mercoledì 27 settembre 2017
Perché l'euro è ancora più forte del dollaro?
di Daniel Lacalle
Lo scopo primario delle cosiddette "politiche non convenzionali" è quello di svalutare la valuta, stimolare l'inflazione e rendere più competitive le esportazioni. Stampare denaro mira a risolvere squilibri di bilancio rendendo una valuta più debole.
In questa guerra tra valute globale, le banche centrali stanno "stampando" più di $200 miliardi al mese nonostante la crisi finanziaria sia passata da un bel pezzo.
Le guerre tra valute sono un tipo di guerra finanziaria in cui tutti giurano di non voler combattere, ma nel contempo tutti lo fanno in segreto. Lo scopo è quello di promuovere il settore dell'export a spese di quelli dei propri concorrenti esteri.
La realtà ci mostra che la guerra tra valute non funziona, poiché le importazioni diventano più esose e le economie che rimangono aperte diventano più competitive attraverso migliorie tecnologiche. Ma alle banche centrali piace svalutare la propria valuta, in questo modo evitano ai governi di dover implementare riforme strutturali e creano un trasferimento di ricchezza dai risparmiatori ai debitori.
L'euro sale
Quindi come si sentono i burocrati presso la Banca Centrale Europea (BCE) quando vedono che l'euro sale rispetto al dollaro statunitense e alle altre principali valute del mondo, nonostante le chiacchiere su un maggiore espansionismo monetario? La BCE continuerà a comprare €60 miliardi in obbligazioni sovrane al mese, manterrà in vigore la sua politica di tassi a zero e di "stimolo" fino a quando l'inflazione e la crescita del PIL non saranno stabili.
Contrariamente ai desideri della BCE, un euro forte trova giustificazioni per diverse ragioni. In primo luogo, l'eccedenza nella bilancia dei pagamenti dell'Unione Europea è ai massimi storici e il 75% del commercio europeo avviene trai Paesi dell'Eurozona stessa. Maggiori esportazioni e la continua ripresa della domanda interna tra i Paesi europei rafforzano l'euro.
In terzo luogo c'è la percezione che il governo USA si stia indebolendo, per non parlare della sua incapacità di implementare riforme essenziali. Tutto ciò ha indebolito il dollaro e per definizione ha rafforzato le valute dei due principali partner commerciali, l'euro e lo yen. Il secondo importante fattore è il rally dopo le elezioni olandesi e francesi. I timori per una rottura della zona Euro sono stati scongiurati, o perlomeno posticipati, poiché hanno vinto partiti pro-Europa.
I problemi con un euro forte
Tuttavia un euro forte ha severe implicazioni per l'economia europea e la politica della BCE.
Un euro forte mette a rischio le esportazioni verso i suoi principali partner commerciali: Stati Uniti (20.8% delle esportazioni nel 2016) e Cina (9.7%). Nonostante la politica monetaria estrema della BCE ed un euro trattato quasi alla parità col dollaro, le esportazioni verso Paesi extra UE sono andate in stallo sin dal 2013. Le stime della crescita del PIL per il 2018 stanno calando a causa di uno scarso contributo delle esportazioni nette.
La valuta ha anche un grosso impatto sulle entrate fiscali in Europa. La correlazione tra il tasso di cambio euro-dollaro e le stime dei ricavi delle grandi multinazionali nello Stoxx Europe 600 è molto alta.
Secondo le nostre stime un aumento del 10% dell'euro nei confronti del dollaro è equivalente ad un calo dell'8% nei ricavi e ciò a sua volta porta a tasse inferiori per le aziende. Da un punto di vista degli investimenti, al calare dei ricavi il mercato azionario europeo passa dall'essere a basso prezzo ad essere costoso.
Investitori ed economisti devono prestare attenzione a questi fattori. Se l'euro continua a rafforzarsi, la ripresa dell'economia europea è nei guai. Quindi l'Eurozona è tra l'incudine e il martello. Non può fermare lo stimolo perché la spesa in deficit degli stati non sopravviverà in presenza di costi alti di finanziamento, e aumentare lo stimolo per indebolire la valuta non funziona più.
L'unico modo per uscire dall'impasse è implementare riforme strutturali, ma la maggior parte degli stati ne sono spaventati,senza contare di quando le cose peggioreranno.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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Tutti parlano di politiche strutturali, ma in concreto di cosa stiamo parlando?
RispondiEliminaSalve Mario.
EliminaIn realtà del nulla. Le faccio un esempio. Quando uno di questi tipi dice di "aver creato" posti di lavoro si sta solo dando delle arie. I presidenti del consiglio non creano posti di lavoro, né lo fanno le loro amministrazioni. Il parlamento può approvare leggi che si presuppone creino posti di lavoro, ma tutto ciò che fa in realtà è prendere denaro da una fetta della popolazione e darlo (arbitrariamente) ad un'altra. Si tratta pertanto di posti di lavoro fasulli che non esisterebbero in un mondo di libera interazione tra domanda e offerta. Senza i mercati che determinano i prezzi, la concorrenza che accompagna alla porta gli inefficienti e il meccanismo profitti/perdite che premia/punisce, non c'è modo di sapere se tali lavori sono degni d'essere svolti o meno. Ecco perché i lavori "creati" dalle sale parlamentari finiscono per essere lavori incapaci di produrre ricchezza reale: tolgono risorse e denaro dall'economia reale andando a ridurre il numero di lavori reali.