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venerdì 21 giugno 2019

La forza dell'Europa risiede nella diversità degli stati membri





di Kai Weiss


Quando la Gran Bretagna ha deciso di lasciare l'Unione Europea, il 23 giugno 2016, le onde d'urto hanno attraversato Bruxelles e l'Europa. L'Unione Europea ha attraversato molte crisi negli ultimi decenni e, soprattutto negli anni della crisi dell'euro, l'insoddisfazione è salita in molti stati membri. Ma il fatto che uno dei più grandi e importanti stati membri abbia deciso di lasciare il progetto UE a titolo definitivo, è un precedente non indifferente.

All'inizio Bruxelles era in uno stato di totale shock, per molti sembrava che la fine dell'UE fosse vicina. La domanda cruciale allora era come riprendersi dalla Brexit. Quale direzione avrebbe dovuto prendere l'Europa continentale senza la Gran Bretagna?

Per molti sembrava ovvio che fosse giunto il momento di fare un'inversione di marcia. Dopotutto, gli inglesi non hanno votato per andarsene perché la loro integrazione a livello europeo era bassa. La crisi dell'euro rappresentava l'ennesimo esempio lampante del fatto che l'UE fosse andata troppo oltre. Inoltre la crisi migratoria ha dimostrato l'incapacità degli stati membri di trovare un minimo comune denominatore anche nelle crisi più urgenti. Nel frattempo le forze euroscettiche stavano guadagnando trazione in tutto il continente.

Ma incredibilmente Bruxelles ha preso una decisione sconvolgente, spalleggiata dal presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker e dal presidente francese Emmanuel Macron: difendere ancora più "un'unione più stretta". In tempi di populismo e di fiorente nazionalismo, secondo loro era il momento di difendere il progetto europeo più che mai.

Fino ad oggi è stato espresso un flusso infinito di idee su come si potrebbe fare e tutte queste idee sono state presentate in discorsi pomposi in parlamenti, università e in dibattiti televisivi. Tutte hanno un aspetto in comune: ci deve essere maggiore integrazione, maggiore centralizzazione nella capitale del Belgio, perché se l'Europa non continuerà su questa strada, l'Europa tornerà in un'era che nessuno vuole rivivere.

Come l'élite di Bruxelles e alcuni capi di governo possano essere arrivati a questa conclusione non è del tutto chiaro. Certo, i politici possono difendere l'UE definendola un progetto di pace e il successo del libero commercio e del liberalismo, quasi nessuno sarà in disaccordo.

Ma l'UE era già tutto questo diversi decenni fa. Ciò che Bruxelles ha fatto è lontano da quanto affermano i politici europei ed è lontano dagli ideali della democrazia liberale. Parlare di democrazia sarebbe comunque ipocrita a questo punto, dal momento che sin dagli anni '90 molti referendum in cui i Paesi hanno votato contro una maggiore integrazione sono stati ignorati. Ed è altrettanto discutibile se una potente burocrazia in una città lontana centinaia di miglia dalla maggior parte dei cittadini sia democratica.

Anche il dinamismo economico è stato lasciato indietro: a lungo sono stati ignorati il rafforzamento del mercato comune e lo smantellamento delle barriere, ed è stato a lungo dimenticato il libero scambio con il mondo esterno. Invece sono stati sviluppati aspetti sempre più protezionistici e normativi. Al giorno d'oggi le aziende di successo vengono penalizzate, mentre la Commissione Europea sta cercando di finanziare l'apparato di Bruxelles (e naturalmente i miliardi di sussidi agricoli e programmi di ridistribuzione verso l'Europa meridionale e orientale) a spese di aziende private e cittadini.

L'euro, descritto da eminenti economisti come Hans-Werner Sinn come un "errore storico", ha subito un'enorme perdita di valore a causa della politica monetaria della Banca Centrale Europea. Ciò ha portato all'impoverimento economico di diversi Paesi e all'erosione della ricchezza personale dei cittadini ordinari e ha creato una bolla che alla fine esploderà.

Allo stesso tempo, la popolarità dell'UE tra gli europei non è migliorata. Può essere vero che la stessa UE come istituzione è più popolare che mai, ma non si può dire lo stesso del lavoro dell'élite di Bruxelles.

In sintesi, si può quindi affermare che i tentativi di integrazione degli ultimi decenni abbiano fallito, tanto per usare un eufemismo. Allora perché i federalisti, i sostenitori di un'Europa federale unita, pensano che tutto ciò che dobbiamo fare sia spingersi ancora oltre lungo una strada che ha fallito?

Se ascoltiamo i federalisti scopriamo che per loro l'UE è più di una semplice organizzazione sovranazionale per il coordinamento dei singoli stati. Per loro l'UE è l'Europa e l'Europa è l'UE. Se una scompare, anche l'altra scompare. Se ne criticate una, criticate anche l'altra. Vivono per questo progetto; per loro il successo dell'UE è più importante di qualsiasi altra cosa. Si potrebbe quasi dire che sentono il "Pulse of Europe", o almeno così credono.

In questo senso, i federalisti seguono una visione fortemente progressista dell'UE. Per loro un'Europa unita, imitando gli Stati Uniti d'America, è l'obiettivo finale per raggiungere la pace e la prosperità in Europa. Gli stati-nazione sono semplici reliquie del passato, forse anche la ragione principale delle grandi guerre del XX secolo, le quali hanno reso necessaria l'UE. Invece di contare sulla sovranità e sull'identità nazionale, tali concetti dovrebbero fare strada a qualcosa di molto più grande: una sovranità europea e un'identità europea.

Per questo motivo ovvi problemi come l'euro, ad esempio, vengono ignorati. Per i fanatici dell'UE l'euro non è una valuta che è fallita, per loro è un simbolo del progetto europeo e criticarlo equivarrebbe a criticare l'Europa in generale.

Invece aumentare l'integrazione è l'unico modo per rimanere nella "parte giusta della storia". Gli Stati Uniti d'Europa sono la destinazione finale e viene seguito il modo più veloce per arrivarci, indipendentemente dagli ostacoli.

Ma i federalisti devono rendersi conto, e forse la Brexit ha rappresentato un monito sufficiente, che la loro filosofia progressista dell'Unione Europea finirà nel caos. I disastri economici vengono ignorati a causa di un'infatuazione irrazionale e per i fanatici l'opposizione degli stati membri e dei cittadini non ha alcun significato, addirittura secondo loro non sarà più un problema una volta creata un'identità europea. I cittadini europei dovrebbero considerarsi esattamente così: cittadini dell'Europa, non della Germania o della Francia.

Ed i federalisti hanno ragione su questo, almeno in una certa misura: perché se le persone si vedessero principalmente come europei, la centralizzazione nella capitale europea sarebbe davvero molto meno assurda e più facilmente accettata. Ma chi in Europa si vede prima di tutto come europeo? È una minoranza incredibilmente piccola e consiste in gran parte nella generazione Erasmus, cioè in coloro che, a spese dei loro concittadini, vanno a "studiare" all'estero e gozzovigliano per tre mesi sulle spiagge in Spagna o in Portogallo con il loro nuovo amici. E ora credono che ciò giustifichi disastri come l'euro o l'armonizzazione fiscale.

Nel frattempo l'élite di Bruxelles sta considerando come diffondere l'identità europea tra i cittadini comuni. Ma questo non può essere fatto dall'alto, tranne attraverso la coercizione. Qualora dovesse nascere un'identità europea, dovrebbe farlo dagli stessi cittadini. Finché questo non accade, i federalisti dovranno accettare la realtà che gli europei non condividono il loro entusiasmo per l'abolizione dei loro stati-nazione a favore di un grande apparato europeo.

E non c'è niente di sbagliato in questo, dopotutto uno dei punti di forza dell'Europa è sempre stata la sua diversità. L'ex-primo ministro britannico, Margaret Thatcher, l'ha riassunto nel suo famoso discorso di Bruges del 1988: "L'Europa sarà più forte proprio perché c'è la Francia che è la Francia, la Spagna che è la Spagna, la Gran Bretagna che è la Gran Bretagna, ognuna con i suoi costumi, tradizioni e identità. È follia cercare di inserirli in una sorta di personalità europea".

Dopotutto questo decentramento è una caratteristica che ha sempre reso l'Europa unica. Per secoli i più grandi pensatori si sono chiesti perché il liberalismo e il capitalismo siano nati in Europa. Ci sono tante risposte e, in realtà, quella giusta è probabilmente una mix di molte altre. Tuttavia è ampiamente riconosciuto che la Kleinstaaterei, vale a dire le centinaia e le centinaia di piccoli stati in Europa, era una ragione importante e come minimo una precondizione.

La storia dice che questo pluralismo ha permesso alle persone di spostarsi rapidamente da uno stato all'altro, consentendo ai cittadini europei di scegliere dove stabilirsi. Questa libertà di scelta e la semplicità di spostarsi rapidamente ha creato una competizione tra gli stati per offrire il posto più attraente in cui vivere. E poiché una politica che fosse il più possibile votata alla libertà s'è rivelata particolarmente efficace per le persone, c'è stato un incentivo affinché gli stati seguissero questa strada.

Certo, non sono solo le idee della libertà individuale, del decentramento e della diversità che sono apparse per la prima volta in Europa. Altre idee sono emerse in questo continente e rappresentano l'esatto opposto: centralismo, collettivismo e disumanizzazione. Queste idee sono state quelle che hanno mostrato la loro brutta faccia, e il volto più brutto dell'Europa, nel ventesimo secolo.

Oggi l'Unione Europea ha la possibilità di scegliere da che parte stare, quale dei due elementi della storia europea vuole propagare. È certamente lontana dai regimi totalitari del secolo scorso e si può presumere (e sperare) che sarà sempre così. E, naturalmente, nessuna delle élite di Bruxelles ha intenzione di andare in quella direzione.

Ciononostante le idee che hanno i federalisti condividono le stesse basi: vogliono centralizzare le decisioni a Bruxelles, vogliono impedire che la libera impresa sia libera, vogliono isolarsi dal mondo esterno, vogliono creare un'identità che non è mai esistita prima. E chiunque si oppone a questi piani, deve essere diffamato come un populista, nazionalista, o con qualsiasi altro insulto vuoto e insensato.

I federalisti potrebbero pensare che la loro visione di "un'unione sempre più stretta" sia innovativa, ma l'idea di creare un mega-stato non è nuova; il fatto che questa idea sia ancora contemplata nel XXI secolo è un triste esempio di quanto velocemente si possa dimenticare il passato.

Se il progetto europeo degenerasse fino a questo punto, l'UE sarebbe destinata al fallimento: o collasserebbe a causa della sua stessa cecità o, ignorando i voti dissenzienti, causerebbe una rivolta ancora più forte delle attuali forze nazionaliste (producendo esattamente ciò che è più temuto e che si è voluto prevenire mediante l'integrazione europea).

Tuttavia esiste un'alternativa: un'Europa che riscopra i benefici del decentramento e del pluralismo; un'Unione Europea in cui stati nazionali liberi e sovrani si uniscano per cooperare; un'Unione Europea in cui venga promossa la libertà economica e vengano ridotte le barriere commerciali; un'Unione Europea con la quale i Paesi europei possano riunirsi per interagire più liberamente con il resto del mondo; un'Unione Europea in grado di fornire sicurezza in tempi di crisi, in tempi di guerra e in tempi di terrorismo, invece di finire nel nichilismo e auto-illudersi in un'idea di riforma.

Innanzitutto dovrebbe essere un'Unione Europea in cui tutti i cittadini abbiano voce in capitolo; un'Europa in cui, per quanto possibile, le decisioni siano prese a livello locale, non lontano a Bruxelles. Tale UE produrrebbe il meglio che l'Europa ha da offrire, sarebbe un'Unione Europea veramente a garanzia della pace e promotrice della prosperità invece di essere intrappolata in sogni utopici.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


1 commento:

  1. Le banche centrali prestano overnight e questo Influisce direttamente la "parte sinistra" della curva dei rendimenti. L'intero sistema finanziario si è concentrato sul denaro a breve termine, sugli investimenti a breve termine e sui risultati a breve termine. Perché prendere in prestito a lungo termine ad un tasso d'interesse reale (anche se basso) quando si può prendere in prestito a breve termine gratuitamente? Perché preoccuparsi della redditività a lungo termine quando si possono fare soldi adesso? Perché preoccuparsi delle vendite e dei profitti quando si può aumentare il proprio stock con finanziamenti a costi infimi?

    Peccato che il vero capitalismo richieda tempo: ci vuole tempo per costruire fabbriche ed infrastrutture, ci vuole tempo per formare le persone, ci vuole tempo per testare nuove innovazioni, ci vuole tempo per mettere in campo nuovi macchinari... e per pagarli. E ci vogliono risparmi. Ma poiché le banche centrali hanno abbassato i tassi d'interesse, hanno reso i risparmi così poco interessanti che quegli attuali sono inferiori a quelli di 20 anni fa.

    I finanziamenti a breve termine sono ottimi per gli speculatori a breve termine, ma sono un male per gli affari. Non si può costruire un'economia reale e prospera con denaro overnight. C'è bisogno di finanziamenti a lungo termine. E con il tasso di risparmio in declino e il capitale che è fluito lungo la parte sinistra della curva dei rendimenti, il poco capitale a lungo termine rimasto è finito ai mutuatari "più sicuri": le grandi società e il governo degli Stati Uniti.

    Peccato però che il denaro non venga affatto "investito" dai pianificatori centrali: viene invece sperperato. Sono le piccole imprese, non le grandi società, che sono la principale fonte di crescita economica. L'economia degli Stati Uniti ha iniziato un rallentamento ciclico nel 2001. Da allora i tassi di crescita del PIL, in media su un periodo di 10 anni, sono solo la metà di quelli della fine del XX secolo. I tassi d'interesse fasulli delle banche centrali avranno anche influenzato i prezzi delle azioni, ma non fermeranno il declino di Main Street...

    Lo hanno peggiorato.

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