venerdì 1 giugno 2018

I macroeconomisti impareranno mai la lezione?





di Alasdair Macleod


Durante le varie crisi del credito, i banchieri centrali e gli economisti hanno creduto d'aver imparato ogni volta lezioni preziose e quindi aver raggiunto il premio finale: la soppressione dei cicli economici attraverso la politica monetaria.

Abbiamo visto, oltre alla Brexit, quanto fossero sbagliati i modelli della Banca d'Inghilterra e del Tesoro britannico, e quanto questi errori fossero evidenti anche nei modelli dell'OCSE. Coloro favorevoli alla Brexit hanno sentito odore di cospirazione, ma in assenza di prove, forse dovremmo concedere a suddette istituzioni il beneficio del dubbio e presumere che gli errori fossero genuini. Se così stanno le cose, tutta la modellizzazione economica a livello informatico è stata una perdita di tempo.

Poi c'è il vecchio mantra "spazzatura dentro, spazzatura fuori" che è certamente vero. Tuttavia il problema va più in profondità dei modelli, ed è radicato nel rifiuto della teoria economica classica. Questo rifiuto risale alla Teoria Generale di Keynes, pubblicata nel 1936, la quale costituisce la base della macroeconomia odierna. Anche se la macroeconomia ha cominciato ad evolversi durante gli anni della depressione, il libro di Keynes ne ha segnato la nascita diventando mainstream.

I fallimenti sono manifesti e molteplici. E mentre non abbiamo conoscenza del controfattuale, ci sono buone ragioni per ritenere che gli errori commessi seguendo quella teoria macroeconomica siano stati più gravi di quelli che sarebbero stati commessi se invece avessimo continuato a seguire l'economia classica. Certo, questa è una dichiarazione ampia che non ammette divergenze di opinione tra gli economisti classici del passato e quelli del dopoguerra. Ma ci sono alcune distinzioni fondamentali tra le due discipline su cui si può concordare.

Quella più fondamentale è l'approccio. Gli economisti classici hanno convenuto che la domanda sia subordinata all'offerta. In altre parole, la linea temporale dei beni e dei servizi acquisiti dall'individuo prevede che la sua domanda per essi debba essere anticipata con successo prima che possano essere prodotti e forniti. Il ragionamento è indiscutibile. Pertanto ne deve seguire che una recessione non può essere il risultato di una mancanza di domanda. È il risultato di merci prodotte in errore, indesiderate, o troppo costose per il mercato, e di come gli errori non vengano corretti dall'effettiva ridistribuzione del capitale. Questa è solo una delle conclusioni importanti di quella che è stata definita la Legge di Say, e che è stata fraintesa dall'errata definizione di Keynes: l'offerta crea la propria domanda.[1]

Questa frase di sei parole, accettata dal consenso mainstream, ha fatto più danni economici di qualsiasi altra definizione. Keynes ha aggravato il suo errore due pagine più avanti affermando che:

La Legge di Say, secondo cui il prezzo aggregato della domanda di produzione nel suo complesso è uguale al suo prezzo di offerta aggregato per tutti i volumi di produzione, equivale alla proposizione secondo cui non vi è alcun ostacolo alla piena occupazione.[2]

L'offuscamento è intenzionale, travestendo una dichiarazione per renderla sia innocua che indeterminata. Da notare come Keynes cerchi di trasformare la sua precedente affermazione inaccurata in un'equazione, e quindi collegarla alla sua ipotesi. Come tutti sappiamo, le equazioni devono essere bilanciate e l'equilibrio di questa equazione ha un ovvio elemento di dubbio. I semi del dubbio possono quindi essere fatti crescere nella mente del lettore. Non è altro che semplice prestidigitazione.

Keynes poteva anche dire che la Legge di Say equivalesse ad affermare che non vi è alcun ostacolo all'uso di capitale totalmente efficiente, ma ciò avrebbe esposto la debolezza della sua argomentazione. Dovremmo sapere che la divisione del lavoro, che è solo una parte del capitale destinato alla produzione, è un processo dinamico di successo e fallimento. Non è la rappresentazione statica descritta da Keynes. Questo non ha nulla a che fare con la confutazione di un processo molto semplice: produciamo per vendere e quindi comprare ciò che vogliamo e di cui abbiamo bisogno.

Poiché tutta la sua Teoria Generale si basa sulla confutazione della Legge di Say, e questi sono gli unici passaggi che fanno riferimento ad essa, si potrebbe pensare che i suoi lettori avessero sentito odore di bruciato. Molti, in effetti, l'hanno sentito quando venne pubblicata. Prima questo genere di cose era riservato agli eccentrici. Dopo furono i classicisti ad essere trattati come "dinosauri".

Più correttamente, l'offerta anticipa la domanda. L'importanza, e quindi lo scopo dell'errore di Keynes, diventa ovvio quando ci si rende conto che la domanda può essere temporaneamente stimolata dall'introduzione di nuova moneta nell'economia, il luogo in cui l'economia neo-keynesiana ci ha condotti.[3] È molto meno facile per gli stati stimolare la produzione e mantenere un ruolo costruttivo nell'economia, perché ciò richiederebbe un successo nel processo decisionale imprenditoriale, mentre invece l'intervento dello stato lo distrugge. Uno stato che entra in operazioni commerciali sta praticando il comunismo e sappiamo fin troppo bene che ciò non funziona.

Prima di Keynes, c'erano stati solo due tentativi degni di nota nel voler stimolare la domanda. Nel 1807 William Spence suggerì che la perdita di commercio a causa delle guerre napoleoniche poteva essere sanata incoraggiando l'aristocrazia terriera ad aumentare le spese.[4] Il tentativo successivo di promuovere lo stimolo della domanda avvenne nel 1820, con la pubblicazione del Principal of Political Economy di Thomas Malthus. Malthus sosteneva che il risparmio eccessivo riducesse la domanda e portasse ad un generale eccesso di merci invendute.

David Ricardo confutò Malthus sottolineando che il problema era la produzione di merci indesiderate o non redditizie.[5] Se, per qualsiasi motivo, gli imprenditori falliscono nei loro piani, le merci non desiderate al prezzo richiesto rimarranno invendute. Pertanto non può essere il risultato di una domanda insufficiente. La confutazione dell'approccio di Malthus è emersa nel corso del tempo, quando aveva erroneamente previsto che la produzione agricola non avrebbe tenuto il passo con la crescita della popolazione, portando a fame, guerre e tutto il resto. La logica malthusiana è coerente con l'errata convinzione che la domanda stimoli la produzione. Ignorò l'anticipazione imprenditoriale della domanda di cibo, che non solo ha soddisfatto e superato la domanda, ma ha anche liberato lavoro per l'occupazione in altri settori produttivi.

È impossibile provare se Keynes non avesse compreso gli errori di Spence e Malthus, o se stesse semplicemente perseguendo la propria agenda. Dopotutto, era soprattutto un uomo dell'establishment, un credente nello stato e nella fallibilità dei mercati liberi. La sua psiche consisteva nel disprezzare i ricchi inattivi, che in senso peggiorativo definiva redditieri, ma il cui capitale accumulato è centrale per il funzionamento dei mercati liberi.

La sua argomentazione, semplificata, è che se il libero mercato fallisce, lo stato può intervenire per sistemare le cose. Tutto ciò di cui si necessitava, era una teoria su come farlo. Fu allora che Keynes elaborò il concetto di domanda aggregata, costituito dalla somma di consumi, investimenti, spesa pubblica ed esportazioni nette. Matematicamente, e Keynes era prima di tutto un matematico, un deficit in uno degli altri fattori può essere compensato da un aumento della spesa pubblica. E, respingendo l'economia classica, ciò sarebbe stato realizzato dando un ruolo più importante al denaro rispetto a quello che aveva nella Legge di Say.

Infatti il keynesismo ha offuscato la linea di confine tra l'economia reale e il denaro. Oggi nessun economista pensa prima di tutto all'economia in termini diversi da quelli monetari. Persino i seguaci dell'economia Austriaca raramente sembrano pensarla diversamente, parlando abitualmente di crescita economica misurata dal prodotto interno lordo invece che dal progresso economico, che non può essere misurato. La ragione per la quale la distinzione è a malapena compresa è che tutti gli economisti sono innanzitutto formati dalla macroeconomia keynesiana, e se successivamente scoprono l'economia classica o Austriaca, conservano comunque un approccio che predilige il lato monetario.



Il ciclo del credito

La confutazione da parte di Ricardo della tesi secondo cui una domanda insufficiente possa causare le recessioni, identifica correttamente il problema come un fallimento nella produzione. Ma in una sua lettera a Malthus non entrò nel motivo per cui dovrebbe esserci un fallimento nella produzione tale da causare una recessione. Affermò che con un'abbondanza di capitale e un basso prezzo del lavoro, "non possono mancare alcuni impieghi che darebbero buoni profitti". Sosteneva che la produzione fosse decisamente rilevante per la domanda. Tutto questo è vero, ma si applica ugualmente alla continua evoluzione di un'economia in cui i produttori falliscono e hanno successo in modo casuale, e di per sé non è una spiegazione di un aumento generale di merci invendute.

Ci fu una forte crisi al tempo della lettera di Ricardo. La Gran Bretagna aveva finito d'essere un'economia di guerra, finanziata dall'inflazione monetaria. Nel dopoguerra lo stato annullò i contratti, lasciando che l'industria si adeguasse e si tornasse ad un gold standard pre-bellico, il che significava ridurre la quantità di denaro. La combinazione di cambiamenti nelle quantità di denaro e spese statali, intorbidì il processo casuale di fallimenti e successi della produzione e provocò un alto tasso di disoccupazione.

Successivamente, grazie alle scoperte della Scuola Austriaca, si identificarono le origini delle perturbazioni economiche: variazioni nella quantità di denaro e credito, alle quali si possono ovviamente aggiungere perturbazioni causate da cambiamenti quantitativi nella spesa pubblica. Entrambi i fattori erano presenti durante e dopo le guerre napoleoniche. Fortunatamente per la Gran Bretagna, prevalsero le idee di capi saggi e nonostante enormi difficoltà politiche e cambiamenti radicali, la Gran Bretagna riuscì a diventare una potenza economica mondiale.

Anche i politici contemporanei affrontano enormi sfide economiche, ma senza il beneficio dell'economia classica. In questo senso, il loro compito è reso ancora più difficile.



Economia supply side

I keynesiani, voltando le spalle all'economia classica, divennero gestori della domanda. I dissidenti, pur conservando la maggior parte della loro mentalità monetaria e matematica, venivano definiti "supply sider". Questi ultimi avrebbero riconosciuto l'inutilità di stimolare la domanda ed effettivamente rimanevano nel seminato della Legge di Say, questo perché avallavano la seguente sequenza di eventi: produrre qualcosa prima, venderla per soldi, quindi acquistare un altro prodotto.

Non appena viene compreso il primato della produzione, diventano evidenti i difetti di un approccio incentrato sui consumi. Questo punto oggi è particolarmente rilevante, dato che il presidente Trump sta cercando di perseguire la propria versione di un'economia supply side introducendo tagli alle tasse come mezzo per stimolare l'economia statunitense.

Il presidente Trump sembra credere che con un taglio al tax rate, l'economia sarà sufficientemente stimolata ad aumentare le entrate fiscali nel complesso, e quindi a chiudere il deficit di bilancio. Non vi è alcun tentativo di ridurre la distruzione del capitale derivante dalla tassazione e dalla spesa pubblica. Inoltre non c'è alcun tentativo di impedire alla FED di utilizzare l'espansione del denaro e del credito per manipolare la domanda. In breve, la politica economica della Casa Bianca è fortemente confusa.

L'approccio classico sarebbe quello di ritirare il più possibile l'influenza dello stato dall'economia globale e consentire alle persone ordinarie di fare le cose che esse sentono di fare. Significa permettere alle persone di essere motivate ad accumulare ricchezza personale ed a conservarla. Significa rescindere la regolamentazione statale delle attività commerciali. Significa permettere che i fallimenti facciano il loro corso. Significa ritirare il sostegno del welfare da tutti tranne i casi più critici. Significa reintrodurre la certezza del denaro sonante.

Un politico moderno è interessato solo alle prossime elezioni. Uno statista pensa alle generazioni future. Uno statista considera come porterà con sé il suo elettorato verso un futuro migliore, e avrà successo solo se riuscirà a guidarli nella giusta direzione. Ma qual è la direzione e che cos'è quel futuro?

Liberarci dalle distorsioni causate dagli errori macroeconomici sarà un compito monumentale. Significa abbandonare questi errori e rendersi conto che le persone, non gli stati, facilitano il progresso economico. Significa accettare la distruzione dell'ordine economico post-bellico, compresa, molto probabilmente, la fine delle valute emesse dallo stato nella loro attuale forma. Significa smantellare la maggior parte dell'apparato monetario, ridimensionando il ruolo delle banche centrali. Ma ciò che rende il compito quasi impossibile è il fatto che tutti quelli che hanno studiato economia e hanno una certa credibilità nella disciplina, hanno iniziato e non riescono ad abbandonare quella mentalità keynesiana.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Keynes, Teoria Generale, Capitolo 3.

[2] Ibid.

[3] Esiste naturalmente un costo per lo stimolo, ed è ignorato dai macroeconomisti. E una volta iniziato, deve continuare fino al punto in cui la valuta viene infine distrutta.

[4] L'opuscolo di Spence, che fu recensito favorevolmente da William Cobbett nel suo Registro Politico alla fine del 1807, scatenò la polemica generale sulla sovrabbondanza.

[5] Ricardo a Malthus in una lettera personale, 9 ottobre 1820.

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