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martedì 3 aprile 2018
Questa volta è diverso, ma non in senso positivo!
di David Stockman
Se non pensate che il mercato azionario sia una gigantesca polveriera pronta ad esplodere, prendete in considerazione i due sviluppi più cruciali sin dal 7 novembre 2016: titoli azionari in crescita e deficit in crescita.
In primo luogo, il 26 gennaio l'indice S&P 500 è salito del 35% al picco di 2873 e ora i robo-trader stanno tentando di ritestarlo dopo la breve correzione del 10% alla fine di febbraio.
Ma ecco il punto: il mercato pre-Trump a 2130 per l'indice S&P 500 era già trattato al 22.4X dei profitti annuali, $94.55 a partire dal quarto trimestre 2016. Coerentemente con il mini-ciclo dei profitti degli ultimi quattro anni, parallelo al ciclo delle merci/industriale/trading, i profitti annuali per il quarto trimestre 2017 sono ora di $106.84 per azione.
A Wall Street definiscono questi profitti un rimbalzo degli utili annuale del 13%, il che giustificherebbe l'aumento dei prezzi delle azioni e persino l'acquisto durante i ribassi ai livelli attuali. Al contrario, riteniamo che tutte le chiacchiere sulla crescita degli utili non siano altro che un'esca: all'amo c'è attaccato un delta annuale sulle tendenze sottostanti e il macro-contesto, e si arriva quindi ad una conclusione assolutamente fuorviante.
La verità è che gli utili dell'indice S&P 500 sono tornati al punto in cui erano 39 mesi fa, a $105.96 per il periodo annuale terminante a settembre 2014. Praticamente un profitto di $0.88 lungo tre anni di tempo, un errore di arrotondamento piuttosto che un segno di utili in ripresa.
Un'altra follia è anche il multiplo implicito annuale del 26.9X al recente picco di 2873. Questo perché l'attuale espansione commerciale durata 104 mesi è ormai finita: la media post-1950 è di soli 61 mesi e il record storico è di 119 mesi nelle circostanze molto più propizie degli anni '90.
In quel contesto ciclico, ci sono pochi dubbi su quanto fossero folli i prezzi nel mercato azionario durante gli ultimi inning del ciclo economico.
Ad esempio, nel settembre 2007 l'indice S&P 500 si attestava a 1530, dove era valutato al 19.4X degli utili annuali. A quel punto il ciclo economico aveva 70 mesi e la Grande Recessione sarebbe stata tecnicamente individuata 3 mesi dopo, nel dicembre 2007.
La follia del cosiddetto "mercato dell'ottimismo" nell'autunno del 2007, quindi, non è difficile da contestare: entro 18 mesi gli utili sarebbero crollati del 90% e l'indice S&P 500 avrebbe perso il 55% rispetto al suo picco pre-recessione.
La storia del picco delle dotcom nel marzo 2000 è ancora più significativa. All'epoca l'espansione commerciale più lunga della storia sarebbe arrivata nel mese #109 e l'indice S&P 500 era trattato al 29.4X gli utili annuali. Durante i due anni successivi gli utili calarono del 50% e l'indice S&P scese del 47%.
Inoltre c'è un'ulteriore dimensione in questa storia che è ancora più cruciale. Tornando al picco del ciclo delle dotcom nel 2000, il tasso decennale di crescita degli utili da picco a picco era stato del 9.5% all'anno, fornendo un minimo di giustificazione ai prezzi delle azioni.
Allo stesso modo, al picco del giugno 2007, il tasso di crescita degli utili a 7 anni da picco a picco era stato del 6.8%. Al contrario, il tasso decennale di crescita da picco a picco nel ciclo attuale è pari a solo il 2.3% annuo.
In altre parole siamo quasi arrivati alla stessa durata del ciclo del marzo 2000 (mese #104 rispetto a #109) e siamo anche arrivati quasi allo stesso multiplo PE (26.9X rispetto a 29.4X), ma queste valutazioni attuali ed insostenibili escono fuori da una tendenza di performance drammaticamente debole. Infatti l'attuale tasso di crescita degli utili a 10 anni, al 2.3%, è solo un quarto di quello registrato durante il boom tecnologico degli anni '90.
Quindi sarebbe giusto dire che l'effetto Trump è già bello che scaduto. Cioè, l'autoproclamato Re del Debito ora ha messo in panico Washington in una baldoria fiscale assolutamente folle, la quale si tradurrà in un 6% del PIL o un tasso di prestito più alto.
Ciò rappresenta l'esatto opposto delle condizioni relativamente benigne che prevalevano quando il mercato aveva queste valutazioni estreme esattamente 18 anni fa.
Infatti, come mostrato nel grafico qui sotto, il budget federale generò un avanzo del 2.3% del PIL nel primo trimestre del 2000 e il debito pubblico al 57% del PIL si era effettivamente ridotto considerevolmente dal 64% a metà degli anni '90.
In altre parole, Washington aveva usato il grande (ma insostenibile) boom tecnologico per dare una parvenza di ordine ai suoi conti pubblici. Al contrario, il modo più educato per caratterizzare la politica durante la cosiddetta espansione dell'era Bernanke/Yellen è che Washington si è data alla pazza gioia fiscale.
Il deficit al 10% del PIL durante la Grande Recessione ha causato un aumento del debito pubblico dal 63% del PIL nel quarto trimestre del 2007 all'83% a metà del 2009. Ma come chiarisce la linea blu nel grafico, la combinazione di un PIL tiepido e del relativo rimbalzo delle entrate e di una politica di spesa dissoluta, hanno fatto sì che il disavanzo raggiungesse un minimo del -3.0% del PIL prima di salire senza sosta.
Detto in modo diverso, rispetto ad un avanzo del 3% del PIL al picco del 2000 e ad un deficit/PIL dell'1.1% nel 2007, Washington ha continuato a riversare fiumi di inchiostro rosso durante l'intera espansione economia di nove anni – con deficit ora in crescita prima dell'inizio della prossima recessione.
Ciò che non è mostrato nel grafico qui sotto è il fatto che il deficit durante quest'anno (anno fiscale 2018) arriverà a $1,000 miliardi, al 5% del PIL, ed a $1,200 miliardi, poco meno del 6% del PIL, nell'anno a venire (anno fiscale 2019).
Il deficit ereditato per l'anno fiscale 2019 era di $700 miliardi, o del 3.5% del PIL, e rifletteva la politica permanente di deficit profondi adottata dal consenso bipartisan dopo la crisi del debito nel 2011. Questa politica sconsiderata ha fatto sì che durante l'intero ciclo di espansione economica il rapporto debito pubblico/PIL abbia continuato a salire, a differenza dei due cicli precedenti indicati di seguito, raggiungendo così il 103% del PIL.
Ma altri $300 miliardi (compresi gli interessi aggiuntivi) sono stati ora aggiunti all'inchiostro rosso annuale dai tagli fiscali asimmetrici Trump/GOP; e per di più sono arrivati altri $200 miliardi a causa della baldoria di spesa bipartisan per la difesa, gli stanziamenti interni, il controllo delle frontiere, i soccorsi in caso di calamità ed i salvataggi dei premi dell'ObamaCare che sono già stati promulgati o sono in attesa di un'azione a breve termine.
Di conseguenza il debito pubblico raggiungerà probabilmente i $22,500 miliardi, al 110% del PIL, entro la fine dell'anno fiscale 2019. Anche senza un'altra recessione per la fine dell'anno 2028, il che implica l'assurdità di 20 anni senza una recessione, il deficit decennale previsto ora ammonta a $15,000 miliardi, il quale porterebbero il debito pubblico a $35,000 miliardi, al 140% del PIL.
In questo contesto l'Eccles Building, con i suoi $3,500 miliardi di acquisti di obbligazioni dopo la crisi, ha permesso l'eruzione fiscale visualizzata nella linea arancione qui sopra e che la stessa fosse assorbita con una ricaduta minima a breve termine per Main Street e Wall Street.
Cioè, non c'è stato alcun "effetto crowding out" sulle spese delle imprese e delle famiglie, perché la FED e altre banche centrali hanno drasticamente soppresso i tassi d'interesse; e anche Wall Street ha vissuto nell'abbondanza grazie a tassi di capitalizzazione elevati (vale a dire, PE da capogiro) e all'enorme esplosione dell'ingegneria finanziaria tra i piani alti delle grandi aziende finanziata con debiti societari a basso costo.
Ahimè, la fine della strada per la Finanza delle Bolle è vicina perché la manna proveniente dalle banche centrali si è esaurita. Sulla base dei verbali della FED, non c'è dubbio che i keynesiani deliranti che occupano il FOMC rimarranno ancorati alla normalizzazione dei tassi d'interesse e alla contrazione del bilancio (QT). Sono determinati ad avere maggiore spazio di manovra quando la prossima recessione busserà alla porta dell'Eccles Building, ma non riescono a capire una cosa: le conseguenze del grafico qui sotto mostrano il vero stato dell'economia degli Stati Uniti e perché l'attuale narrativa sulla crescita economica è solo l'ennesimo falso positivo.
Ad esempio, la produzione lorda dell'economia statunitense è cresciuta solo del 2.4% all'anno dal picco pre-crisi del quarto trimestre 2007 e la produzione manifatturiera solo dello 0.84% annuo. E queste cifre sono in dollari nominali!
Ancora più importante, le ondulazioni cicliche sotto queste tendenze sono state quasi interamente una funzione del ciclo globale merci/industria/commercio. Tuttavia quest'ultimo sta di nuovo invertendo la rotta ora che l'incoronazione di Xi è completa e lo Schema Rosso di Ponzi sta tentando ancora una volta di domare il suo mostro del credito da $40,000 miliardi.
Quindi ciò che viene dopo non è una reflazione e profitti in forte espansione, come si evince dalle attuali previsioni ottimiste di Wall Street, ma uno "shock dei rendimenti". Con le altre principali banche centrali che escono dal QE, o si stanno spostando verso bordo campo, non c'è nulla che impedisca alla legge della domanda e dell'offerta di farsi strada tra i prezzi delle obbligazioni nei prossimi trimestri.
Dopotutto, solo negli Stati Uniti ci saranno $1,800 miliardi di bond da assorbire durante l'anno fiscale 2019, riflettendo $1,200 miliardi di nuove emissioni di titoli del Tesoro USA e $600 miliardi di obbligazioni esistenti che verranno scaricate dalla FED.
Come abbiamo dimostrato in precedenza, anche un decennale con un rendimento del 3.75% costerà all'indice S&P 500 circa $40 per azione in termini di imposte più elevate sui pagamenti degli interessi.
Inoltre i piani alti delle grandi aziende americane avranno una brutta giornata quando i costi dei carry trade peri tutto il debito che hanno emesso per finanziare i riacquisti di azioni e altri giochi di ingegneria finanziaria, cominceranno a ritorcersi loro contro. Non solo ciò comporterà disillusioni sul fronte guadagni, ma è anche probabile che spegnerà il motore "comprare durante i ribassi!" che si trova alla base della bolla novennale di Wall Street.
Non c'è bisogno di descrivere cosa accadrà quando il sostegno artificiale ai riacquisti di azioni proprie verrà meno. Gli sciocchi che per più di trent'anni hanno gestito GE come una macchina per riacquistare azioni proprie, sono l'esempio più eclatante.
Quindi questa volta è molto diverso rispetto all'ultima volta in cui i multipli PE di fine ciclo hanno raggiunto il picco dei 20. Nel 2000 la FED aveva un bilancio di $500 miliardi e un ampio margine di manovra per monetizzare temporaneamente il debito pubblico. E c'era anche un surplus fiscale del 2.3% del PIL, il quale ha ridotto al minimo le pressioni sulle obbligazioni statunitensi.
Non adesso, non con un bilancio della FED a $4,400 miliardi in una fase di contrazione senza precedenti e la voce del debito pubblico a $35,000 miliardi.
Una collisione monetaria/fiscale di proporzioni bibliche è all'orizzonte ed è proprio per questo che stavolta le cose stanno diversamente, ma non in senso positivo.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/
fin quando la moneta sarà relazione credito/debito il problema è irrisolvibile. ed è indifferente se il debito sia pubblico o privato perche quest ultimo passa tutto attraverso la mediazione del settore bancario, divenendo cosi anch esso un problema pubblico
RispondiEliminaCerto che non fa differenza!
EliminaHai forse sentito politici, banchieri, magistrati, giornalisti e professorini vari andare in tv a dire che bisognava smettere con l'indebitamento privato?
Tutto ciò a riprova del fatto per cui tutti noi, parafrasando Croce, "non possiamo non dirci keynesiani".
R.G.
P.S.: me escluso, ovviamente :-D