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giovedì 9 marzo 2017
Ecco i grandi spendaccioni e il bagno di sangue fiscale che li attende
di David Stockman
Donald Trump è un presidente che ha l'aspirazione di far tornare grande l'America, ma senza una parvenza di programma politico che possa raggiungere tale obiettivo. E nessuna prospettiva che le classi dirigenti gli permetteranno di governare.
In realtà, lo contrasteranno ad ogni turno — più che evidente dalla campagna isterica sugli hacker russi che è stata condotta contro Donald Trump durante le ultime settimane della campagna elettorale, e poi con ulteriore cattiveria dopo la sua vittoria l'otto novembre scorso.
Non ci può essere alcun dubbio sul fatto che lo Stato Profondo stesse tentando di delegittimare la sua presidenza, e che intensificherà la mobilitazione delle sue vaste risorse nei media mainstream.
Quindi non aspettatevi il tipo di deferenza che è stata concessa ad ogni presidente nei tempi moderni. Invece nel giro di pochi mesi la Casa Bianca verrà inghiottita da conflitti di parte e crisi.
Se dovessi riassumere in poche parole la mia prospettiva riguardo l'Amministrazione Trump, direi: un sacco di speranze, zero fiducia.
Cioè, la bruciante sconfitta che Donald Trump ha inferto alle élite l'otto novembre scorso, è stato sicuramente il singolo evento politico più promettente di questo giovane secolo e potrebbe anche eclissare la vittoria scioccante di Ronald Reagan nel 1980. Spero che Trump bonifichi la palude. Gli auguro il meglio. Ma ho già visto questo film — e ho anche avuto una piccola parte in esso.
E la verità è che se Ronald Reagan non è riuscito a bonificare la palude allora, come può farlo Donald Trump dopo 36 anni d'incessante auto-esaltazione dalla Città Imperiale?
Infatti, in dollari aggiustati all'inflazione, il complesso militare-industriale è il doppio più grande di quanto non fosse nel 1980 e la spesa totale per i pagamenti sociali è quattro volte più grande (da $700 miliardi a $2,600 miliardi in dollari costanti).
Il problema, naturalmente, è che Donald Trump vuole spendere di più per il primo e concedere più risorse ai secondi.
Allo stesso modo, ha detto a malapena una parola intelligente su come intenda disinnescare la bomba ad orologeria del debito pubblico da $20,000 miliardi, che è oggettivamente $30,000 miliardi sulla base di politiche già messe in conto per il prossimo decennio.
E questo prima che Trump prenda in prestito un solo centesimo per finanziare il suo Muro, le spese per la difesa, i tagli fiscali, le spese per le infrastrutture, i benefici ai veterani e le iniziative al confine.
Ronald Reagan almeno era disposto a limitare le spese per i pagamenti sociali e detestava la sregolatezza fiscale ed il debito pubblico. Ciononostante finì per essere un keynesiano che supervisionò una massiccia baldoria d'inchiostro rosso nei conti pubblici che fino a quel momento non si era mai vista in tempo di pace, ma che era una conseguenza della politica, non del credo filosofico.
Come ho raccontato in Triumph of Politics, il taglio delle tasse targato Kemp-Roth era destinato ad essere del 3.5% del PIL, ma finì per andare oltre il 6% del PIL a causa di pressioni sul Campidoglio da parte di sviluppatori immobiliari (come Donald Trump), proprietari di royalty su petrolio e produttori di stufe a legna.
Allo stesso modo, durante la campagna elettorale promise una crescita reale del 5% riguardo la spesa per la difesa e invece arrivò al 10%. Reagan approvò anche un programma di mini-infrastrutture riparando buche e finanziando autobus e linee di trasporto di massa, quando aveva invece promesso di trasferire queste funzioni agli stati e ai governi locali.
Allo stesso tempo, quello che era iniziato come un attacco retorico a tutto campo contro lo stato sociale durante la campagna elettorale, finì invece con qualche piccolo taglio. Nemmeno una sola agenzia federale significativa venne chiusa. Al suo secondo mandato, la spesa totale per le funzioni nazionali era pari al 15.5% del PIL — solo un pelo sotto la media del 15.9% sotto il presunto "spendaccione" Jimmy Carter.
Inutile dire che i $930 miliardi di debito pubblico ereditati da Ronald Reagan, arrivarono a $2,700 miliardi quando egli lasciò la carica. Detto in altro modo, i $1,800 miliardi che Reagan aggiunse al debito pubblico erano quasi il doppio di quelli sostenuti da tutti i suoi 39 predecessori durante i primi 190 anni della Repubblica.
I repubblicani hanno decretato che gli anni '80 sono stati un miracolo di crescita economica e rinascita del vigore capitalista. Ma in realtà non sono stati affatto meravigliosi, tranne per un boom di tre anni con una crescita reale del PIL al 4-6% a metà degli anni '80, alimentato, però, dallo stimolo fiscale più grande mai immaginato prima di quel momento. All'apice del boom, l'inchiostro rosso superava il 6% del PIL rispetto, per esempio, ai deficit di LBJ che a malapena erano pari al 2% del PIL.
Ancora più importante, il Partito Repubblicano perse la sua verginità fiscale durante la baldoria d'inchiostro rosso di Reagan e da allora in poi è diventato lo strumento delle lobby amanti dei tagli fiscali, piuttosto che essere la storica sentinella di una rettitudine fiscale. Dick Cheney benedisse, per così dire, questa nuova religione fiscale durante l'Amministrazione di George W. Bush, quando disse che "i deficit non hanno importanza."
Ma questo è esattamente il motivo per cui Donald Trump ha un problema fiscale monumentale e non potrà mai essere il secondo Ronald Reagan, diversamente da quello che pensano i venditori ambulanti di azioni.
Dopo che Reagan fece salire alle stelle il debito pubblico, ne seguì una concorrenza per pasti gratis tra i due partiti che aumentò il debito pubblico del 20X. A quel tempo Reagan chiese al Congresso un aumento del tetto del debito pubblico al fine di finanziare i deficit di Jimmy Carter.
Disse che non l'avrebbe mai più chiesto di nuovo e che il bilancio poteva essere bilanciato entro il 1984. Il resto è storia, naturalmente.
Le implicazioni per Trump non potrebbero essere più chiare. I suoi predecessori hanno completamente esaurito il bilancio pubblico della nazione. Considerando che Reagan ereditò un debito pari a solo il 30% del PIL ed aveva ampi spazi fiscali con cui giostrare il deficit, Donald Trump non ha più spazio con un debito pubblico al 106% del PIL.
Inoltre, a differenza di Reagan, Donald Trump ha una certa affinità col debito ed ha un programma che è più irresponsabile dal punto di vista fiscale rispetto a quello di Reagan, almeno sulla carta.
Trump si sta preparando a scatenare le forze politiche dal profondo della Città Imperiale, le quali soffocheranno e paralizzeranno il processo di governo entro sei mesi.
Mi sto riferendo all'Obamacare, al ripristino della forza militare degli Stati Uniti, al taglio e alla riforma fiscale per le imprese, al programma di spese per infrastrutture, alla svolta verso il protezionismo e alle sue promesse per chiudere i confini ed espellere milioni di clandestini.
La verità è che il nostro sistema di governo serve bene la nazione la maggior parte del tempo, perché reprime gli impulsi naturali dei politici eletti ad intervenire, a ficcanasare nella vita altrui ed a spendere.
Ma quando si è seduti su una bomba ad orologeria di spese sociali e debito pubblico, un programma per peggiorare la situazione è l'ultima cosa di cui si ha bisogno.
Nei giorni a venire potremmo assistere alla Grande Conflagrazione — che è probabile che sia l'eredità di Trump.
Trump perderà probabilmente il controllo il prossimo 15 marzo quando giungerà il fatidico momento del tetto del debito ed inizierà il conto alla rovescia per una crisi del tetto del debito.
Ma Wall Street ha ignorato questo bagno di sangue fiscale ed è atterrato a fanstasilandia pensando che Trump farà tornare di nuovo grande la crescita economica con un aumento del 3-4% del PIL e vertiginosi aumenti dei profitti aziendali.
Non succederà. Allacciate, quindi, le cinture di sicurezza perché la palude sta per diventare molto più profonda. Donald Trump ha riunito un team di falchi, protezionisti, spendaccioni, capitalisti clientelari e fanatici del controllo delle frontiere.
Non che Donald Trump non abbia intenzioni ammirevoli per far funzionare la macchina del governo a favore dell'entroterra statunitense piuttosto che a favore delle élite, del racket della Beltway e della burocrazia.
Ma lo Zio Sam è in bancarotta dopo tre decenni d'indebitamento, spesa e stampa monetaria, e c'è poco che Trump possa fare per fornire sollievo economico — anche con tagli fiscali — agli elettori che lo hanno eletto.
Allo stesso tempo, ha erroneamente preso posizioni politiche che prevedono un'apertura nei confronti delle creature della palude. Il bagno di sangue fiscale all'orizzonte sommergerà tutte le sue buone intenzioni.
Saluti,
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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