di Alasdair Macleod
Fino agli anni '70 tutta la storia economica mostrava che i rendimenti obbligazionari erano legati al livello generale dei prezzi, non al tasso d'inflazione dei prezzi come comunemente si crede. Tuttavia, da allora, le statistiche dicono che le cose non stanno più così, ed i rendimenti obbligazionari sono sempre più influenzati dal tasso d'inflazione dei prezzi. Questo articolo spiega il perché è successa una cosa del genere e perché è importante oggi.
Questo articolo è un seguito del mio saggio dello scorso marzo. In quel saggio ho spiegato perché, sulla base di oltre duecento anni di statistiche, i tassi d'interesse a lungo termine erano correlati al livello generale dei prezzi, e non al tasso d'inflazione. Ora approfondisco ulteriormente l'analisi, spiegando perché il Paradosso sembra non essere più applicabile.
I due grafici che illustrano la posizione pre-1970 sono il grafico 1 e il grafico 2 riprodotti di seguito.
I grafici prendono il rendimento del Consolidated Loan Stock (Consol) del governo inglese come proxy del tasso d'interesse a lungo termine e dell'indice dei prezzi (il tasso d'inflazione dei prezzi) registrato nel Regno Unito. Le ragioni per usare le statistiche del Regno Unito sono che i Consol incarnano le serie di prezzi più lunga riguardo qualsiasi forma di debito a termine, e durante quegli anni la Gran Bretagna era la principale nazione commerciale del mondo. Inoltre, per la maggior parte del periodo coperto dal Paradosso di Gibson, Londra era il centro finanziario del mondo e le sterline erano la base di riserva per la maggior parte delle valute straniere non indipendenti.
Le prove fornite dai grafici sono chiare: il Paradosso di Gibson ha mostrato che il livello generale dei prezzi era correlato ai tassi d'interesse a lungo termine, il che equivale ai costi di finanziamento affrontati dagli imprenditori. Non era correlato al tasso di variazione del livello generale dei prezzi, altrimenti noto oggi come tasso d'inflazione dei prezzi. Contraddice le teorie monetarie prevalenti nel periodo da David Ricardo in poi. In altre parole, non vi è alcuna evidenza empirica che l'utilizzo dei tassi d'interesse possa funzionare come mezzo per regolare la domanda di debito, e quindi l'attività economica. E questa riflessione dovrebbe preoccuparci.
Il Paradosso fu identificato per la prima volta da Thomas Tooke nel 1844, ma chiamato così da Keynes dopo che Alfred Gibson scrisse un articolo a riguardo per Banker's Magazine nel 1923. Keynes lo definì un Paradosso perché non riuscì a trovare spiegazioni e, oltre ad un numero di tentativi inutili nel corso degli anni per spiegarlo, è rimasto un Paradosso fino a quando non sono stato in grado di risolverlo nel 2015.
La soluzione è semplice. Un uomo d'affari che pianifica di fabbricare un prodotto dovrebbe calcolare i suoi costi di produzione su fattori noti; la sua valutazione del valore di mercato futuro del prodotto è sempre basata su prezzi noti per merci simili. È quindi in grado di calcolare quale tasso d'interesse è disposto a pagare per consegnare la sua produzione al mercato, qualora necessiti di accendere un prestito per fabbricare il prodotto. È attraverso questo processo di calcolo che il costo del prestito è legato ai valori totali riflessi nell'indice dei prezzi.
L'ipotesi diffusa nei libri di testo economici è sempre stata che i risparmiatori stabiliscono il tasso d'interesse, poiché allocano la spesa tra consumo attuale e quello differito. Ho scoperto solo un'eccezione a questa teoria ed è presente nella Teoria del denaro e del credito di Ludwig von Mises. A pagina 341 del manoscritto, egli affermava che la domanda di capitale assume la forma di domanda di denaro.
Quindi il denaro viene domandato dal produttore. Il punto di vista di Mises sull'impostazione dei tassi d'interesse, che Keynes nell'Appendice al Capitolo 14 Sezione 3 della sua Teoria Generale ha confessato di non comprendere, ribalta i pregiudizi religiosi e socialisti di lunga data sul ruolo del risparmiatore. Secondo von Mises, il risparmiatore fornisce un servizio agli imprenditori mettendo a disposizione capitale per la produzione, servizio per il quale l'imprenditore paga un certo ammontare. Tornando alla Teoria del denaro e del credito di von Mises, a pagina 340 leggiamo che:
I beni strumentali o di produzione traggono il loro valore dal valore dei loro potenziali prodotti, ma di norma rimangono un po' al di sotto di esso. Il margine con cui il valore dei beni capitali è inferiore a quello dei loro prodotti attesi costituisce l'interesse; la sua origine risiede nella differenza naturale tra i beni presenti ed i beni futuri.
Stando così le cose, il tasso d'interesse è determinato da ciò che il mutuatario pagherà per assicurarsi una proficua produzione di beni futuri, non ciò che richiederà un redditiero usurario, come l'hanno definito Keynes e altri. L'imprenditore imposta il prezzo del prestito avendo l'opzione di non prendere in prestito, o di cambiare i suoi piani. Nei suoi calcoli, tenterà a quantificare i suoi costi fissi e marginali di produzione, e la produzione aggiunta che fornirà il capitale aggiuntivo. Deve stimare il valore all'ingrosso della sua produzione extra, valutare i suoi profitti al lordo degli interessi. Deve tenere conto del tempo necessario per riunire gli elementi del capitale monetario e non monetario sul prodotto venduto, stimando la preferenza temporale coinvolta. È quindi in grado di giudicare l'interesse che è disposto a pagare per garantirsi il capitale necessario alle sue esigenze.
Ma c'è un'ulteriore considerazione da fare, che ci assicura la soluzione al Paradosso di Gibson. Se i tassi d'interesse sono troppo alti per un particolare piano di produzione, l'imprenditore potrebbe modificare i suoi piani, perché i costi di finanziamento più alti sono sostanzialmente compensati da un livello generalmente più alto di prezzi. Il livello più alto dei prezzi è la conseguenza di un aumento del livello di consumo rispetto ai risparmi ed un tasso di risparmio più basso tenderà ad aumentare il costo degli interessi per i finanziamenti aziendali. Pertanto le variazioni nel livello generale dei prezzi devono essere correlate al costo del finanziamento aziendale. La relazione tra la preferenza temporale (rappresentata dai tassi d'interesse) e il modo in cui la produzione si adatta sono lo sfondo del Triangolo di Hayek.
Chiaramente l'imprenditore imposta i tassi d'interesse facendo un'offerta fino al punto in cui i risparmi corrispondono al suo piano, a patto che i prestiti per finanziare la sua produzione sfornino un profitto accettabile. Questo ci dice qualcosa che dovremmo sapere da sempre: i consumatori preferiscono spendere piuttosto che risparmiare e, a parità di condizioni, devono essere tentati a risparmiare. Questa è la verità che tutti coloro che hanno tentato di spiegare il Paradosso di Gibson, inclusi Tooke, Arthur Gibson, Irving Fisher, Knut Wicksell e lo stesso Keynes, non sono riusciti a cogliere. Larry Summers ha persino firmato un articolo sull'argomento che è stato ugualmente insoddisfacente.
Si deve aggiungere che quanto detto è ancora vero qualora i consumatori aumentino la loro propensione al risparmio, abbassando in tal modo il livello dei tassi d'interesse e passando dal consumo corrente a quello differito, abbassando anche il livello generale dei prezzi. Come ha mostrato Hayek, prezzi più bassi e tassi d'interesse più bassi rendono redditizio per le imprese investire in mezzi di produzione più circolari, in modo da adeguarsi ai prezzi più bassi risultanti da un cambiamento nell'equilibrio tra consumo corrente e differito.
La ragione per cui i "grandi economisti" non hanno capito tutto ciò, deve trovarsi nella loro psiche. Per il cristianesimo e anche per le altre religioni monoteistiche l'interesse è considerato come usura. Un usuraio è tradizionalmente considerato una persona malvagia, una persona che estorce denaro agli altri semplicemente perché ha soldi da prestare mentre il produttore che lavora sodo è la povera vittima di turno. Un risparmiatore che riceve un interesse è considerato una sanguisuga agli occhi della società. Questo pregiudizio è certamente visibile negli scritti di Keynes. Definì i risparmiatori dei redditieri, un termine con una connotazione negativa, la quale evoca l'immagine di un collezionista di affitti per conto di un latifondista. Auspicò persino l'eutanasia del risparmiatore nella sua Teoria Generale.
Non c'è da stupirsi se l'establishment economico abbia mancato il punto: il produttore vuole il denaro del risparmiatore e il risparmiatore medio è generalmente riluttante a fornirlo.
L'intero ethos cristiano-socialista dipende dal fatto che il redditiero per Keynes fosse moralmente inferiore al mutuatario. C'è una certa influenza statalista tra i diritti del debitore rispetto a quelli del creditore, e non solo perché lo stato è esso stesso un debitore. Se, come si può concludere dalla spiegazione del Paradosso di Gibson, il debitore non è una parte innocente percossa economicamente da avidi redditieri e quindi non ha il diritto di rivendicare una posizione morale superiore, dobbiamo sostanzialmente cambiare le nostre opinioni sul tasso d'interesse.
Gli economisti della tradizione Austriaca hanno un punto di vista differente rispetto a questa visione tradizionale. Certo, raramente hanno cercato di capire quale parte sia responsabile dell'impostazione dei prezzi in questa questione. Inoltre la storia economica incompiuta di Murray Rothbard è solo uno dei pochi importanti lavori sull'argomento che hanno come tema centrale l'antipatia filosofica e religiosa nei confronti dell'interesse. Infatti una comprensione, libera dalla morale, della relazione tra produttori e consumatori è una conditio sine qua non per tutte le analisi economiche. Ma ciò che dovrebbe preoccuparci è che la base della politica del tasso d'interesse della banca centrale è allineata con i moralisti, ignorando le prove empiriche del Paradosso di Gibson.
Perché la gestione dei tassi d'interesse e del livello generale dei prezzi non ha funzionato
Questa è ora la storia, come vedremo tra breve, non perché il Paradosso di Gibson non si applica più, ma perché è sepolto da altri fattori. Continueremo quindi la nostra analisi del passato.
Avendo stabilito perché i rendimenti obbligazionari sono correlati al livello generale dei prezzi, dobbiamo ora mostrare perché non sono correlati al tasso d'inflazione dei prezzi. Ovviamente la quantità complessiva di denaro preso in prestito a fini produttivi può essere ridotta da tassi d'interesse più elevati, se vengono fatti salire dalla banca centrale oltre un certo punto. E infatti se i tassi d'interesse vengono rialzati oltre quel determinato punto, poche opportunità di produzione saranno redditizie e meno ancora verranno intraprese. Oltre a questo caso speciale che può verificarsi solo alla fine di un ciclo del credito, le variazioni dei tassi d'interesse riflettono cambiamenti nell'allocazione del denaro tra consumi immediati e risparmi.
La quantità complessiva di denaro è irrilevante in questa relazione. Mettendo da parte le conseguenze inflazionistiche, se si raddoppia la quantità di denaro, fintanto che si raddoppia il denaro speso nella stessa proporzione in termini di consumi e denaro risparmiato, teoricamente i tassi d'interesse rimarrebbero immutati. Pertanto le misure monetarie più ampie possono espandersi o contrarsi indipendentemente dai tassi d'interesse stabiliti nel mercato.
Pertanto possiamo dire che prima del 1975 le variazioni dei tassi d'interesse non hanno portato a cambiamenti nella quantità complessiva di moneta, demolendo una chiave di volta delle ipotesi monetariste sull'uso dei tassi d'interesse per gestire la domanda. Il presunto collegamento tra la gestione dei tassi d'interesse da parte della banca centrale e il controllo della domanda economica non esiste in realtà.
Dopo il 1975
Il grafico 1 e 2 ci portano dal 1730 al 1975, rispetto al 1730-1930 nel mio articolo precedente sul Paradosso di Gibson. Dopo questo arco temporale i grafici ci mostrano qualcosa di diverso. Qui sotto ci sono i grafici 3 e 4.
È come se i poli nord e sud si fossero capovolti. Dal 1975 il rendimento dei titoli non è più correlato all'indice dei prezzi compositi, mentre si è sviluppata una correlazione più stretta con il tasso d'inflazione. Ci sono stati cambiamenti significativi nell'economia del Regno Unito e degli Stati Uniti.
- Il primo punto da notare è che sia l'economia del Regno Unito che quella degli Stati Uniti produce in proporzione meno beni e più servizi. I beni sono generalmente a più alta intensità di capitale rispetto ai servizi e la proporzione del debito totale applicato al finanziamento dei beni è quindi diminuita. Il legame tra produzione e tassi di finanziamento a lungo termine che esisteva da duecento anni si è indebolito per questo motivo.
- L'abbandono dell'accordo di Bretton Woods nel 1971 ha permesso al dollaro, e a tutte le altre valute fiat che fanno riferimento ad esso, di perdere continuamente il potere d'acquisto, invece di fluttuare nel tempo. Ciò si riflette in tutti gli indici del livello generale dei prezzi in continua crescita. Ovviamente i rendimenti obbligazionari non possono aumentare di pari passo con gli indici senza gravi conseguenze.
- Dal 1980 gli asset puramente finanziari sono diventati un fattore importante nei mercati dei prestiti. I criteri per i prestiti per gli asset finanziari non sono legati al livello generale dei prezzi nel modo in cui sono stati legati i finanziamenti per la produzione di beni. Invece sono legati alla calo dei tassi d'interesse, cosa che gonfia i valori capitali da cui dipendono gli asset puramente finanziari.
- Lo sviluppo dei mercati dei capitali ha modificato negli ultimi decenni il modo in cui le società raccolgono capitali, con una maggiore enfasi sul finanziamento azionario, sostituendo il debito.
- L'indebitamento dei consumatori è diventato un fattore importante dietro la domanda di prestiti, sostituendo i finanziamenti per la produzione con i finanziamenti al consumo.
- I consumatori non incarnano più la principale fonte di finanziamento per la produzione industriale. Tale ruolo è stato ripreso dalle banche centrali che lavorano in tandem con le banche commerciali attraverso l'espansione monetaria. Pertanto, il legame in base al quale l'impresa fa salire i tassi dei prestiti per attirare maggiori risparmi non si applica più al contesto monetario odierno.
Gli errori nella politica monetaria sono ancora presenti
Sappiamo che prima degli anni settanta il Paradosso di Gibson era ancora vero. Sappiamo anche che dopo gli anni settanta non è stato più vero e il perché è stato descritto nella sezione precedente. Ma ciò lascia ancora aperta una domanda: l'evoluzione dei fattori economici, in cui adesso c'è una correlazione tra tassi d'interesse e livello generale dei prezzi, significa che la gestione del tasso d'interesse da parte delle banche centrali sia una politica giustificata?
Le banche centrali affermano l'esistenza di una connessione causale tra i tassi d'interesse e la domanda di credito (in modo da controllare la domanda aggregata nell'economia). I fatti suggeriscono il contrario, come illustrato dal grafico 5.
I picchi dei tassi d'interesse sin dal 1980 hanno avuto un impatto minimo, o nullo, sulla crescita inarrestabile del debito del settore privato nell'economia statunitense. L'unica lieve oscillazione del tasso di crescita del debito è stata la crisi della Lehman. Ma le cose sono cambiate negli ultimi quarant'anni, il debito è stato accumulato anche dagli stati (non incluso nel grafico 5), dal settore finanziario e dai consumatori a ritmi crescenti. Ciò significa che una recessione in una categoria, anche in una crisi del credito, porta semplicemente ad una ripresa in un'altra, in particolare perché una flessione del settore privato porta ad un aumento del debito pubblico.
Conclusioni
Ora che abbiamo una comprensione di come e perché il Paradosso di Gibson non si applica più, possiamo valutare la sua importanza sotto una nuova luce. Un punto centrale nella comprensione di ciò che il Paradosso ci dice è che la politica monetaria non raggiungerà mai il suo obiettivo, se tale obiettivo è quello di gestire in qualche modo la domanda aggregata in base a tassi d'interesse variabili.
La funzione dei tassi d'interesse è fraintesa. Non possono essere usati per regolare la domanda complessiva di denaro, regolano solo il suo uso. In questo modo la politica monetaria distorce l'economia. I tassi d'interesse soppressi incoraggiano le imprese ad investire in progetti che non possono essere sostenuti quando poi i tassi d'interesse vengono successivamente normalizzati. Rialzare i tassi cambia i calcoli dell'imprenditore, costringendolo ad abbandonare progetti apparentemente redditizi a tassi più bassi. In teoria rialzare e abbassare i tassi d'interesse porta solo a cambiamenti nei processi produttivi, la cui redditività viene misurata rispetto a fattori noti, tra cui il livello generale dei prezzi e gli attuali costi di finanziamento.
Ma mettendo in moto un ciclo del credito, le banche centrali finiscono per dover rialzare i tassi a livelli economicamente distruttivi quando l'inflazione dei prezzi accelera. Questo è il motivo per cui i cicli del credito sono sempre finiti in crisi. È come se usando i tassi d'interesse come strumento di gestione economica, le banche centrali avessero solo un interruttore "accendi-spegni" e non uno strumento in grado di variare la corrente.
Dal 1975 la produzione è diventata una componente decrescente nelle economie basate sul credito. Il debito è ora accumulato da stati, consumatori e un settore finanziario che si nutre di espansione monetaria.
Il Paradosso di Gibson è ora spiegato e non è più un paradosso. La relazione tra i rendimenti obbligazionari e il livello generale dei prezzi nel contesto della produzione esiste ancora. È stato solo sepolto, perché la produzione è diventata una parte minore dell'economia moderna. Il risparmiatore è ucciso e la ricchezza del settore privato è diventata eccessivamente dipendente dalla speculazione finanziaria.
Non finirà bene.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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