Bibliografia

giovedì 20 dicembre 2018

La prossima crisi finanziaria





di Daniel Lacalle


Di recente abbiamo letto numerosi commenti su una recessione all'orizzonte e sulla prossima crisi, in particolare sul decimo anniversario del fallimento di Lehman Brothers.

La domanda non è se ci sarà una crisi, ma quando. Negli ultimi cinquant'anni abbiamo assistito a più di otto crisi mondiali e molte di più a livello locale, quindi la probabilità dell'ennesima crisi è piuttosto alta. Non solo per gli anni trascorsi dalla crisi del 2007, ma perché i fattori che alimentano una crisi mondiale si stanno allineando.

Cosa alimenta una crisi finanziaria? Tre fattori:
  • Politiche sul lato della domanda che inducono gli investitori ed i cittadini a credere che il rischio sia scomparso. Il compiacimento e l'eccessiva assunzione di rischi non possono accadere senza la convinzione diffusa secondo cui esista una rete di sicurezza, un ammortamento statale o della banca centrale, che fungerà da cuscinetto per gli asset rischiosi. Termini come "ricerca di rendimenti" e "repressione finanziaria" derivano proprio da una domanda artificiale creata da forze monetarie e politiche.
  • Eccessiva assunzione di rischi in asset che sono percepiti come privi di rischio. È impossibile costruire una bolla su una risorsa che investitori e aziende considerano a rischio elevato. Deve esserci la convinzione che non vi sia alcun rischio legato alle valutazioni in aumento, perché "questa volta è diverso", "i fondamentali sono cambiati", o "c'è un nuovo paradigma"; frasi che abbiamo sentito più volte di quanto avremmo dovuto.
  • La consapevolezza che questa volta non è diverso. Le bolle non scoppiano a causa di un catalizzatore, come ci viene detto spesso. Il 2007-2008 non è iniziato a causa della Lehman, essa invece era solo un sintomo di un problema molto più ampio che aveva iniziato a scoppiare in piccole dosi mesi prima. Eccesso di leva finanziaria in un ciclo di crescita che non riesce a concretizzarsi come previsto.

Quali sono i principali fattori che potrebbero scatenare la prossima crisi finanziaria?
  • Debito sovrano. Gli asset più rischiosi oggi sono i titoli di stato a rendimenti anormalmente bassi, compressi dalle politiche delle banche centrali. Con $6.500 miliardi in obbligazioni a rendimento negativo, le perdite nominali e reali nei fondi pensione si aggiungeranno probabilmente alle perdite in altre classi di asset.
  • Percezione errata della liquidità e del VaR (Value at Risk). Anni di alta correlazione tra asset e bolle alimentate dal debito sovrano hanno indotto gli investitori a credere che ci sia sempre una massiccia quantità di liquidità in attesa di entrare in scena e sostenere i mercati. Questo è semplicemente un mito. Suddetta "massiccia liquidità" è solo leva finanziaria e quando cominciano a comparire margin call in aree diverse (mercati emergenti, titoli azionari europei, titoli tecnologici statunitensi), svanisce quella liquidità in cui crede la maggior parte degli investitori. Perché? Perché anche il VaR viene calcolato in modo errato. Quando gli asset raggiungono un livello anormale di correlazione e la volatilità è attenuata a causa dei massicci acquisti da parte delle banche centrali, l'analisi del rischio e delle probabili perdite è inefficace. Questo perché quando i mercati cadono, cadono in tandem, come stiamo vedendo in questi giorni; e l'analisi delle perdite è contaminato dal massiccio impatto della politica monetaria in quegli anni. Quando il principale elemento motore dell'inflazione dei prezzi degli asset, le banche centrali, inizia a rilassarsi o diventa parte della liquidità attesa (come in Giappone), svanisce l'effetto placebo della politica monetaria sugli asset rischiosi. E le perdite si accumulano.

L'errore della crescita sincronizzata ha innescato ciò che potrebbe portare alla prossima recessione: una convinzione generalizzata che la politica monetaria sia stata molto efficace, che la crescita era robusta e che il debito in ascesa è solo un danno collaterale ma non una preoccupazione globale. E con la fallacia della crescita sincronizzata è arrivato anche l'eccesso di compiacimento e l'accelerazione degli squilibri. La crisi del 2007 è scoppiata perché nel 2005 e nel 2006 anche gli investitori più prudenti si sono arresi alla caccia al Beta nei mercati emergenti. Nel 2017 è stata accelerata dall'erronea convinzione che i mercati emergenti fossero soddisfacenti, perché le loro azioni e obbligazioni erano in forte aumento nonostante la normalizzazione della FED.

Come sarà la prossima crisi?

Non come l'ultima, secondo me. Il contagio è molto più difficile, perché sono state apprese alcune lezioni sin dalla crisi della Lehman. Esistono meccanismi più forti per evitare un diffuso effetto domino nel sistema bancario.

Quando la bolla più grande è quella nel debito sovrano, la crisi che affrontiamo non sarà caratterizzata da massicce perdite nei mercati finanziari e dal contagio nell'economia reale, ma da un lento calo dei prezzi degli asset, come stiamo vedendo già adesso, e dalla stagnazione globale.

La prossima crisi non sarà probabilmente un'altra Lehman, ma un altro Giappone: una diffusa zombificazione delle economie mondiali per evitare il dolore di una grande rivalutazione delle obbligazioni sovrane, cosa che porterebbe ad imponenti aumenti delle tasse per pagare gli enormi interessi passivi, alla recessione economica e alla disoccupazione.

I rischi sono difficili da analizzare, perché il mondo è entrato nel più grande esperimento monetario della storia senza la comprensione degli effetti collaterali e dei rischi reali connessi. Gli stati e le banche centrali hanno considerato i bull market ed i livelli record di debito come danni collaterali, problemi piccoli ma accettabili nella ricerca di una crescita sincronizzata (che invece non sarebbe mai arrivata).

La prossima crisi, come quella del 2007-08, sarà attribuita ad un sintomo (Lehman in quel caso), non alla vera causa (politica monetaria aggressiva che incentiva l'assunzione di rischi e penalizza la prudenza). La prossima crisi vedrà le banche centrali prive di strumenti reali per mascherare i problemi strutturali, e non ci sarà spazio di manovra fiscale in un mondo in cui la maggior parte delle economie ha deficit di bilancio per il decimo anno consecutivo e il debito globale è ai massimi storici.

Quando accadrà? Non lo sappiamo, ma se i segnali di pericolo del 2018 non vengono presi seriamente, probabilmente si verificherà prima del previsto. Ma gli stati e le banche centrali non daranno la colpa a sé stessi, si presenteranno nuovamente come la fonte unica di una soluzione.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


2 commenti:

  1. Poi d'un tratto si scopre che la cosiddetta "normalizzazione" altro non è che neolingua per cercare di coprire un sistema fatiscente e marcio. Quello che ci si rifiuta di capire è questo: la maggior parte delle grandi banche commerciali e delle grandi imprese è fallita. Sono zombi che camminano. Coloro come me che descrivono questa situazione non sono "quelli che spargono negatività", ma si limitano a descrivere come stanno le cose. Anzi, forniscono soluzioni reali e percorribili come le criptovalute ed i metalli preziosi per emanciparsene. Ma soprattutto, forniscono la possibilità alle persone di acquisire quegli strumenti intellettuali che permetteranno loro di sviluppare le proprie chiavi di lettura del mondo, e sarà una visione apodittica, sempre vera.

    Chi sparge terrore sono i cosiddetti soloni accademici dalle loro torri d'avorio. Sono loro che sorreggono le colonne d'Ercole oltre le quali è "pericoloso andare". Credono nella violenza dello stato come minimo comun denominatore, credono nel suo sigillo di autenticità... fino a quando non funziona più ovviamente.

    È questo il mondo in cui volete vivere e far crescere i vostri figli? Un mondo in cui la violenza è all'ordine del giorno e le vostre vite sono scandite da scelte imposte con le armi? Se non siete convinti di questo approccio è perché vi siete posti una domanda fondamentale: a che prezzo??

    Cerchiamo quindi di capire perché il libero mercato è la risposta concreta a questa barbarie. L'economia di mercato viene comunemente chiamata "sistema di profitti". Non c'è niente di più sbagliato. L'economia di mercato è un "sistema di profitti e perdite" in cui le risorse scarse (lavoro e capitale) vengono spostate da imprenditori meno capaci e industrie inefficienti ad imprenditori più capaci ed industrie più efficienti. La parte della perdita (e della bancarotta), in realtà, è probabilmente la più importante.

    I profitti imprenditoriali segnalano la creazione di valore grazie a un'accurata previsione imprenditoriale e al giudizio dei bisogni e dei desideri dei consumatori. Di conseguenza manodopera e capitali sono spostate da industrie meno efficienti verso industrie che promettono alti tassi di profitto. Ciò contribuisce ad aumentare la produzione, che a sua volta aiuta a far scendere i prezzi dei prodotti e dei servizi fino a quando i profitti dell'industria non sono in linea con il tasso medio dei profitti all'interno dell'economia. Questo processo continuo va avanti all'infinito, con alcune industrie che si espandono mentre altre si contraggono.

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    1. Le perdite segnalano che non c'è creazione di valore a causa della mancanza di previsioni imprenditoriali accurate e del giudizio errato dei bisogni e dei desideri dei consumatori. Di conseguenza le industrie che segnalano perdite devono ristrutturare e rivalutare i loro modelli di business per rimanere redditizie ed evitare il fallimento. La ristrutturazione può assumere la forma di rivalutazioni nei confronti del prodotto, eliminazione di prodotti non redditizi, riduzione della manodopera, rivalutazione del costo degli input, ecc. Queste azioni liberano risorse. come lavoro e capitale. per esigenze più urgenti.

      Avendo una mentalità statica, i fautori dei salvataggi non riescono a capire che le banche (ma anche le grandi aziende) non sono entità astratte, ma che hanno risorse concrete. Posseggono soprattutto talenti qualificati che sui mercati del lavoro sono sempre molto ricercati. Anche in caso di ristrutturazione o fallimento, queste risorse non scompaiono.

      La parte delle "perdite" nel sistema "profitti e perdite" è quindi decisamente cruciale. Probabilmente è ignorare questa parte che non fa comprendere come i salvataggi siano velenosi, perché i tentativi di salvare industrie morenti e inefficienti sono controproducenti e contribuiscano solo ad impoverire la società lasciando le comunità fragili e ostacolando la creatività e l'innovazione.

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