venerdì 5 gennaio 2018
Non vedo, non sento, non parlo...
di Alasdair Macleod
I discorsi dell'anno scorso di Janet Yellen e Mario Draghi sono stati notevoli per l'omissione di qualsiasi commento sui temi più scottanti...
...la FED e la BCE a che punto del ciclo del credito (indotto da loro stesse) pensano che siano l'America e l'Eurozona, e quindi che cosa intendono fare con i tassi d'interesse? E perché ancora è opportuno che la BCE inietti i fondi monetari nelle banche dell'area dell'euro fino a €60 miliardi al mese se la grande crisi finanziaria è finita?
Invece hanno parlato dei loro temi, ovvero promuovere un'economia mondiale e dinamica. Entrambi i banchieri centrali ci hanno raccontato quanto siano stati bravi a controllare gli eventi dopo l'ultima crisi finanziaria. La Yellen si è preoccupata della regolamentazione, dicendo che le crisi finanziarie non sono più improbabili, perché le banche americane sono regolate e capitalizzate in modo adeguato.
Per inciso, una maggiore regolamentazione ostacola il dinamismo economico e conferma che la Yellen ha poca conoscenza dei mercati liberi. Mario Draghi, tuttavia, ci ha raccontato i vantaggi della regolamentazione finanziaria e della globalizzazione e come questo abbia favorito un'economia mondiale dinamica. Ma una lettura cinica tra le righe affermerebbe che i discorsi di Draghi confermano che la BCE è alla mercé di Bruxelles e delle grandi imprese e rappresenta solo i loro interessi. Ed egli non ha potuto resistere alla tentazione di dare una spallata al presidente Trump esprimendo i vantaggi del libero scambio.
Aspettate un momento, libero scambio? Draghi comprende veramente i vantaggi del libero scambio?
Questo è quanto ha detto, ma i suoi discorsi erano tutti incentrati sull'importanza di regolare tutto ciò che i cittadini dell'area Euro possono o non possono fare. È permesso il libero scambio in un ambiente regolamentato. Si tratta di una versione del libero scambio secondo le normative dell'Unione Europea, concordata con le grandi imprese europee, le quali consigliano Bruxelles e che a sua volta stabilisce i regolamenti. È una sorta di Comintern dei giorni nostri che permette di commerciare liberamente solo a condizioni stabilite dallo stato. I discorsi di Draghi stavano sostanzialmente giustificando lo status quo con il dogma del settore bancario centrale keynesiano.
La FED è inconsapevole del ciclo del credito
Torniamo al vero problema: le questioni sulla politica monetaria. Diversi banchieri centrali ne hanno parlato in passato, ma con la Yellen abbiamo un problema. Se, come afferma, la FED ha curato l'America delle crisi finanziarie, perché non ha già normalizzato i tassi d'interesse? Anche con l'indice dei prezzi al consumo pesantemente sedato dal governo degli Stati Uniti, l'inflazione ha raggiunto l'obiettivo della FED, così come i suoi numeri sulla disoccupazione altamente discutibili. I tassi d'interesse dovrebbero già essere normalizzati, il che significa che dovrebbero essere considerevolmente più alti di quelli attuali.
Come regola generale, in passato gli investitori nel mercato obbligazionario hanno aspettato un mercato normalizzato affinché riflettesse un tasso originario, il tasso reale di tutti i rischi di prestito, al due o tre per cento aggiustato all'inflazione nei prezzi per i titoli di stato a medio e lungo termine. Ciò indica un livello di rendimento del quattro per cento o più sui decennali, anche secondo le stime dell'inflazione del governo. Nel frattempo, il decennale statunitense rende solo il 2.15% e il tasso dei fondi federali è attualmente tra l'uno e l'uno e un quarto per cento. C'è qualcosa di molto sbagliato.
Correzione: tutto è sbagliato. Le statistiche sono truccate, quindi non si possono giudicare i tassi d'interesse facendovi riferimento. Ma il peggio è qualcosa che oggi è indiscutibile, e cioè i tassi d'interesse sono una funzione dei mercati, non delle banche centrali. Non possono sapere a quanto debbano ammontare i tassi normalizzati.
Ecco perché abbiamo un ciclo del credito. Le banche centrali errano sempre quando manomettono i tassi d'interesse, in parte a causa della lunga antipatia morale nei confronti dei tassi d'interesse elevati e in parte per la loro teologia keynesiana. Nel corso del tempo, la soppressione dei tassi d'interesse ci ha fatti finire in una trappola globale del debito, arrivato ben oltre i $200,000 miliardi. Stiamo parlando di circa tre volte il PIL mondiale.
Tassi d'interesse normalizzati avrebbero scardinato la trappola del debito. L'intero sistema finanziario occidentale sarebbe minacciato da una combinazione di default e crolli dei valori patrimoniali, partendo dal punto debole del sistema finanziario globale. Con il debito di oggi, ci vorrà un aumento nominale dei tassi d'interesse di solo uno o due per cento per innescare la crisi che la Yellen crede non accadrà mai più. Si tratta di un ciclo del credito endemico al sistema monetario a riserva frazionaria e all'intervento monetario della banca centrale. E quando la crisi arriverà, per l'ennesima volta, le banche centrali inonderanno il sistema con quantità sempre maggiori di denaro.
Le politiche di denaro e credito facili distruggono il calcolo economico. L'accumulo di errori economici conduce sempre ad una crisi. Quando succede, la crisi è improvvisa e inaspettata agli occhi della comunità bancaria. La fase di crisi del ciclo del credito è attualmente soffocata dalle banche centrali, che accorrono al salvataggio con soldi fiat illimitati per compensare il credito bancario. Pensano che fermando la riallocazione del capitale lontano da investimenti errati, stiano salvando il mondo. No invece: tutto quello che fanno sta rendendo l'economia meno efficiente, gravandola di ulteriori debiti per il prossimo ciclo del credito. Ecco quindi spiegata la lentezza delle economie occidentali, le quali hanno progressivamente perso la spinta produttiva. Queste sono le politiche monetarie che sono diventate un ostacolo crescente... altro che "promuovere un'economia mondiale dinamica".
Tuttavia c'è un modo per valutare dove siamo nel ciclo del credito. Il Paradosso di Gibson, impossibile da risolvere per i keynesiani, ha dimostrato che in un'economia libera è la domanda di risparmio da parte degli imprenditori che imposta il tasso marginale a cui i risparmiatori sono disposti a rinviare la loro spesa corrente. Non è, come disse Keynes, l'avido padrone che impone un costo inutile sull'imprenditore. Invece di essere impostato dal risparmiatore, il livello dei tassi d'interesse è correlato alla cosa che gli imprenditori conoscono meglio: il prezzo a cui possono aspettarsi di vendere la loro produzione.
La cosa importante qui è il luogo in cui si trova la correlazione, non nel tasso d'inflazione, che è quello che le banche centrali presumono d'impostare con la politica dei tassi d'interesse. Pertanto la cifra dell'interesse che un imprenditore è disposto a pagare è determinata dalla differenza tra gli altri costi dei fattori di produzione e il valore all'ingrosso anticipato del prodotto. Se il differenziale si allarga, un imprenditore che investe può permettersi di affrontare tassi d'interesse alti. Se il differenziale si contrae, il prestito a tassi più elevati diventa impraticabile. La correlazione tra prezzi all'ingrosso e tassi di prestito è sensata per questa ragione.
Pertanto dobbiamo prestare attenzione al rendimento di un determinato bond sovrano, come indicatore del tasso di prestito originario in valuta fiat. Se prendiamo il decennale statunitense come indicatore del tasso di prestito, il monitoraggio del rendimento dovrebbe indicare il cambiamento nel livello della domanda di prestiti da parte dell'economia più ampia, ovvero, le piccole e medie imprese che costituiscono l'80% delle attività non finanziarie, secondo il Paradosso di Gibson. Dovrebbe darci un preavviso in caso di ampliamento della domanda per il credito bancario.
Naturalmente questo tasso è distorto dalla soppressione del tasso d'interesse e dalla domanda di prestiti da parte del settore finanziario stesso, quindi non possiamo prenderlo come tasso d'interesse di riferimento. Il rendimento innanzitutto è salito all'1.5% nel 2012, data che probabilmente sancisce la fase finale della crisi e l'inizio della fase di ripresa nel ciclo del credito corrente, ora nel suo sesto anno. Ciò è stato seguito da un aumento del rendimento al 3%, quando è salito l'appetito per il riacquisto di azioni proprie e per la speculazione finanziaria a Wall Street.
Poi ha testato nuovamente quel minimo a luglio 2016, poiché questi fattori sono diminuiti. Più di recente è salito fortemente per arrivare ad un massimo del 2.5% lo scorso dicembre, da cui è diminuito costantemente al livello attuale del 2.15%.
È certamente un parametro impreciso, ma se proprio ci sta dicendo qualcosa è che le imprese americane stanno bloccando la loro domanda di prestiti. Ciò potrebbe riflettersi in un aumento dei prezzi delle materie prime; anche se abbiamo un'economia incentrata sui servizi, a questo effetto non dovrebbe essere data un'indebita ponderazione. Ma su una base di flussi di fondi, possiamo dire che l'economia statunitense sia ancora ai primordi di una fase di ripresa in termini di domanda commerciale per il credito. La morbidezza della domanda di credito sin dal dicembre scorso è probabilmente ciò che convince la FED a mantenere il livello attuale dei tassi d'interesse, con una modesta tendenza al rialzo nel corso del tempo.
Sappiamo comunque che, sebbene i tassi d'interesse rimangano fortemente soppressi, consentono il finanziamento di proposte commerciali che altrimenti non sarebbero giustificate dal punto di vista economico. Progetti a lungo termine sembrano diventare possibili, mentre diventeranno non economici quando i tassi si normalizzeranno. Più a lungo si procede lungo questa strada, maggiore sarà l'accumulo di distorsioni durante la fase di ripresa che dovrà essere pulito durante la prossima crisi.
Per riassumere, la domanda di credito da parte delle imprese non finanziarie non è ancora in espansione ad un ritmo accelerato, le distorsioni causate dai tassi d'interesse soppressi si stanno accumulando, e la FED sembra ignara dei pericoli che emergeranno durante la prossima crisi finanziaria.
La zona Euro sta attraversando profondi problemi monetari
Gli Stati Uniti sono un'economia geograficamente isolata dal resto del mondo, ad eccezione dei suoi vicini. E anche il NAFTA, l'accordo commerciale che li unisce al resto del mondo, è minacciato dall'amministrazione del presidente Trump. L'Europa è molto diversa, con un'economia dinamica stimolata da enormi investimenti cinesi, offrendo nuove opportunità di business. Lo sviluppo della strada della seta cinese ha già avuto un impatto notevole, con il trasporto ferroviario in rapida espansione in entrambe le direzioni. Certamente esso va a sostituire i trasporti marittimi o aerei, ma in generale c'è ancora un aumento sostanziale del trasporto delle merci.
I produttori europei stanno capendo questo potenziale. Una nuova Mercedes può essere spedita da Stoccarda a Pechino in poco più di due settimane. Allo stesso modo, Zanussi è in grado di trasportare i prodotti bianchi dalle sue fabbriche cinesi ai suoi distributori europei tramite ferrovia, risparmiando tempo e denaro rispetto all'utilizzo di percorsi marittimi. Non vanno sottovalutati i vantaggi di questo commercio, anche con le tariffe protezionistiche dell'UE. Inoltre si sta espandendo rapidamente grazie anche alla politica monetaria allentata.
L'economia tedesca è cresciuta costantemente per un po' di tempo e ora ci sono segni che l'espansione del credito stia accelerando la crescita delle importazioni della Germania ad un ritmo più rapido della crescita delle sue esportazioni. L'espansione interna del credito che finisce nelle importazioni dice ai banchieri centrali che la politica monetaria è troppo allentata, in particolare per un'economia tradizionalmente guidata dai risparmi. La Bundesbank, se fosse al comando, avrebbe già aumentato i tassi d'interesse per frenare la domanda di credito.
Cercando di imporre una politica monetaria idonea ad un'economia dinamica come quella tedesca, mentre i Paesi del Mediterraneo sono ancora in stallo, è certo un problema enorme per la BCE. Non c'è modo che un cerchio possa essere un quadrato. Inoltre la BCE sta distorcendo talmente tanto i rendimenti obbligazionari che il segnale offerto dai flussi monetari tra la proprietà bancaria del debito pubblico e il prestito ad entità non finanziarie diventa impossibile da rilevare, tranne che dopo l'uscita delle statistiche.
Ma in generale ci sono segni che il settore non finanziario della zona Euro stia attingendo a maggiori crediti. E a differenza dell'economia statunitense, l'Eurozona è un beneficiario crescente dell'espansione trans-asiatica cinese. Tuttavia la BCE sta ancora emettendo denaro al ritmo di €60 miliardi al mese, con tassi di deposito al -0.4% per i depositi bancari e un tasso di base dello 0%.
Draghi ha affermato che la zona Euro non è in una fase così avanzata nel ciclo economico come gli Stati Uniti. È decisamente fuori strada in questa valutazione. L'UE non solo è nella fase di ripresa del ciclo del credito alimentato dalla BCE, ma ha anche il continente asiatico in rapida espansione. Molto presto la BCE dovrà pigiare i freni monetari.
La BCE probabilmente s'illude che il processo possa essere gestito. Non solo ha torto, ma l'euro è già aumentato del 14% rispetto al dollaro quest'anno. L'improvviso aumento dei tassi d'interesse e la salita dell'euro rappresenteranno notevoli ostacoli per gli esportatori europei ed i vari stati. L'effetto sui prezzi delle obbligazioni dell'Eurozona rischia di destabilizzare le banche dell'area Euro, le quali non sono altrettanto capitalizzate come le controparti americane.
La sorpresa che la BCE ignora rispecchia lo stupore di tutte le banche centrali alla bomba della grande crisi finanziaria nove anni fa. È probabile che non avremmo un vero e proprio proprio boom di credito prima della prossima crisi, quindi la consapevolezza che la politica monetaria sarà inefficace coglierà tutti di sorpresa. In base alla nostra analisi, l'America non può avere un boom di credito, perché è esclusa dall'azione in Asia e ha una tendenza allarmante verso il protezionismo. Invece il dollaro è probabile che sprofondi più in basso e richieda che i tassi d'interesse siano aumentati di più per ridurre gli effetti dell'inflazione dei prezzi.
La prossima crisi del credito può essere peggiore di quanto pensate
Tutto ciò è lontano anni luce dalle sciocchezze proferite dai banchieri centrali. Il silenzio sulla politica monetaria è assordante, data la crisi creditizia incombente, che in questo ciclo del credito sembra iniziare in Europa. La Yellen, convinta che la FED abbia sconfitto le crisi finanziarie, si ritroverà per le mani una crisi più grande di quella di nove anni fa.
Sarà più grande perché il lavoro dell'ultima crisi è rimasto incompiuto, la quale ci ha lasciati con capitali allocati malamente in imprese fallite e vicine al fallimento, cosa dimostrata dall'accumulo costante dei livelli del debito nel settore privato. Basta guardare la situazione finanziaria dei membri del Club Med. I semi della prossima crisi non si trovano solo nell'allocazione errata del capitale in questa fase di ripresa del ciclo del credito, ma anche durante quelle precedenti e quelle precedenti ancora. Nel rinviare le crisi del credito, si è sviluppato un super-ciclo di boom/bust, che richiede maggiori quantità di nuovi soldi fiat per essere sostenuto, una soluzione che alla fine fallirà.
No, cari Yellen e Draghi, i vostri tentativi di domare ciò che comprendete erroneamente come ciclo economico falliranno. Non riuscite a comprendere che le vostre politiche monetarie sono la causa, non la soluzione. Il vostro gioco delle tre scimmie è ormai scaduto.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Sono solo gli esecutori materiali di mandanti occulti. Non infallibili, ma potenti ed occulti.
RispondiEliminaCmq sia, il Novecento si sta davvero chiudendo. Dove prima e dove dopo.
Stiamo passando dal ciclo del credito a quello del "credici".
RispondiEliminaR.G.
Se proviamo per un momento ad escludere gli interessi occulti, ne viene fuori quella che è la quotidianità in tante realtà industriali : i manager che non sanno nemmeno dove sia la "produzione". Non conoscono nemmeno dove sia la porta.
RispondiEliminaMoltissimi dei politici, amministratori e burocrati non si rendono conto di come funziona realmente il mondo, pertanto non hanno la minima idea di cosa scaturisce dalle loro decisioni.