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mercoledì 12 giugno 2019
Perché la crisi del debito turca rappresenta un rischio maggiore per l'Eurozona rispetto ai PIIGS
di Claudio Grass
La Turchia è finita quasi sempre sui titoli dei giornali nell'ultimo anno, a causa della sua economia in difficoltà e la situazione politica burrascosa. Tutti ricordiamo il crollo della sua valuta la scorsa estate, quando la lira turca è precipitata di quasi il 40% gettando l'economia turca nel panico. A gennaio l'inflazione ha superato il 20%, con un aumento vertiginoso dei prezzi alimentari e un impatto particolarmente grave sulla popolazione. Allo stesso tempo la disoccupazione ha raggiunto il 14,7%, il livello più alto in un decennio e una cifra destinata a salire ulteriormente. Dal punto di vista politico l'attrito del Paese con gli Stati Uniti , così come i suoi sconvolgimenti interni, hanno fornito altri motivi di preoccupazione e hanno annebbiato le prospettive future.
Un boom artificiale e poi il bust
Dopo le ultime elezioni fortemente contestate, che hanno inflitto gravi danni al regno di Erdogan, si sono ben presto consolidate le prospettive di un'ulteriore instabilità. Erdogan, già al potere da 18 anni, sta ora spingendo per nuove elezioni comunali a Istanbul, in seguito alla sconfitta del suo partito. È proprio questa tempistica, insieme allo spauracchio di una recessione, che rende la situazione in Turchia ancora più precaria.
Negli ultimi due decenni l'economia del Paese è stata determinante per l'espansione e il consolidamento del potere del presidente della Turchia. Tuttavia l'adozione di politiche monetarie populiste e la crescita artificiale alimentata dal debito sono diventate sempre più insostenibili, come di solito accade. Poiché le fratture sono ora evidenti nell'economia del Paese, anche il sostegno al partito al governo è ai minimi storici. Nel mezzo di una recessione, con ulteriori frizioni politiche all'orizzonte, gli investitori sono giustamente preoccupati che gli obiettivi politici possano oscurare l'urgente necessità di risolvere i problemi economici del Paese. Le misure difficili e necessarie per fermare la spirale mortale della lira e per controllare la bomba ticchettante del debito, difficilmente rappresentano temi elettorali vincenti.
Il presidente turco è noto per la sua interferenza nell'economia e nel settore privato, mentre la banca centrale ha perso credibilità poiché la sua indipendenza è stata ampiamente compromessa. Poco prima di quest'ultima elezione, ad esempio, ha utilizzato le sue riserve per sostenere la lira, con i dati pubblicati che rivelano che le sue riserve sono diminuite di oltre $2 miliardi nella settimana precedente al voto. Secondo l'agenzia di rating Moody's, le riserve lorde e nette erano "già a livelli molto bassi".
Oltre a scuotere la fiducia degli investitori e ad incoraggiare i sospetti sulla politicizzazione della banca centrale, la mossa non è riuscita a sostenere la valuta, poiché la lira ha continuato a precipitare in ogni caso sotto la pressione delle preoccupazioni sulle riserve in diminuzione del Paese. Ulteriori pressioni sono arrivate dalla valuta indebolita e dalla credibilità indebolita di Erdogan, alimentate inoltre dalla tendenza sempre più dominante di una dollarizzazione a livello nazionale. Sempre più cittadini turchi si rivolgono all'USD e all'Euro per proteggere il loro potere d'acquisto e persino usarli nelle loro transazioni quotidiane. Secondo i dati recenti del Financial Times, i depositi in valuta estera dei residenti sono saliti di $2,1 miliardi nell'ultima settimana di marzo, portando il totale a $167 miliardi.
Il governo turco ha tuttavia ignorato i segnali di pericolo. Al contrario Erdogan rimane focalizzato sugli aspetti politici dell'attuale crisi, farneticando di cospirazioni straniere e insistendo su politiche che servono solo a nascondere le carenze dell'economia. Nonostante gli sforzi per controllare l'inflazione e per far uscire l'economia dalla recessione, i fondamentali economici sono ancora disastrosi e il sentiment degli investitori rimane molto basso. Un nuovo programma di riforme avviato a metà aprile non è riuscito a convincere gli investitori a migliorare le loro prospettive, con un sondaggio di JP Morgan che dimostra che oltre l'80% degli investitori non ha fiducia nella capacità del governo di rilanciare l'economia. Il piano prevedeva un'iniezione da $5 miliardi a banche statali in difficoltà, senza tagli alla spesa o qualsiasi altra misura fiscale realistica che potesse contribuire concretamente a risolvere il problema del debito.
Ripercussioni
Il problema del debito della Turchia, insieme alla lira in declino, è probabilmente il fattore di rischio più importante per l'economia della nazione. A peggiorare le cose c'è la possibilità concreta che la bomba ad orologeria turca produca danni significativi anche altrove, a partire dalle economie chiave dell'Eurozona.
A prima vista la situazione in Turchia potrebbe somigliare a molti scenari del passato: una nazione pesantemente indebitata con una moneta in declino che finisce in una grave recessione e alla fine viene salvata, come la Grecia. Tuttavia c'è una differenza fondamentale che rende il problema del debito della Turchia molto più complicato e potenzialmente più pericoloso. A differenza della Grecia, dell'Italia o di altre economie gravate dal debito, non è solo il debito pubblico il principale rischio: c'è il debito aziendale insostenibile che rende la Turchia una bomba ad orologeria e rende problematica un'opzione di salvataggio da parte del FMI.
Il debito privato in rapporto al PIL si attesta al 170% ed oltre la metà è denominata in valuta estera. Pertanto il crollo della lira ha reso estremamente difficile per le imprese ripagare il loro debito, mentre il rischio di insolvenza è aumentato. Circa $179 miliardi di debito estero dovrebbero maturare il mese prossimo, il che equivale a quasi un quarto della produzione economica annuale del Paese, secondo le stime di JPMorgan. La maggior parte di questa cifra, $146 miliardi, è dovuta in particolare dal settore privato e dalle banche.
Per quanto l'attuale situazione del debito possa sembrare disastrosa per le imprese e le prospettive economiche della Turchia, è importante considerare anche le implicazioni per i suoi creditori, soprattutto dal momento che le banche europee sono tra i più importanti. Infatti il livello di esposizione in alcuni casi è così preoccupante da poter affermare che ciò che accade in Turchia non si limiterà a rimanere in Turchia.
Il settore bancario spagnolo è uno dei pochissimi nel blocco europeo che finora non è stato considerato problematico; soprattutto rispetto alle banche italiane o greche. Tuttavia l'esposizione delle banche spagnole al debito turco rimetterà in discussione questo assunto. La seconda banca spagnola, BBVA, controlla il 49,9% della banca turca Garanti, che ha già fatto registrare un aumento dei prestiti non performanti. Le banche spagnole hanno anche guidato la corsa al credito delle imprese turche negli ultimi anni, rendendole vulnerabili al rischio d'insolvenza.
Sebbene le banche spagnole siano state di gran lunga i maggiori finanziatori della Turchia, anche le banche francesi, italiane e tedesche hanno un'esposizione significativa al debito turco. Ciò è già diventato problematico dall'insorgere delle turbolenze turche la scorsa estate, quando gli investitori hanno scaricato le azioni e i prezzi delle banche dell'Eurozona hanno subito forti colpi. Tra quelle messe peggio ci sono BBVA, Unicredit e PNB Paribas. Eppure tutto questo non è niente in confronto al danno che una crisi monetaria prolungata e un rischio d'insolvenza crescente possono infliggere al già vulnerabile settore bancario europeo.
Lezioni chiave
Complessivamente i problemi della Turchia sono l'ennesimo promemoria della fragilità dell'attuale sistema monetario e del settore bancario, nonché delle debolezze sistemiche e dell'inevitabile insostenibilità di un'economia pianificata centralmente e del denaro fiat.
Dopo tutto il valore della lira, come quello di qualsiasi altra valuta fiat, dipende dalla fiducia che la gente ripone nell'istituzione che la emette. Una volta che viene compromessa o addirittura persa, nessuna misura dei pianificatori centrali può stabilizzarla. Lo abbiamo visto negli ultimi mesi in Turchia, con il governo che ha tentato un'ampia varietà di approcci per controllare il calo della valuta, senza successo. Ciò dimostra chiaramente la natura fragile dell'intero sistema.
Con il crollo della valuta turca, la domanda di oro è più che raddoppiata nel Paese. Infatti il metallo giallo ha raggiunto massimi di prezzo storici in lire turche, come ci si può aspettare in tempi di crisi. Le richieste pubbliche di Erdogan ai cittadini (vendere l'oro e acquistare la lira per aiutare a difendere il Paese dagli "attacchi economici" esteri) sono state chiaramente ignorate. I consumatori si sono accalcati sul metallo prezioso in risposta al deterioramento della valuta fiat e sin dallo scorso dicembre le importazioni di oro in Turchia sono aumentate di otto volte, mentre negli ultimi due anni la stessa banca centrale turca ha aumentato drasticamente le sue riserve auree ufficiali.
Mentre il Paese si unisce alla lunga lista di nazioni che sono arrivate a rimpiangere l'interventismo sconsiderato e la manipolazione monetaria, la Turchia incarna un messaggio forte a quegli investitori che sono abbastanza saggi da leggerlo.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
L'auto-illusione di questi ultimi tempi è che la FED possa tornare a tagliare i tassi, come ha ripetuto anche Powell nella sua ultima uscita sulla stampa. Davvero? Se guardate il seguente grafico potete mettere le sue parole in prospettiva. La realtà è che la FED è all'angolo rispetto ai cicli precedenti. E come sta la BCE con il tasso benchmark inchiodato allo 0, il tasso dei depositi già a -40bps e il rendimento del decennale tedesco nel sottoscala della storia finanziaria? Ovviamente peggio. Ma stando a quanto dice lo zio Mario, è pronto lo stesso ad intervenire. Come? Non si sa. Quando? In base alla Reuters, un cambio euro/dollaro a 1.15 è tollerabile ma uno a 1.20 sarebbe critico, quindi questo potrebbe essere l'innesco ad agire.
RispondiEliminaIronia della sorte, se la BCE dovesse tagliare ancora di più i tassi, le banche europee cominceranno a crollare come tasselli di un domino, poiché il loro modello di business smetterà di funzionare definitivamente in presenza della NIRP.
La cosa che fa sbellicare dalle risate è che le stesse banche centrali che hanno introdotto politiche senza precedenti "non ortodosse" per preservare i giganti del mondo bancario, saranno i responsabili della devastazione di queste stesse banche. Fortunatamente per lo zio Mario, non sarà lui a presiedere il disastro (e fondamentalmente ha agito come lo zio Ben, seminando distorsioni e preoccupandosi che un eventuale crollo non venisse affibbiato al suo nome). Il suo successore, però, non sarà così fortunato...