lunedì 29 maggio 2017
La tragedia dei beni comuni nel film Oceania
di Jeffrey Tucker
Confusione è stato quello che ho provato mentre guardavo Oceania, il 56° cartone animato della Disney. Parla della lotta di una tribù polinesiana per sopravvivere e della ragazza (non una principessa, come lei stessa ripete) che la porta fuori dalla crisi. L'animazione non è mai stata tanto bella e la storia è avvincente dall'inizio alla fine.
Inoltre offre quella cosa speciale che cerco nei film: una narrazione che mi permetta di pensare a questioni di economia politica.
Sono felice di scoprire che gli spettatori sono d'accordo: Oceania è stato accolto da tanti consensi ed è destinato a diventare famoso come gli altri film d'animazione che l'hanno preceduto. Ma la sua popolarità mi sorprende un po': parla di un tempo, di un mondo, di una tradizione e di gente del tutto sconosciuti alla maggior parte dei pubblico americano, e viene proiettato in un momento storico che si presume abbia una reazione nazionalista al multiculturalismo.
L'attenzione all'autenticità culturale in Oceania è scrupolosa, e ciò ha effetti anche sulle voci dei personaggi e sul disegno dei loro volti e corpi. Ho riconosciuto alcuni dei simboli e della mitologia Maori solo perché ho visitato la Nuova Zelanda. In caso contrario, sarei stato completamente perso.
Ma ci sono anche omaggi ad alcune caratteristiche universali dell'umanità: abbiamo bisogno di un riparo, cerchiamo sicurezza, abbiamo bisogno di sostentamento. Tessiamo storie per tenere conto di caratteristiche casuali del mondo che sfidano ogni spiegazione. Abbiamo madri e padri che cercano di insegnare ai loro figli, ma questi ultimi hanno volontà loro e vanno per la propria strada.
In altre parole, Oceania ci fornisce il giusto tipo di multiculturalismo: la possibilità di sviluppare la capacità di entrare in empatia con persone completamente diverse da noi stessi, ma che devono affrontare problemi e difficoltà non differenti dai nostri.
È comunismo? No
Ora parliamo dell'economia in Oceania. Questa tribù vive su una piccola isola (probabilmente nelle Samoa americane) che sembra provvedere ad ogni loro necessità. Ci sono abbastanza noci di cocco, pesce, frutta e risorse per tutti. Lavorano come comunità per raccogliere e provvedere a sé stessi. Ci viene detto che tengono tutto in comune.
È una sorta di mito rousseauiano sullo stato di natura? Non credo. Hanno abitazioni private, nel senso che "questo è il suo" e "questo è tuo". Ma le principali risorse dell'isola non hanno proprietà esclusiva. Gli antropologi culturali hanno documentato molti casi simili in piccole tribù. Quando la natura fornisce risorse sufficienti per sfamare tutti, non c'è un bisogno funzionale per sviluppare la proprietà privata così come la conosciamo oggi. In altre parole, questo non è comunismo ma semplicemente un riconoscimento sociale dell'abbondanza dell'isola.
L'aspetto negativo delle cose in comune
Nel film le persone che hanno il compito di raccogliere le noci di cocco, scoprono che una malattia le ha rovinate. Lo stesso giorno i pescatori tornano con le reti vuote. Cercano di pescare in altre parti dell'isola, ma senza risultati. Il cibo in generale sembra scarseggiare. La gente comincia a cedere al panico e pretende risposte dal capo tribù.
Il mio pensiero è immediatamente corso alla teoria della "tragedia dei beni comuni". Questa tribù aveva molto successo, ma la natura non può provvedere ai bisogni umani per sempre. Ad un certo punto, il pascolo eccessivo, la pesca eccessiva, il sovrasfruttamento ed il sovraconsumo portano a carenze. Senza investimenti di capitale, senza una complessificazione della divisione del lavoro, senza l'emersione di un'economia monetaria e (soprattutto) senza la sicurezza della proprietà privata, l'umanità non può sopravvivere con una popolazione in crescita e risorse in contrazione.
Gli isolani credono che stia capitando loro ciò che è capitato agli altri su altre isole: un'improvvisa perdita di prosperità. Come spiegarla? Non c'è un Adam Smith in giro che fornisca una risposta scientifica.
Qui è dove inizia il mito. Si diceva che tutte le isole fossero state create dalla dea Te Fiti, che col suo cuore creò la vita e la terra. Un giorno il semidio Maui rubò il cuore, pensando che l'avrebbe dato all'umanità. Ma subito le tenebre scesero sull'isola e si diffuse una piaga. Infine perse il cuore nell'oceano.
Mille anni dopo, questa piaga è arrivata all'isola in cui vive Moana Waialiki. È stata scelta dall'oceano per trovare Maui e aiutarlo a riportare il cuore alla legittima proprietaria.
È una bella storia, ed è più o meno precisa per quanto riguarda gli antichi miti di questi popoli (anche se alcuni critici hanno criticato la caricatura del semidio Maui).
Ogni mito ha una sua ragione d'esistere. Non si tratta solo d'intrattenimento, è anche un modo per spiegare cose decisamente complesse.
Il mito che costituisce la trama di "Oceania" è un perfetto sostituto del pensiero economico moderno. La tribù ha vissuto una tragedia dei beni comuni. Aveva bisogno del capitalismo, ma il passaggio dalla proprietà comune alla proprietà privata avrebbe anche significato un drastico cambiamento culturale, e non c'era tempo per questo: aveva bisogno di cibo immediatamente.
Saltellare di isola in isola
Moana viene avvertita di non andare oltre la barriera corallina, ma scopre una grotta nascosta piena di barche, cosa che indica che la sua gente non è composta da semplici abitanti dell'isola. Un tempo erano viaggiatori che andavano alla ricerca di avventure, spostandosi da un'isola all'altra. Anche questo aspetto si adatta alla storia antropologica. I popoli nativi di quella regione si muovevano da un luogo all'altro, e la mia mente ingenua s'è sempre chiesta il perché. Questo film fornisce la risposta: si spostavano per trovare le risorse quando dovevano affrontare carenze.
Dopo tutto, non è un vago desiderio d'avventura che fa sì che intere tribù affrontino i pericoli dei mari su piccole imbarcazioni. È la paura economica di morire di fame, e che, a sua volta, emerge sulla scia di un fallimento istituzionale nello sviluppare norme sociali che delineino i diritti di proprietà.
Prestate attenzione a questo fatto fondamentale: la sofferenza di tutte le isole è iniziata con la violazione della proprietà del cuore di Te Fiti. Da quel crimine è scaturito tutto il resto. Il peccato doveva essere punito. Nella versione Disney del mito – attenzione spoiler! – la dea alla fine si riprende il cuore e poi usa i suoi poteri per diffondere l'abbondanza in tutte le isole della terra.
Il cuore di Te Fiti è una metafora adatta per quello che è stato scoperto in Europa nel tardo Medioevo: il modo migliore e più tranquillo per provvedere ai bisogni di tutti è attraverso il cambiamento istituzionale – non attraverso viaggi e lotte, ma attraverso l'emergere dell'economia di mercato che genera nuova ricchezza per nutrire una popolazione in crescita.
L'economia di mercato ha inizio con la proprietà privata, e chiaramente Te Fiti ne è una fan, come si vede quando ripristina benevolmente il grande gancio magico del semidio Maui. Solo lui lo tiene fra le mani, con sua grande gioia e nostra.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Altro che Oceania.... qua vincono sempre i Dalton!
RispondiElimina