di
David Stockman
C'era una volta il mercato azionario che rifletteva lo stato dell'economia di Main Street ed il livello dei profitti aziendali. Nell'attuale era del settore bancario centrale keynesiano, non tanto.
A partire dal primo trimestre del 2012, l'indice S&P 500 è salito da 1300 a 2900, o quasi del
125%. Allo stesso tempo gli utili societari al netto delle imposte, pari a
$2.200 miliardi (tasso annuo) nel primo trimestre 2012, non sono andati da nessuna parte visto che hanno fatto registrare un calo a
$2.180 miliardi nel quarto trimestre 2018; e questo triste numero, a sua volta, è sceso di quasi il
6% dal picco di
$2.320 miliardi registrato nel terzo trimestre 2014.
Il grafico qui sotto potrebbe dare origine a qualche perplessità, soprattutto riguardo la genuinità del bull run dell'indice.
E non lo è affatto: i profitti presumibilmente in forte crescita dietro le medie in aumento non derivano dall'economia di Main Street, ma da modifiche legislative
una tantum, giochi contabili di Wall Street, massicci riacquisti di azioni proprie e lo spostamento strutturale degli utili societari dalle società più piccole e non quotate a quelle nell'indice S&P (come è successo con il massiccio spostamento di dollari pubblicitari e profitti dalle società di media tradizionali a Google e Facebook).
Quello che stiamo dicendo è che la ripresa di cui Wall Street e Trump continuano a vantarsi, non riflette i guadagni nell'economia di Main Street; è un simulacro di prosperità basato su indici azionari che riflettono una farsa mastodontica.
Guardiamo un attimo agli utili per azione riportati (GAAP) per l'indice S&P 500, il tipo di profitti che devono essere certificati come veritieri dalla SEC pena il carcere. Nel primo trimestre del 2012 gli utili riportati a
$88,54 per azione rappresentava un multiplo PE di
14,6X a livello 1300 dell'indice. Nel corso dei sei anni successivi l'indice S&P 500 ha riportato un aumento dei profitti a
$132,39 per azione, implicando un multiplo PE di
21,9X a livello 2900 del mercato.
Quindi gli aumenti degli utili GAAP rappresentano circa i
due quinti del guadagno del 125% dell'indice S&P 500, con la quota dominante del guadagno dovuta
all'espansione dei multipli PE.
Ma tale numero è notevolmente fuori scala, perché è stato gonfiato grazie all'enorme vantaggio
una tantum rappresentato dal taglio delle tasse sulle società. Infatti circa
$10 per azione del guadagno di $22 per azione nel 2018 sono dovuti all'effetto di riduzione delle imposte rispetto ai numeri del trimestre in corso.
Quindi gli utili dell'indice S&P 500 per il periodo annuale terminato a dicembre 2018, ammontavano a
$122 per azione. Ciò implica un guadagno del
38% in termini di utili effettivi per azione.
Ancora, il qualificatore pertinente è "per azione". Le società nell'indice S&P 500 hanno riacquistato le loro azioni ad un ritmo furioso, e tale processo è andato a braccetto col taglio delle imposte sulle società nel 2018, con circa
$800 miliardi di riacquisti che hanno stabilito un record assoluto. Dal 2012 al 2018, infatti, i riacquisti cumulativi per l'indice S&P 500 sono ammontati a
$3.530 miliardi: un massiccio flusso di ritorno a Wall Street che ha tolto una grossa fetta dal flottante azionario.
Come mostrato di seguito, il flottante di azioni dell'indice S&P 500 si è ridotto di quasi il 7% tra il 2012 e il 2018. Di conseguenza, su base costante (2012 effettivi), gli utili rettificati per il periodo annuale terminato a dicembre 2018 ammonterebbero a soli
$113,75 per azione. A sua volta, ciò ridurrebbe la crescita cumulativa negli ultimi sei anni ad appena il
28%.
Detto in modo diverso, quando si tolgono dal conteggio gli effetti fiscali
una tantum e il numero di azioni riacquistate, il multiplo PE per un indice S&P 500 al livello attuale sarebbe del
25,5X.
Ma una riduzione delle tasse
una tantum è un cambiamento che ricade sulle casse dello Zio Sam, non una crescita permanente; e la riduzione del numero delle azioni è stato effettuato a scapito di un aumento del rischio, leva finanziaria ed interessi passivi. Quindi i guadagni mediante questi fattori non meritano multipli standard. E certamente non durante il periodo di espansione più lungo della storia nel ciclo economico, una condizione che ci dice che i guadagni degli anni futuri scenderanno vertiginosamente prima di tornare nuovamente al prossimo ciclo di espansione economica.
In ogni caso, anche i
$113,75 per azione per il 2018 e la crescita implicita del
28% dal 2012 non riflettono guadagni complessivi degli utili societari e certamente non le condizioni macroeconomiche di Main Street.
Ciò è dovuto al fatto che alcuni cambiamenti strutturali nell'economia statunitense hanno avuto l'effetto di trasferire i profitti aziendali alle società nell'indice S&P 500 dal Russell 2000 e da società non quotate in borsa.
Ciò è avvenuto in gran parte grazie al massiccio boom di fusioni e acquisizioni (M&A), favorito dalla FED. Come regola generale, i pesciolini non inghiottono le balene: vale a dire, la macchina M&A guidata da Wall Street ha spostato i profitti acquisiti dalle società target nelle società dell'indice S&P 500 ogniqualvolta venissero acquisite società non nell'indice S&P.
Nel complesso, l'impatto è stato significativo. Dal 2012 al 2018 sono state completate in Nord America quasi
85.000 M&A per una valutazione aggregata di
$13.000 miliardi. Mentre è probabile che la maggior parte della capitalizzazione di mercato trasferita in questi accordi fosse tra società S&P, decine di miliardi di profitti annuali sono stati portati nell'indice S&P da società target che non facevano parte dell'indice.
Ma è stato un trasferimento, non una crescita, per l'economia aggregata. Ciò significa che per Main Street e per la capitalizzazione dell'indice S&P 500 il percorso verso la prosperità è stato costantemente divergente e non solo dal 2012, ma durante la maggior parte degli ultimi 30 anni in cui Greenspan ha avviato la pianificazione monetaria centrale.
Allo stesso modo, nel 2012 le società nell'indice S&P 500 hanno fatto registrare utili GAAP aggregati pari a circa
$860 miliardi, di cui Google e Facebook hanno contribuito per
$10,7 miliardi o solo l'1,2%.
Al contrario, nel 2018 Google e Facebook hanno fatto registrare utili combinati di
$53 miliardi, che rappresentano quasi il
5% degli utili dell'indice S&P 500 a
$1.125 miliardi. Ancora più importante, questo guadagno di
$42 miliardi ha rappresentato quasi il
16% del guadagno netto di
$265 miliardi negli ultimi sei anni da tutte le 500 società nell'indice.
In questo caso, stiamo parlando di M&A di un altro tipo. Ciò che è stato "acquisito" da Facebook e Google sono statii circa
$180 miliardi di entrate pubblicitarie che in precedenza erano concentrate su giornali e riviste, società di cartelloni pubblicitari, radio e TV. Tali ricavi pubblicitari erano ad appannaggio di società non incluse nell'indice S&P 500.
Ma il punto cruciale è questo: la spesa pubblicitaria totale è un settore ad alta crescita ciclicamente lento. Pertanto la spesa pubblicitaria totale nel Nord America era di
$185 miliardi al picco pre-crisi del 2007 e nel 2018 era di soli
$213 miliardi, un mero
tasso di crescita annuale dell'1,3% in suddetto periodo.
E questo in dollari nominali. In termini reali, la spesa pubblicitaria aggiustata all'inflazione non è affatto cresciuta. La crescita dei profitti dell'indice S&P e della sua capitalizzazione, quindi, sono una questione completamente diversa dalla prosperità di Main Street. Negli 80 mesi tra il primo trimestre 2012 e il quarto trimestre del 2018, l'indice S&P è salito del
125%, ma i profitti societari a
$2.200 miliardi (tasso annuo)
non sono aumentati di un centesimo.
Ed è l'enorme divario tra queste due figure che sottolinea il motivo per cui Main Street non è andata da nessuna parte, diversamente da quello che dicono Wall Street ed i media finanziari. Anche stamattina, per esempio,
stavano chiacchierando eccitati di come il PIL della Cina, totalmente manipolato al punto decimale da Pechino, sia arrivato al
6,4% rispetto ad un'aspettativa del
6,3%.
Mao si starà rigirando nella tomba! Non avrebbe mai immaginato che la stampa capitalista sarebbe diventata così servile nei confronti della propaganda di regime. Hanno battuto dello
0,1% praticamente ogni trimestre e il fatto stesso che la crescita sia esattamente al
6,8% per tre trimestri di fila significa che anche i Suzerain Rossi di Pechino hanno un audace senso dell'umorismo; e uno che risuonerà attraverso i secoli molto tempo dopo che lo Schema Rosso di Ponzi crollerà, perché la Cina non rivedrà mai, mai i dati iniziali.
La filosofia dentro le sue agenzie di statistica deve essere: sfornare i dati e non voltarsi mai indietro! Ma anche così lasciano una scia di briciole statistiche che vi dice tutto ciò che dovete sapere: lo Schema Rosso di Ponzi alimentato dal credito facile si sta inesorabilmente sgonfiando e nessuna iniezione disperata di denaro può invertire la tendenza.
Dopotutto, è davvero così difficile vedere che l'economia cinese da $13.000 miliardi è un capriccio della natura economica? Un esercizio storico mondiale per stimolare, prendere in prestito, costruire, spendere, speculare?
Ciò significa che i numeri riportati non misurano la produzione capitalistica in senso convenzionale, dove gli investimenti decentrati, la produzione, le spese e le attività di risparmio da parte di decine di milioni di lavoratori ed imprese si accumulano agli aggregati nazionali; e che sono vulnerabili agli urti e agli shock occasionali, anche al netto degli interventi della banca centrale, inerenti a reti di mercato infinitamente complesse e che garantiscono la volatilità del tasso di crescita da un periodo all'altro.
Al contrario, il PIL cinese è essenzialmente stampato dallo stato. Pechino stabilisce gli obiettivi di crescita, li abbassa a livello locale attraverso il suo partito e gli apparati governativi, comprese le gigantesche banche controllate dallo stato e le imprese industriali, e poi fornisce tutto ciò che serve con nuovi crediti, tangenti e talvolta punizioni.
Da un lato, quindi, non è difficile capire come il suo PIL cresca notevolmente trimestre dopo trimestre: circa 17 giorni dopo la fine di ogni trimestre, esso riporta essenzialmente i suoi obiettivi e gli input di credito e stimolo come output completato per il trimestre in corso. Quindi quello che era un input, diventa un output. Si tratta di una forma più elevata di stampante del PIL. Senza contare che ciò che viene misurato non è il valore aggiunto e la creazione di ricchezza, ma semplicemente la spesa promossa, orientata e incentivata dello stato per infrastrutture, beni strumentali e beni/servizi di consumo.
Ma tale spesa non è efficiente, perché non ci sono meccanismi di feedback basati sul mercato che causano perdite, fallimenti ed investimenti improduttivi. Invece lo Schema Rosso di Ponzi è diventato un gigantesco groviglio di investimenti maligni, di centri commerciali e appartamenti vuoti, autostrade deserte, aeroporti e treni senza nessuno e un impianto industriale gravato da immensi debiti insostenibili.
Al centro di questo gigantesco Schema di Ponzi c'è un investimento fisso da cui scaturiscono tutte le altre attività in Cina. Per esempio, qualcuno prospera vendendo pranzi e spuntini ai lavoratori che costruiscono appartamenti di alto livello e che rimarranno vuoti, perché costruiti per apprezzamento speculativo, non per occupazione (ce ne sono 60 milioni). Ma chi consegnai pranzi incarna la crescita del PIL.
Come mostrato nel grafico qui sotto, tale elemento motore è cresciuto di oltre il
20% l'anno fino al 2013, ma da allora si è costantemente sgonfiato di due terzi fino al
6,3% registrato lo scorso marzo. Ciò sta accadendo non solo per la legge dei grandi numeri, ma perché anche i compagni che gestiscono lo Schema Rosso di Ponzi capiscono di essere su un tapis roulant incendiario che richiede quantità di debito sempre più grandi per ottenere il prossimo incremento della crescita degli investimenti.
Quindi stanno cercando di gestire la costante deflazione degli investimenti in asset fissi che sono rimasti nel range del 40-50% del PIL per gran parte di questo secolo, e lo stanno facendo per una buona ragione: con gli enormi ritmi di investimento di pochi anni fa, la Cina sarebbe diventata un gigantesco aeroporto circondato da milioni di chilometri di ferrovie ad alta velocità e un anello di acciaierie che avrebbe oscurato l'intero cielo asiatico.
Com'è anche evidente dal grafico qui sotto, l'aspetto di comando e controllo dello Schema Rosso di Ponzi è in bella vista: quando il tasso complessivo degli investimenti in asset fissi aveva bisogno di una spinta temporanea per mantenere l'intero sistema in linea con gli obiettivi del PIL di Pechino, partivano gli ordini alle gigantesche imprese statali affinché aumentassero i loro tassi d'investimento (linea rossa) ed è esattamente quello che è successo quando l'economia cinese è sembrata vacillare nel 2016 e all'inizio del 2017.
Inutile dire che questo è accaduto durante la corsa verso l'incoronazione di Xi Jinping come l'Imperatore Rosso al 19° Congresso del Partito nell'ottobre 2017, e nulla è stato lasciato al caso: Pechino ha aumentato la spesa per investimenti delle imprese statali del 20% annuo, nonostante stesse già affogando in eccessi di capacità di acciaio, alluminio, cemento, pannelli solari, automobili, macchine edili, ecc.
Tuttavia, come risulta anche dal grafico, non appena è stato generato un mini boom a metà del 2017, Pechino ha tirato il freno a mano, con il tasso di crescita della spesa per investimenti delle imprese statali che è scesa al
2% annuo lo scorso settembre.
Tuttavia Wall Street ancora non c'è arrivato a capirlo. Così quando Pechino ha riallineato la linea rossa durante gli ultimi mesi, le teste di legno sui media finanziari hanno dichiarato "con sorpresa" che il PIL del primo trimestre aveva superato, dello
0,1%, un'approssimazione truccata della montagna di debiti ed investimenti improduttivi cinesi.
Che Pechino sia stata costretta a ricorrere per l'ennesima volta ad una scossa artificiale di stimoli era un segnale lampante ed è solo una questione di tempo prima che l'imperatore Xi finisca nelle fauci della tigre economica che egli stesso ha creato.
Accanto alle ovazioni per l'aumento del PIL dello
0,1%, le teste di legno sui media finanziari hanno dichiarato di vedere maggiori progressi nella trasformazione dell'economia cinese in un'economia di servizi. Viene da chiedersi se questo non sia un qualche caso di strabismo, soprattutto se si vuole utilizzare l'aumento annuale dell'8,7% a marzo nelle vendite al dettaglio per affermare che la Cina si stia dirigendo verso il nirvana di una terra dove la gente fa acquisti fino all'infinito, che possa permetterselo o meno.
Da notare infatti che il tasso di crescita delle vendite al dettaglio è stato in costante declino per quasi otto anni. E questo è particolarmente vero se prendiamo in considerazione le vendite di auto, le quali a marzo hanno continuato il loro crollo senza precedenti, scendendo del 4,6% rispetto all'anno scorso.
Ancora più importante, i consumatori della Cina ancora dipendono molto dai salari pagati dalla vasta macchina industriale dello Schema Rosso di Ponzi. Il tasso di espansione di quest'ultimo, a sua volta, è guidato dalle esportazioni e dagli investimenti in asset fissi.
Dobbiamo aggiungere altro?
La Guerra Commerciale di Trump non finirà presto, anche se c'è un sentore di tregua a fine maggio. I dazi rimarranno per molto tempo a venire. Quindi, senza un risveglio della crescita delle esportazioni, debiti impagabili per $40.000 miliardi e un calo inesorabile della crescita degli investimenti in asset fissi, perché pensereste che il costante declino del tasso di crescita della produzione industriale cinese, illustrato di seguito, dovrebbe resuscitare miracolosamente?
Eppure una cosa è chiara: non c'è stata alcuna crescita dei consumi interni e la spesa al dettaglio non si è affatto disgiunta dalla crescita della produzione industriale. Vale a dire, lo Schema Rosso di Ponzi non salverà il mondo; sarà già tanto se riuscirà a salvare sé stesso.
Inutile dire che le prove continuano ad accumularsi che il boom targato Trump è stato semplicemente alimentato dal deficit. Infatti, durante il primo trimestre, la produzione di beni durevoli negli Stati Uniti è praticamente crollata, ad un tasso annuo del
15%.
Come ha osservato David Rosenburg, questo fatto annulla tutti i guadagni sin dal 2016 e ci riporta alle ultime fasi della recessione del 2008-09.
La stessa storia sta accadendo in Germania. A febbraio gli ordini industriali hanno perso il maggior margine in più di due anni, con un calo del 4,2%.
Le aspettative di consenso sono state ampiamente perse per un rimbalzo dello 0,3% e, invece, mettono in luce l'entità del rallentamento in mezzo alle guerre commerciali globali in corso, che si stanno dirigendo verso l'Europa.
Su base annuale, il crollo è stato pressoché senza precedenti, con un calo dell'8,2%... il peggiore dalla crisi finanziaria globale.
Eppure le teste di legno sui media finanziari non vedono nulla di tutto ciò e per una buona ragione: sono stati addestrati che quando tutto il resto fallisce, lo stato entrerà in gioco con l'ennesima dose di "stimolo". Poveracci, non riescono a capire che gli stati e le loro banche centrali in tutto il mondo sono a corto di munizioni.
[*] traduzione di
Francesco Simoncelli:
https://www.francescosimoncelli.com/