mercoledì 27 giugno 2018
Il Giappone abbandona lo standard inflazionistico al 2%
di Brendan Brown
Il Giappone è ora in procinto di abbandonare lo standard inflazionistico al 2%, essendo stato l'ultimo ad aderirvi (nel 2013). Di conseguenza, la Banca del Giappone ha cancellato dalla sua ultima dichiarazione pubblica (fine aprile) tutte le promesse riguardo il raggiungimento di tale obiettivo entro una determinata data.
L'apparente rinvio indefinito potrebbe essere ingannevole. Il Governatore della BoJ, Kuroda, potrebbe semplicemente voler evitare l'imbarazzo di scusarsi continuamente per una promessa mai mantenuta, ma ha ancora tutte le intenzioni di utilizzare pienamente le politiche monetarie non convenzionali per raggiungere suddetto obiettivo d'inflazione. Tuttavia, a conti fatti, gli osservatori della banca centrale di Tokyo respingono tale scetticismo, e alcuni di loro suggeriscono le probabili dimissioni anticipate di Abe o la sua sconfitta alle prossime elezioni.
Nessuno dovrebbe aspettarsi, però, l'alba di un'era di denaro sonante per il Giappone. L'ipotesi falsa che vuole i funzionari monetari e i loro osservatori percorrere la via d'uscita dallo standard inflazionistico al 2%, non è per niente coerente con un risultato del genere.
Tale ipotesi si fonda su una "situazione demografica difficile": il restringimento della popolazione giapponese, insieme al suo forte invecchiamento, si accompagnerà ad una diminuita opportunità d'investimento e ad un eccesso di risparmi. Queste cose si rifletterebbero nel tasso d'interesse neutrale, che ora molto probabilmente è significativamente negativo. Quindi anche le politiche monetarie non convenzionali non potrebbero "far salire" l'inflazione.
Eppure l'abbandono dello standard inflazionistico al 2% a causa della demografia cozza con la storia ed i principi.
Agli inizi degli anni '20 la Francia era nel mezzo di una "crisi demografica" e tuttavia ciò non impedì lo scoppio di un'inflazione elevata e un crollo del franco. E sì, le opportunità d'investimento potrebbero effettivamente ridursi nell'aggregato in Giappone (meno lavoratori da rifornire con beni capitali, anche se ci sarebbero altre compensazioni da considerare come la tecnologia che permette di risparmiare lavoro, nuovi mercati rivolti ad una popolazione anziana in crescita tra cui abitazioni e assistenza sanitaria). Ma accanto a ciò, i risparmi giapponesi in termini aggregati tenderebbero a diminuire con il calo della popolazione, soprattutto quando una popolazione molto anziana riduce il capitale per le spese correnti.
Anche se le influenze demografiche dovessero favorire un maggiore surplus di risparmio interno, perché ciò non dovrebbe riversarsi nei mercati dei capitali esteri facendo emergere premi di rischio che sottoporrebbe il livello neutrale dei tassi in Giappone a pressioni al ribasso? La Francia alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX secolo registrò un enorme risparmio e un surplus delle partite correnti con grandi esportazioni di capitali privati.
L'affermazione "Il Giappone è diverso" si basa su investitori che hanno forti home bias; e ciò potrebbe essere particolarmente significativo nel clima economico odierno, in cui molti mercati degli asset in tutto il mondo stanno registrando una temperatura altamente speculativa in condizioni di inflazione monetaria. Ma le temperature sono alte anche in Giappone e l'affermazione è diametralmente opposta all'enorme boom dei carry trade nei confronti dello yen durante l'ultimo ciclo — sicuramente la prova che il cosiddetto home bias può trovare terreno fertile in un ambiente con hot money.
Probabilmente molti investitori giapponesi non si rendono conto della virulenza dell'inflazione monetaria interna, data l'entità del suo camuffamento nei mercati dei beni e servizi. Due importanti fattori hanno contribuito al camuffamento: la continua integrazione del Giappone con le economie del sud-est asiatico (che fanno scendere i prezzi di molti articoli) e l'erosione della retribuzione in eccesso nella grande industria giapponese. Negli ultimi tempi i salari sono aumentati nel mercato del lavoro non regolamentato.
Una terza forza dietro il camuffamento dell'inflazione è stata il calo delle rendite residenziali, che riflettono in parte la demografia ma anche l'aumento dell'offerta (specialmente nell'area di Tokyo).
In sintesi, il ritmo naturale dei prezzi è stato così fortemente al ribasso in Giappone che persino gli strumenti non convenzionali dell'inflazione monetaria non hanno ancora svelato il camuffamento. Potrebbero farlo in qualsiasi momento ed è prematuro che la Banca del Giappone concluda che l'inflazione di beni e servizi non possa salire al 2%, o anche più in alto, in futuro.
Invece non c'è stato alcun camuffamento per l'inflazione degli asset.
In Giappone, i sintomi dell'inflazione monetaria nei mercati degli asset comprendono le ingenti operazioni a leva nel rischio di credito e nel rischio a termine, all'interno o all'esterno del Giappone. La più grande irrazionalità di tutte potrebbe essere il mantenimento di enormi portafogli di decennali giapponesi a rendimento zero; e la contropartita di questo è un modello di spesa sociale, spesa pubblica e risparmi privati sicuramente insostenibile nel lungo periodo.
La generazione giapponese ancora lontana dal pensionamento è consapevole delle strategie irrazionali perseguite dalle istituzioni a cui sono affidati i loro risparmi. C'è disagio e, in alcuni casi, repulsione, insieme a preoccupazione montante tra molti già pensionati. Questo disagio deriva dalle preoccupazioni circa l'erosione dei loro risparmi da parte dell'inflazione — e questo potrebbe far sì che l'abbandono dello standard inflazionistico al 2% sembri una buona politica per il prossimo governo.
La sfida sarà ignorare gli avvertimenti dell'establishment neo-keynesiano, secondo cui il Giappone dovrebbe prepararsi all'ennesimo episodio di forte deflazione se fosse seriamente perseguita tale soluzione. Ma questi imbecilli capiscono sempre le cose al contrario.
Sì, un abbandono dello standard inflazionistico al 2% (compresa la palese manipolazione dei tassi d'interesse con i rendimenti del decennale giapponese ora ancorati quasi allo zero) porterebbe ad un apprezzamento dello yen. E ci sarebbero forti pressioni al ribasso sui salari e sui prezzi nel settore dei beni commerciabili. Ma tali cali sarebbero una tantum, e gli aumenti futuri sarebbero incorporati in questa prima mossa. Questo meccanismo di calo dei prezzi seguito da un rimbalzo prevedibile fornisce la base ai consumatori giapponesi per anticipare consumi e investimenti in questi beni, disponibili a condizioni vantaggiose.
Uno yen apprezzato consentirebbe ai giapponesi di accumulare asset esteri, fornendo un cuscinetto contro la distruzione definitiva dell'inflazione degli asset nella sua fase finale. I tassi d'interesse positivi in Giappone metterebbero pressione al settore pubblico affinché riduca le spese inutili, allettando gli investitori internazionali ad un investimento nello yen. Questa sarebbe una buona tendenza, in quanto questo Paese sta entrando nella fase del ciclo demografico in cui i suoi risparmi potrebbero ridursi, passando all'importazione di capitali su base netta.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento