Bibliografia

venerdì 14 aprile 2017

È stata la FED a tenere bassi i tassi d'interesse?





di George Selgin


Quando mio fratello gemello ed io eravamo bimbetti, nostro padre ci convinse che avrebbe potuto far scattare il rosso e il verde sul semaforo in qualunque momento volesse. Alzando la mano verso la luce mentre eravamo ad un incrocio, diceva: "Ti comando di diventare verde... ora!" La luce cambiava proprio al momento giusto, mentre due ragazzini gridavano: "Papà, come fai!?"

Condivido questo piccolo aneddoto perché sono convinto che se la maggior parte delle persone non fosse stata illusa nel ​​modo in cui lo eravamo io e mio fratello, non sarebbe così credulona come lo è oggi ritenendo che la FED abbia avuto saldo il controllo sui tassi d'interesse in questi ultimi otto anni e che sia grazie a questo controllo che i tassi sono rimasti bassi per così tanto tempo.

L'accusa mossa nei confronti della FED, secondo cui avrebbe dovuto alzare i tassi d'interesse molto tempo fa se solo l'avesse voluto, è diventata famosa durante la campagna presidenziale di Donald Trump, quando ha pubblicamente accusato Janet Yellen di mantenere i tassi bassi per ragioni politiche. Ma Trump stava semplicemente ricamando su una credenza comune tra molti (perlopiù conservatori) critici della FED. Lo scorso giugno su Project Syndicate Carmen Reinhart ha scritto che: "La Federal Reserve ha guidato la carica tra le banche centrali... facendo affidamento su una politica di tassi a zero... i tassi d'interesse sono stati bassi e rimangono bassi, perché i policymaker hanno fatto di tutto per tenerli così." A marzo 2015, in un articolo sul Wall Street Journal, David Malpass ha attaccato la convinzione secondo cui "la politica della FED di tassi a zero possa portare alla crescita economica." "Il dinamismo del settore privato," ha scritto, "vive dei prezzi di mercato, non dei tassi artificialmente bassi." Opinioni analoghe sono state espresse da diversi relatori del Cato Institute all'Annual Monetary Conference.

Infatti il mito che i tassi d'interesse siano stati azzerati dalla politica monetaria allentata della FED, è stato alimentato dagli stessi funzionari che ci lavorano. Il loro intento non era quello di biasimare la FED. Sono semplicemente restii ad ammettere che i tassi non sono stati completamente, o quasi completamente, sotto il loro controllo. Da qui la risposta blanda della Yellen a Trump: "La politica non ha alcun ruolo nelle nostre decisioni circa l'orientamento adeguato della politica monetaria." Tanto per tradurre dal burocratese: "Mantenere i tassi bassi? Se solo potessimo rialzarli!"

Il vicepresidente della FED, Stanley Fischer, ha manifestato la solita indifferenza mentre interveniva all'Economic Club of New York. "Sono sicuro", ha detto Fischer,

che la reazione di molti di voi può essere la seguente: "Beh, se a lei ed ai suoi colleghi presso la FED non piacciono i tassi d'interesse bassi, perché non li rialzate? Dopo tutto, rappresentate la Federal Reserve." Uno dei miei obiettivi di oggi è quello di convincervi che non è così semplice e che cambiamenti di fattori sui quali la Federal Reserve ha poca influenza — come l'innovazione tecnologica e la demografia — incarnano effetti importanti che contribuiscono a tenere bassi i tassi d'interesse a breve e lungo termine.

Eppure Fischer, nello stesso discorso, ha ripetuto la frase standard secondo cui la FED è saldamente al comando. "Ma naturalmente," ha detto, "i tassi d'interesse della FED sono tenuti molto bassi a causa della necessità di mantenere la domanda aggregata a livelli che sosterranno il raggiungimento dei nostri obiettivi politici: piena occupazione e stabilità dei prezzi. Quest'ultimo obiettivo è definito come il tasso d'inflazione delle spese personali al consumo (o PCE) al 2%."

La verità nuda e cruda è che i tassi d'interesse sono stati bassi a partire dagli ultimi mesi del 2008, non perché la FED li abbia deliberatamente mantenuti così, ma a causa della suo maldestro tentativo, sempre nel 2008, di impedire che scendessero in primo luogo.



Come sono scesi i tassi

Allora, lungi dall'aver cercato di abbassare i tassi d'interesse, i funzionari della FED temevano che man mano che i tassi si sarebbero avvicinati allo "zero bound", la politica monetaria avrebbe cessato d'essere efficace. Anche se è vero che nell'ottobre 2008 il FOMC abbassò il suo obiettivo riguardo il tasso dei fondi federali, dal 2% (dove si trovava da fine aprile) all'1.5% e, infine, all'1%, implementò questi cambiamenti con riluttanza e lo fece dopo che il tasso effettivo dei fondi (il valore medio dei tassi effettivi sui fondi mutuabili overnight) scese ben al di sotto degli obiettivi già in atto. Anche i tassi d'interesse a lungo termine scesero prima dei cambiamenti di obiettivo della FED, come si può vedere dal grafico qui sotto, il quale mette a confronto l'obiettivo della FED sui tassi, il tasso dei fondi federali ed il rendimento dei Treasury Note a cinque anni. In poche parole, nel momento in cui la FED voleva abbassarlo, l'obiettivo sui fondi federali aveva cessato d'avere un qualsiasi significato, a parte come simbolo delle vane speranze dei funzionari della FED.




Che i tassi di mercato fossero in declino prima che la FED abbassasse il suo obiettivo di politica, è solo una delle molte ragioni per cui non ha molto senso attribuirne la discesa, o la loro discesa iniziale almeno, alla politica monetaria "allentata". Inoltre un orientamento monetario allentato avrebbe dovuto portare, ipso facto, ad un eventuale aumento della spesa nominale, se non nel tasso d'inflazione. Eppure, come tutti sanno, nessuna di queste cose è accaduta. Invece, come mostra il grafico successivo, i numeri dell'inflazione della PCE e dell'inflazione di base sono scesi e hanno continuato su questa linea per oltre un anno, mentre il tasso di crescita del PIL nominale, che era già in declino da alcuni mesi, è sceso a -3% e non ha recuperato fino al luglio del 2009.





Perché il quantitative easing non li ha mantenuti là

Che dire del quantitative easing? Si potrebbe pensare che gli acquisti su larga scala di titoli garantiti da ipoteca e del Tesoro USA tra la fine di novembre 2008 e ottobre 2014, abbiano segnato una svolta decisiva verso una politica monetaria allentata, e quindi una pressione al ribasso sui tassi d'interesse. Dopo tutto, lo stesso Ben Bernanke sosteneva che il quantitative easing — o ciò che preferiva definire "Large Scale Asset Purchase" — mirava a far scendere i rendimenti a lungo termine:

Gli acquisti della Federal Reserve di titoli garantiti da ipoteca (MBS), per esempio, dovrebbero aumentare i prezzi e ridurre i rendimenti di tali titoli; inoltre, mentre gli investitori bilancerebbero i loro portfoli sostituendo gli MBS venduti alla Federal Reserve con altri asset, i prezzi degli asset che acquisterebbero dovrebbero salire ed i loro rendimenti scendere. Il calo dei rendimenti e l'aumento dei prezzi degli asset dovrebbero allentare le condizioni finanziarie globali e stimolare l'attività economica attraverso canali simili a quelli sfruttati dalla politica monetaria convenzionale.

Per di più Bernanke affermava che il LSAP avrebbe ridotto i rendimenti:

Dopo quasi quattro anni di grandi acquisti di asset, è emerso un numero consistente di lavori. In generale questa ricerca ha scoperto che gli acquisti su larga scala della Federal Reserve hanno ridotto in modo significativo i rendimenti dei titoli del Tesoro USA a lungo termine. Ad esempio, vari studi hanno scoperto che i $1,700 miliardi tra acquisti di titoli del Tesoro USA e titoli di agenzie statali durante il primo programma LSAP, hanno ridotto il rendimento del decennale statunitense tra i 40 ed i 110 punti base. I $600 miliardi di acquisti di titoli del Tesoro USA durante il secondo programma LSAP, hanno abbassato i rendimenti del decennale statunitense di ulteriori 15/45 punti base. Tre studi riguardo l'influenza cumulativa di tutti gli acquisti di asset da parte della Federal Reserve, compresi quelli effettuati durante il MEP, hanno scoperto effetti complessivi tra gli 80 ed i 120 punti base sul decennale statunitense. Questi effetti sono economicamente significativi.

Se i critici della FED avevano bisogno di una pistola fumante per provare che la FED abbia mantenuto deliberatamente i tassi a livelli bassi, sicuramente è questa!

Ma ancora una volta, le cose non sono così semplici come sembrano. Prima di tutto, gli acquisti della FED rappresentavano un evidente allentamento della politica monetaria solo in un senso ceteris paribus. Se l'aumento della quantità nominale della base monetaria abbia rappresentato un "allentamento" della politica monetaria anche in pratica, è dipeso dai movimenti simultanei nella domanda reale nei confronti della base monetaria. Infatti la domanda nei confronti della base monetaria ha tenuto il passo con l'offerta, in parte a causa di altre misure di politica orchestrate dalla FED. Queste includevano il Supplementary Financing Program (SPF), iniziato a metà settembre del 2008, e la decisione dell'otto ottobre 2008 di pagare interessi sulle riserve in eccesso. Il loro scopo era quello di spingere le banche ed il governo a parcheggiare più soldi presso la FED e facilitare in tal modo il raggiungimento dell'obiettivo riguardo il tasso dei fondi federali, impedendo che gli acquisti di asset contribuissero ad un aumento dell'offerta di fondi overnight. Ad un certo punto, come mostrano i grafici successivi, il programma SPF ha immobilizzato quasi $559 miliardi della base monetaria, impedendo che il settore privato li utilizzasse come base per creare nuova moneta.




Per quanto riguarda l'interesse sulle riserve, anche se non è riuscito a stabilire un "limite" sopra lo zero sul tasso dei fondi federali, come invece speravano i funzionari della FED, ha fatto in modo che le banche accumulassero riserve invece che scambiarle per asset fruttiferi. Il tasso IOER ha superato i rendimenti della maggior parte dei titoli del Tesoro USA, consentendo alle banche estere, in particolare, di trarre profitto dall'arbitraggio sulla differenza tra i due tassi; ha stimolato una preferenza generale per le riserve rispetto ai titoli del Tesoro USA come mezzo per soddisfare le nuove normative sulla liquidità.

Per queste ed altre ragioni, il programma di acquisti di asset della FED, che ci si aspettava avrebbe comportato aumenti proporzionali nelle misure monetarie più ampie, nella spesa, nell'inflazione e nei tassi d'interesse nominali, ha influenzato solo in misura modesta tali variabili e lo ha fatto limitando la loro tendenza a scendere piuttosto che farle salire in senso assoluto.

E per quanto riguarda le "diminuzioni significative dei rendimenti delle obbligazioni societarie e dei MBS" a cui faceva riferimento Bernanke? Non hanno dimostrano che il quantitative easing abbia ridotto i tassi d'interesse, almeno per quanto riguarda i titoli a lungo termine? Beh, sì e no. L'evidenza empirica a cui Bernanke faceva riferimento è tutt'altro che chiara. Oltre alla vasta gamma di stime (che altri studi rendono ancora più ampie), gli studi suggeriscono che tra i diversi round di acquisti di asset, solo il QE1 è riuscito a far scendere i rendimenti di lungo periodo in generale, e non solo per quanto riguarda gli asset acquistati dalla FED. Inoltre le riduzioni stimate erano solo di breve periodo, da un paio di mesi a non oltre i due anni. Questo arco di tempo non è abbastanza lungo da spiegare perché i tassi siano rimasti bassi fino ad oggi, nonostante un recente rialzo.

Ma non ascoltate me, ascoltate invece l'ennesima testimonianza di Bernanke:

Se chiedete alla gente della strada, "Perché i tassi d'interesse sono così bassi?", probabilmente risponderebbero che la FED li sta mantenendo bassi. Questo è vero solo in senso lato. La FED imposta il tasso d'interesse nominale a breve termine di riferimento. Le politiche della FED impostano anche la determinante dell'inflazione e le aspettative d'inflazione a lungo termine, e le tendenze dell'inflazione influenzano i tassi d'interesse. Ma ciò che più conta per l'economia è il tasso d'interesse reale, o aggiustato all'inflazione. [...] La capacità della FED d'influenzare i tassi reali, in particolare i tassi reali a lungo termine, è transitoria e limitata. Tranne che nel breve periodo, i tassi d'interesse reali sono determinati da una vasta gamma di fattori economici, tra cui le prospettive per la crescita economica.

In altre parole, se il QE — scusate, il LSAP — ha funzionato come sostiene Bernanke (2012), lo ha fatto, sempre secondo Bernanke (2016), solo temporaneamente. Se gli acquisti sembravano fare di più, era perché stavano anche anticipando le variazioni dei tassi, compresi quelli sintomatici della stessa ripresa economica incerta che ha incitato la FED ad impegnarsi in acquisti di asset su larga scala. Come ha detto Mehmet Pasaogullari (in un articolo scritto per la FED di Cleveland): "Ogni giro di QE dovrebbe essere visto come una risposta alle condizioni economiche sfavorevoli in un periodo in cui l'ulteriore stimolo dell'economia non potrebbe essere fornito mediante il tasso dei fondi federali, poiché a zero." Il LSAP, in altre parole, era il modo che aveva la FED per indicare il calo dei tassi e dire: "Vi ordino di scendere... ora!"

Ma perché fidarsi di Bernanke (2016)? Dobbiamo fidarci perché la teoria provata (in contrasto con le dubbie teorie che hanno dato il via alla politica del quantitative easing) e le evidenze empiriche sono d'accordo con lui. La teoria provata è quella di Knut Wicksell. Come ha osservato Larry White il luglio scorso:

Secondo la famosa analisi di Wicksell, una banca centrale può portare (o tenere) il tasso d'interesse di mercato al di sotto del tasso naturale iniettando denaro, cosa che sposta la curva dell'offerta dei fondi mutuabili a destra, aumentando la quantità di fondi mutuabili e abbassando il tasso d'interesse ("effetto liquidità"). Man mano che il nuovo denaro circola, ciò fa salire i prezzi ed i redditi nominali, cosa che sposta la curva della domanda nominale dei fondi mutuabili verso destra, aumentando il tasso d'interesse di mercato ("effetto reddito nominale"). Se la banca centrale vuole mantenere basso il tasso di mercato a fronte dell'effetto reddito nominale, deve accelerare l'iniezione di denaro. Per otto anni i tassi reali a breve termine sono stati negativi, ed i tassi nominali vicino allo zero, con pochi segni di accelerazione nella crescita della moneta o nel tasso d'inflazione. Così lo scenario wickselliano non sembra essere un valido candidato per spiegare perché i tassi attuali siano rimasti così in basso sin dal 2008.



I movimenti dei tassi naturali e presumibilmente controllati dalla FED: una falsa dicotomia

La spiegazione alternativa — che i tassi naturali siano scesi a loro volta — è supportata da una serie di studi empirici, i quali mostrano che tutti i principali determinanti dei tassi nominali "naturali", tra cui l'inflazione e la produttività totale dei fattori, hanno fatto registrare un andamento al ribasso da molto tempo prima rispetto ai primi grandi acquisti di asset da parte della FED. Ecco il grafico a cui Janet Yellen ha fatto riferimento lo scorso dicembre, il quale mostra varie stime del tasso naturale fino a quel momento:




Attribuendo i tassi d'interesse bassi ai tassi "naturali" bassi, piuttosto che agli acquisti di asset su larga scala, non intendo assolvere la FED dalla colpa per tali tassi bassi. Al contrario: anch'io ritengo la FED responsabile, in misura considerevole, per il fatto che i tassi siano rimasti bassi. Solo che non credo che li abbia tenuti lì pompando denaro nell'economia.

Come abbiamo visto, i tassi sono scesi originariamente non perché la politica monetaria era troppo allentata, ma perché era troppo ristretta. In altre parole la FED ha sbagliato a tenere alti i tassi durante i mesi che hanno portato al crollo della Lehman, non a spingerli verso il basso. La teoria di Wicksell è ancora una volta rilevante. Essa sostiene che al fine di mantenere i tassi d'interesse al di sotto dei livelli naturali, una banca centrale deve ricorrere ad un'espansione monetaria sempre più aggressiva, ma implica anche che una banca centrale che si sforza a mantenere un obiettivo dei tassi troppo elevato, causerà un declino della spesa (o, se si preferisce, della domanda aggregata). Questo declino, a sua volta, metterà pressione al ribasso sui tassi di mercato, riducendo la domanda nominale di fondi. Tale pressione poi ispirerà un ulteriore restringimento, e così via, fino a quando la banca centrale alla fine non cederà. Gli sforzi della FED nel mantenere i tassi allo zero bound hanno finito per ritorcersi contro di lei.

Tutto questo lascia ancora la persistenza di tassi bassi inspiegabili. Gli effetti di Wicksell non possono spiegare tale persistenza. Alla fine il riallineamento dei prezzi, la crescita monetaria rinnovata, o una combinazione dei due, dovrebbe risvegliare i tassi, ceteris paribus. Invece sembra che i tassi "naturali" dovessero scendere, così come suggeriscono le stime nel grafico della Yellen. È possibile che sia colpa della FED?

Può essere, almeno in una certa misura. È un errore insistere su una dicotomia tra movimenti della "politica monetaria" e tassi d'interesse "naturali", o (che è lo stesso) identificare questi ultimi movimenti con le forze "secolari". La politica monetaria può in ultima analisi avere un impatto sui tassi naturali stessi; e credo sia questo quello che è accaduto. Anche se normalmente i tassi potrebbero scendere temporaneamente in risposta ad un calo della domanda aggregata, esso stesso il risultato di una politica troppo ristretta, tale discesa ha costretto la FED ad abbandonare i suoi strumenti ordinari di controllo monetario ed a ricorrere alle "politiche non convenzionali". Il passaggio a politiche non convenzionali ha determinato un aumento sostanziale dell'incertezza riguardo il corso futuro dei tassi d'interesse, cosa che, a sua volta, è servita a mantenere i tassi bassi smorzando ulteriormente un appetito già sbiadito nei confronti degli investimenti. Anche se alcuni dei successivi interventi della FED (es. forward guidance) avevano lo scopo di reprimere questa incertezza, il loro successo è stato piuttosto limitato.

È troppo presto per dire se durerà il recente rialzo dei tassi a lungo termine — il rendimento del decennale del Tesoro USA è salito di 50 punti base sin dall'elezione di Trump, in gran parte a causa di una revisione al rialzo delle aspettative d'inflazione. E se questa situazione spingerà ancora la FED a perseguire una politica di rialzo dei tassi, sarà solo l'ennesimo esempio del cane che si morde la coda.[1] Ma se vi sentiste di ringraziare la FED poiché finalmente sta rialzando i tassi, spero che vi ricordiate di mio padre quando puntava il dito al semaforo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Mentre questo articolo era in fase di preparazione, il governatore della FED Jerome Powell ha detto che sarebbe stato probabile un rialzo dei tassi dopo l'ultima riunione della FED. "I dati in entrata", ha puntualizzato, "mostrano un'economia che sta crescendo ad un ritmo sostenuto, con miglioramenti nel mondo del lavoro e l'inflazione che gradualmente si sta muovendo fino al 2%." Quello che Powell ha trascurato di dire era che i "dati in entrata", per quanto riguarda i tassi d'interesse stessi, mostrano un loro aumento... che la FED li voglia rialzare apposta o no.

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2 commenti:

  1. Vedete come sono bravo a tenere la tigre per la coda? Visto che bravo?
    Visto com'è docile?

    Finché, ad un tratto, ...

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  2. Un po' di tempo fa, commentai l'articolo di Selgin ( https://www.alt-m.org/2016/12/01/fed-holding-interest-rates/ ) e l'autore mi rispose. Il punto è che, tra settembre e ottobre 2008, l' "effective federal funds rate" (EFFR) stava diminuendo a causa dell'aumento della base monetaria operato dalla Federal Reserve. Le banche erano piene di riserve in eccesso, perciò i tassi scendevano.
    Quindi la Fed non voleva che l'EFFR diminuisse al di sotto del suo target, ma era lei stessa a causare tale effetto.

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