venerdì 7 aprile 2017
Imprenditoria & burocrazia
di Francesco Simoncelli
Nel corso della storia, gli individui hanno potuto scambiare i frutti del proprio lavoro in due modi: attraverso i mezzi economici e attraverso i mezzi politici. Questa definizione deriva dagli studi del sociologo Franz Oppenheimer, il quale ci ricorda che gli individui, usando i mezzi economici, entrano in contatto per scambiare beni o servizi in modo pacifico. Il mezzo economico, infatti, prevede che le parti in causa siano d’accordo volontariamente nello scambiare gli oggetti che possiedono. Parallelamente ai mezzi economici esistono i mezzi politici, ossia quegli scambi in cui una parte in causa costringe un’altra a compiere uno scambio. Così, le interazioni tra gli individui non sono più volontarie, bensì spinte attraverso la forza. Questo meccanismo, sebbene possa sembrare vantaggioso per la parte in causa che opera la violenza, in realtà è auto-distruttivo, poiché indebolisce progressivamente la rete di scambi presente in un’economia di mercato e distorce il tessuto economico, impedendo lo svolgimento di quegli scambi in accordo con le forze di mercato.
Esiste un’organizzazione che coercitivamente sottrae risorse agli individui che le producono. Leggiamo, ad esempio, la definizione d’imposta: «L’imposta è un tipo di tributo, ossia una delle voci d’entrata del bilancio dello Stato, costituita da un prelievo coattivo di ricchezza dal cittadino contribuente non connesso a una specifica prestazione dello Stato o degli altri enti pubblici per servizi resi al cittadino, e destinata alla copertura della spesa pubblica».
Essendo l’apparato statale un’entità che non è in grado d’imbastire un sistema produttivo in accordo con le forze di mercato, esso è costretto a depredare quella parte di popolazione che dona linfa vitale alla produzione. Lo stato è rappresentato da una ristretta cerchia di persone che, per mantenere in vita il loro sistema di privilegi, ricorrono ai mezzi politici per succhiare la ricchezza di chi commercia attraverso i mezzi economici. Per mascherare questa realtà, lo stato si circonda di presunti «esperti del settore» che, accreditati dal sistema statale stesso, fungono da giustificatori delle sue azioni. Elaborano quindi sistemi matematici e quanto di più lontano dall’essenza dell’economia stessa per fornire allo Stato quella patina di benevolenza necessaria per permettere alle sue azioni d’andare avanti.
Un esempio di ciò lo troviamo negli Stati Uniti verso la fine della seconda guerra mondiale. Durante quel periodo, l’economia keynesiana aveva conosciuto il proprio boom e s’era premurata d’applaudire ai controlli dei prezzi attuati dal governo Roosevelt. Paul Samuelson, l’economista che propagandò il pensiero di Keynes nelle università di tutto il mondo grazie al suo libro di testo Economis, disse che la smobilitazione del personale militare e l’annullamento dei controlli dei prezzi (insieme alla riduzione del disavanzo pubblico) avrebbero generato il più grande periodo di disoccupazione e sbilanciamento industriale che l’economia americana avesse mai affrontato.
Così come per le sue profezie sull’URSS, Samuelson aveva torto. Il taglio della spesa pubblica, la sburocratizzazione e la diminuzione delle imposte permisero all’economia americana di riprendersi dalla sbornia post-depressione. Oggi ci ritroviamo ad affrontare la stessa retorica. Invece d’una diminuzione della spesa pubblica e della pressione fiscale, assistiamo ad una continua vessazione del ceto medio, che sta cedendo sotto i colpi inferti dalla necessità dello stato di restare a galla. Gli errori accumulati dalla sua progressiva preponderanza nei mercati mondiali l’hanno costretto a cacciare nelle casse quanti più finanziamenti possibile, così da poter continuare a operare.
Quindi, spese e tasse continueranno ad aumentare. Sempre più persone stanno lasciando l’Italia per cercare fortuna altrove. Votano coi piedi — uno dei tanti modi con cui le forze di mercato emergono prorompenti nonostante le manipolazioni centrali. Questo è il messaggio: perché darsi la pena di produrre in un paese dove i ¾ di quel che si crea vengono saccheggiati da chi sfrutta i mezzi politici per acquisire ricchezza?
È inutile che speriate in una diminuzione di spesa, tasse e burocrazia. È impossibile che accada. Innanzitutto, perché finora in Europa non è stato aggiustato nulla. In secondo luogo, lo stato stesso rappresenta un investimento improduttivo. Come ben descritto in Planning for Freedom di Ludwig von Mises, esso ha bisogno di controllare porzioni crescenti del mercato al fine di garantire la propria sopravvivenza. Passo dopo passo, ci s’avvicina ad un’economia di comando, dove ogni prezzo e ogni informazione finiscono per esser controllati dai pianificatori centrali. L’insostenibilità di lungo termine di quest’assetto è palese. La storia ci ha fornito un esempio: il crollo del muro di Berlino e il suicidio del partito comunista in Russia. Sebbene negli anni passati fosse ancora possibile ammortizzare gli squilibri causati dalle interferenze statali grazie a una forte presenza delle forze di mercato, oggi il crescendo di manipolazioni ha raggiunto picchi assurdi, rendendo l’apparato statale un esempio di TBTF per chi lo gestisce.
Esso rappresenta privilegi. Esso rappresenta pasti gratis. Non verrà lasciato morire tanto facilmente. Perciò la retorica delle tasse andrà avanti: «Le tasse sono troppo alte, ma è giusto pagarle». Questo non è «liberismo». È statalismo soft. È una giustificazione per quell’atto che vede un burocrate bussare alla vostra porta e puntarvi una pistola alla testa intimandovi di sganciar denaro in nome d’un presunto «bene comune». Voi non siete capaci di spendere i vostri soldi dove volete; solo lo stato lo sa. Solo lo stato sa che cos’è meglio per voi. Se viene diminuita la spesa pubblica e voi mantenete più soldi nel portafoglio, e li spendete dove volete o li risparmiate, vi viene detto che questo è «recessivo».
Come scrisse l’economista William Hutt in The Theory of Idle Resources, i capitali non sono mai «inattivi», né quelli umani né quelli materiali. Solo gli imprenditori sono in grado di prevedere, in base alle informazioni che essi carpiscono dall’ambiente economico, come e quando investire le risorse. È attraverso la loro creatività e il loro precedente risparmio che è possibile generare lavoro e prosperità. I pianificatori centrali possono solo tirare a indovinare dove impiegare le risorse che essi concentrano coattivamente nelle proprie mani; ma le spenderanno quasi sempre in privilegi e finanziamenti sbagliati. Infatti, essi considerano le risorse estorte come un modo per fare lavorare le persone — se sia lavoro produttivo o no non li tange. Qualora abbiano bisogno di ulteriori risorse, possono prenderle con la forza. Il concetto stesso di «diritto di proprietà» cozza coi loro progetti, e perciò sventolano il feticcio della «cura alla disoccupazione» per giustificare il loro atto riprovevole.
Sebbene si possa protrarre nel tempo una situazione simile, essa non è mai priva di conseguenze. Le imposte d’ogni tipo scoraggiano la produzione. Gli individui sono consci del fatto che ciò che essi producono è un’estensione della loro volontà. Gli individui producono per soddisfare i propri desideri e, se si trovano in un ambiente dove una parte significativa di ciò che creano viene sottratta loro con la violenza — coi mezzi politici — allora limiteranno la produzione fino a quel punto in cui potranno godere appieno delle proprie creazioni. Perché darsi la pena di produrre quell’euro in più di ricchezza, quando arriva lo stato che, con pistole e distintivi, la depreda? In un determinato ambiente economico, ogni imprenditore deve prendere in considerazione, nel calcolo imprenditoriale, il peso che ricoprono tasse e balzelli vari. In Italia, ad esempio, questo peso è diventato asfissiante.
La pianificazione centrale è cieca. Non vede che la sua sopravvivenza è controbilanciata da una desertificazione della produzione. È così che funzionano le forze di mercato: l’anomalia viene spinta fuori dal sistema. Più essa si dimena per sopravvivere, più le forze di mercato intensificano la propria azione per purificare l’ambiente economico dalla sua esistenza. È la produzione, non la spesa, a creare prosperità. L’apparato statale è incapace di produrre, perché non sa operare un calcolo economico: quindi deve prendere altrove (distruggendo lavori) e spendere laddove ritiene arbitrariamente più proficuo. Questo modo d’agire erode il bacino delle risorse reali, perché impedendo la nascita d’attività in accordo con le forze di mercato si toglie vigore al suddetto bacino. Il consumo prevale sulla produzione, e ogni tassa sui risparmi reali scoraggia l’accumulo di capitale.
L'IMPRENDITORIA CORRE, LA BUROCRAZIA RINCORRE
Nel suo libro del 1944, Bureaucracy, Ludwig von Mises tracciava la differenza netta tra la burocrazia che poteva prosperare da quanto toglieva ai produttori reali, e la classe imprenditoriale che poteva prosperare impegnandosi in un commercio proficuo con i clienti. La burocrazia può permettersi di sbagliare visto che la sua sopravvivenza è slegata dai giudizi del mercato, mentre l'imprenditore è legato ai giudizi del mercato perché da essi dipende la redditività della sua attività. I consumatori sono i re in un'economia di mercato, mentre sono spodestati dal loro trono in un'economia irrigidita da un tessuto burocratico crescente.
La burocrazia, infatti, oltre che attraverso le tasse, cerca di ampliare la propria sfera d'influenza a scapito delle altre agenzie burocratiche. Come? Sottraendo i fondi agli altri dipartimenti. Questo significa più clientelismo. Questo significa più scartoffie da compilare per quei contribuenti che si vedranno aumentare i legacci burocratici intorno alla loro vita. L'ampliamento della burocrazia segue la Legge di Parkinson: all'aumentare del tempo speso per conformarsi ai suoi dettami, aumenta il potere della burocrazia.
Essa, infatti, cercherà sempre un compromesso con i pesci grandi. Nessun burocrate vuole trovarsi nella condizione di combattere contro uno stuolo di avvocati che potrebbero rendergli la vita difficile. Meglio i pesci piccoli. Non si dimenano più di tanto ed è possibile pescarli con una certa facilità. Se poi ci mettiamo che è possibile "ucciderli" senza creare tanto clamore, abbiamo di fronte una macchina assassina e parassitaria che cerca solamente di perpetrare sé stessa senza riguardo alcuno per la vita umana.
L'unico parametro di cui si preoccupa la burocrazia è il consenso. Maggiore è il consenso e la fiducia nei suoi mezzi, maggiore sarà la sua onnipotenza. Non dovendo soddisfare i desideri degli individui, essa si rivolge al lavaggio del cervello per ottenere consensi. In questo modo, nonostante tutto ciò che si suppone debba rappresentare un compito essenziale svolto da un'agenzia presumibilmente super-partes, finisce per essere un buco nero che risucchia risorse economiche scarse. Il tutto con l'assoluzione della maggior parte delle persone che afferma, in modo scriteriato, come una maggiorazione di fondi e potere possa rendere l'apparato burocratico efficiente e profittevole. Cattedrali nel deserto, infrastrutture pericolanti, furti, raggiri, umiliazioni, ingiustizie, non bastano affinché i contribuenti stacchino la spina. Ogni nuovo sopruso non solo sembra passare quasi inosservato, ma addirittura viene giustificato.
La vera vittoria della burocrazia è quella di riuscire a mettere l'uno contro gli altri gli attori di mercato. Fomentare il caos tra di loro, creare il dubbio, spargere zizzania, in modo che possa emergere come cavaliere senza macchia e proporre rimedi a problemi che essa stessa ha creato. Non avrebbe altro modo per affermare la sua esistenza. Ecco perché esiste la cosiddetta "scuola dell'obbligo". Fortunatamente non tutti coloro che passano attraverso questo tritacarne ne escono devastati dal punto di vista dei principi di libertà politica ed economica. Pensate, ad esempio, al caso di quel ragazzino che vendeva merende a scuola. Senza lasciarsi incantare dalla propaganda socialista/statalista spacciata nelle aule scolastiche, questo giovane imprenditore ha dato prova di come funziona davvero il mercato: soddisfare i bisogni altrui al prezzo migliore.
Qual è questo prezzo migliore? Quello al quale domanda e offerta s'intersecano. Ma se esistono questi due parametri, allora vuol dire che gli individui nella scuola erano interessati alla merce venduta dal giovane imprenditore torinese. Chi veniva leso? Per caso si trattava di estorsione? Le transazioni avvenivano pacificamente ed ognuna della parti riteneva d'averci guadagnato. Man mano che la domanda aumentava, l'offerta veniva diversificata e con essa la sofisticazione del prodotto chiamava prezzi più alti. In questo modo, oltre a farsi un'idea quanto più precisa dei gusti dei compagni di scuola, s'impegnava ad anticiparli ed azzeccare in modo preciso quale tipo di offerta presentare in modo da aumentare i profitti. Parte di questi, poi, venivano investiti di nuovo nell'acquisto di ulteriore offerta.
Non solo. Questo ragazzino aveva anche appreso il principio base che regola i mercati finanziari: comprare basso, vendere alto. Ma soprattutto aveva compreso qual è il principio da seguire se si vuole avere successo dal punto di vista imprenditoriale: il consumatore è il re in un'economia di mercato.
Potreste pensare che il dirigente scolastico abbia elogiato la sua condotta. E invece no, poiché il preside ha sospeso il ragazzo e l'ha attaccato poiché avente infranto le regole. Non sorprende se i grandi imprenditori della storia, come Steve Jobs e Bill Gates, abbiano abbandonato gli studi e poi siano stati in gradi di fare fortuna. Non solo, ma il ragazzo è stato anche multato. Questo per dire che senza le autorizzazioni ed i legacci posti dall'alto da un'autorità burocratica, non è possibile esprimere il proprio potenziale; a quanto pare esistono persone "più capaci" che possono discernere quali attività sono legittime e quali no. La cosa davvero esilarante, e sciocca allo stesso tempo, è che il preside della scuola del giovane imprenditore ha parlato di una "questione sanitaria". E quando i compagni di banco si scambiano vettovaglie? In realtà si tratta della solita solfa socialista/statalista che condanna il profitto imprenditoriale e preferisce sommergere di critiche ed insulti quegli individui che tentano di emergere rispetto alla massa grazie alle loro idee imprenditoriali.
Nonostante la scuola tenti di bloccare la vocazione imprenditoriale dei futuri imprenditori e lo stato cerchi di controllare capillarmente la società, entrambe queste forze non fanno altro che rincorrere un mondo in costante evoluzione. Ovvero, quando la pianificazione centrale crede d'aver messo una toppa ad una falla nel suo sistema di controllo, ne appaiono altre due. Questo processo è esponenziale. Perché? Perché il libero mercato è dinamismo, mentre lo stato ed i suoi lacchè hanno una visione statica delle cose. Imprimono nella testa un momento preciso del mercato e cercano d'imporlo a tutti i costi per quanto tempo sia possibile.
Alla fine devono desistere pena la mancanza di risorse e un ritardo rispetto al resto del mondo. Ciò significherebbe la fine degli investimenti esteri. Non solo, ma una continua fuga di risorse umane sarà inevitabile. Ancora ci sono opportunità affinché l'Italia, nel caso particolare, possa emanciparsi dagli arcaismi socialisti che ne hanno caratterizzato la nascita, però deve abbracciare il libero mercato perché quest'ultimo è la soluzione non il problema.
L'EPITAFFIO DELLO STATO: IL SISTEMA POSTALE
Per molte persone, anche tra coloro facenti presumibilmente parte del movimento libertario, questo esito pare un'utopia. Ritengono che lo stato abbia talmente pervaso la vita degli individui che sia legato indissolubilmente alla società. Non è così. Lo stato parassita la società, non aiuta affatto il progresso e l'avanzamento del benessere e della vita. Sebbene possa avere il consenso di una gran parte degli individui, la sua nascita è stata circoscritta ad una ristretta cerchia di persone. È un costrutto nato dalla pianificazione, non da un ordine spontaneo imbastito dalla scelta volontaria degli attori di mercato. Il furto e la violenza sono state le caratteristiche che ne hanno connotato la sopravvivenza, e questo a scapito della produzione di ricchezza reale da parte degli attori di mercato.
Come diceva George Orwell: "È una costante lotta riuscire a notare ciò che c'è sotto il proprio naso."
Infatti piano piano sta cadendo in mille pezzi la storiella dello "stato buono" grazie al quale possiamo godere di tutte le meraviglie del mondo a costo zero. Fino a poco tempo fa, la maggior parte delle persone inorridiva alla vista di un settore privato che chiedeva un compenso in denaro per effettuare determinate prestazioni sanitarie. Ora scopriamo che Milton Friedman aveva ragione quando diceva: "Non esiste qualcosa come un pasto gratis." L'unico problema è che il settore privato calcola i propri interessi in base alle esigenze e alla soddisfazione dei clienti; lo stato, invece, calcola i propri interessi in base agli sprechi. Perché? Perché come documentò Ludwig von Mises nel suo libro del 1920, Economic Calculation in the Socialist Commonwealth, l'apparato statale è incapace ad operare un calcolo economico in accordo con le forze di mercato.
Procede alla cieca, consumando progressivamente il bacino della ricchezza reale della società. Con l'arrivo del periodo delle vacche magre a causa di errori economici precedenti, cerca di sopravvivere parassitando ancora di più il tessuto produttivo. Ma ogni tassa che approva, è un chiodo in più nella sua stessa bara.
Pensate agli ultimi festeggiamenti a Roma per rinnovare i trattati con cui è stata approvata la nascita dell'UE. Questa baracconata è l'ennesima evidenza di come il progetto europeo abbia imboccato il viale del tramonto. Chi festeggiava, in realtà? Dov'era il supporto della popolazione a questa banda di burocrati presumibilmente onniscienti? I pianificatori centrali credono di riuscire a mantenere unito qualcosa che è stato creato a tavolino cercando d'ingabbiare le scelte degli individui in una selva sempre più fitta di regolamentazione. La Brexit è stato lo smacco più potente che potesse subire questa appendice del NWO, e non basteranno i vertici su vertici, nonché buffonate come quella svoltasi a Roma il 25 marzo scorso, a tenere unita una serie di paesi completamente diversi. I fuochi d'artificio torneranno a luglio quando scadrà l'ultima tranche di prestiti concessi alla Grecia.
Pensate al sistema postale. Sin dalla Cina medievale, il sistema postale è servito per spiare e sapere dove fossero le persone. Così come per le strade, lo stato ha fatto in modo di raggiungere ogni angolo della società in modo da imporre il suo sistema tributario. Fino a quarant'anni fa il sistema postale statale sembrava un moloch impossibile da fermare, sembrava una lotta contro i mulini a vento; oggi, invece, quasi nessuno vi presta più attenzione. Si è sgretolato progressivamente sotto i nostri occhi, senza che ce ne accorgessimo. Come è potuto succedere? Eppure nessuno ha pianificato nulla.
Ed è proprio questo il bello del libero mercato che si riflette nelle scelte dei singoli attori di mercato. È questa sua imprevidibilità che fa impazzire i pianificatori centrali e li sottopone a rincorrere affannosamente l'evoluzione della società. Ormai il sistema postale è diventato una reliquia di un'epoca passata, è marginale alle nostre vite. Perché? Perché l'abbiamo aggirato attraverso la tecnologia. Il mondo digitale e le innumerevoli scelte dei singoli attori di mercato hanno abbattuto un pachiderma presumibilmente invincibile. È solamente un'appendice dispendiosa dello stato, ecco perché si è cercato di vendere la parte concernente la consegna/invio di posta e trattenere in mani pubbliche quella bancaria e assicurativa. La IPO era solamente un trucco d'ingegneria finanziaria per raccogliere fondi tra i creduloni, infatti il titolo non è andato da nessuna parte sin dal suo debutto nell'ottobre 2015.
Voglio dire, chi sanno di mente può credere ad un istituto il cui sottostante è un mucchio di cartaccia obbligazionaria dello stato italiano? Alla fine andrà in default per tutti quei settori dell'economia che ha invaso e si porterà dietro il risparmio di quegli italiani tanto stupidi d'aver creduto alle promesse di una manciata di burocrati. Ci sarà bisogno del Grande Default per comprenderlo platealmente, ma nel frattempo gli avanzamenti tecnologici nel settore privato rappresenteranno l'epitaffio sulla tomba dello stato. Milioni di burocrati regolano le nostre vite, ma sono pochissimi i servizi che forniscono dai quali siamo dipendenti. Questo significa che durante il Grande Default saremo in grado di eliminare tutte quelle agenzie statali superflue e non saremo sottoposti ad un dolore economico insopportabile per la loro dipartita.
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Il Novecento non è ancora finito.
RispondiEliminaForse finirà col grande default.
Ma, siccome la storia è ciclica, e la natura umana non cambia nella sostanza, dopo il libera tutti ed il decentramento disordinato, qualcuno proverà a riproporsi come grande capo unificatore e ritroverà le sue greggi ed i suoi cani da pastore.
Ma questa è un'altra storia...
Penso che il NWO stia comunque vincendo. Con la decristianizzazione culturale e le ovvie conseguenze demografiche.
RispondiEliminaLa libertà sarà sconfitta dall'uguaglianza. L'individuo dal gregge. Solo una elite folle poteva favorire questa deriva immaginandosene immune e vincitrice.
Per la rubrica "Storie dal Grande Default", considerate queste due notizie. La prima riguarda la progressiva impagabilità di prestiti concessi ad una categoria di individui che non avrà sbocchi lavorativi per quello che ha studiato e si vedrà aumentare il fardello di debito (senza la capacità di poter andare in default): Student Loans Just Got More Expensive.
RispondiEliminaLa seconda, strettamente connessa a quest'ultima, riguarda i continui raid del governo federale nei fondi della previdenza sociale per ripagare il condono di parte dei debiti studenteschi: Senators want the feds to stop plundering Social Security to repay student loans.
Abbiamo quindi di fronte il caso eclatante in cui il coyote inizia a mangiarsi da solo non trovando più niente da mangiare. E questo è soprattutto vero se consideriamo come nel corso del tempo gli interventi centrali statali e la pianificazione monetaria centrale abbiano abbattuto la produzione di ricchezza reale. Ora aggiungiamoci il fatto che circa 1/3 della popolazione americana è sulle spalle dello stato sociale, mentre l'alrto terzo è composto da pensionati, lavoratori part-time nonché da disoccupati. Rimane il restante terzo della popolazione americana che sorregge tutta la baracca ed ha un lavoro a tempo pieno. Ricapitolando, quindi: con un debito pubblico da $20,000 miliardi, un debito privato da $40,000 miliardi, un mercato del lavoro ingessato e senza sbocchi concreti, pensionati che vedranno aumentare le loro fila, denaro per le prestazioni sociali usato invece per ripianare il fiume d'inchiostro rosso dei conti statali, banche centrali che hanno stampato vagonato di denaro fiat e ora sono all'angolo, capite benissimo che la fantomatica ripresa economica è solo nei numeri ma non nei fatti.
Finirà male.