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venerdì 29 settembre 2017
Spesa pubblica, occupazione ed interventismo centrale
di Francesco Simoncelli
Per tutta l'estate siamo stati sommersi di notizie riguardanti l'Italia e di come fosse diventata il cosiddetto fanalino di coda nella presunta ripresa economica. Inutile dire come gli interrogativi sulla questione siano molti, per non parlare della fiducia vomitata nei media maisntream da parte delle cariche pubbliche. Un miasma cacofonico di formule comunicative trite e ritrite destinate solamente ad apparire come una falsa magnanimità, poiché essa cela la rapacità di un fisco bieco, vorace e assassino. Gli imprenditori che si sono tolti la vita sin dall'inizio della Grande Recessione non trovano giustizia sulle prime pagine dei giornali, ma solo qualche trafiletto all'interno di organi di stampa utili solamente, ormai, ad incartare il pesce. La facilità con cui ci si è dimenticati di loro è alquanto disarmante.
In mezzo a questo caos la vera ragione dell'impossibile emersione dell'Italia come nazione in grado di liberarsi dalle pastoie burocratiche del passato. Ma procediamo con ordine. Innanzitutto appuriamo come il "nostro" ministro delle finanze abiti in un mondo in cui Keynes oltre ad essere stato adotto, è stato addirittura superato in immaginazione. La spesa pubblica non solo permette allo stato di ingabbiare gli spiriti animali, ma nel riuscirci compensa anche ciò che toglie al settore privato. Quanta positività, nonché amore per il benessere degli individui. Una istituzione che sforna in modo selettivo e chirurgico quel tipo di mansione adatta ad ogni singolo individuo... tanto valeva sfruttare le idee di Matt Groening quando ha elaborato il chip della carriera in Futurama.
Ma i keynesiani, soprattutto quelli che hanno portato le teorie svitate dell'economista inglese bel oltre l'iperspazio, hanno sempre avuto una fervida immaginazione. Un esempio recente è la probabile emissione di un bond centennale da parte dell'Austria. Un mondo senza fine, dove i tassi d'interessa calano sempre senza inficiare l'allocazione del capitale e il debito aumenta senza mai causare distorsioni economiche. Torniamo quindi alla realtà, spiegando ai lettori come mai il caos generato dallo stimolo fiscale non farà altro che aumentare.
Bisogna innanzitutto precisare che lo stato non rappresenta un'impresa al pari di quelle private. È incapace di operare un calcolo economico in accordo con le forze di mercato, quindi è costretto a prelevare coattamente le risorse di cui ha bisogno per i suoi progetti ed investimenti direttamente dalle tasche degli attori economici, costringendoli a modificare le loro priorità (ma non a cambiarli). Questo significa che la rinuncia da parte degli attori economici ai loro desideri, li forza a riconsiderare le loro preferenze e a risparmiare per raggiungere quell'obiettivo prefissato in precedenza. Il bisogno di risorse da parte dello stato s'è inserito coercitivamente tra i loro bisogni, andando a ricoprire uno spazio prioritario che non avrebbe mai ricoperto in un ambiente di mercato non ostacolato.
In questo modo, una volta soddisfatta la richiesta dello stato, gli attori di mercato risparmieranno risorse per raggiungere i loro obiettivi. Più lo stato spende, più deve incamerare, più gli individui devono posticipare la realizzazione dei loro obiettivi. La mancata realizzazione, quindi, va ad inficiare con prepotenza la creazione di ricchezza reale all'interno dell'ambiente economico. Questo perché lo stato, in quanto istituzione che spende principalmente, spreca ricchezza e risorse reali prelevate dal duro lavoro altrui.
È inutile che il mondo accademico inventi formule matematiche o stenda una patina di legittimità riguardo i presunti vantaggi della spesa pubblica come misura anti-ciclica per contrastare le crisi economiche. Ciò non aumenta la produttività dell'ambiente economico, fornire incentivi a pioggia senza alla cui base ci sia un ragionamento economico ponderato dal calcolo economico, significa finanziare progetti che andranno a soffocare quelle attività economiche che avrebbero creato ricchezza reale se avessero potuto aver accesso al bacino dei risparmi reali. In questo modo sono destinate ad avvizzire sotto il cocente calore della deviazione di risparmi reali operata attraverso le tasse. La spesa pubblica amplifica questa distruzione, erigendo una gigantesca costruzione in cui abitano clientelismo, privilegi e favoritismi a scapito del resto dell'ambiente economico.
L'apparato statale è diventato ostaggio di questa struttura, non potendo fare a meno di alimentare una macchina affamata di voti e favori. Questo circolo vizioso rappresenterà l'epitaffio sulla tomba del sistema statale. Pensateci: il carico fiscale medio sul lavoratore europeo è di circa il 44.9%, questo significa che un lavoratore deve lavorare per 182 giorni solo per lo stato; la facilità di fare impresa è inferiore a quella delle altre principali economie del mondo, insieme alla libertà economica in generale; la burocrazia è asfissiante, con l'UE che approva ogni anno 80 direttive, 1,200 normative e 700 regolamentazioni; il rapporto debito/PIL dell'Eurozona è arrivato al 90%, mentre le stime irrealistiche delle entrate e della crescita economica faticano a stare al passo con le spese. Per impedire che i lettori sfogassero la rabbia sul dispositivo su cui stanno leggendo questo articolo, ho preso come riferimento l'Europa nel suo complesso e non l'Italia singolarmente.
Questo per dire che suddetto circolo vizioso sta spaccando, pezzo dopo pezzo, quel sistema clientelare che era stato costruito attraverso una deviazione crescente di ricchezza reale dal tessuto produttivo. Come i lettori di questo spazio virtuale sanno, le idee hanno conseguenze; più precisamente, le azioni hanno conseguenze. Lo stato ha un enorme bisogno di far ricorso alla spesa pubblica per sostenere il sistema clientelare che ha costruito, ma così facendo, nel contempo, erode progressivamente il bacino della ricchezza reale da cui attinge. Il famigerato moltiplicatore keynesiano viene in aiuto a questo modo di pensare, dando legittimità ad una pratica fraudolenta. Secondo la teoria, il multiplo di cui aumenta la spesa pubblica, rappresenterà il potenziale multiplo incarnante la crescita economica.
Ma il problema è quello che abbiamo già esposto: come fa un drappello ristretto di persone a sapere cosa vogliono una marea di persone? Non possono. Ciò spingerà i produttori a fornire beni e servizi per cui ci sarà una bassa priorità tra i consumatori, creando aziende zombie in grado di sopravvivere solo grazie alle elargizioni statali. Il consumatore non è più il re, ma gruppi ammanicati in grado di spostare la ridistribuzione della ricchezza.
OCCUPAZIONE
Un altro campo in cui le fantasie keynesiane giustificano l'intervento statale è il mondo dell'occupazione. In questo campo esiste il cosiddetto NAIRU, una correlazione statistica tra le variazione nell'indice dei prezzi al consumo e il tasso di disoccupazione. Quindi secondo questo modo di pensare, quanto più un individuo guadagna, essendo occupato, tanto più spenderà e farà aumentare l'indice dei prezzi al consumo. Inutile sottolineare l'assurdità di questa tesi, visto che una teoria deve svilupparsi dall'osservazione del mondo esterno e di conseguenza essere pertinente coi fatti osservati.
Nel nostro caso una ripresa economica non si distingue quando l'indice dei prezzi al consumo inizia a salire, perché questo caso emerge quando la produzione non riesce a stare al passo con lo stock di denaro all'interno dell'ambiente economico. Ovvero, quando le spese superano l'ammontare di beni disponibili per l'acquisto e questo accade quando la banca centrale s'intromette negli affari degli attori di mercato cercando di regolarli attraverso la politica monetaria. È l'iniezione di denaro fiat ex novo a far aumentare i prezzi, poiché esso non è coperto da produzione reale; se, al contrario, lo stock di denaro rimane invariato e gli attori di mercato spendono i ricavi del loro lavoro, aumenteranno i prezzi di alcuni beni mentre altri diminuiranno.
Con la creazione di denaro fiat dal nulla, invece, man mano che il nuovo denaro invade i vari settori dell'economia nel suo complesso, i prezzi salgono in generale. È questa salita generale dei prezzi che danneggia gli attori di mercato, non la salita dei prezzi in quanto tale; è l'intervento centrale che distorce i segnali di mercato a rappresentare una minaccia per l'allocazione della ricchezza reale all'interno dell'ambiente economico. In questo modo viene a mancare un parametro importante e gli attori di mercato è come se venissero resi ciechi. Lo spreco delle risorse economiche scarse indebolisce la loro produzione e non sapendo più come rispondere alle variazioni di mercato, trovano "sicuro" affidarsi alle correlazioni statistiche partorite dai pianificatori centrali per cavalcare la loro onda.
Diventa naturale, quindi, delegare i loro compiti alle autorità centrali. Una di queste, ad esempio, è la cosiddetta "creazione di occupazione". Inutile sottolineare come l'elemento motore della crescita economica sia un bacino dei risparmi reali sano e non la volontà di correggere il tasso di disoccupazione. In un ambiente di mercato non ostacolato la disoccupazione è sempre volontaria. Infatti se la disoccupazione fosse il motore trainante una ripresa economica, basterebbe semplicemente creare qualsiasi tipo di lavoro per vivere in un mondo in cui non esisterebbe crisi economica. Le guerre sono un esempio fin troppo calzante e, senza nemmeno le prove empiriche, si capiva come portassero solamente distruzione e morte.
In un mercato del lavoro scevro da manipolazioni centrali, ogni individuo sarebbe capace di trovare il lavoro che più si adatta alle proprie capacità, e il suo salario sarebbe ponderato di conseguenza. Infatti se le sue richieste incarnassero un salario fuori mercato e non fosse disposto a spostarsi, rimarrebbe disoccupato. Nel corso del tempo un mercato del lavoro libero si muoverebbe verso una situazione quanto più ottimale, poiché sarebbe le scelte degli individui a contare e, soprattutto, il loro contributo al bacino della ricchezza reale. Ma ciò che interessa più ai lavoratori non è tanto il fatto di essere occupati o meno, quanto invece il potere d'acquisto alla base del loro salario. In fin dei conti il lavoro serve proprio a questo: sostenere il proprio benessere e la propria vita.
Migliore saranno le infrastrutture entro le quali operano, maggiore sarà il loro contributo alla produzione finale, superiore diventerà il loro salario. Di conseguenza qualsiasi manipolazione arbitraria di suddetto bacino, attraverso politiche di ridistribuzione della ricchezza, devia risorse economiche scarse indebolendo le infrastrutture e diffondendo impoverimento economico generale (mascherato da benessere temporaneo per una ristretta porzione dell'ambiente economico). Non è un caso, quindi, se, in Italia nel caso specifico, l'ultimo atto manipolatorio del mercato del lavoro sia stato un insuccesso.
Il governo italiano, cercando di abbassare contemporaneamente il tasso di disoccupazione giovanile e il tasso di disoccupazione generale, ha pensato bene di imbastire due politiche interventiste. Da un lato ha concesso sgravi annuali alle aziende per prendere in prova giovani tirocinanti; dall'altro ha concesso sgravi triennali alle aziende che avrebbero assunto lavoratori esperti. In un ambiente economico pingue di errori economici necessitanti correzione, le aziende hanno tirato dentro i giovani tirocinanti come manodopera "gratuita" senza obbligo di assunzione e hanno usufruito di sconti sulla manodopera esperta senza il vincolo dell'articolo 18. Una partita di giro solo per spostare nel tempo il problema, senza risolverlo alla radice. Perché? Perché lo stesso approccio è stato adottato con la correzione degli errori economici del passato. Solo che ora chiedono pegno di tutto questo rimandare nel tempo.
TRASFIGURAZIONE ECONOMICA
Inutile sottolineare come ci siano le banche centrali dietro l'incacrenimento dell'economia nel suo complesso. Il loro voler guadagnare tempo per permettere agli stati di aggirare i problemi strutturali che gravano sulle loro teste da decenni, rappresenta la cieca fede nel cosiddetto effetto ricchezza a cascata. Essendo questo un effetto temporaneo, nel corso del tempo si è affievolito sempre di più man mano che il bacino della ricchezza reale è stato sempre più assottigliato. Ciononostante le banche centrali continuano spingere lungo questa strada, ignare del fatto che l'approccio "monetizzazione del debito" è ormai obsoleto a causa della Legge dei rendimenti Decrescenti.
Tale legge è apodittica e quindi si riflette sulla realtà in modo spietato, mentre le banche centrali cercano in tutti i modi di contrastare la realtà stessa. Infatti stanno comprando congiuntamente circa $200 miliardi di asset al mese in assenza di crisi; la FED possiede circa il 14% del PIL in debito sovrano USA; il bilancio della BCE è il 35% del PIL dell'Eurozona, oltre a possedere il 9% dei titoli obbligazionari societari europei e il 10% del debito sovrano dei principali Paesi europei; il bilancio della BOJ è circa il 70% del PIL giapponese, senza contare che è tra i 10 azionisti che detengono il 90% del Nikkei oltre a possedere il 60% del mercato degli ETF giapponesi; la BOE possiede circa il 30% del mercato obbligazionario sovrano inglese.
E non dimentichiamoci della BNS che ha fatto grande incetta di azioni statunitensi, la maggior parte delle quali AAPL. Se questa non è una nazionalizzazione a tutti gli effetti dei mercati secondari, poco ci manca. In questo modo si ingigantiscono gli squilibri, incentivando l'indebitamento e gli investimenti improduttivi. Infatti gli stati emettono grosse quantità di debiti e le politiche monetarie allentate promuovono la sovraccapacità e un'allocazione errata del capitale; la produttività cala, i salari reali calano e il potere d'acquisto della valuta di riferimento cala.
C'è un fatto cruciale da comprendere: le azioni dei pianificatori centrali hanno lo scopo di prendere in prestito dal futuro. I titoli di stato sono un fardello che ricade sulle generazioni future perché ciò che viene promesso al sottoscrittore è una fetta maggiore delle entrate future, ovvero, le tasse. Invece coloro che entrano per primi in possesso del denaro creato ex novo, hanno accesso privilegiato alla produzione senza che vi abbiano dapprima contribuito, ovvero, una sorta di prestito. Chi paga, ovviamente, è il contribuente, tutti coloro che non partecipano alla spartizione della refurtiva fiscale e gli ultimi ricevitori del denaro creato ex novo.
Coloro che creano ricchezza sono sottoposti ad un costante effetto di crowding out, mentre i pianificatori monetari centrali nazionalizzano de facto l'economia ponendo l'onere di ripagare gli squilibri partoriti dalle loro politiche sui portafogli delle generazioni future. Lo specchietto per le allodole è rappresentato dai mercati obbligazionari ed azionari, i quali, si dice, sono il riflesso di un'economia in rafforzamento. Poi quando le azioni delle banche centrali smettono di sortire un qualsiasi effetto ed il valore di quegli asset gonfiati cala inesorabilmente, si darà la colpa tutta una serie di spauracchi solo per richiedere una dose maggiore d'interventismo.
FINIRÀ MALE PER CHI SI FARÀ TROVARE IMPREPARATO
Fortunatamente non tutti si lasciano attirare nella trappola dei pianificatori monetari centrali. La lungimiranza degli attori di mercato è superiore all'inettitudine e alla furbizia truffaldina dei banchieri centrali. Un esempio di ciò ci viene offerto dal Venezuela, dove i cittadini per sfuggire all'inflazione dei prezzi galoppante stanno riversandosi in massa nel mercato delle criptovalute. All'inizio del 2014 ci volevano circa 6 bolivar per arrivare ad un dollaro; oggi ce ne servono 16,000. Non pensate che questo possa essere un esempio molto estremo, perché è ciò che le principali banche centrali occidentali hanno finito per creare con le loro politiche monetarie non convenzionali. E se volete anche "prove" provenienti dai media mainstream, eccovi serviti.
Una delle soluzioni a questo problema è ormai nota ai lettori di questo spazio virtuale: criptovlaute. La migliore da cui partire è chiaramente il bitcoin. Diversamente dalle valute fiat non è controllata da alcuna entità centrale ed ha un'offerta limitata. Il vecchio mondo piano piano sta realizzando questa realtà e man mano che accadrà si interesserà di questa nuova tecnologia.
E nonostante il vecchio mondo si angusti nel denigrarlo, in realtà si prepara ad entrarvi furtivamente e al miglior prezzo possibile. Stanno semplicemente prendendo tempo per trovare il modo di non finire nella pattumiera della storia.
...ormai l'oro dimenticato pure da Simoncelli....neanche piú ne fa menzione....solo le cripto.....��
RispondiEliminaNo. Questo sito è un antidepressivo.
EliminaTi guardi intorno e vedi il sistema politico finanziario che prospera alle tue spalle e sulla tua schiena. E ti deprimi.
Poi sali un po' più in alto per guardare e vedi che il sistema è decrepito ed imbellettato dai suoi media e scopri che vicino a te ci sono tante piccole soluzioni/opportunità che puoi cogliere, se vuoi.
Salve Claudio.
EliminaSebbene io mi stia dedicando di più alle criptovalute, non dimentico il metallo giallo. Si prenda come riferimento questo grafico. La formazione a tazza d'inizio 2016 è indicativa di un inizio di bull market (se per caso anche lei segue il mercato delle criptovalute, l'attuale pattern seguito dall'oro è praticamente lo stesso di $LUN iniziato a fine luglio di quest'anno). La trendline sin da allora è ancora attiva e nelle prossime due/tre settimane dovrebbe essere toccata (~$1,250) facendo rimbalzare il prezzo. Secondo me per fine anno si superano i $1,400, per poi vedere un retest di suddetta resistenza. Da lì in poi sarà una cavalcata verso i $2,000 superando il precedente picco.