di Alasdair Macleod
La questione più importante della razza umana non viene quasi mai affrontata di questi tempi: chi dovrebbe essere il padrone, lo stato sull'individuo o l'individuo sullo stato? È particolarmente rilevante oggi, tenendo presente che Trump sta demolendo l'ordine stabilito sia a livello nazionale che a livello d'influenza dell'America all'estero. È molto rilevante per il processo della Brexit nel Regno Unito, in cui l'establishment sta cercando di far naufragare la volontà espressa dal popolo nel referendum.
Il dibattito su questa questione fondamentale ha le sue radici nella filosofia dell'antica Grecia e della Cina. Platone si schierò dalla parte dello stato ed Aristotele prese le parti dell'individuo. Lo studente di Aristotele, Alessandro Magno, scelse il compromesso essendo proto-mercantilista. In Cina, i legalisti si schieravano con Platone, i taoisti con Aristotele ed i confuciani erano nel mezzo. La rilevanza per la Cina moderna è che Mao era un legalista ed i suoi successori possono essere descritti come confuciani.
Le etichette usate per descrivere le scuole di filosofia peccano sempre di precisione, in particolare quando si confronta la filosofia di una cultura con quella di un'altra e in diversi momenti della storia. Ma non è questo il punto. Nel corso della storia della filosofia c'è stato un dibattito continuo sulla domanda fondamentale posta nel titolo di questo saggio. Questo fino agli ultimi decenni, quando il dibattito è ormai più o meno cessato ed è stato sostituito da un'ipotesi generale secondo cui lo stato è padrone dell'individuo.
Lo scopo di questo saggio è quello di contestare questa ipotesi. Per fare ciò, dobbiamo prima stabilire in quale sottoinsieme della filosofia si trova il dibattito e considerare anche la validità del mercantilismo, una sorta di via di mezzo tra il bianco e il nero tra lo stato e l'individuo.
Al tempo degli antichi filosofi, l'economia non era un tema a sé stante. L'economia divenne un sottoinsieme identificabile della filosofia nel diciottesimo secolo, anche se l'uso e lo status del denaro sono stati discussi fin dai tempi antichi. L'economia propriamente detta nacque durante l'illuminismo scozzese del diciottesimo secolo, identificata in particolare da David Hume e Adam Smith, sebbene individui come Richard Cantillon (che fu anche il banchiere di John Law a Parigi nel 1710) avessero già avanzato alcune importanti osservazioni economiche. Nonostante fossero stati fatti notevoli progressi nella comprensione del ruolo dell'individuo alla luce della rivoluzione industriale britannica, Karl Marx iniziò a mettere al centro lo stato, un'istituzione austera come quella di Platone e dei legalisti cinesi.
Il comunismo di Marx si sviluppò con una giustificazione egoistica del perché dovrebbe esserci una rivoluzione globale per distruggere tutte le ricchezze private. Auspicava un nuovo super stato con lui come dittatore ed Engels come generale. Era una cattiva filosofia e per questo motivo ignorata fino a molto tempo dopo la sua morte, quando divenne il collante che avrebbe tenuto insieme l'Unione Sovietica dopo la rivoluzione del 1917, e la Cina di Mao Zedong dopo la seconda guerra mondiale.
Dopo la rivoluzione russa, il pendolo oscillò a favore dello stato. Invece della libertà personale e dei liberi mercati, varie forme di socialismo guadagnarono credibilità. La scelta non era più tra stato o individuo, ma quale tipo di stato avrebbe dovuto controllare l'individuo: marxista, trotskista, o socialismo nazionale. Tutti richiedevano un dittatore che dirigesse gli altri affinché seguissero i suoi ordini. Tutti richiedevano la soppressione dell'individuo, con la forza e persino l'eliminazione. Tutti mettevano lo stato al di sopra della legge, e la legge veniva usata esclusivamente per il sostegno dello stato. L'individuo non era solo sottomesso, ma uno strumento superfluo.
Le economie formalmente libere cercarono un compromesso con i credenti nel socialismo comunista. In gran parte dell'Europa e della Gran Bretagna il compromesso era nel nome della pace e della stabilità sociale. In Germania, Italia e Spagna c'era una forma di socialismo che lottava per la supremazia contro un altro socialismo, ovvero, il comunismo. I comunisti alla fine vinsero in virtù della sconfitta del socialismo nazionale nella seconda guerra mondiale, aiutati dai sostenitori di un libero mercato che spalleggiarono i comunisti.[1]
L'America comprese cosa rappresentasse la minaccia comunista per il libero mercato e l'attaccò con il maccartismo, bandendo comunismo e comunisti dalla politica americana e dall'influenza pubblica. Ma negli ultimi decenni la libertà personale, sinonimo di libero mercato, è stata drasticamente erosa da uno stato invasivo. La Gran Bretagna tra le due guerre aveva scelto il compromesso, fino a quando il governo di Atlee fu eletto nel 1945, quando iniziò a perseguire l'ideale comunista di nazionalizzare le industrie. Il compromesso è continuato anche con i governi successivi, accelerando verso una crisi politica ed economica alla fine degli anni settanta. Gli economisti influenti come Keynes, sempre uomini dell'establishment, dichiararono che il denaro avrebbe dovuto essere un monopolio di stato, liberato della sua zavorra aurea, e quindi spazzarono via l'economia classica che dimostrava la superiorità dei mercati liberi.
La nostra domanda, stato o individuo, fu risolta dagli economisti Austriaci a favore della libertà individuale, ma respinta dagli statalisti. In America la politica sotto il presidente Obama ha raggiunto un punto di crisi, portando all'elezione del presidente Trump che sta indebolendo lo status quo socialista del dopoguerra. In Gran Bretagna, le persone sono di fronte ad una scelta tra mantenere una qualche parvenza di controllo democratico sui loro rappresentanti eletti, o perderla del tutto nel super stato dell'Unione Europea.
L'orologio deve essere riavviato per riaprire la questione tra stato ed individuo, socialismo contro libero mercato. Dobbiamo anche occuparci della scelta a metà strada, il mercantilismo, per vedere se fondere statalismo ed individualismo possa rappresentare un'opzione alternativa. Prenderemo una definizione moderna di mercantilismo per indicare qualsiasi politica emanata dallo stato ed intesa a conseguire la piena occupazione ed una posizione favorevole nel commercio estero.[2]
Il ruolo dello stato
Lo statalismo moderno ha le sue origini nel marxismo, ovvero, lo statalismo nella sua forma più completa. Secondo Marx il pensiero individuale doveva essere bandito e non dovevano esistere scelte individuali. Tutto doveva essere deciso da un super stato globale.
Marx era uno studente di Hegel e basava la sua analisi filosofica sulla dialettica hegeliana.[3] Hegel concluse che tutti prendiamo spunto dai nostri ambienti e circostanze sociali/culturali, e che essi a loro volta sono impostati dagli eventi storici. Questo impianto divenne la base per la filosofia di classe di Marx, che, in comune con quella di Hegel, negava qualsiasi ruolo all'indipendenza del pensiero umano.
La posizione filosofica di Marx fu ampiamente descritta nel suo libro, A Contribution to the Critique of Political Economy, pubblicato nel 1859. Il principio fondamentale del marxismo viene affermato all'inizio della prefazione, dove viene definita la sua deduzione dalla dialettica hegeliana: "Non è la coscienza degli uomini che determina la loro esistenza, ma la loro esistenza sociale che determina la loro coscienza." In altre parole, l'organizzazione sociale ha la precedenza sull'individuo, e quindi ne consegue che l'individuo è subordinato all'organizzazione sociale.
Al centro della conclusione di Marx c'era la sua teoria del lavoro. Tale teoria, combinata con la teoria dei profitti di Ricardo (dove i salari devono essere soppressi affinché l'imprenditore possa massimizzare i profitti), fornì le basi per avanzare accuse credibili di sfruttamento delle classi lavoratrici. Almeno fino a quando Carl Menger, il più importante contributore alla rivoluzione marginale nell'ottocento, stabilì chiaramente che i prezzi erano decisi in modo soggettivo dall'acquirente e non dall'imprenditore; un argomento contro la supremazia dello stato poteva essere finalmente provato oltre ogni ragionevole dubbio.
Agli statalisti non piaceva, e ci volle il genio degli eredi contemporanei della tradizione mengeriana, in particolare Ludwig von Mises e Friedrich Hayek, per spiegare perché fosse impossibile per lo statalismo sostituire la superiorità dell'individuo. Dimostrarono perché un dittatore socialista e burocrati subordinati non potevano mai allocare in modo efficiente le risorse economiche. Lo stato non ha le conoscenze per valutare l'allocazione del capitale, che può essere calcolata solo da imprenditori indipendenti che cercano di soddisfare il consumo futuro.
In altre parole, tutte le teorie sui prezzi che in un certo modo fornivano credibilità allo stato, erano semplicemente sbagliate. Affinché fossero valide era necessario che il consumatore fosse costretto ad acquistare beni contro la sua volontà. Fino ad oggi tutte le imprese statali, o controllate dallo stato, si basano su un comportamento monopolistico per costringere i consumatori ad accettare la loro determinazione dei prezzi, e continuano a registrare perdite. E l'abietto fallimento di questo approccio fu anche dimostrato quando la caduta della cortina di ferro rivelò la completa bancarotta del sistema sovietico.[4]
Socialisti e altri statalisti continuano a sostenere le loro tesi, nonostante esistano prove empiriche del contrario e nonostante il ragionamento aprioristico stabilisca che è il consumatore ad impostare i prezzi. Se la teoria del costo dei prezzi avesse una validità, allora un'economia potrebbe essere pianificata con successo, date le certezze matematiche che ne seguono. Questa è la base dell'approccio statalista alla modellizzazione economica e perché la teoria dei prezzi sia centrale nel nostro dibattito.
Gli economisti-statalisti ignorano tutte le verità fondamentali affinché possano arrivare ad una posizione plausibile e credibile. Nei tempi moderni è iniziato con la teoria del denaro proposta da Georg Knapp, fondatore della scuola chartalista in Germania, il quale pubblicò la sua teoria sul denaro nel 1905. Visse per vedere i risultati dei suoi errori, morendo nel 1926, tre anni dopo il crollo del suo denaro statale. Nonostante questa battuta d'arresto, gli economisti statalisti continuarono a sostenere il monopolio statale sul denaro: lo stato sa agire meglio dei liberi mercati per ottenere un risultato economico desiderato. Il fatto che l'attuale opinione economica salti da una posizione all'altra è la prova che le sue teorie sono costruite sulle sabbie mobili di credenze effimere e che la teoria adeguatamente ragionata sia stata gettata via.
Scartate una teoria solida e potrete promuovere un ruolo per lo stato. Questo è ciò che Keynes fece con la Legge di Say, la quale esclude un qualsiasi intervento da parte dello stato.[5] Avendo ignorato la Legge di Say, lo stato ha potuto intervenire nei mercati per imporre soluzioni a problemi che esso stesso aveva creato in precedenza. Von Mises e Hayek hanno dimostrato che il ciclo economico, la scusa per l'intervento statale, non è una conseguenza del libero mercato, ma l'inevitabile risultato della manipolazione monetaria e dei tassi d'interesse da parte dello stato e delle sue banche centrali. Nonostante questa conoscenza sia stata resa disponibile al mondo negli ultimi novanta anni, è stata soppressa dagli stati, mentre invece sono state promosse convinzioni che andavano dal lato opposto.
Pochissimi di noi notano questo sotterfugio e le sue conseguenze. Lo stato ha acquisito per sé un monopolio sul denaro, che serve ai sostenitori dello statalismo, coloro che sono sempre più persuasi che lo stato sia superiore all'individuo. La corruzione del denaro permette allo stato di distorcere qualsiasi cosa, mettendo a tacere i critici che non sono in grado di collegare causa ed effetto tra interventi governativi ed i disastri successivi. Questa inaffidabilità è stata istituzionalizzata al punto che quelli che sottolineano gli errori nella politica economica e monetaria vengono semplicemente ignorati.
Il ruolo del libero mercato
Il libero mercato è un'espressione che indica la libertà di scegliere come spendere i propri guadagni, profitti e risparmi. In queste condizioni la funzione degli imprenditori è quella di rispondere ai desideri collettivi delle persone e creare quei beni e servizi che desiderano di volta in volta. Se falliscono in questo compito, perderanno il loro capitale e alla fine andranno in bancarotta. Se hanno successo, faranno profitti. Il consumatore è il re, esercitando il suo diritto di scelta nonostante qualsiasi tentativo di influenzarlo attraverso la pubblicità. Il consumatore imposta la domanda per quei beni e servizi che desidera, stabilendone i prezzi. In un libero mercato l'imprenditore deve accettare questa realtà. Deve far evolvere i suoi prodotti ed i suoi prezzi per rimanere in attività. Deve competere.
Chiunque spenda deve guadagnare i mezzi per poterlo fare, quindi è sia produttore che consumatore. Coloro che non hanno, o non sono in grado di guadagnare, sono sovvenzionati da altri che lo fanno. Ognuno deve produrre le cose che è bravo a produrre e lasciare la produzione di altre cose agli specialisti. Questa divisione del lavoro è fondamentale per il progresso umano, dandoci tutto ciò che vogliamo e possiamo permetterci, mettendoci in grado di migliorare la nostra condizione e il nostro benessere. È la base della cooperazione sociale dell'uomo. È espresso nella Legge di Say: produciamo per consumare.
Un libero mercato è in continua evoluzione. Quello che i consumatori hanno desiderato ieri differisce da ciò che desiderano oggi e ci si può aspettare che differisca da quello che vorranno domani. È l'ambizione dell'imprenditore anticipare con successo la domanda di domani, migliorando i suoi prodotti ed inventandone di nuovi. Se, come consumatori, cerchiamo di beneficiare da questi progressi, dobbiamo anche adeguare il nostro lavoro di conseguenza. Non possiamo avere prodotti migliori senza accettare che noi stessi dobbiamo cambiare il nostro lavoro per soddisfare le richieste degli altri.
Il libero mercato funziona al massimo delle sue potenzialità se i guadagni delle persone vengono pienamente impiegati nella loro scelta tra consumi e risparmi. I risparmi forniscono sicurezza futura per l'individuo e sono la fonte del capitale monetario per l'imprenditore che investe nella produzione. Ne consegue che se un agente esterno, come lo stato o i criminali, sequestra una parte dei guadagni di ogni individuo, come fa lo stato con le tasse ed i criminali con il furto, diminuiscono i benefici della divisione del lavoro.
Gli statisti sostengono che il libero mercato sia senza cuore e vada a svantaggio di deboli, disabili ed ammalati. Questa tesi ha le sue origini nella dottrina marxista, secondo cui tutti sono creati uguali. Ignora la libertà degli individui di scegliere se mettere da parte alcuni dei propri guadagni e profitti per aiutare coloro che ne hanno bisogno. Inoltre non ammette l'interesse dei produttori a massimizzare l'uso del lavoro, e ad impiegare tutti tranne che i non abili.[6]
Nel libero mercato, dividendo il loro lavoro, compratori e venditori di beni e servizi concorderanno tra loro il denaro che fungerà da deposito temporaneo della loro produzione. Nel corso dei millenni varie forme di denaro sono state provate in diverse parti del mondo, ma alla fine hanno prevalso l'oro e l'argento. Le caratteristiche favorevoli sono state la loro incorruttibilità, durata, stabilità dell'offerta ed accettazione onnipresente.
In pratica, lo stato in una forma o nell'altra, è un onere per il libero mercato e dovrebbe essere evidente che mescolare i due, come raccomandato da Confucio, riduce il potenziale di un'economia nel far progredire il nostro tenore di vita. Dobbiamo ora affrontare gli errori di credere in una via di mezzo, lo statalismo mescolato con il libero mercato: il mercantilismo.
Il mito mercantilista
C'è una convinzione comune tra gli imprenditori: un approccio più aziendale alla gestione dello stato farà raggiungere risultati migliori rispetto al socialismo o al libero mercato. Questo è senza dubbio l'approccio adottato dal presidente Trump, che in accordo con una definizione moderna di mercantilismo cerca la piena occupazione e condizioni commerciali favorevoli. Anche la gestione economica della Cina sotto il presidente Xi condivide questo approccio.
La cooptazione di un'economia per sostenere un obiettivo comune deciso da un re, un imperatore, o un presidente, è antica quanto l'esistenza delle comunità organizzate. Il mercantilismo, in misura maggiore o minore, viene sempre imposto con la forza. C'è una storia di sant'Agostino (400 d.C.) su Alessandro Magno che illustra perfettamente il punto:
Questa fu una risposta appropriata che un pirata diede ad Alessandro Magno. Quando quel re chiese al pirata perché intendesse percorrere la via del possesso ostile del mare, quest'ultimo rispose con audace orgoglio: "Perché tu conquisti tutta la terra e vieni chiamato imperatore, mentre se lo faccio io con una piccola nave sono chiamato un ladro?[7]
Alessandro morì giovane, prima del suo trentatreesimo compleanno, però aveva assemblato il più grande impero che il mondo avesse conosciuto fino a quel momento. Potrebbe essere un po' difficile dire che fosse un mercantilista, perché le sue ambizioni erano apertamente militari. Ma l'ambizione militare è inesorabilmente legata all'acquisizione di ricchezza per sé stessi ed i propri sostenitori, l'obiettivo comune del mercantilismo.
Il suo impero decadde poco dopo, il che illustra il problema con tutte le forme di mercantilismo: la sua temporaneità. Anche se un dittatore ha l'acutezza di minimizzare il danno economico con le sue stesse azioni e di far progredire la sua nazione rispetto ad altre, è improbabile che il suo successore condivida le stesse caratteristiche. I pochi dittatori di successo che hanno comandato senza imprigionare o giustiziare gli avversari sono molto pochi.
Una variazione più moderna del mercantilismo è meglio illustrata dal successo della Compagnia delle Indie Orientali. A quest'ultima venne originariamente concessa un'ordinanza reale nel 1600 da Elisabetta I "per commerciare nelle Indie Orientali". Secondo alcuni dati, alla sua massima influenza, rappresentava quasi la metà del commercio mondiale. Il suo esercito e le sue flotte erano persino più grandi di quelli britanniche, e dalla fine del diciottesimo secolo governò l'India fino all'ammutinamento nel 1857, dopo il quale la corona britannica assunse il controllo. L'operazione mercantilista di maggior successo nella storia moderna è durata in India quasi un secolo, probabilmente perché non corrompette il denaro.
La rilevanza odierna è che questo modello mercantilista ha molto in comune con la strategia economica della Cina. Invece di fare affidamento su un Alessandro, il presidente Xi è sostenuto da un comitato. La differenza con la Compagnia delle Indie Orientali, che era un monopolista a scopo di lucro, è che la Cina sta cavalcando un'ondata di ripresa economica. A meno che il governo cinese in futuro non ridurrà la coercizione sulla sua gente, verranno compromessi i miglioramenti degli standard di vita e la stabilità politica sarà sempre più difficile da sostenere.
Ci possono essere pochi dubbi sul fatto che il presidente Trump si consideri un mercantilista. Vede il fallimento delle politiche di uno stato socialista e si considera un uomo d'affari esperto che può fare meglio. Finora ha esposto con successo il grado di corruzione economica, per cui il governo degli Stati Uniti paga per cose che non dovrebbero essere affari suoi. È anche determinato ad aumentare la produzione nazionale e ad affrontare pratiche commerciali scorrette, in conformità con la nostra moderna definizione di mercantilismo. Tuttavia la riduzione del ruolo dello stato non sembra essere nella sua agenda. Né sta affrontando la svalutazione della valuta. Come uomo d'affari quasi certamente pensa che i costi determinino i prezzi, quindi non riesce a cogliere l'unica ragione affinché venga rescisso l'intervento dello stato nell'economia.
La nostra conoscenza, dopo aver affrontato fin qui la questione se lo stato o le persone siano più importanti, ci dice che a meno che Trump non risponda correttamente a questa domanda di base, sarà indebolito dal fallimento economico.
La scelta tra stato o individuo è posta qui in termini di bianco e nero, ma la realtà è che, mentre in teoria le comunità possono andare perfettamente d'accordo senza lo stato, le persone che esercitano il libero arbitrio sono condizionate a volere un'autorità superiore. Ci saranno sempre leader e seguaci, e ci sarà sempre un governo.
Il segreto di un governo di successo non è seguire la via marxista, ovvero, distruggere deliberatamente la ricchezza personale. L'elettorato deve essere capace di scegliere una moneta solida, di poter risparmiare per i propri bisogni futuri e di non doversi affidare allo stato. Lo stato deve minimizzare i suoi oneri. Garantire che l'individuo abbia il primato sullo stato e che lo stato non abbia obblighi nei confronti dell'individuo, è la via più efficace per massimizzare la prosperità e la stabilità a lungo termine.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Note
[1] Rimanendo neutrale durante la seconda guerra mondiale, la Spagna ha vissuto nel socialismo nazionale fino alla morte di Franco nel 1975.
[2] Si veda The Quarterly Journal of Economics, Volume 66, Issue 4, November 1952, pagine 465-501; The liberal elements in English Mercantilism di William Gampp, per una definizione moderna di statalismo.
[3] Hegel, come Marx, partì da una tesi, poi passò all'antitesi e infine alla sintesi. Questa doveva rappresentare la prova inconfutabile di una conclusione logica. Ma se i fatti ordinari e storici e qualsiasi ipotesi sono sbagliate sin dall'inizio, la tesi iniziale ovviamente è fallace.
[4] È interessante far notare che anche le autorità statunitensi vennero colte di sorpresa dal collasso economico sovietico, poiché pensavano che l'economia sovietica fosse forte. Oltre al fatto di mostrare l'inutilità dei servizi d'intelligence, questo errore ci conferma che nemmeno i funzionari statali statunitensi comprendevano i principi base della teoria dei prezzi e pertanto perché il comunismo sarebbe infine fallito.
[5] La definizione della Legge di Say da parte di Keynes, l'offerta crea la propria domanda, è il classico esempio di definizione superficiale che permise a Keynes di distorcere l'economia e farla andare dovunque egli volesse. Gli permise di dire che l'offerta addizionale poteva essere fornita dallo stato piuttosto che dalla divisione del lavoro. La sua definizione errata persiste ancora oggi nelle tesi propugnate dai neo-keynesiani.
[6] Il salario minimo lo impedisce e quindi rappresenta un'azione deliberata da parte dello stato nel creare disoccupazione tra i lavoratori non qualificati ed i non abili.
[7] La Città di Dio, Libro IV: “I furti sono come quei regni senza giustizia”
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Stupendo articolo,
RispondiEliminacome sempre Simoncelli pubblica articoli di eccezionale rilevanza.
Bravissimo!!!!!