lunedì 30 aprile 2018
L'avvoltoio del debito, Parte #4
di David Stockman
Trump sembra pensare che la salita del 37% nel mercato azionario tra il giorno delle ultime elezioni e il picco del 26 gennaio riguardi esclusivamente la sua persona, e in un certo senso è vero.
Donald Trump è un illuso e lo sono anche gli scommettitori nel casinò di Wall Street. Continuano a comprare quello che i robo-trader stanno comprando, il che, a sua volta, ha funzionato bene per nove anni di seguito e quindi credono che continuerà ad andare bene.
Così facendo, gli scommettitori sono diventati decisamente spericolati. Dopotutto, il mercato era già alle stelle lo scorso gennaio, trattando al 23X i guadagni dell'indice S&P 500 e sfoggiando un margin debt da record a $554 miliardi. Tuttavia, al fine di caricare ancora di più queste azioni ultra rischiose, gli scommettitori hanno aggiunto $112 miliardi ai loro conti di margine, contribuendo così a spingere l'indice S&P ad un ridicolo 27X verso la fine dello gennaio scorso.
E qui sta il vero pericolo della Finanza delle Bolle trentennale alimentata dalla FED e dei $67,000 miliardi di debito che ha accumulato l'economia statunitense: hanno completamente distaccato Wall Street dall'economia di Main Street, il che significa che lo slancio speculativo e gli interni del casinò stanno operando senza freni; inoltre continueranno a far levitare i prezzi degli asset finanziari fino a quando qualche potente shock innescherà l'ennesimo crash simile a quelli nel 2008, 2000 e 1987.
Crediamo fermamente che uno "shock dei rendimenti" nel mercato obbligazionario sarà la causa scatenante e per un motivo evidente: le banche centrali del mondo hanno scatenato un mostro del credito – $67,000 miliardi negli Stati Uniti, $40,000 miliardi o più in Cina e $230,000 miliardi a livello globale – e sanno che devono fermare l'inesorabile monetizzazione del debito e di altri asset.
La leadership per questo compito spetta al nuovo presidente della FED, Jerome Powell, keynesiano e capitalista clientelare di lunga data. Infatti durante i 45 incontri durante i quali è stato membro della FED di Bernanke/Yellen, non ha dissentito una sola volta nei confronti delle loro tesi.
Così ora si ritrova per le mani l'epica bolla generata da quella folle stampa di denaro e drastica repressione dei tassi d'interesse, ma Powell non ha assolutamente idea della gigantesca disconnessione che ne è risultata tra Main Street e Wall Street.
Di conseguenza sembra pensare che Main Street abbia una forte economica in base alla presunta piena occupazione raggiunta, quando in realtà le cose non stanno affatto così; e crede anche in un sistema bancario riformato e regolato con prudenza al centro di Wall Street, quando in realtà pullula dei frutti di una speculazione implacabile – FANGS, ETF leveraged, parità di rischio, accordi di finanza strutturata carichi di rischi nascosti e debito, e innumerevoli altri
In altre parole, il nuovo presidente della FED ha ribadito che quello che ci aspetta è una navigazione tranquilla, suggerendo addirittura al Congresso che l'economia statunitense è benedetta da considerevoli ostacoli, tra cui le esportazioni e la politica fiscale!
La disconnessione tra l'economia di Main Street e la bolla finanziaria di Wall Street è palesemente instabile ed insostenibile. Infatti questa grave condizione, che Powell e la sua casata keynesiana non riescono a vedere, darà presto origine ad uno sconvolgente sussulto innescato dall'azione della FED.
Parliamo, ovviamente, della normalizzazione dei tassi d'interesse con quattro aumenti nel corso di quest'anno, e una campagna di dumping obbligazionario senza precedenti da $600 miliardi all'anno.
E questo è solo l'inizio: Powell sottintende che il bilancio della FED dovrebbe continuare a ridursi fino a raggiungere i $2,500 miliardi. Vale a dire, i nostri banchieri centrali keynesiani stanno fissando il dumping a $2,000 miliardi di titoli esistenti sui mercati del debito.
Inutile dire che i mutuatari di margine rappresentati nelle parti superiori del grafico qui sotto non vedranno sicuramente arrivare niente di tutto ciò, e non si rendono conto che la FED non è più loro amica.
Nella Parte 3 abbiamo praticamente documentato suddetta disconnessione: in particolare, dal picco pre-crisi di 10 anni fa nel quarto trimestre del 2007, l'indice S&P 500 è cresciuto del 58%, mentre l'economia industriale non è sostanzialmente andata da nessuna parte.
Per quanto riguarda la produzione di beni di consumo, essa è ancora in calo del 5%, mentre la produzione manifatturiera è in calo del 2%, la produzione industriale totale comprese le utenze è in aumento di appena il 2% e la produzione di attrezzature aziendali è cresciuta a meno del 3%. Anche gli utili dell'indice S&P 500 aggiustati all'inflazione sono aumentati solo dell'8% per azione.
Tuttavia, la teoria keynesiana sostiene che il settore industriale è una reliquia dell'economia di vostro nonno e che la produzione di energia, metalli, fattorie e fabbriche non è poi così importante: i servizi sono il futuro!
Tendiamo a chiederci, naturalmente, da dove dovrebbe provenire tutto il reddito per acquistare livelli crescenti di cibo, carburante, beni di consumo e beni strumentali dall'estero, se non vengono prodotti qui; e ci chiediamo anche come dovrebbero essere pagati i ranghi crescenti di lavoratori nei saloni di bellezza, negli studi di pilates e nei campi da golf, se il valore aggiunto e il reddito nel settore industriale non crescono rapidamente.
Nonostante l'aggiunta di $15,000 miliardi di nuovo debito al bilancio pubblico e privato della nazione dal quarto trimestre del 2007, che nel metodo keynesiano di calcolo economico si è aggiunto modestamente alla spesa misurata e quindi al PIL, il settore dei servizi non ha affatto retto la baracca.
Il grafico qui sotto misura tutto, l'economia industriale e il settore dei servizi incluso il governo, e racconta essenzialmente la stessa storia.
Infatti non è possibile avere una misura più completa e affidabile di quella riguardante le vendite finali reali (che rimuove le distorsioni causate dai cicli degli inventari e dall'inflazione). Eppure le vendite finali reali sono aumentate solo del 15.2% dal picco del quarto trimestre 2007. Stiamo parlando di solo lo 0.6% annuo, e quindi non possiamo parlare di "ripresa"... almeno non secondo uno standard storico.
Durante il ciclo picco/picco dell'era Reagan/Bush (dal secondo trimestre del 1981 al secondo trimestre del 1990), le vendite finali reali sono cresciute del 3.5% all'anno, e durante il ciclo degli anni '90 del 3.3% all'anno. Da allora tutti i pompaggi monetari della FED, avendo aumentato il proprio bilancio da $500 miliardi a $4,500 miliardi, non hanno spostato l'economia degli Stati Uniti di un centimetro.
Per esempio, il picco della crescita delle vendite finali reali durante il falso boom immobiliare di Greenspan è stato solo del 2.5% annuo; e durante i 10 anni dal picco del quarto trimestre 2007 è rallentato a solo l'1.4% annuo. Infatti se si butta in qualche burrone la sottostima statistica dell'inflazione da parte del governo, si ha fondamentalmente un'economia piatta per Main Street e un'economia in bolla per Wall Street.
Allo stesso modo, il mondo del lavoro racconta la stessa storia. Nel quarto trimestre del 2007, l'economia non agricola statunitense impiegava 237 miliardi di ore di lavoro secondo un tasso annualizzato. Eppure, dopo dieci anni di chiacchiere sulla piena occupazione, il dato del quarto trimestre 2017 è arrivato a 251.7 miliardi di ore di lavoro, o solo il 6.2% in più.
Proprio così. Nonostante una cornucopia di lavori a basso costo e part-time in hotel, ristoranti, parchi sportivi, negozi, agenzie di cura, case di cura, centri diurni, ecc., nell'ultima decade le ore totali di lavoro utilizzate dall'economia statunitense sono cresciute a solo lo 0.6% annuo.
Sì, come tutto il resto, le ore di lavoro totali hanno subito un grave colpo durante la Grande Recessione. Le ore totali impiegate sono diminuite di oltre il 7%, ma l'incapacità di un rimbalzo è precisamente il motivo per cui l'attuale pseudo-ripresa è molto diversa.
Durante il ciclo degli anni '80, ad esempio, le ore di lavoro calarono del 3% dal picco del secondo trimestre 1981 al minimo del quarto trimestre del 1982, ma poi rimbalzarono. Per il ciclo nel suo insieme, che si è concluso nove anni dopo nel secondo trimestre del 1990, le ore di lavoro totali salirono del 2.0% all'anno, nonostante il grande calo nel 1981-1982.
Allo stesso modo, il tasso di crescita da picco a picco delle ore lavorative totali durante il ciclo degli anni '90, il più lungo della storia, fu dell'1.8% all'anno.
In seguito, tuttavia, la creazione dei posti di lavoro nell'economia statunitense è calata drasticamente. Il tasso di crescita per entrambi i cicli dal 2000 è stato appena dello 0.6% all'anno.
Inutile dire che la crescita piatta delle ore di lavoro durante l'attuale pseudo-ripresa non è stata compensata da un'impennata nella produttività, o da una qualche sorta di arrivo anticipato dell'età dei robot. Infatti la crescita della produttività del lavoro durante il ciclo attuale è stata appena la metà di quella registrata durante le tre precedenti espansioni.
Pertanto, durante i 10 anni successivi al picco del quarto trimestre 2007, l'indice della produttività del lavoro è aumentato solo del 12%, ben lontano dalla salita del 58% dei prezzi reali delle azioni durante tal periodo.
Su base annua, stiamo parlando di un mero 1.1%. E durante i sette anni trascorsi dal quarto trimestre del 2010, dopo che l'economia post-recessione si è stabilizzata, il tasso di crescita della produttività è scivolato a solo lo 0.7% annuo.
La tendenza negli ultimi sette anni, in particolare, è semplicemente al di fuori delle classifiche storiche, il che significa che non si tratta di una vera ripresa. Ad esempio, durante il ciclo di 9 anni di Reagan/Bush, la produttività del lavoro è cresciuta all'1.7% annuo, per poi accelerare al 2.0% annuo durante il ciclo degli anni '90 e al 2.8% annuo nel periodo 2001-2007.
Infatti le cifre passate della produttività del lavoro gridano la presenza di un'enorme disconnessione nel periodo attuale. Per esempio, tra il 1953 e il 2010, la produttività del lavoro è cresciuta del 2.2% all'anno.
Più del 3X rispetto al misero aumento annuale dello 0.7% dal quarto trimestre 2010.
Il fatto che quasi ogni metrica riguardo Main Street mostri un aumento del 2-15% nell'ultimo decennio in termini reali rispetto all'aumento del 58% dei prezzi azionari aggiustati all'inflazione, non è minimamente preso in considerazione da Powell e dalla sua squadra di banchieri centrali, così come dai venditori ambulanti di Wall Street.
E questo perché in un mercato ossessionato dai prezzi delle azioni tutto è basato sui delta, cioè, la velocità di variazione del rumore statistico più recente rispetto al periodo precedente.
In questo contesto, i capi della FED affermano di avere solo un interesse passeggero per quanto riguarda i prezzi delle azioni, ma questa è una delle più grandi bugie dei tempi moderni; sono assolutamente ossessionati dalle medie azionarie e quindi si sono essenzialmente trasformati in analfabeti economici.
Nella sua presentazione a Capitol Hill, per esempio, Powell ha sottolineato la ripresa delle esportazioni come prova che l'economia statunitense ha continuato a rafforzarsi.
Davvero?
Esportazioni di beni e servizi nel quarto trimestre 2017 hanno fatto registrare un tasso annuo di $2,419 miliardi. Se si osserva il grafico qui sotto, potete vedere che questa cifra è praticamente la stessa ($2,337 miliardi) di quella registrata tre anni fa nel quarto trimestre del 2014.
Durante il fine settimana Pechino ha dichiarato Xi presidente a vita, nazionalizzato senza preavviso la massiccia pila di fusioni/acquisizioni da $300 miliardi denominata Anbang, e i dati pubblicati mostrano che i prezzi delle abitazioni nelle città di livello 1 stanno calando di anno in anno.
Non pensiamo che queste notizie significhino tempi di boom per lo Schema Rosso di Ponzi, o che il debito e la speculazione lungo la scia della "crescita globale sincronizzata" si dimostreranno all'altezza del compito. Al contrario, l'abbuffata di credito prima del diciannovesimo Congresso del Partito Comunista in Cina è finita, il che significa che Pechino intende lottare contro il suo mostro del credito da $40,000 miliardi.
Infatti tenete a mente i dazi imminenti del 10% e del 25% su alluminio e acciaio, rispettivamente, e la futura posizione delle barre rosse sul grafico qui sotto sarà fortunata se rimarrà sulla linea piatta.
Non solo la disconnessione tra Main Street e Wall Street è stata ignorata dall'Eccles Building, ma Powell e la sua banda di stampatori folli di denaro sono compiaciuti perché i loro indicatori di recessione non lampeggiano né di rosso né di arancione per quanto riguarda la maggior parte delle metriche.
E quindi?
Nel mondo della Finanza delle Bolle e dei mercati finanziari guidati dalle banche centrali, le recessioni non provocano correzioni o crash del mercato azionario. Invece sono i crolli del casinò che causano recessioni, perché innescano brutali e radicali manovre di "ristrutturazione" nei piani alti delle grandi aziende americane.
Queste offerte d'acquisto disperate per placare gli dei del trading si traducono in licenziamento di lavoratori, dismissione degli inventari, vendita di asset a reddito fisso e fallimenti di avviamenti legati ad operazioni di fusione/acquisizione. Alla fine, queste azioni di ristrutturazione aziendale portano l'economia di Main Street ad un bust.
Come sempre, il problema è il catalizzatore del crash nelle ultime fasi delle bolle finanziarie alimentate dalle banche centrali. E questa volta non è davvero difficile veder arrivare lo "shock dei rendimenti" nel mercato obbligazionario. Vale a dire, quando $1,800 miliardi di offerta – $1,200 miliardi di nuovo debito del Tesoro americano e $600 miliardi di vecchio debito scaricato dalla FED – finiranno nei mercati dei bond nel 2019, i mercati alla fine saranno costretti a ripulirsi.
Per esempio, la legge della domanda e dell'offerta non è stata abrogata, e le altre due importanti banche centrali del mondo – la BCE e la PBOC – si stanno dirigendo verso bordo campo. Di conseguenza il rendimento di compensazione sarà compreso tra il 4% e il 5% e, nel contesto storico del grafico qui sotto, le implicazioni sono evidenti.
Nella parte 5 faremo uno sforzo per sondare la carneficina finanziaria che si profila davanti a noi.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/
=> Potete leggere la Parte 1 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.it/2018/04/lavvoltoio-del-debito-parte-1.html
=> Potete leggere la Parte 2 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.it/2018/04/lavvoltoio-del-debito-parte-2.html
=> Potete leggere la Parte 3 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.it/2018/04/lavvoltoio-del-debito-parte-3.html
=> Potete leggere la Parte 5 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.it/2018/05/lavvoltoio-del-debito-parte-5.html
=> Potete leggere la Parte 6 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.it/2018/05/lavvoltoio-del-debito-parte-6-ultima.html
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L'avvoltoio non è solo l'effetto di una teoria errata. È soprattutto un sistema politicofinanziario aberrante e criminale. Una sofisticata cabala internazionale che si è infiltrata in tutto l'occidente e cerca di sottomettere tutto il pianeta.
RispondiEliminaLe banche centrali ne sono il nucleo operativo, ma c'è dell'altro sullo sfondo e non è una ideologia.
Ciao Dna.
EliminaE questi sono i risultati: A $3 Trillion Credit Market Has Corporate Bond Investors on Edge
Non si possono avere prezzi onesti nel mercato azionario mentre i pianificatori monetari centrali hanno intaccato i pilastri della prosperità capitalistica. Non c'è nemmeno bisogno della teoria, solo di una piccola dose di storia. Ad esempio, durante il precedente ciclo in cui gli utili dell'indice S&P 500 hanno raggiunto un picco di $85 per azione, l'indice era trattato intorno ai 1500 punti, implicando in tal modo un picco dei multipli degli utili al 17.5X.
Poi è arrivata la Grande Recessione e l'economia è precipitata, causando un calo degli utili per sette trimestri consecutivi, raggiungendo il fondo a circa $7 per azione nel marzo 2009. Ancora più importante, l'indice S&P è sceso del 55% e non ha recuperato il precedente picco fino al marzo 2013.
Detto in modo diverso, pagare il 17.5X nel giugno 2007 era un suicidio, per non parlare di chi è entrato nel 2007 e poi ha visto un minimo a 670 punti. Allo stesso modo, quando gli utili dell'indice S&P hanno raggiunto il picco di $54 per azione nel settembre 2000, il multiplo PE era 26.5X. Allora gli utili calarono per sei trimestri, di oltre il 50%, mentre l'indice azionario non raggiunse il fondo fino al primo trimestre del 2003.
Ironia della sorte, il picco di prezzo dell'indice a 1500 non venne ritoccato fino a giugno del 2007. Cioè, su una base da picco a picco, i soldi di chi li aveva nel mercato azionario sono risultati morti per tredici anni. E oggi la storia si ripete, con il rapporto PE al 26X gli utili.