuato il problema: "Non faranno mai soldi, se devono continuare a pagare gli autisti!"

L'unica cosa più folle di questa, ovviamente, è la storia di copertina: le potenziali perdite perpetue di Uber sono considerate una buona cosa, perché accelereranno solo il giorno in cui si sbarazzerà dell'ultimo autista e diventerà una flotta globale di veicoli completamente autonomi.

Vale a dire, la tecnologia non esiste ancora, nemmeno lontanamente; è allo stadio 2 (super-cruise control) in un'evoluzione di almeno cinque fasi. Né sono stati immaginati i sistemi politici, normativi e di controllo della sicurezza che sarebbero necessari. E questo per non parlare dell'adozione da parte dei consumatori, in un mondo in cui anche gli aerei di linea hanno ancora piloti umani nella cabina di pilotaggio nonostante tutti gli automatismi.

In una parola, al cosiddetto mercato azionario è stato chiesto di comprare una fregatura da $86 miliardi, cioè un modello di business e una società che non esiste ancora in un'industria che non è stata neppure inventata. E l'ha quasi fatto.

Perché una fregatura? Nel 2014 le spese operative e generali della società sono state di $1,14 miliardi, ma quella cifra è esplosa a $14,3 miliardi nel 2018, rappresentando quindi un aumento di $13,2 miliardi.

Oltre alla sua incredibile capacità di spendere soldi, i ricavi di Uber sono cresciuti da $495 milioni nel 2014 a $11,27 miliardi nel 2018. Cioè, la crescita di $10,9 miliardi dei suoi ricavi non ha tenuto lontanamente il passo con i $13,2 miliardi di spese.

Peggio ancora, il tasso di crescita delle sue entrate sta rallentando bruscamente, il che significa che se non ha pareggiato la crescita delle spese con le entrate negli ultimi quattro anni, quali possibilità ha di farlo in futuro?

Dopo tutto, la crescita dei ricavi anno/anno è scesa dall'80% nel primo trimestre 2018 al 54% nel secondo trimestre, al 28% nel terzo trimestre e solo al 13% nel quarto trimestre.

Inoltre è facile individuare esattamente il perché la crescita dei ricavi è destinata a cifre singole: ogni autista di Uber risponde anche alle chiamate di Lyft, Juno e di un gruppo di nuovi arrivati che selezionano i migliori autisti e clienti di Uber dando ai primi salari migliori e migliori tariffe ai secondi.

In questo contesto, il grafico qui sotto è particolarmente preoccupante: il tasso di corse di Uber, o la percentuale delle registrazioni lorde (importanti poi per le entrate nette della piattaforma principale), è risultato in costante calo nel 2018. E il motivo per cui il tasso di utilizzo è diminuito dal 22% nel primo trimestre al 18% nel quarto trimestre non è un segreto di stato: stava perdendo autisti e opportunità di prezzo a causa della legione di concorrenti, e quindi ha dovuto alleggerire la pressione sugli autisti che a mala pena raggiungono il salario minimo.


Il grafico qui sotto mostra l'importo del profitto che Uber ricava dalla sua attività di core business, divisa per i ricavi. Ahimè, nel quarto trimestre del 2018 tale numero è diventato negativo!


Come ultimo esempio di come l'assurdità abbia raggiunto vette spropositate, prendete in considerazione il pattern di Uber sui suoi $12.000 miliardi di "mercato indirizzabile".

Proprio così. In una specie di cugino di secondo grado dei $14 miliardi dell'era delle dotcom, la società afferma di essere nelle fasi iniziali di catturare ciò che si stima essere un mercato indirizzabile totale di $12.000 miliardi, il quale include mobilità personale, consegna di cibo e spedizione merci.

Il PIL globale è di circa $80.000 miliardi, quindi dopo aver bruciato miliardi di dollari negli ultimi tre anni, Uber mira a catturare il 15% del PIL globale!

In effetti, l'S-1 della società ha mostrato di aver generato $9,3 miliardi di flussi di cassa negativi negli ultimi tre anni, compresi $2,5 miliardi di flusso di cassa negativo nell'anno appena conclusosi.

Inutile dire che non sappiamo quale multiplo sui $2,5 miliardi di inchiostro rosso serva per arrivare ad una valutazione di $86 miliardi... Ma, naturalmente, perché dovrebbe essere così importante?

Durante il 2018 l'81% delle aziende statunitensi ha avviato le proprie IPO come entità in perdita. Il grafico qui sotto mostra la percentuale di IPO con guadagni per azione negativi sin dal 1980: prima di Greenspan parliamo del 15-20% e da allora è stata in costante aumento.

Per le imprese tecnologiche lo scorso anno la cifra era ancora più elevata, all'84%. Non sorprende che l'ultima volta che accadeva una cosa del genere era il 1999 e il 2000. All'epoca l'86% delle aziende Internet che si rivolgeva a Wall Street non erano redditizie.


Quindi, sì, ci stiamo davvero stancando della guerra commerciale di Donald, ma in realtà non si capisce cosa sia peggio: se i suoi tweet pingui di ignoranza economica o le teste vuote a Wall Street che compravano azioni di una società che non ha un minimo di redditività passata presente e futura.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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