di Claudio Grass
Fino a poco tempo fa la Germania era il cavallo da corsa, apparentemente indistruttibile, che ha allontanato l'economia europea dall'orlo del baratro e l'ha tenuta compatta attraverso una miriade di pressioni interne ed esterne, nonché crisi politiche, nell'ultimo decennio. Quale leader innegabile del blocco europeo, il Paese tedesco ha guidato e supportato piani di salvataggio per i soggetti più deboli dell'Eurozona, nonché una serie di politiche controverse che miravano ad una maggiore centralizzazione dell'UE. Tuttavia, con nuvole nere che ora si addensano all'orizzonte riguardo le prospettive economiche della Germania, stanno aumentando le preoccupazioni sui potenziali effetti a catena sull'intera unione monetaria.
Scendere sotto le aspettative
Le tensioni commerciali, la minaccia di una hard Brexit e la debole crescita dei mercati emergenti hanno contribuito a smorzare la ripresa economica della Germania durata nove anni. Il 2018 è stato un anno difficile per il terzo esportatore mondiale, poiché la Germania ha visto diminuire il suo surplus commerciale. Con le importazioni che crescono più velocemente delle esportazioni, l'impatto delle dispute commerciali tra gli Stati Uniti e Cina/Unione Europea è stato ampiamente sentito dai leader nel settore industriale.
Inoltre è improbabile che il nuovo anno riesca ad invertire questo trend, poiché si prevede che l'economia tedesca cresca ad un tasso inferiore all'1,5%, una stima rivista verso il basso da marzo. Allo stesso tempo il sentimento da parte dei leader del settore industriale e degli investitori si sta spostando dalla prudenza al puro pessimismo per ciò che ci aspetta. Secondo un recente sondaggio dell'associazione di categoria BVMW, il 53% delle piccole e medie imprese tedesche ritiene che il paese scivolerà in recessione il prossimo anno.
Fattori aggravanti
Le forze interne contribuiranno ad andare contro l'economia tedesca, con il mercato del lavoro che è diventato uno dei problemi chiave. La crescente penuria di lavoratori qualificati ha messo in grosse difficoltà i datori di lavoro ed è stata dannosa per le loro operazioni. In media ci vogliono 100 giorni affinché un'azienda riempia un posto vacante ed i settori più duramente colpiti sono quelli dell'industria tecnologica, edilizia e sanità. Come mostra una nuova relazione dell'istituto di ricerca economica Prognos, il problema è destinato a peggiorare. La relazione prevede una carenza di circa 3 milioni di lavoratori qualificati entro il 2030, stima che salirà a 3,3 milioni entro il 2040. I dati demografici della Germania, in particolare i bassi tassi di natalità, sono i principali colpevoli di questo disallineamento, in quanto la prossima generazione di lavoratori non sarà sufficiente a sostituire la popolazione attiva che si sta ora spostando verso la pensione. L'ondata migratoria iniziata nel 2015, nonostante le previsioni contrarie, non è riuscita a colmare tale lacuna, poiché l'integrazione nella forza lavoro è ampiamente fallita e la maggior parte dei candidati non ha le competenze linguistiche e tecniche richieste per coprire i posti vacanti.
La carenza di manodopera è una ferita auto-inflitta per la Germania, proprio come i problemi nel settore dei servizi. L'eccessiva regolamentazione, gli ampi interventi e le inevitabili inefficienze di un'economia pianificata centralmente stanno creando ostacoli significativi che frenano la crescita e la competitività. Requisiti eccessivamente restrittivi e imposti dallo stato per l'accesso a varie professioni riducono drasticamente il numero di candidati idonei, rendendo ancora più difficile per i datori di lavoro riempire i posti vacanti. Inoltre i costi esorbitanti di previdenza sociale ed altre imposte, nonché le severe restrizioni sulle condizioni di licenziamento dei dipendenti, impongono un pesante onere sulle aziende, in particolare per coloro che cercano di competere a livello internazionale. In altre parole, la demografia è uno dei candidati per spiegare le difficoltà tedesche, ma il suo ruolo dannoso è ampiamente amplificato dalle inefficienze sistemiche esistenti e dalle restrizioni al mercato.
Ultimo, ma non meno importante, è il profilo dell'economia tedesca stessa. Nonostante la retorica dell'ottimismo e le proposte che ascoltiamo regolarmente dal governo tedesco e dai suoi rappresentanti, la maggior parte delle idee non sono passate dalla teoria alla pratica. Il Paese non è riuscito a sfruttare i suoi anni di boom per migliorare la competitività del suo settore dei servizi, modernizzare e digitalizzare aspetti chiave del suo settore industriale, fare passi in avanti sulla riforma fiscale o imporre misure significative per sostenere le pensioni che sono vicino al punto di rottura. In altre parole, aver perso l'opportunità di prepararsi potrebbe rivelarsi una mancanza fatale quando la Germania dovrà rispondere alla prossima crisi economica.
Effetto domino
Il ruolo della Germania come locomotiva dell'intero blocco europeo è stato cruciale nell'ultimo decennio e le crepe nella sua economia non potevano emergere in un momento peggiore. L'Eurozona nel suo insieme sta già affrontando forti venti contrari, con stime di crescita che già fanno segnare nuovi minimi. Secondo un recente sondaggio condotto dal Consensus Economics, la crescita del PIL per il 2019 sarà appena al di sotto dell'1,6%, ovvero dello 0,4% in meno rispetto alla precedente previsione di marzo. Questo sarebbe il secondo calo consecutivo annuale, con i dati sulla crescita per il 2018 inizialmente previsti all'1,9%, molto al di sotto del 2,4% registrato nel 2017.
Non scordiamoci delle pressioni periferiche, sia economiche che politiche. La Francia, un tempo alleato politico affidabile della Germania e una forte presenza economica nell'Unione Europea, è gravemente indebolita da disordini interni e perdita di fiducia della popolazione nei confronti del governo, mentre per la prima volta sin dal 2016 il suo settore privato è scivolato in una contrazione. L'Austria, anch'essa ex-sostenitrice delle iniziative tedesche nell'UE, si è spostata su una posizione più critica, opponendosi ferocemente alle proposte di migrazione guidate dalla Germania e schierandosi invece con Ungheria, Polonia e altri stati membri che la pensano allo stesso modo. Nel frattempo la prospettiva di una Brexit "senza accordo", una volta impensabile per Bruxelles, sta lentamente prendendo piede, così come le sue implicazioni economiche per il blocco europeo.
Sullo sfondo delle tensioni sociali e politiche che sono spuntate in tutto il continente da oltre due anni, le elezioni del Parlamento europeo che si terranno a maggio di quest'anno suscitano timori di una "rimonta" euroscettica. Profonde divisioni ed una cronica mancanza di dialogo hanno significativamente indebolito la coesione sociale in Europa, attenuando la voce dell'individuo e spostando il potere sulle strutture di gruppo e sulle identità collettive. I dibattiti su questioni politiche ed economiche vitali sono stati in gran parte sostituiti da discussioni inutili, semplicistiche e populiste, poiché l'interesse pubblico per la politica e la fiducia nei politici sono colati a picco. La recente sommossa dei "Gilet Gialli" ha ispirato proteste in tutto il continente, fornendo forti segni di questo pubblico scontento nei confronti dello status quo.
Complessivamente sembrerebbe che la Germania sia come la corda che mantiene unito il blocco europeo e se si dovesse spezzare, potrebbero emergere molteplici problemi che minaccerebbero il futuro dell'Eurozona e la coesione dell'UE. A causa delle crescenti difficoltà politiche e del rallentamento economico, le prospettive per i mercati europei e per l'euro sono tutt'altro che incoraggianti.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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