martedì 4 luglio 2017
Come lo stato distrugge la sovranità dei consumatori
di Per Bylund
È facile cadere nella trappola del cosiddetto "costo maggiorato", cioè, considerare i prezzi dei beni di consumo una funzione dei costi di produzione. Sfortunatamente tale metodo è insegnato agli studenti di tutte le università del mondo, consolidando di conseguenza un punto di vista burocratico per quanto concerne l'imprenditoria e l'economia.
I costi di produzione non determinano i prezzi
I prezzi non sono il risultato dei costi; è proprio il contrario. In realtà i prezzi ed i costi non sono nemmeno "impostati" dagli stessi attori economici. I prezzi sono impostati in ultima analisi dai consumatori attraverso le loro valutazioni concernenti beni e servizi offerti. Per ogni impresa i costi rappresentano una scelta basata sul giudizio del produttore. In altre parole, i prezzi non sono impostati da imprenditori e dalle loro imprese — vengono scoperti. I costi, dall'altra parte, sono a carico dei produttori — scelti perché sono considerati inferiori al prezzo previsto dei beni finali che arriveranno sul mercato aperto.
La scelta importante se produrre o meno, quindi, si basa, in primo luogo, sulla previsione dell'imprenditore del prezzo che può chiedere per il bene finale (prezzo al consumo), e, in secondo luogo, se egli può produrre un determinato bene ad un costo sufficientemente basso affinché ne valga la pena (la sua scelta di costo).
Le aziende che applicano il metodo del costo maggiorato, quindi, cercano di evitare la componente imprenditoriale. Quello che fanno è prendere i costi come qualcosa di dato e "scegliere" (utilizzando la semplice aritmetica, come ad esempio "costi più un 15% di profitto") cosa mettere sul cartellino del prezzo. Mentre il metodo è probabilmente più veloce, nel mercato aperto le imprese andrebbero in bancarotta. È facile vedere come il prezzo basato sui costi possa essere troppo alto, così da non attrarre i clienti, o troppo basso, perdendo in tal modo eventuali profitti. La possibilità di centrare l'obiettivo con l'aggiunta di un ricarico ai propri costi, è molto piccola.
Il problema col potere di monopolio assegnato allo stato
Ci sono due eccezioni a questa regola. Una è l'interventismo, cioè, quando le imprese operano in un mercato regolamentato. I mercati regolamentati sono diversi da quelli liberi, nel senso che hanno barriere artificiali all'ingresso: ridistribuiscono i costi per proteggere alcune imprese forzando il costo su (alcuni) partecipanti. In altre parole, ci sono meno nuove imprese e quindi meno concorrenza.
Con l'interventismo, le aziende non sempre hanno bisogno di scoprire i prezzi al consumo, perché la minaccia di nuovi imprenditori che entrano nel mercato è più bassa. Così il costo maggiorato potrebbe funzionare, soprattutto se tutti o la maggior parte delle imprese protette sono gestite da manager con lo stesso tipo di formazione manageriale. La concorrenza non metterà a repentaglio la loro decisione riguardo i prezzi, come invece accadrebbe in un mercato libero.
L'altra eccezione, che è di forza minore, si riferisce alla diversificazione o alle economie di scopo, in cui una società con una struttura di costi sufficientemente redditizia aggiunge una linea di produzione di un bene simile a quelli che produceva già (o addirittura sostitutiva). Nella misura in cui i beni precedenti venivano venduti secondo la valutazione dei consumatori, la struttura dei costi dell'impresa è sufficientemente allineata con tale valutazione affinché possa utilizzare la scorciatoia del costo maggiorato (cioè, utilizzare lo stesso ricarico associato ai beni precedenti).
Anche così, l'impresa probabilmente perderebbe eventuali profitti non adottando il corretto approccio imprenditoriale "prezzi prima, costi poi." Infatti se ad un manager potrebbe sembrare un rischio basso ampliare l'offerta dei beni esistenti dell'azienda, da un punto di vista imprenditoriale potrebbe essere una mossa potenzialmente disastrosa.
Quando i manager ed i burocrati sostituiscono gli imprenditori
In un ambiente "economicamente misto ed interventista" le grandi aziende sono comunemente gestite da manager con un piglio imprenditoriale scarso. L'imprenditorialità, intesa nel modo discusso in precedenza, è limitata alle fasi di avvio e di crescita della società, ed è quindi relegata alla titolarità passiva degli azionisti il cui interesse primario è la costante redditività nominale della persona giuridica (società). Nei mercati altamente innovativi (es. tecnologia), i manager devono assumere il ruolo dell'imprenditore ideando nuovi prodotti che richiedano nuovi processi produttivi. Per esempio, la decisione di Apple Computers di produrre l'iPhone è stata necessariamente imprenditoriale — non perché Steve Jobs volesse stare lontano dall'aritmetica del costo maggiorato, ma perché non c'era nessuna informazione disponibile relativa a questo nuovo tipo di bene.
Il costo maggiorato, in altre parole, "funziona" solo quando c'è poca innovazione (dinamismo) nel mercato, vale a dire, in un mercato interventista con alte barriere all'entrata. E anche così è delimitato dal giudizio imprenditoriale (limitato) — il metodo del costo maggiorato viene utilizzato dalle aziende solo quando il prezzo calcolato non è palesemente scandaloso.
Un esempio del metodo del costo maggiorato, e quindi della mancanza di imprenditorialità, è come cambiano i prezzi dei beni importati rispetto ai tassi di cambio fluttuanti. In un mercato senza barriere all'entrata (ma con tassi di cambio fluttuanti), il prezzo dei beni di consumo nei negozi degli Stati Uniti non salirebbe se il dollaro si indebolisse, o viceversa.
Se, ad esempio, i produttori di burro irlandese gestissero la loro attività con un piglio imprenditoriale, prima presenterebbero valutazioni estimative di consumo dei loro prodotti e poi sceglierebbero la struttura dei costi adeguata per la quantità preferita. Se la valutazione interna dei consumi di burro non cambiasse in presenza di un dollaro più forte (almeno non a breve termine), il prezzo appropriato per la quantità di vendite anticipate rimarrebbe la stessa.
In altre parole, in un libero mercato non vedremmo le fluttuazioni dei tassi di cambio riflettersi sul prezzo nei negozi. E invece oggigiorno accade, almeno in risposta a differenze significative e durature dei tassi di cambio, anche se spesso con un certo ritardo (il che suggerisce come i produttori non facciano pieno affidamento sul metodo del costo maggiorato). Un business imprenditoriale in un contesto competitivo, al contrario, si concentrerebbe sull'unica cosa che è veramente variabile: la propria struttura dei costi. Non sarebbe in grado di alzare il prezzo.
Utilizzare il "costo maggiorato" come metodo per impostare i prezzi, anche se solo come regola generale, è sintomatico di una mancanza di forze di mercato reali — o scarsa capacità di giudizio da parte del management. Chiunque lo utilizzasse in un libero mercato, sarebbe rapidamente costretto ad uscire. L'unico motivo ragionevole è che il mercato attualmente non è libero. Infatti il "metodo del costo maggiorato" spinge una comprensione alla rovescia dei prezzi di mercato, e conferisce ai burocrati potere sull'apparato di produzione. La soddisfazione del consumatore è secondaria.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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E nel caso sempre più frequente del sottocosto?
RispondiEliminaSalve Anonimo.
EliminaQuando le aziende propongono vendite sottocosto lo fanno ovviamente ad un prezzo inferiore a quello di acquisto. In questo modo le imprese puntano sui volumi di vendita, ovvero, i guadagni cercheranno di staccarli attraverso la vendita di altri prodotti oltre a quelli in sottocosto. In questo modo cercheranno di compensare le "perdite" a causa del sottocosto con la vendita di prodotti non in sottocosto.
Consultare anche la sezione dumping in questo articolo.
Franz Oppenheimer, The state.
RispondiEliminahttp://tramedoro.eu/wp-content/uploads/2016/04/THE-STATE-OPPENHEIMER.pdf