Bibliografia

venerdì 31 agosto 2018

Le dinamiche che conducono alle fasi finali del ciclo del credito





di Alasdair Macleod


Sebbene non esista un punto di partenza definito che ci segnali l'inizio della fase finale del ciclo del credito che porterà alla prossima crisi economica, quasi tutti i segnali puntano verso l'economia statunitense.

Ci sono differenze rispetto ai cicli precedenti, ma possono essere spiegate: negli ultimi trentacinque anni il debito ipotecario al consumo è cresciuto, man mano che ci spostavamo dalla produzione manifatturiera alla produzione di servizi. È cambiato a chi dovevano i soldi le banche: dai consumatori e dalle piccole imprese, ad imprese puramente finanziarie.

L'assenza, finora, dell'inflazione dei prezzi per adeguarsi all'espansione del credito bancario statunitense dall'ultima crisi del credito, è in gran parte spiegata dalla proprietà della liquidità. Dalle cifre pubblicate dalla Federal Reserve Bank di New York, c'è quella dei $12,800 miliardi di contanti, depositi e conti correnti nel sistema bancario di istituzioni ed imprese; gli stranieri (in gran parte istituzioni finanziarie) hanno depositi in contanti di $4,217 miliardi.


Si tratta di denaro bollente, creato attraverso il credito bancario, ma non speso e, pertanto, non ha fatto salire i prezzi al consumo. Questo è un esempio del perché l'evoluzione dei clienti delle banche sul lato delle passività dei loro bilanci influenza il modo in cui il ciclo del credito dovrebbe essere letto, la probabile durata della fase finale pre-crisi e come si svilupperà la crisi stessa. Inoltre, avendo creato il ciclo del credito attraverso la soppressione dei tassi d'interesse, la FED non ha le conoscenze teoriche per capire l'estensione del problema che ha creato e supervisionato.

Questo articolo esamina queste dinamiche e conclude che la durata di questa fase finale del ciclo del credito può essere considerevolmente più breve di quanto la maggior parte delle persone si aspetti, ed è probabile che sia alimentata più da considerazioni finanziarie che economiche.



I tassi d'interesse non controllano la domanda di credito

Iniziamo osservando perché le banche centrali non possono controllare l'inflazione manipolando i tassi d'interesse. La scorsa settimana la Banca d'Inghilterra ha rialzato il tasso di prestito di base tra lo 0.25% e lo 0.75%. Nella sua dichiarazione, la BOE ha affermato che la sua "Monetary Policy Committee imposta la politica monetaria per raggiungere l'obiettivo d'inflazione al 2% e in modo da sostenere la crescita e tenere sotto controllo la disoccupazione". In questo scopo la politica monetaria della BOE è poco diversa dalle altre principali banche centrali, in particolare la FED.

Vi sono più collegamenti nella presunta catena tra le variazioni dei tassi d'interesse e l'obiettivo d'inflazione al 2%, ma essenzialmente la BOE deve presumere che il tasso d'interesse sia il prezzo del denaro preso in prestito. Se così fosse, ci dovremmo aspettare tassi d'interesse più alti per ridurre la crescita del credito bancario e tassi più bassi per stimolarlo, e se si controlla il tasso di crescita dell'offerta di moneta, allora la teoria quantitativa del denaro ci suggerisce che si può influenzare il tasso d'inflazione. Questa è un'ipotesi comune nei mercati finanziari, i quali sono in sintonia con la politica monetaria delle banche centrali.

I fatti suggeriscono il contrario. Il grafico seguente ci mostra ciò che accadde negli Stati Uniti tra il 1970 e il 1990, incluso il periodo in cui Paul Volcker, in qualità di presidente della FED, rialzò il tasso di riferimento al 20% nei primi anni '80. La ragione per riportare alla mente questi decenni è che la volatilità dei tassi d'interesse era al massimo e gli effetti dovevano essere più evidenti.


Se i tassi d'interesse rappresentassero il "prezzo" del denaro, ci si aspetterebbe di vedere tassi più alti per rallentare la crescita monetaria, e persino farlo contrarre. Tassi più bassi dovrebbero accelerare la crescita dell'offerta di moneta. Questo chiaramente non è accaduto, e non è mai successo da quando il denaro è diventato totalmente fiat. Né è accaduto nei giorni prima che il potere d'acquisto del denaro affondasse anno dopo anno, quando il Paradosso di Gibson mostrava chiaramente che non c'era alcuna correlazione tra i tassi d'interesse e l'inflazione dei prezzi. Stando così le cose, è evidente che il presunto collegamento tra i tassi di interesse e il credito bancario come mezzo per controllare l'inflazione dei prezzi non è mai esistito.

Il Paradosso di Gibson, in base al quale i tassi d'interesse sono correlati al livello generale dei prezzi e non al tasso d'inflazione dei prezzi, sembra essere cambiato rispetto agli anni '70, poiché il livello generale dei prezzi è semplicemente salito alle stelle. Misurato in oro, il dollaro ha perso il 96.5% del suo potere d'acquisto da quando è stato ufficialmente fissato a $42.22 l'oncia. Ovviamente un crollo del potere d'acquisto del denaro è destinato ad indebolire le relazioni consolidate tra il livello generale dei prezzi ed i tassi d'interesse. Mentre quella correlazione potrebbe non essere più illustrata graficamente, persiste ancora la mancanza di correlazione tra il tasso di variazione del livello generale dei prezzi (il tasso d'inflazione) e i tassi d'interesse.

Chiaramente la base della politica monetaria, in particolare il presunto collegamento tra il prezzo del denaro come mezzo di gestione dell'inflazione dei prezzi, è fondamentalmente errata. Sappiamo anche per esperienza che le banche centrali, nonostante abbiano armeggiato con i tassi d'interesse, non sono riuscite a prevenire le crisi creditizie. Dobbiamo chiederci: se un tasso d'interesse non è il prezzo del denaro preso in prestito, che cos'è?



I tassi d'interesse riflettono la preferenza temporale

Esistono essenzialmente due approcci per affrontare la relazione tra tassi d'interesse, denaro e prezzi. C'è l'approccio matematico keynesiano nella tradizione di William Stanley Jevons (1835-82). Jevons era uno dei tre economisti che introdussero la teoria dell'utilità marginale come base del valore. Per i successori di Jevon, tra cui Keynes, l'interesse era il pagamento imposto dai risparmiatori ai mutuatari. Pertanto, come sosteneva Keynes nel Capitolo 13, Sezione 2, della sua Teoria Generale:
Quindi il tasso d'interesse in qualsiasi momento, essendo la ricompensa per separarsi dalla propria liquidità, è una misura della mancanza di volontà di coloro che possiedono denaro e separarsi da esso.

In altre parole, Keynes stava dicendo che l'interesse è il prezzo del denaro richiesto dai risparmiatori, ma come abbiamo visto nel grafico sopra, le variazioni dei tassi d'interesse non portano a cambiamenti nella quantità di denaro, quindi non può essere giusto.

L'altro approccio è quello di Carl Menger, fondatore della Scuola Austriaca, il quale sosteneva che i prezzi marginali erano fissati soggettivamente dall'azione umana. Menger sottolineò anche che tutti noi valutiamo il possesso presente più di quello futuro. Ma la produzione di beni migliori e più desiderabili comporta tempo ed investimenti nei mezzi di produzione. Pertanto, come disse Menger, se un produttore vuole soldi in anticipo per poter consegnare un prodotto, diciamo tra sei mesi, lo otterrà solo ad un certo prezzo. Questo perché separarsi dal proprio denaro significa che dobbiamo rimandare il nostro possesso di beni nel futuro. È il posticipo della proprietà dei beni il problema, non il denaro stesso.

La radice della preferenza temporale è che se vogliamo rinunciare al godimento dei beni nel presente, lo faremo solo in conformità con la nostra valutazione del loro valore futuro. Pensiamo che il denaro sia completamente fungibile in tutti i beni, e quindi rappresentativo del nostro desiderio per essi. Su questa base, potremmo essere pronti a separarci oggi da $98 con la promessa di $100 tra sei mesi. Questo può essere espresso in due modi. Possiamo dire che il valore attuale dei $100 tra sei mesi è $98, o possiamo dire che rappresenta un tasso d'interesse annualizzato del 4.08%. Il tasso d'interesse è un'espressione della preferenza temporale riguardo la certezza di possedere denaro oggi, o averlo nel giro di sei mesi.

Capite, quindi, che non è lo stesso quando si dice che l'interesse è il prezzo del denaro. Il denaro è solo il ponte tra il nostro lavoro e il nostro consumo. Separarsi dal proprio denaro per un certo periodo di tempo significa, in realtà, rimandare il beneficio del possesso immediato dei beni. Naturalmente rimanderemo la proprietà per alcuni beni senza pensarci, mentre per altri il posticipo avverrà con una certa riluttanza. Pertanto la preferenza temporale del denaro è una rappresentazione generale di ciò che possiamo acquistare oggi, ma posticipata lungo un periodo di tempo concordato, il quale sarà valutato in modo diverso da ciascuno di noi. Ed è giustamente impostata dai singoli risparmiatori e mutuatari.

Ovviamente la preferenza temporale può originarsi solo nelle menti di creditori e debitori, il che rende impossibile per lo stato intervenire senza conseguenze economiche indesiderate. La preferenza temporale esiste indipendentemente dalla politica del tasso d'interesse. Di conseguenza la gestione dei tassi d'interesse da parte dei policymaker, che credono di gestire il prezzo del denaro, equivale a chiedere ad un uomo cieco di farvi attraversare la strada.

Anche la preferenza temporale si evolve nel ciclo del credito per riflettere le aspettative del probabile potere d'acquisto del denaro nel tempo. Se il tasso dell'inflazione dei prezzi accelera e c'è un'aspettativa generale secondo cui aumenterà ulteriormente, allora è come dire che il potere d'acquisto della moneta diminuirà. Pertanto il valore presente del denaro futuro sarà inferiore, che insieme alla perdita di utilità del denaro si tradurrà in tassi d'interesse ancora più alti. Questo è un fenomeno prettamente legato alla fase finale del ciclo del credito, perché la quantità di denaro precedentemente aumentata indebolisce progressivamente il suo potere d'acquisto; e le aspettative che la tendenza continuerà e probabilmente accelererà, si radicheranno più saldamente nella valutazione delle preferenze personali delle persone.

Pertanto sono le percezioni pubbliche incarnate nelle preferenze temporali che guidano i tassi d'interesse, non la politica monetaria, e questo diventa sempre più evidente nelle fasi finali ciclo del credito, quando le banche centrali vengono prese in contropiede.



Smascherare l'inutilità del tasso d'interesse ufficiale

Le intenzioni alla base della gestione dei tassi d'interesse appaiono comunque incoerenti, essendo mirate a controllare l'inflazione dei prezzi senza mai contrarre la crescita dell'offerta di moneta. In base a questa linea di politica, si ritiene che un tasso d'inflazione dei prezzi al 2% possa essere ampiamente raggiunto. Anche se ciò fosse vero, significa che il potere d'acquisto del denaro diminuirebbe della metà in trentacinque anni. Dato che negli Stati Uniti la somma di contanti, conti di deposito e risparmio è attualmente di $12,800 miliardi e in crescita al 5-7% l'anno nel lungo termine, questo rappresenta un enorme trasferimento di ricchezza. Inoltre la ricchezza viene trasferita poiché lo stesso meccanismo erode il valore dei rendimenti su $40,000 miliardi di obbligazioni statunitensi, inclusi $14,000 miliardi emessi dal governo degli Stati Uniti in mani della popolazione.

Questo trasferimento di ricchezza svantaggia risparmiatori ed avvantaggia i debitori. Questo dovrebbe essere ovvio, ma svantaggia anche i poveri, i cui salari fissi sono sempre in ritardo rispetto al costo della vita. I pensionati sono i più colpiti. Minori pagamenti del welfare state erosi in potere d'acquisto dalla svalutazione della moneta, sono un beneficio immediato per lo stato. La ragione fondamentale dietro l'inflazione è che fornisce finanziamenti agli stati e riduce i loro costi di welfare, ma va anche a favore dei gruppi di lobby.

Le aziende ne beneficiano acquistando materie prime e beni strumentali ai prezzi vecchi e, finché i sindacati rimangono composti, pagano i salari alle somme di ieri. Vendono i loro prodotti ai prezzi odierni, per una crescita media dei profitti rispetto ai loro costi operativi pari al tasso d'inflazione dei prezzi. I consumatori finiscono per guadagnare stipendi di ieri e pagare per prezzi gonfiati di oggi. E gli economisti che agiscono nel ruolo di ingannatori dicono che sono necessari prezzi più alti per garantire il loro tenore di vita.

I consumatori, sebbene inconsciamente, lo capiscono: invece di risparmiatori, sono diventati essi stessi i mutuatari. Quindi il mondo in cui i mutuatari erano imprese ed i consumatori erano i risparmiatori, non esiste più. Il cambiamento nel comportamento dei consumatori ha un impatto significativo sui prezzi, portando l'espansione del credito bancario a far fronte più rapidamente alla domanda dei consumatori.

Tuttavia l'espansione del credito richiede ancora tempo per essere trasmessa ai prezzi reali, non ultimo perché i consumatori possono acquistare merci importate a prezzi più economici. È per questo motivo che l'espansione monetaria porta a deficit commerciali con altri Paesi, ed i consumatori americani ne hanno beneficiato enormemente. L'amministrazione Trump sta tentando ingenuamente di ridurre le importazioni dall'estero attraverso i dazi, i quali non faranno altro che spingere verso un aumento dei prezzi al consumo. Per quanto riguarda i prezzi, è stata bloccata la valvola di sfogo delle importazioni a prezzi più economici.

Mentre le politiche commerciali determineranno un aumento dei prezzi al consumo, il deficit di bilancio del governo verrà aumentato, fornendo un'ulteriore fonte di stimolo alla domanda che può solo far salire i prezzi ancora di più.

Nonostante l'aumento dei tassi d'interesse in America finora, il processo di espansione monetaria non può fermarsi. Continuerà, a prescindere dall'offerta di credito per sostenere i prezzi, come suggerisce il grafico sopra. I tassi d'interesse aumenteranno, riflettendo la crescente influenza da parte delle preferenze temporali del settore privato, fino a quando i modelli di business dei mutuatari basati su anni di tassi a zero diventeranno del tutto anti-economici. Coloro che saranno saggi taglieranno i loro investimenti improduttivi, ma la maggioranza proverà a lottare, con le banche sempre più riluttanti a sostenerli. Questo è il modello convenzionale di come si sviluppa una crisi del credito, ma come vedremo la prossima crisi sarà probabilmente di origine finanziaria, piuttosto che economica.



Come si evolverà la fase pre-crisi del ciclo del credito

Vi sono errori significativi nella politica dei tassi d'interesse, i quali garantiscono l'arrivo della prossima crisi del credito. Supponendo che un tasso d'interesse rappresenti il prezzo del denaro, la politica monetaria procede in modo errato sin dalle premesse. Ma ammettere ciò significherebbe dover abbandonare tutti i tentativi di gestire i tassi d'interesse, ed è molto improbabile che le banche centrali rinuncino alla ragione più potente della loro esistenza.

Avendo compreso l'errore fondamentale, ovvero, non riconoscere il ruolo della preferenza temporale nell'economia, possiamo prevedere l'evoluzione della politica monetaria fino alla prossima crisi del credito. Oltre alla comprovata mancanza di un qualsiasi collegamento tra i tassi d'interesse e il credito bancario, è chiaro che durante tutto il ciclo i tassi d'interesse sono stati mantenuti al di sotto del valore di una preferenza temporale determinata dal mercato. Ciò porta all'espansione del debito e del denaro, poiché sia ​​le imprese che i consumatori sono incoraggiati ad accendere nuovi prestiti per sostenere la crescita economica.

Negli ultimi anni molti commentatori finanziari hanno sottolineato che l'espansione del debito nell'economia americana non sia riuscita a stimolare la crescita economica come previsto. Si potrebbe obiettare che ciò è dovuto al fatto che gran parte del debito non è stato utilizzato per espandere l'offerta di beni e servizi, e questo è certamente vero. Districare la relazione tra l'accelerazione del debito e il PIL implica il vaglio di una serie di fattori, e il credito bancario totale dovrebbe essere considerato in modo diverso dalle emissioni obbligazionarie totali: il primo è denaro e i secondi sono asset in mano alla popolazione. Un'analisi più pertinente prevede la comprensione che i depositi bancari sono l'immagine speculare del credito bancario. In altre parole, i commentatori finanziari dovrebbero commentare la gigantesca mole di soldi che è stata creata.

Come viene distribuito tale denaro? Ad oggi, la liquidità di in mano alla popolazione, i conti correnti ed i depositi bancari sono aumentati da $5,460 miliardi poco prima dell'ultima crisi del credito a $12,854 miliardi di oggi. Ciò significa che dal settembre 2009 sono stati creati circa $7,394 miliardi. Come notato in precedenza, sappiamo che $4,217 miliardi sono proprietà di società non statunitensi, banche ed istituzioni finanziarie estere. Di conseguenza un aumento dei depositi bancari per un totale di $3,177 miliardi nelle mani di persone negli Stati Uniti.

Questi numeri sono importanti per capire come si svilupperà il ciclo del credito da qui. I dollari in mani estere si trovano nelle banche, possibilmente scambiabili per altre valute, oro o anche materie prime. È denaro che non verrà mai speso nell'economia degli Stati Uniti, quindi in senso stretto non è inflazionistico. Tuttavia se il dollaro si indebolisce, si trasformerà in denaro speso per fare hedging.

Dei depositi in dollari negli Stati Uniti per un totale di $7,394 miliardi, una parte sostanziale è di proprietà di istituti finanziari. La preponderanza di questi depositi in mano degli istituti finanziari (interni ed esterni), ci spiega perché l'inflazione dei prezzi registrata sin dal 2009 è rimasta sorprendentemente sottomessa, nonostante un'espansione monetaria quasi senza precedenti. Gran parte dell'effetto sui prezzi, se dobbiamo accettare i dati ufficiali dell'IPC, deve ancora manifestarsi e ciò significa un gigantesco calo del potere d'acquisto del dollaro nella corsa verso la prossima crisi del credito. Troppi soldi sono in mani instabili, alcune delle quali venderà dollari e altre che rimarranno intrappolate nel sistema.

Finora ci siamo concentrati su considerazioni di natura monetaria, ma ci sono anche quelle di politica fiscale e commerciale. Il presidente Trump, attraverso riduzioni fiscali progettate per proteggere la produzione nazionale, ha inasprito la situazione. Certo, quando sono i ricchi che traggono benefici, è improbabile che avremo aumenti nel consumo diretto; ma laddove ci sono aumenti dell'occupazione, dovremmo tenere presente che l'offerta di lavoro occupabile è già molto bassa. I tagli fiscali di Trump contribuiranno a far salire i costi di produzione nei prossimi mesi.

L'introduzione dei dazi da parte di Trump, anche se c'è possibilità che siano un'arma commerciale temporanea, aumenterà anche i costi della produzione interna e aumenterà i prezzi al consumo. Diventerà quindi evidente che il ritmo dell'aumento dei prezzi accelererà, probabilmente in tempi relativamente brevi.

La popolazione include in particolare titolari di depositi bancari, conti correnti e contanti. Data la recente propensione al debito da parte dei consumatori, non possiamo più fare affidamento sul normale lag tra svalutazione della moneta e comprensione generale dell'effetto sui risparmi. La proporzione di titolari istituzionali e finanziari di questi conti è maggiore rispetto ai precedenti cicli del credito, quindi è probabile che vogliano trasferire il loro denaro a qualcun altro quando il tasso d'inflazione dei prezzi aumenterà; e tale trasferimento sarà più rapido di quando i detentori di suddetti conti erano principalmente i consumatori.

È qui che la comprensione delle preferenze temporali diviene importante. Man mano che il potere d'acquisto del dollaro diminuirà, le istituzioni finanziarie si libereranno rapidamente dei loro dollari. È probabile che le istituzioni finanziarie nazionali acquisteranno asset finanziari, ma tutte tenderanno ad essere dalla stessa parte della transazione. Vi è quindi una forte possibilità che si sviluppi una corsa per liberarsi dei dollari ed acquistare asset, facendo salire le azioni ed i prezzi degli immobili. Allo stesso tempo aumenteranno i rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza. Questi sviluppi ci dicono una cosa: il valore presente del denaro futuro scenderà ad un ritmo sostenuto.

La situazione non verrà letta in questo modo dalla FED. Essa vedrà i segni di un'economia surriscaldata e tenterà di raffreddarla, inizialmente con riluttanza, rialzando "il prezzo del denaro".

Ritorniamo ai fattori che influenzano la proprietà estera dei depositi in dollari. Il presidente Trump sta aumentando il deficit di bilancio, che ipotizzando un piccolo cambiamento nel tasso di risparmio, si trasformerà in un crescente deficit commerciale come descritto in precedenza in questo articolo. I proprietari esteri di depositi in dollari possiedono circa $18,400 miliardi di titoli statunitensi, oltre ai loro depositi bancari, per un totale di $22,600 miliardi, superando di un margine significativo il PIL statunitense a $19,400 miliardi. A questi squilibri verrà aggiunto un deficit commerciale annuale di oltre $1,000 miliardi di dollari. Gli stranieri vogliono veramente continuare ad aumentare le loro partecipazioni in dollari?

La risposta sarà probabilmente "No". Potranno trarre brevemente profitto dall'ondata di prezzi azionari più alti, ma dei loro $18,400 miliardi di titoli USA, $11,200 miliardi sono obbligazioni, le quali caleranno di prezzo come argomentato sopra. L'esposizione estera al dollaro e l'aumento del deficit commerciale, indicano un'enorme pressione di vendita che si sta sviluppando contro il biglietto verde nelle borse estere.

Una fuga dai dollari e un rifugio in azioni, proprietà immobiliari e persino opere d'arte, combinato con un aumento dei rendimenti obbligazionari, può avvenire solo per un breve periodo di tempo. L'inflazione dei prezzi, alimentata in parte dalla quantità di dollari in deposito e in parte da una combinazione di stimoli fiscali e commerciali sui beni importati, frantumerà l'obiettivo d'inflazione al 2% della FED. Ci sarà un breve boom finanziario nella migliore delle ipotesi e poi una crisi drammatica. La FED non sarà in grado di tenere il passo con il rapido valore presente degli obblighi futuri, incapsulato nella preferenza temporale.

In sintesi, la prossima crisi del credito sarà alimentata dagli squilibri monetari accumulati durante l'ultima crisi del credito, innescata dalle politiche fiscali e commerciali del presidente Trump. I tempi per l'inizio della crisi del credito sembrano essere l'ultimo trimestre del 2018, oppure entro e non oltre la metà del 2019.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


giovedì 30 agosto 2018

Analisi tecnica del prezzo di Bitcoin, 30/8/2018


Nuovo appuntamento con l'analisi tecnica del prezzo di Bitcoin. Verranno analizzati alcuni nuovi pattern la cui interazione sta cambiando l'andamento del prezzo di Bitcoin, oltre ad includere il vaglio dei vari archi temporali e degli indicatori più importanti per capire come si muoverà il prezzo nel breve/medio termine.
È possibile consultare l'analisi tecnica al seguente indirizzo: https://www.yours.org/content/analisi-tecnica-del-prezzo-di-bitcoin--30-8-2018-e3814412e109


La centralità dello scopo nella teoria economica





di Gary North


Ludwig von Mises iniziò il Capitolo I del suo capolavoro, Human Action (1949), con queste parole.
L'azione umana è un comportamento intenzionale. O potremmo dire: l'azione è la volontà messa in atto e trasformata in un'agenzia, è avere fini e obiettivi, è la risposta significativa dell'ego agli stimoli e alle condizioni dell'ambiente, è l'adattamento cosciente di una persona allo stato dell'universo che determina la sua vita. Tali parafrasi possono chiarire la definizione e prevenire possibili interpretazioni errate, ma la definizione stessa è adeguata e non ha bisogno di commenti integrativi.

Ha costruito un intero sistema di teoria economica su questa semplice premessa.

Lessi Human Action oltre 50 anni fa. L'ho letto più di una volta. Continuo a rileggerlo per accertarmi che le mie categorie economiche siano coerenti.

La scorsa settimana mi è tornato in mente che non ero riuscito ad implementare correttamente questo paragrafo iniziale nel mio libro, L'economia cristiana in una lezione. Così sono tornato indietro e ho aggiunto un capitolo: "Lo scopo precede la pianificazione". Questo, a sua volta, mi ha costretto a ristrutturare il mio libro, The Covenantal Structure of Christian Economics (2014).

Se avessi prestato maggiore attenzione a Mises nell'estate del 1963, non avrei commesso questo errore. Non fa mai male tornare indietro e rileggere i classici.

Perché la questione dello scopo è così importante? Mises non lo disse esplicitamente, anche se penso che sarebbe stato d'accordo con la seguente spiegazione: la proprietà significa responsabilità legale. Non c'è via di fuga da questo. Lo stato può tentare di ostacolare questo principio interferendo con il processo di mercato, ma questo intervento produrrà conseguenze non intenzionali che sono quasi sempre negative. Lo stato non presta attenzione a queste conseguenze. Non accetta la responsabilità per aver creato questi effetti collaterali negativi. Ricordate, non esiste qualcosa come un effetto collaterale. Ci sono solo effetti. Quelli che non ci piacciono, li chiamiamo effetti collaterali.

Io sostengo che la proprietà non solo conferisca responsabilità legale, ma crei responsabilità morale. Mises non parlò di responsabilità morale. Voleva che il suo sistema economico fosse privo di questioni legate al valore. Il mio non lo è.

Poiché la proprietà significa responsabilità, non è possibile evitarla quando prendiamo decisioni. Le decisioni su ciò che faremo con la nostra proprietà precedono qualsiasi piano che formuliamo per implementare suddette decisioni.

Perché questo concetto era così importante per me? Del resto, perché è così importante per la teoria economica? Perché io sostengo questo presupposto: un individuo non è un automa in un universo autonomo. Deve effettuare un'azione responsabile. Dio lo ritiene responsabile. Al contrario, la scienza moderna vede l'uomo come un prodotto di forze impersonali. Mises capì l'errore, ed è per questo che distinse l'economia dalla fisica. Gli individui prendono decisioni. Queste decisioni rendono impossibile il grado di prevedibilità che un fisico o un chimico si aspetta da un esperimento di laboratorio. Ci sono modelli parzialmente prevedibili nell'azione umana, ma non c'è prevedibilità scientifica. Mises meditò su questo aspetto per tutta la sua carriera.

La teoria economica moderna si sta muovendo nella direzione della fisica. È fortemente basata su formule matematiche. Ma nella misura in cui le formule si applicano al mondo reale, e fortunatamente non è così, gli uomini non sarebbero altro che l'equivalente di reazioni chimiche. Perderebbero la loro libertà. Perderebbero anche le loro responsabilità. Questo è il motivo per cui le formule e le equazioni degli economisti non si applicano al mondo reale. Non c'è scampo alla responsabilità personale. Più ricchezza ha un uomo, più è responsabile.

Mises andò al cuore della questione con il titolo del suo libro. L'azione umana era ciò di cui stava scrivendo durante la sua carriera intellettuale.



AZIONE UMANA RESPONSABILE

Ecco una domanda filosofica e morale: "Le nostre decisioni sono programmate dal nostro ambiente?" Questo include anche il nostro ambiente economico e le nostre scelte, che sono basate sui prezzi e sulle nostre speranze per i profitti futuri. Siamo guidati, nel modo in cui una molecola è guidata, dal sistema dei prezzi? No. Le molecole non sono responsabili. Ma la teoria economica moderna tratta gli uomini come se fossero macchine automatiche nel prendere decisioni. Nella misura in cui gli uomini sono razionali e meglio informati, dicono gli economisti, diventano più prevedibili. Problema: se sono prevedibili, perdono la loro libertà. Qualcuno capirà come controllarli, sia a Madison Avenue o all'interno della Washington Beltway -- o entrambi.

Ecco la questione filosofica centrale della nostra era: se gli uomini fossero completamente razionali in questo quadro concettuale, diventerebbero completamente prevedibili. Questa è l'implicazione della teoria economica neoclassica. È uno dei motivi per cui la rifiuto. È uno dei motivi per cui Mises la respinse.

Poiché all'inizio del mio libro non avevo posto il tema dello scopo, a differenza di Mises, ho commesso un errore concettuale. Ho posizionato la pianificazione in cima alla lista. La pianificazione non dovrebbe essere in cima alla lista. Lo scopo dovrebbe essere in cima alla lista. Mises lo capì. Penso che l'abbia capito più chiaramente di qualsiasi altro economista prima di lui. Penso che l'abbia capito meglio di qualsiasi altro economista contemporaneo.

Mises discusse la pianificazione economica in grande dettaglio. Discusse la pianificazione individuale. Si oppose al concetto di pianificazione economica centrale da parte dello stato. Lo fece perché la definì intrinsecamente irrazionale: nessun prezzo razionale. La cosa più importante che abbia mai scritto è stato il saggio del 1920, Economic Calculation in the Socialist Commonwealth. Era la cosa più importante dal punto di vista concettuale, ed era anche la più importante in termini di influenza. Influenzò Hayek e convertì dozzine di altri giovani socialisti negli anni '20: dal socialismo all'economia di libero mercato. È stata una prima pietra tombale per il comunismo in Cina e nell'Unione Sovietica.

Mises non pose la pianificazione all'inizio del processo decisionale economico. Mise lo scopo all'inizio. Lo collocò anche all'inizio della logica economica dal punto di vista concettuale. Non avrebbe potuto essere più chiaro.

L'economia mainstream, comprese le varianti del libero mercato, non inizia con lo scopo. Inizia con il calcolo razionale delle alternative economiche. In altre parole, inizia con la questione dell'allocazione delle risorse. "Dovrei comprare questo o quello? Dovrei prendere questo pezzo di equipaggiamento o quell'altro? Dovrei pagare questo interesse per prendere in prestito denaro o no?" Queste sono decisioni di allocazione.

In un famoso libro che ha avuto un impatto enorme nel 1932 il discepolo di Mises, Lionel Robbins, pose la questione dell'allocazione all'inizio della logica economica. Il libro è The Nature and Significance of Economic Science. Scrisse:
L'economista studia la disposizione dei mezzi scarsi. È interessato al modo in cui i diversi gradi di scarsità dei vari beni danno origine a diversi rapporti di valutazione tra di loro, ed è interessato al modo in cui i cambiamenti nelle condizioni di scarsità, che provengano da cambiamenti di scopo o cambiamenti nei mezzi -- dal lato della domanda o dell'offerta -- influiscono su questi rapporti. L'economia è la scienza che studia il comportamento umano come una relazione tra fini e mezzi scarsi che hanno usi alternativi (p.15).

Mises capì che la decisione di allocazione viene solo dopo che qualcuno ha preso una decisione su cosa vuole fare.

Robbins non l'avrebbe negato, ma non lo mise al centro della sua analisi. Gli economisti moderni hanno ignorato lo scopo nel plasmare la teoria economica. Sono interessati solo alla logica della scelta in un mondo sempre più definito in termini di conoscenza perfetta, cioè il mondo dell'equilibrio.

La questione dello scopo è la questione della responsabilità. È il problema di ciò che volete fare della vostra vita, o nei prossimi 10 anni, o nei prossimi cinque minuti. Ma è parte del tutto concettuale e morale. Fa parte del sistema decisionale che non si basa su come fare le cose nel modo giusto. Si basa su come fare la cosa giusta.

La teoria economica di oggi si domanda come fare le cose nel modo giusto. Questa non è la questione centrale nelle nostre vite. La questione centrale nelle nostre vite è come fare la cosa giusta. Facciamo fatica a prendere queste decisioni, giorno dopo giorno e momento dopo momento. Solo dopo aver deciso che cosa dovremmo fare, possiamo iniziare a pensare a come dovremmo farlo. Qui è quando inizia la pianificazione economica.

Come avrete già capito, uso quello che chiamo il modello biblico a cinque punti per strutturare il mio pensiero in ogni cosa che scrivo. In teologia funziona così: Dio, uomo, legge, sanzioni e tempo. Nella teoria sociale, funziona così: sovranità, autorità, legge, sanzioni e tempo. Nella teoria economica, funziona così: proprietà, gestione, legge, sanzioni e tempo.

Il mio errore concettuale era questo: ho piazzato la pianificazione in cima. Questo è l'equivalente della sovranità. Ho associato la pianificazione con la sovranità di Dio. Per Dio, lo è; per l'uomo, non lo è. Mises non usò la teologia biblica per strutturare il suo pensiero, ma comprese una delle implicazioni. La pianificazione è una questione di amministrazione. La responsabilità è una questione di proprietà delegata. Come proprietari, siamo responsabili verso Dio, verso le altre persone e verso noi stessi. Altre persone? Sì. Qualsiasi imprenditore che ignori i suoi clienti subirà perdite. In altre parole, decidiamo cosa fare; poi decidiamo come farlo. La pianificazione è un aspetto della seconda decisione.



LO SCOPO E LA AEV

Lasciatemi fare un esempio dal mondo degli affari. Oggigiorno è molto popolare per un'azienda stabilire una dichiarazione di intenti. Penso che questa sia un'ottima idea. In termini di marketing, questa è chiamata argomentazione esclusiva di vendita, o AEV. Secondo lo straordinario libro di Rosser Reeves, Reality in Advertising (1961), gli inserzionisti hanno saputo quanto sia importante sviluppare una AEV per il business. Quindi i manager devono attenersi alla AEV per tutto ciò che riguarda il business. Questo include tutta la pubblicità.

La AEV è l'equivalente dello scopo. Precede tutto ciò che fa un'azienda. Ad ogni modo, dovrebbe precederlo. Dovrebbe strutturare tutto il suo business. Dovrebbe rendere le operazioni coerenti. Tutto nel business dovrebbe fare riferimento alla AEV.

La AEV precede la questione della pianificazione. Solo quando si ha una AEV chiara, si potrà iniziare a cercare un altro progetto. Solo quando si sarà applicato la AEV ad un ramo dell'attività commerciale, si potrà avviare una nuova campagna. Ci deve essere coerenza. Reeves era chiaro su questo e ha creato alcune delle pubblicità di maggior successo nella storia della televisione per mezzo di questo principio. Era l'uomo che ha creato questo slogan: "Si scioglie nella vostra bocca, non nella vostra mano". Non so quanti miliardi di dollari valesse la compagnia di caramelle Mars, ma ne valeva la pena.

Gli individui dovrebbero avere chiara la loro missione. Gli individui dovrebbero avere una AEV per le loro vite.



DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI

In questi giorni sentiamo parlare molto della definizione degli obiettivi. L'impostazione degli obiettivi è una delle tecniche cruciali per il successo personale nella vita. L'impostazione degli obiettivi è un'applicazione di una missione. La propria missione è il grande principio. Gli obiettivi individuali sono le applicazioni dei casi specifici. Solo dopo aver stabilito questi obiettivi nella propria mente dovrebbe iniziare la pianificazione: la decisione di allocare le risorse.

Questo è ovvio, non è vero? Fino a quando non lo è... Quanto presto nella vita lo capiamo? Un sacco di gente non lo capisce mai. Intendo un paio di miliardi, forse di più.

Passiamo le nostre vite cercando di capire come fare le cose per bene. Non dedichiamo abbastanza tempo a pensare alle cose giuste da fare. Questa è la questione difficile. La pianificazione è la parte facile. Capire che cosa dovremmo fare prima di adottare un piano è la parte difficile. Questo è il motivo per cui non ci piace farlo. È troppo doloroso.

Mises aveva ragione. Aveva ragione prima di chiunque altro. Ed è stato più coerente di chiunque altro. L'azione umana inizia con uno scopo. Se iniziamo la nostra analisi economica con qualcos'altro, la nostra analisi economica avrà dei difetti.

Inizio con lo scopo di Dio. Quindi lo estendo al piano di Dio. Comincio con Genesis 1. Mises non lo fece. Questa è la grande differenza tra la mia teoria economica e la teoria economica di Mises. Ma quando arriviamo al processo decisionale individuale, Mises sapeva da dove cominciare: con uno scopo.

Ecco la mia raccomandazione: dedicate più tempo a fare la cosa giusta piuttosto che a pensare a fare le cose nel modo giusto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


mercoledì 29 agosto 2018

L'Europa dovrebbe armonizzarsi al livello tributario dell'Irlanda, non della Francia





di Daniel Lacalle


Ogni volta che parliamo di tagli fiscali e programmi fiscali orientati alla crescita in Europa, molti ci dicono che "non è possibile" e che l'Unione Europea non lo consente.

Tuttavia ciò è falso. Sistemi fiscali orientati alla crescita non solo sono possibili nell'Unione Europea, ma i Paesi che li attuano hanno tassi di crescita economica più elevati, meno disoccupazione ed uno stato sociale ben finanziato.

Per ingannarci, siamo costretti ad ignorare Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo, nonché la maggior parte dei leader della tecnologia e della creazione di posti di lavoro.

Tasse più basse e maggiore liberalizzazione rispetto al resto dell'Eurozona significano maggiore crescita, migliore ricchezza e maggiore benessere sociale. Il miracolo economico dell'Irlanda non è statalismo. Il suo segreto è porre la stabilità di bilancio, l'attrazione per gli investimenti, l'iniziativa privata e massimizzare il reddito disponibile dei cittadini come quintessenza della sua politica economica.

L'Irlanda ha un'aliquota societaria del 12.5% e un'aliquota del 6.25% sul reddito derivante da brevetti e proprietà intellettuale, un fattore chiave per attrarre aziende tecnologiche. Il suo salario minimo è quasi il doppio di quello della Spagna, del Portogallo e di altri Paesi della zona Euro, anche le pensioni medie sono più alte ed i suoi sistemi sanitari e di istruzione sono di altissima qualità, con nove università tra le migliori al mondo secondo il Best Global Universities Ranking 2018.

Il debito dell'Irlanda rispetto al PIL è del 73%, la disoccupazione è del 5.1% (la disoccupazione giovanile all'11.4%), il deficit pubblico è solo dello 0.7% del PIL.

Solo pochi anni fa, l'Irlanda era vicina al baratro finanziario e il rendimento dei titoli decennali era salito al 14%. L'Irlanda era considerata uno dei Paesi a più alto rischio di default insieme a Spagna, Portogallo, Grecia ed Italia. Da allora, le tasse basse, il controllo del budget e le riforme orientate ad attrarre capitali, hanno reso l'Irlanda l'economia europea in più rapida crescita, con un tasso di disoccupazione inferiore alla metà di quello della Spagna, ad esempio.

I deficit sono stati tagliati, il debito è sotto controllo, l'economia dovrebbe crescere del 5.1% nel 2018 e dovrebbe raggiungere la piena occupazione nel 2019.

L'Unione Europea non ha bisogno di armonizzare i sistemi fiscali, ma se lo facesse, dovrebbe farlo implementando i sistemi che promuovono la crescita e l'occupazione, non quelli che promuovono la stagnazione.

Un sistema fiscale confiscatorio e un settore pubblico ipertrofico hanno creato debito e stagnazione in quei Paesi dell'Eurozona che li hanno implementati. La Francia è un esempio chiave.

L'ultima volta che la Francia ha avuto un bilancio in pareggio era il 1980 e dal 1974 non ha mai generato un surplus. Il debito pubblico ha raggiunto il 97% del PIL e l'economia è rimasta stagnante per due decenni. La disoccupazione si attesta al 9.2% (con il 20.4% di disoccupazione giovanile) e nel 2017 aveva ancora un deficit delle partite correnti di €6.5 miliardi, mentre l'Eurozona aveva un surplus. In un Paese in cui la spesa pubblica supera il 57% del PIL, dove la spesa della pubblica amministrazione è cresciuta di oltre il 13% dal 2008 e il 22% della popolazione attiva lavora per lo stato, i governi locali e gli enti pubblici, parlare di austerità è uno scherzo. Inoltre la Francia ha speso decine di miliardi su "piani di stimolo" sin dal 2009. In particolare, €47 miliardi nel 2009, €1.24 miliardi nel settore automobilistico e due "piani di crescita" sotto il mandato di Hollande: €37.6 miliardi ("investimenti") e €16.5 miliardi ("tecnologia").

Quando parliamo di tassazione nella zona Euro, di solito parliamo di entrate fiscali rispetto al PIL, e non di cuneo fiscale, che è ciò che ciascuno di noi paga in tasse sul proprio reddito totale.

Secondo lo studio PricewaterhouseCoopers Paying Taxes del 2018, le società europee hanno un cuneo fiscale del 40%. Il cuneo fiscale è quasi del 40% inferiore in Paesi come Lussemburgo, Irlanda o Danimarca, e il 12% in meno nei Paesi Bassi.


Se guardiamo alle famiglie, le cose sono molto simili. La maggior parte dei Paesi della zona Euro ha un cuneo fiscale per le famiglie (con uno stipendio e due figli) che è il doppio della media in Irlanda, Svizzera o Lussemburgo e del 20% in più rispetto all'Olanda.


Ma per quanto riguarda la protezione sociale ed il welfare? Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo hanno sistemi di welfare facilmente accessibili e ben finanziati.

Gli interventisti parlano sempre dei Paesi nordici come nazioni con tasse molto alte, eppure il loro cuneo fiscale è inferiore per le aziende e le famiglie rispetto alla media dell'Eurozona.

I Paesi con imposte più alte non godono di un welfare migliore o protezione sociale migliore, ma hanno tassi di disoccupazione più elevati, crescita più debole e debito più elevato. L'alta tassazione scoraggia l'attività economica, gli investimenti e il consumo e, ovviamente, le entrate fiscali si indeboliscono.

Macron chiede un'armonizzazione dei sistemi fiscali in Europa. Sono d'accordo, cerchiamo di armonizzarci al livello dell'Irlanda. Ma no, quello che Macron sottintende quando usa la parola "armonizzare" è "aumentare le tasse": la ricetta per la disoccupazione e la stagnazione.

I governi ignorano l'effetto benefico della tassazione orientata alla crescita, perché il loro obiettivo non è la crescita, gli investimenti o l'occupazione, ma il controllo.

Il modello fiscale europeo non può essere quello di imporre ciò che non funziona. Le tasse devono essere abbassate per crescere e creare più occupazione. Le tasse elevate non garantiscono il welfare state, lo rendono insostenibile.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


martedì 28 agosto 2018

L'uso difensivo delle armi va oltre lo sparare ai malviventi



Lo scopo principale delle leggi sul controllo delle armi non è quello di ridurre i crimini contro le persone, è quello di disarmarle rendendo gli elettori dipendenti dallo stato per la protezione.
Quest'ultimo, però, offre poca protezione. Sono pochi i reati che la polizia risolve senza le persone informate sui fatti. Non può arrivare a casa vostra in tempo per salvarvi da un attacco di un criminale armato.
Poi c'è la storia del poliziotto che ha violentato la donna che aveva chiesto aiuto. Senza armi, la donna era indifesa.
Tutti lo sanno nella leadership del movimento per il controllo delle armi. A loro non importa. Considerano più importante l'obiettivo di una popolazione indifesa e disarmata piuttosto che quello di ridurre i crimini. Queste persone vogliono il potere. Una popolazione armato limita l'estensione di tal potere.

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di James Agresti


In un articolo del New York Times intitolato “How to Reduce Shootings,” scrive Nicholas Kristof: "È vero che le armi vengono occasionalmente usate per fermare atti di violenza. Ma contrariamente a quanto suggerisce la National Rifle Association, è raro. Uno studio del Violence Policy Center ha rilevato che nel 2012 vi sono stati 259 omicidi giustificabili da parte di cittadini privati che hanno utilizzato un'arma da fuoco".

Questa affermazione è sciatta e grossolana, facendo finta che le armi da fuoco contrastino la violenza solo quando sono usate per uccidere criminali. Come spiegato dalla National Academies of Sciences in un'analisi di oltre 300 pagine di studi sulle armi da fuoco: "L'uso di una pistola per difesa non deve per forza ferire o uccidere l'assalitore. Piuttosto, per valutare i benefici dell'autodifesa, è necessario misurare il crimine ed evitare ferimenti. Il risultato particolare per un trasgressore è di scarsa rilevanza".

Allo stesso modo, un documento del Journal of Criminal Law and Criminology del 1995 afferma: "Questo è un problema troppo serio per trarre conclusioni basandosi su statistiche stupide che mettono a confronto il numero di vite stroncate dalle armi con il numero di criminali uccisi dalle vittime. Uccidere un criminale non va a beneficio della vittima, ma piuttosto è un incubo che la tormenterà per anni".



Prevenzione del crimine

Lo scopo di avere un'arma per la difesa non è uccidere criminali, ma impedire loro di uccidere o danneggiare altri. Di conseguenza lo stesso documento del 1995 ha rilevato che "solo l'8%" di persone che usano un'arma per la difesa "riferisce di aver ferito un malvivente." Data la dimensione del campione dello studio, suddetta percentuale presenta un margine di errore di campionamento di ±4 punti percentuali. Gli autori concludono che "il tasso di ferimenti dell'8.3% è probabilmente troppo alto" e che gli usi delle armi per scopi difensivi "sono meno gravi nelle loro conseguenze di quanto suggeriscono i nostri dati".

In altre parole, le persone che usano un'arma per difesa raramente fanno del male (molto meno uccidono) i criminali. Questo perché i criminali spesso si allontanano quando scoprono che i loro bersagli sono armati. Un'indagine del 1982 su criminali di sesso maschile in 11 prigioni statali negli Stati Uniti ha rilevato che il 40% di loro aveva deciso di non commettere un crimine perché "sapeva o credeva che la vittima avesse una pistola".

Contrariamente all'affermazione ingannevole di Kristof, una serie di dati credibili ci dice che i civili usano le armi per fermare violenze più di 100,000 volte all'anno.

Ad esempio, il suddetto documento del 1995 si basava su un'indagine di 4,977 famiglie, secondo cui almeno lo 0.5% delle famiglie nei precedenti cinque anni aveva membri che avevano usato un'arma per difesa durante una situazione in cui pensavano che qualcuno "quasi certamente sarebbe stato ucciso" se "non avessero usato un'arma per protezione". Applicato alla popolazione degli Stati Uniti usando metodi scientifici standard, ciò equivale ad almeno 162,000 vite salvate all'anno, escludendo tutti "i militari, la polizia, o le guardie giurate".

Dato che questi dati risalgono agli anni '90 e si basano sulle opinioni soggettive della gente su cosa sarebbe successo se non avessero usato una pistola, dovrebbero essere prese con le pinze. Tuttavia la stessa ricerca ha rilevato che il numero di persone che utilizzavano un'arma per l'autodifesa era circa sei volte maggiore del numero che affermava che l'utilizzo di un'arma "quasi certamente" avrebbe salvato una vita. Ciò equivale ad almeno 1,029,615 usi delle armi all'anno, compresi quelli in cui sono state salvate vite e casi di minore entità.



Di fronte ai fatti

In particolare, il criminologo anti-armi Marvin E. Wolfgang ha elogiato sul Journal of Criminal Law and Criminology uno studio condotto dai ricercatori pro-armi Gary Kleck e Marc Gertz. Altri studi dimostrano che gli usi difensivi delle armi sono molto più comuni di quanto Kristof induca a credere i suoi lettori.

Il ricercatore anti-armi David McDowall e altri hanno condotto un'indagine importante sull'uso delle armi per scopi difensivi pubblicata sul Journal of Quantitative Criminology nel 2000. Gli autori non hanno portato i risultati dell'indagine alle loro conclusioni logiche usando la pratica comune di ponderarli per determinare quali sarebbero stati i risultati a livello nazionale. Ma quando si tiene conto di questo aspetto, i risultati implicano che gli statunitensi usano le armi per difendere loro e gli altri dai criminali almeno 990,000 volte l'anno. Questa cifra spiega solo i casi "chiari" di uso delle armi a scopo difensivo e si basa su una ponderazione progettata per minimizzare gli usi delle armi a scopo difensivo.

Allo stesso modo, un sondaggio del 1994 condotto dall'U.S. Centers for Disease Control and Prevention (CDC) ha scoperto che gli americani usano le armi per spaventare gli intrusi che irrompono nelle loro case circa 498,000 volte all'anno.

Nel 2013 il Presidente Obama ha ordinato al Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani e al CDC di "condurre o sponsorizzare ricerche sulle cause delle violenze armate e sui modi per prevenirle." In risposta il CDC ha chiesto all'Institute of Medicine and National Research Council di "convocare una commissione di esperti per sviluppare un programma di ricerca incentrato sugli aspetti di salute pubblica relativi alla violenza legata alle armi da fuoco..." Questa commissione ha studiato la questione e ha concluso:
L'uso delle armi per scopi difensivi da parte delle vittime di reati è un evento comune, anche se il numero esatto continua ad essere contestato...

Quasi tutte le stime dei sondaggi nazionali indicano che gli usi delle armi per scopi difensivi da parte delle vittime sono almeno tanto comuni quanto quelli offensivi dei criminali, con stime di usi annuali che vanno da circa 500,000 a più di 3 milioni...

Alcuni studiosi indicano una stima radicalmente inferiore, di soli 108,000 di usi difensivi annuali in base al National Crime Victimization Survey, ma questa stima di 108,000 è difficile da interpretare perché agli intervistati non è stato chiesto specificamente l'uso delle armi.

Gli studi che hanno valutato direttamente l'effetto degli usi delle armi per scopi difensivi (cioè, incidenti in cui un'arma è stata "usata" dalla vittima per attaccare o minacciare un criminale) hanno riscontrato tassi di ferimenti sempre più bassi tra le vittime utilizzanti un'arma rispetto alle vittime utilizzanti altre strategie di autodifesa...

In breve, la differenza tra i dati sull'uso delle armi per scopi difensivi e la cifra ingannevole di Kristof è enorme. Ingannando i suoi lettori facendo credere loro che raramente le armi sono usate per la difesa, lui ed i suoi redattori del Times potrebbero dissuadere persone che altrimenti potrebbero salvare vite grazie alle armi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


lunedì 27 agosto 2018

Analisi tecnica del prezzo di Bitcoin, 27/8/2018


Nuovo appuntamento con l'analisi tecnica del prezzo di Bitcoin. Approfondimenti e idee mediante l'analisi dei diversi indicatori legati al prezzo e dei vari archi temporali, mettendo insieme un'ipotesi concreta del dove sta andando da qui. Ci sono sostanzialmente due pattern che si stanno sviluppando in parallelo nell'andamento di prezzo di Bitcoin, e ne sviscereremo tutti i possibili ed eventuali esiti.
È possibile consultare l'analisi tecnica del prezzo di Bitcoin al seguente indirizzo: https://www.yours.org/content/analisi-tecnica-del-prezzo-di-bitcoin--27-8-2018-99d3db66316d


Preparatevi ad una maxi-svalutazione cinese





di James Rickards


Per oltre un anno ho sostenuto che le minacce commerciali del presidente Trump dovevano essere prese sul serio, mentre la maggior parte di Wall Street le ha minimizzate. Ora le guerre commerciali sono qui come ci aspettavamo, e peggioreranno prima di essere risolte.

Le guerre tra valute sorgono in una condizione di troppo debito e di crescita troppo scarsa. Le potenze economiche cercano di sottrarre la crescita ai loro partner commerciali svalutando le loro valute per promuovere le esportazioni ed importare l'inflazione.

Ma la Cina non può percorrere molto a lungo la via dei dazi.

Importa solo circa $150 miliardi di esportazioni statunitensi. Alla velocità con cui stanno andando, finiranno le merci su cui imporre dazi. Trump può andare avanti perché gli Stati Uniti importano molto di più dalla Cina.

Ma i cinesi sono ossessionati dal non voler perdere la faccia. Il presidente cinese Xi è appena stato nominato dittatore a vita. Non vuole iniziare il suo nuovo regime dittatoriale facendo marcia indietro da un braccio di ferro con Donald Trump. Quindi ha bisogno di un'altra opzione.

Affinché la Cina continui a combattere, ha bisogno di una risposta asimmetrica; ha bisogno di combattere la guerra commerciale con qualcosa di diverso dai dazi.

La Cina detiene oltre $1,200 miliardi di titoli del Tesoro statunitensi. Alcuni analisti dicono che la Cina può scaricare questi titoli del Tesoro sui mercati mondiali e far aumentare i tassi d'interesse negli Stati Uniti. Ciò farà aumentare anche i tassi dei mutui, danneggerà il mercato immobiliare negli Stati Uniti e potrebbe scaraventare l'economia statunitense in una recessione. Gli analisti la definiscono "l'opzione nucleare della Cina" quando si tratta di combattere una guerra finanziaria con Trump.

C'è solo un problema.

Tale opzione è un disastro. Se la Cina vendesse alcuni dei titoli del Tesoro USA in suo possesso, si auto-danneggerebbe perché qualsiasi aumento dei tassi d'interesse ridurrebbe il valore di mercato di ciò che ha ancora in pancia.

Inoltre ci sono un sacco di acquirenti in giro se la Cina diventasse un venditore. Quei titoli del Tesoro USA verrebbero acquistati dalle banche degli Stati Uniti, o persino dalla stessa FED. Se la Cina perseguisse una versione estrema di questo dumping, il Presidente degli Stati Uniti potrebbe interromperla con una sola telefonata al Tesoro USA.

Questo perché gli Stati Uniti controllano il libro mastro digitale che registra la proprietà di tutti i titoli del Tesoro USA. Potrebbero congelare i conti obbligazionari cinesi e questa sarebbe la fine. Quindi non vi preoccupare quando sentite che la Cina può vendere i titoli del Tesoro statunitensi. La Cina è bloccata. Non ha una cosiddetta opzione nucleare in questo mercato.

Ma se non può vincere una guerra commerciale, può provare a vincere una guerra tra valute invece...

Sebbene la Cina non abbia una cosiddetta "opzione nucleare", questo non significa che non abbia proiettili in una guerra finanziaria. La Cina non può imporre tanti dazi quanto Trump e non può scaricare i titoli del Tesoro USA, ma può contrastare la guerra commerciale combattendo una guerra tra valute.

Se Trump impone dazi del 25% sulle merci cinesi, la Cina potrebbe semplicemente svalutare la propria valuta del 25%. Ciò tornerebbe a rendere meno i cari i prodotti cinesi per gli acquirenti statunitensi. L'effetto netto sul prezzo rimarrebbe invariato e gli americani potrebbero continuare a comprare beni cinesi allo stesso prezzo in dollari.

L'impatto di una tale svalutazione non sarebbe limitato alla guerra commerciale. Uno yuan più economico esporta deflazione dalla Cina verso gli Stati Uniti e rende più difficile per la FED raggiungere il suo obiettivo d'inflazione.

Inoltre le ultime due volte che la Cina ha provato a svalutare la sua valuta, agosto 2015 e dicembre 2015, i mercati azionari statunitensi sono crollati di oltre l'11% nel giro di poche settimane. Quindi se la guerra commerciale dovesse intensificarsi, come mi aspetto, non preoccupatevi che la Cina imponga dazi doganali.

Guardate la valuta, ecco dove la Cina reagirà. Quando lo farà, i mercati azionari statunitensi saranno le prime vittime.

Forse pensate che sia improbabile perché sarebbe una reazione estrema da parte della Cina, ma dovete mettervi nei panni della leadership cinese.

Queste non sono questioni accademiche per i leader cinesi, entrano nel cuore della loro legittimità al governo.

L'economia cinese non si limita a fornire posti di lavoro, beni e servizi. Riguarda la sopravvivenza del Partito Comunista Cinese che affronta una crisi esistenziale se non riesce ad apparire forte. L'imperativo della leadership cinese è quello di evitare disordini sociali.

Se la Cina andasse incontro ad una crisi finanziaria, Xi potrebbe perdere rapidamente quello che i cinesi chiamano "Il mandato dal cielo". Questo termine descrive l'intangibile benevolenza e il sostegno popolare che sono stati necessari agli imperatori per governare la Cina negli ultimi 3,000 anni.

Se il mandato dal cielo è perduto, un governante può cadere rapidamente.

Metà degli investimenti della Cina sono uno spreco totale di capitali; producono lavori ed utilizzano input come cemento, acciaio, rame e vetro, ma il prodotto finito, che sia una città, una stazione ferroviaria o un'arena sportiva, è spesso una cattedrale nel deserto che rimarrà inutilizzata.

Negli ultimi anni la crescita cinese è stata del 6.5-10%, ma in realtà è stata più vicina al 5% o più bassa una volta effettuato un aggiustamento agli sprechi. Il paesaggio cinese è disseminato di "città fantasma" che sono il risultato di investimenti improduttivi e di un modello di sviluppo imperfetto.

Quel che è peggio è che queste cattedrali nel deserto vengono finanziate con un debito che non potrà mai essere ripagato, senza contare la manutenzione necessaria nel caso volessero essere utilizzate in futuro.

Essenzialmente la Cina ha di fronte un dilemma senza una via d'uscita: da un lato, la Cina ha guidato la crescita negli ultimi otto anni con credito in eccesso, investimenti infrastrutturali inutili e schemi di Ponzi.

La leadership cinese lo sa, ma ha dovuto tenere in moto la macchina della crescita per creare posti di lavoro per milioni di migranti che si trasferivano dalle campagne alle città e per sostenere i posti di lavoro per altri milioni già nelle città.

I due modi di sbarazzarsi del debito sono la deflazione (che si traduce in liquidazioni, fallimenti e disoccupazione) o inflazione (che si traduce in furto di potere d'acquisto, simile ad un aumento delle tasse).

Entrambe le alternative sono inaccettabili per i comunisti, perché mancano della legittimità politica per sopportare disoccupazione o inflazione. Entrambe le politiche causerebbero disordini sociali ed innescherebbero una potenziale rivoluzione.

Le contraddizioni interne della Cina sono tante e deve confrontarsi con un sistema bancario insolvente, una bolla immobiliare e uno schema di Ponzi (es. wealth management products, WMP) da $1,000 miliardi che sta iniziando a crollare.

Uno yuan molto più debole darebbe alla Cina un po' di spazio di manovra politico in termini di utilizzo delle sue riserve per risolvere alcuni di questi problemi.

Una maxi-svalutazione della sua valuta è probabilmente il modo migliore per evitare i disordini sociali che terrorizzano la Cina.

Quando ciò accadrà, probabilmente entro la fine di quest'anno in risposta alla guerra commerciale di Trump, gli effetti non saranno limitati alla Cina. Una grande svalutazione dello yuan rappresenterà un evento critico come lo è stato quello dell'agosto e dicembre 2015 (entrambe le volte le azioni degli Stati Uniti sono scese oltre il 10% in poche settimane).

La Cina non ha un'opzione nucleare nella guerra commerciale, ma ha un'arma molto potente che è pronta ad usare.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


venerdì 24 agosto 2018

I banchieri centrali non tollereranno la deflazione, non importa a quale costo





di Alasdair Macleod

"L'inflazionismo richiede un aumento della quantità di denaro, senza sospettare che ciò ridurrà il potere d'acquisto del denaro." ― Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit

Non sorprende che con lo stallo degli indici azionari, la comunità finanziaria sia sempre più preoccupata che il mercato toro nelle azioni stia volgendo al termine. Naturalmente questo fa sì che gli investitori si preoccupino... e ci sono molte cose di cui preoccuparsi.

Sin dalla crisi della Lehman, i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse hanno gettato lunghe ombre sulla scena finanziaria. Ma dal momento che gli asset finanziari hanno continuato a salire di valore negli ultimi nove anni, i gestori di fondi, spaventati da rischi sistemici di un tipo o di un altro e dalla perenne minaccia di un nuovo crollo, sono stati costretti a scartare le loro opinioni ribassiste.

Il più delle volte, non è molto più di una questione di enfasi. Ci sono sempre buone notizie e cattive notizie. In veste di investitori, scegliete in modo semi-cosciente in cosa credere.

Ci sono motivi per cui preoccuparsi, di questo non c'è dubbio. Perlopiù derivano dalle conseguenze di precedenti interventi statali. Gli stati stanno pian piano soffocando la produzione del settore privato con richieste sempre più rapaci ai contribuenti e stanno ricorrendo alla stampa di denaro per finanziare i deficit. In realtà, c'è un limite alla spesa pubblica, perché impoverisce la base imponibile. Eppure gli stati, con pochissime eccezioni, cercano di nascondere questa verità aumentando ulteriormente i deficit di bilancio e la spesa. In questo il presidente Trump non è solo.

La bancarotta è il risultato finale. E non credete che gli stati non possano andare in bancarotta. Possono, e lo fanno distruggendo le loro valute, come sottinteso da von Mises nella citazione d'apertura. Gli inflazionisti cui fa riferimento von Mises giustificano la loro posizione credendo che l'inflazione sia corroborante e che la deflazione sia devastante. Tutte le statistiche che indicano un rallentamento nella crescita dell'offerta di moneta o nell'economia sono quindi considerate come un avvertimento contro la deflazione.

Gli inflazionisti riciclano semplicemente la "teoria della deflazione del debito" di Irving Fisher, la quale non è più rilevante. Fisher sostenne che in una crisi economica, i crediti inesigibili costringevano le banche a liquidare le garanzie, abbassandone i valori. E mentre i prestiti precedentemente buoni perdono la copertura delle garanzie, le banche sono costrette a liquidare anche quelle.

Ma non funziona più così. Le banche centrali hanno rimosso la disciplina impartita dall'oro, in modo che possano intervenire per prevenire le crisi finanziarie ed economiche, piuttosto che lasciarle fare il loro corso. Hanno completamente abbracciato l'inflazione, adottando la scusa di un'espansione monetaria e creditizia come una panacea.

Pertanto, quando arriverà la prossima la crisi, le banche centrali prenderanno provvedimenti per garantire che la quantità di denaro non si contragga. È una previsione che possiamo fare con assoluta certezza. E ogni volta che si verifica una crisi, è necessario un maggiore sforzo monetario per uscirne. Ma questo non è un problema per una banca centrale che ha due obiettivi prioritari: non il targeting dell'inflazione e della disoccupazione in quanto tale, ma garantire che non si verifichi mai una recessione e finanziare, attraverso la stampa di denaro, se necessario, l'escalation della spesa pubblica.



Le oscillazioni minori non rappresentano la crisi del credito

Dobbiamo discriminare tra i problemi momentanei che devono affrontare le banche centrali e l'inevitabile crisi alla fine del ciclo del credito. Affrontare i problemi mentre si presentano è diventata una routine, la giustificazione per un''inflazione continua. La crisi del credito è un'altra questione. I banchieri centrali non sembrano rendersene conto, ma la crisi del credito è una loro creazione, il modo in cui i mercati alla fine correggono le distorsioni create dalla precedente politica monetaria. Finché le banche centrali sopprimeranno i tassi d'interesse ed espanderanno il denaro e il credito, ci saranno crisi periodiche.

L'innesco per la crisi del credito è sempre lo stesso. Il livello generale dei prezzi rischia di aumentare incontrollatamente, riflettendo la perdita del potere d'acquisto della valuta. Ciò costringe la banca centrale a rialzare con riluttanza i tassi d'interesse fino al punto in cui le ipotesi delle imprese sui ritorni del capitale, basate sui costi di finanziamento, cambiano da profitti a perdite. A quel punto la montagna accumulata di debiti si indebolisce fatalmente.

La tempistica del rialzo dei tassi d'interesse che scatena la crisi è determinata dalla velocità con cui l'inflazione monetaria si rispecchia nei prezzi. E la gravità della crisi dipende dalla dimensione della montagna di debiti che deve essere liquidata.

Questo non ha nulla a che fare con le oscillazioni minori. In vista di una crisi del credito ciclica, le banche centrali si occupano abitualmente degli incendi economici che scoppiano in un paesaggio economico sempre più desolato. Sono molto brave. I corsi azionari delle banche europee, come Deutsche Bank e Credit Suisse, sollevano preoccupazioni per il rischio sistemico, ma la BCE e la BNS garantiranno sempre che il credito sia a loro disposizione. E se siamo preoccupati per il rischio sistemico dei principali colossi finanziari europei, perché i prezzi delle azioni delle grandi banche statunitensi come JPMorgan, Goldman Sachs e Bank of America sono così forti?

Viene anche promossa una narrazione che presuppone che un rallentamento dell'offerta di moneta possa rappresentare un allarme preventivo di una recessione. Il grafico qui sotto lo mette nel giusto contesto.


Sì, di recente c'è stato un rallentamento del tasso di crescita di M2. Ma non si discosta molto dal tasso medio di incremento, mostrato dalla linea nera, negli ultimi cinque anni. E non vale la pena di riproporre il grafico M1, che è molto simile, nonostante la FED stia riducendo le dimensioni del suo bilancio.



Raramente viene messo in discussione il modo in cui viene utilizzato il credito bancario

Quello che non ci dicono i grafici sull'offerta di denaro è dove vengono distribuiti i soldi tra due gruppi di mutuatari. Il denaro creato ex novo, principalmente credito bancario, è allocato nel settore finanziario, che non è incluso nel PIL eccetto le commissioni, o in asset non finanziari, in cui sono inclusi beni e servizi. Inoltre nel PIL non ci sono tutte le attività intermedie business-to-business che si indirizzano verso la produzione e la consegna di beni e servizi inclusi nel PIL. Ed è il B2B che prende in prestito per investire.

È solo quando il denaro extra influenza la produzione di articoli presenti nell'indice dei prezzi al consumo che viene registrata l'inflazione dei prezzi. Tuttavia non possiamo sapere come venga allocato questo denaro extra tra le divisioni arbitrarie stabilite dagli statistici. I tentativi di far sposare i cambiamenti tra le misure monetarie più ampie con la domanda non sono mai convincenti.

Ma come proxy per l'attività di business non finanziario lontano dal mondo delle grandi società, il grafico seguente sembra confermare che le normali attività commerciali sono andate avanti normalmente ed è stato così negli ultimi sei anni, anche se non lo direste dai titoli della stampa finanziaria.


A seguito della grande crisi finanziaria, le piccole/medie imprese sono andate avanti con gli investimenti nella produzione. Ma c'è un'osservazione interessante qui, evidenziata dal grafico: nei primi mesi di ogni anno non è stato accesso quasi nessun prestito e leasing extra, quindi la tendenza a lateralizzare di M2 dall'inizio di gennaio potrebbe non essere nulla di cui preoccuparsi. Inoltre, tenendo conto di questa stagionalità, sembra che la domanda di prestiti e leasing finora sia più forte rispetto a qualsiasi altro momento nei cinque anni precedenti.

Gli strateghi degli investimenti esaminano le tendenze statistiche per discernere i punti di svolta in azioni e obbligazioni, quando la creazione/distruzione di ricchezza da parte dei mercati toro/orso potrebbero essere la forza trainante di queste tendenze statistiche, avendo poco a che fare con l'economia stessa. In questo contesto, il grafico successivo mostra l'accumulo del margin debt nel settore finanziario e come è diventato ampio da essere potenzialmente destabilizzante.


Il punto in cui il calo del margin debt lancia segnali di allarme per il mercato azionario è una cosa, ma è improbabile che possa destabilizzare l'economia non finanziaria da solo. Val la pena di notare che è sceso di $21 miliardi a febbraio, e presumibilmente di più a marzo. Mentre alcune di queste finanze sono gestite da broker che fungono da banche ombra, le riduzioni dei prestiti sui titoli si rifletteranno in un rallentamento del ritmo di crescita dei prestiti bancari. Ma nessuna di queste distinzioni viene fatta notare dagli scribacchini finanziari, attribuendo tutti i cambiamenti nell'offerta di moneta alla domanda nell'economia non finanziaria.

Un'altra statistica che preoccupa gli scribacchini è il differenziale LIBOR-OIS, il quale è improvvisamente aumentato. Questa è la differenza tra il tasso di prestito nel mercato monetario a Londra e il tasso overnight dell'indice swap, un derivato che è legato al tasso d'interesse privo di rischio. Di conseguenza il differenziale è considerato come un'indicazione dei rischi per il prestito bancario.

La spiegazione di questo aumento è sconosciuta. Si potrebbe puntare il dito all'andamento dei corsi azionari delle banche europee di rilevanza sistemica, come Deutsche Bank e Credit Suisse, il quale suggerisce un maggiore rischio di controparte nei mercati monetari di Londra rispetto a New York. Ma se le cose stanno così, le banche centrali seguiranno da vicino la cosa e saranno pronte ad intervenire se necessario.

È forse più probabile che i cambiamenti fiscali negli Stati Uniti stiano incoraggiando le società statunitensi a trasferire fondi in dollari dalle banche di Londra a New York, cosa che fa aumentare i tassi del dollaro a Londra, dove è impostato il LIBOR, rispetto a New York.



Come progredisce il ciclo del credito

Gli investitori che cercano di comprendere le principali tendenze dei mercati finanziari dovrebbero tenere d'occhio il ciclo del credito. Il primo punto da notare è che sono trascorsi nove anni dall'ultima crisi del credito e non ci sono ancora segnali che la crescita economica sia finita. Tuttavia, con il progredire del ciclo, la storia e la teoria monetaria ci dicono che i tassi d'interesse iniziano a salire dai livelli artificialmente soppressi dalle banche centrali. Questo sta accadendo ora, cosa che ci porterà nella fase finale del ciclo del credito.

I mercati obbligazionari hanno tutti raggiunto il picco e i loro rendimenti sono in aumento, e non solo nel breve termine, dove i prezzi sono correlati con i tassi d'interesse. Il rendimento del decennale USA ha toccato il minimo all'1.46% a giugno 2016, invece ora è arrivato al 2.79%. Il rendimento del trentennale USA ha toccato il fondo nello stesso periodo al 2.182%, e ora rende il 3.02%.

In generale, l'aumento dei rendimenti obbligazionari a medio e lungo termine anticipa l'aumento dei prezzi di materie prime, beni e servizi, conseguenza della precedente espansione monetaria. Le condizioni aziendali sembrano quindi migliorare e i mercati azionari hanno rispecchiato questo ambiente favorevole.

Sta diventando chiaro che un ulteriore balzo dei rendimenti obbligazionari confermerà la fine di un mercato rialzista nell'azionario e l'inizio di un mercato ribassista. Ma ciò non segnerà la fine dell'attuale fase del ciclo del credito e l'inizio della crisi. Anche se le azioni affronteranno un crash simile a quello del 1987, il ciclo del credito continuerà piuttosto che entrare nella fase di crisi.

Sta per iniziare la fase conclusiva dell'espansione del credito prima della crisi del credito. Sembra che la domanda aumenterà, mentre saliranno i prezzi ed i tassi d'interesse rimarranno ancora bassi. Sarà una fase caratterizzata da una crescente convinzione tra gli imprenditori: devono accendere più prestiti per investire. Possiamo già anticipare i fattori che porteranno a questo stato di cose.

Il presidente Trump ha tagliato le tasse ed aumentato le spese. Adesso ci sarà uno stimolo fiscale sostanziale nell'economia statunitense, perlopiù finanziata finora dall'inflazione monetaria. È destinato a creare ottimismo a breve termine, ma essendo basato sul denaro fiat, sarà un'illusione. La conseguenza sarà un'accelerazione dell'inflazione dei prezzi, poiché il denaro extra verrà assorbito dall'economia non finanziaria. I mercati obbligazionari anticiperanno tassi d'interesse più alti, quindi le banche, perdendo denaro sui loro investimenti obbligazionari, competeranno per l'attività di prestito nell'economia non finanziaria. Per un breve periodo l'economia in generale, sostenuta da una politica fiscale favorevole alle imprese, sembrerà crescere rapidamente.

L'aumento dei prezzi, inizialmente visto dalle imprese come uno stimolo per la produzione mentre i costi dei prestiti restano soppressi grazie alla FED, accelererà alimentato da troppi soldi a caccia di troppo pochi beni. Tuttavia il contesto economico sembrerà migliorare solo durante il periodo di tempo in cui l'economia assorbirà l'inflazione monetaria e la rifletterà in prezzi più alti. Quando sui mercati si capirà che i prezzi del prossimo anno saranno significativamente più alti di quelli nel presente, il valore delle preferenze temporali per i prestiti aumenterà, indipendentemente dalla politica monetaria della FED.

Per allora la crisi sarà su di noi. Il passaggio da politiche fiscali stimolanti a tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari in forte rialzo potrebbe essere improvviso. Nel peggior momento possibile, la FED sarà costretta ad aumentare il tasso dei Fed Fund per proteggere un dollaro in declino. Se non avranno già iniziato a farlo, le attività finanziarie andranno in crash, insieme ai beni fisici i cui valori sono impostati dai tassi d'interesse, come le proprietà residenziali.

L'America non è la sola a stimolare i mercati. I tassi d'interesse sono anche soppressi nell'Eurozona, in Giappone, in Gran Bretagna e in Svizzera, i quali beneficiano tutti dell'evoluzione economica in Cina. Quegli economisti che nelle ultime settimane hanno proclamato che alla fine la crescita sincronizzata continuerà ad andare avanti, non si rendono conto che le conseguenze inflazionistiche sui prezzi non fanno altro che anticipare la crisi del credito globale.

Quindi, questa è la sequenza. Le obbligazioni raggiungono il picco, seguite dalle azioni, e poi arriva una crisi del credito. Il primo punto è stato soddisfatto, forse siamo entrati nel secondo e abbiamo ancora il terzo evento davanti a noi. E se le prove sotto i nostri occhi non bastano, abbiamo l'ignoranza dei banchieri centrali in materia come quando Janet Yellen disse: "Direi che non ci sarà mai più un'altra crisi finanziaria? Probabilmente mi sto spingendo troppo oltre, ma penso che siamo molto più sicuri rispetto al passato e spero che non avverrà, e infatti non credo che avverrà".

Che arroganza! Ricorda la cosiddetta "esuberanza irrazionale" di Greenspan nel dicembre 1996, prima che il Dow quasi raddoppiasse, e la sua conversione al Nuovo Paradigma di Larry Summers nel 2000, poco prima che scoppiasse la bolla delle dot-com. È la prova che coloro che si sono presi la responsabilità di proteggerci dai rischi finanziari non hanno alcuna conoscenza del ciclo del credito e del loro ruolo nella sua creazione. Ma si tradurrà in una massiccia deflazione?

Se per deflazione si intende un aumento del potere d'acquisto del dollaro, la risposta deve essere "No". Secondo le opinioni dei banchieri centrali, la deflazione deve essere evitata a tutti i costi, perché anche una lieve recessione potrebbe rovinare le finanze pubbliche. Questo è il motivo per cui la FED e le altre banche centrali faranno tutto il possibile per fermarla. Ma il loro potere è limitato: ridurre i tassi d'interesse e lanciare ancora più denaro nell'economia.

Lungi dalla deflazione, l'unica risposta della FED alla prossima crisi del credito sarà l'adozione di misure che porteranno alla distruzione finale del dollaro. Seguiranno altre banche centrali. I deflazionisti non hanno idea di quello che dicono e inconsapevolmente si conformano alla descrizione di von Mises sugli inflazionisti ingenui.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


giovedì 23 agosto 2018

Analisi tecnica del prezzo di Bitcoin, 23/8/2018


Nuovo appuntamento con l'analisi tecnica del prezzo di Bitcoin che, oltre a vagliare i vari archi temporali e annessi ad essi i diversi indicatori, cercheremo di trovare un pattern di prezzo che in qualche modo sia coerente con l'attuale fermento per quanto riguarda l'annuncio della SEC sugli ETF, delineando eventuali scenari a breve e medio termine, oltre ad aggiornare il quadro più ampio di questo bear market.
È possibile consultare l'analisi tecnica al seguetne indirizzo: https://www.yours.org/content/analisi-tecnica-del-prezzo-di-bitcoin--23-8-2018-e2271d3f6c7e


L'energia verde è competitiva senza il supporto dello stato?

Il passaggio all'energia verde si sta dimostrando tanto difficile in parte perché l'energia rinnovabile trova difficoltà a scalare (basti pensare agli ettari di terra ed ai chilometri di costa che dovrebbero essere coperti dalle turbine eoliche se l'energia eolica producesse la stessa quantità di energia che producono i combustibili fossili). Un altro svantaggio dell'energia verde è l'inaffidabilità dell'offerta. Le turbine eoliche hanno bisogno del vento per far girare le pale, le turbine dell'acqua hanno bisogno di pioggia per riempire le dighe ed i pannelli solari hanno bisogno di luce solare. Quando la natura non collabora, l'energia verde diventa imprevedibile. A complicare ulteriormente le cose, l'energia verde è ancora sostanzialmente più costosa delle fonti di energia convenzionali. In quanto tale, la crescita economica e, di conseguenza, il tenore di vita delle persone, continuerà a dipendere dall'uso dei combustibili fossili. La buona notizia è che i processi di produzione stanno diventando più rispettosi dell'ambiente in gran parte del mondo. La maggior parte delle persone ritiene che le aziende, lasciate a se stesse, non possano essere considerate affidabili dal punto di vista ambientale. E, a rigor di termini, è vero che le imprese si preoccupano principalmente dei loro profitti. Il consumo di energia, tuttavia, rappresenta in genere una grande quota delle spese aziendali. E quindi c'è un forte incentivo per le aziende a ridurre il loro consumo di energia. È nell'interesse dei produttori, in altre parole, mantenere bassi i costi energetici. Questo è uno dei motivi per cui le emissioni globali di CO2 per dollaro di produzione, ad esempio, sono diminuite da 0.8 kg nel 1990 a 0.3 kg nel 2014, o più del 50%. In altre parole, il profitto può essere la spinta per eccellenza ai miglioramenti tecnologici nei processi di produzione come metodo comprovato per ridurre il consumo di carburante per dollaro di produzione e, di conseguenza, ridurre le emissioni di CO2. E questo processo diventerà ancora più incisivo quando il costo delle energie rinnovabili diminuirà in relazione alle alternative meno rispettose dell'ambiente.
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di Peter Van Doren


Il calo dei costi dei pannelli solari e la loro adozione diffusa sui tetti delle case in California, hanno portato a molte discussioni sulla competitività dell'energia verde. Mentre a prima vista può sembrare che l'energia solare e altre fonti di energia rinnovabile siano in grado di competere con le risorse convenzionali, un esame più attento delle caratteristiche e dei costi dei sistemi elettrici dimostra che le attuali tecnologie rinnovabili non sono economicamente competitive.

I costi fissi dei sistemi elettrici, i costi di capitale dei sistemi di trasmissione e distribuzione, sono elevati. In genere le tariffe effettive dell'elettricità non recuperano i costi fissi dall'utilizzo di elettricità; invece li recuperano tramite tariffe d'uso per kWh. Se i prezzi dell'elettricità fossero più efficienti, i clienti pagherebbero una tariffa elevata per l'uso dei sistemi di trasmissione e di distribuzione scollegata dalla quantità di elettricità che utilizzano e verrebbe addebitata loro una commissione variabile e separata in base al consumo effettivo. (Si veda questo articolo di Ahmad Faruqui e Mariko Geronimo Aydin per una discussione più approfondita sui prezzi dell'elettricità). Pertanto le bollette attuali non informano i consumatori su quanto siano alti i costi fissi del sistema.

Comprendere l'importanza e il recupero dei costi fissi è fondamentale, a causa del modo in cui i clienti con pannelli solari sono rimborsati per l'energia che generano. La produzione di energia solare in molti stati, in particolare in California, viene rimborsata a prezzi al dettaglio. Ma quando una famiglia produce energia solare e riduce l'uso di elettricità generata dal sistema, quest'ultimo risparmia solo i costi marginali che non ha dovuto produrre, che di solito sono molto inferiori alla tariffa al dettaglio. Nessuno dei grandi costi fissi viene risparmiato.

In California, a causa della struttura a più livelli delle tariffe al dettaglio, la discrepanza tra il tasso di vendita al dettaglio e la quantità risparmiata dal sistema grazie alla produzione solare è elevata. Il costo marginale della produzione di energia è di circa 6-10 centesimi per kWh, ma i clienti vengono rimborsati a tariffe al dettaglio complete (molti ad oltre 30 centesimi per kWh). Il rimborso a tassi di vendita al dettaglio sposta i costi fissi del sistema elettrico dalle famiglie con i pannelli solari ad altri utenti. Senza i pagamenti in eccesso, il solare decentralizzato non sarebbe competitivo.

Altre fonti di energia rinnovabile sembrano essere abbastanza competitive con il gas naturale. Secondo le stime dei costi totali delle varie tecnologie nel corso della loro vita operativa, il solare centralizzato su larga scala nei deserti del sud-ovest americano e la produzione di energia eolica su grande scala, hanno costi competitivi con il gas naturale. (Il vento in mare aperto è molto più costoso.)

Tuttavia, anche se i costi medi dell'eolico e del solare fossero gli stessi del carbone o del gas naturale, l'equivalenza dovrebbe essere qualificata. Diverse tecnologie che generano energia elettrica sono sostituti molto imperfetti. Il valore marginale dell'elettricità generata varia nel tempo, poiché la domanda varia in base all'ora del giorno e allo spazio a causa dei vincoli di trasmissione. Ad esempio, l'energia eolica è maggiore durante le notti invernali, quando la domanda è bassa, ed è più bassa durante l'estate quando la domanda è più alta. Il vento è anche molto più lontano da dove la gente vive e consuma elettricità, il che significa che comporta costi aggiuntivi per trasportare l'elettricità alle persone. Almeno la produzione di energia solare è elevata durante il periodo di picco della domanda estiva. Ma sia il solare che il vento non sono immagazzinabili, cioè, il loro output non può essere fatto variare su o giù.

Fino a quando non sarà disponibile un'energia verde competitiva ed immagazzinabile, le fonti di energia rinnovabile richiedono un supporto convenzionale di riserva. Poiché alla fine il sole tramonta e il vento smette di soffiare, la generazione di gas naturale, la cui produzione può essere variata (a volte rapidamente), deve essere disponibile come riserva. I costi fissi e variabili devono essere pagati da qualcuno. Questi costi nascosti devono essere presi in considerazione in qualsiasi calcolo di "competitività dei costi".

Le future scoperte tecnologiche, come batterie più efficienti per immagazzinare elettricità e fonti di energia solare più economiche ed immagazzinabili, potrebbero rendere l'energia verde un sostituto migliore rispetto a quelli convenzionali. Ma per il momento, senza gli stati che si intrometterebbero, l'energia verde non è competitiva.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/