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mercoledì 8 febbraio 2017
La rivoluzione fallita
di David Stockman
Le rivoluzioni hanno a che fare con cambiamenti drastici all’interno di un regime di potere stabilito. I piani di Ronald Reagan, tuttavia, non comprendevano fin dal principio cambiamenti di questo genere. Ma i miei piani sì, e non solo i miei, ma anche quelli di un piccolo gruppo di intellettuali sostenitori della visione economica che privilegia l’offerta alla domanda (supply-side economics).
La Rivoluzione Reagan, come allora la definii, richiedeva un assalto al welfare state americano. Ed era l’unico modo per sostenere gli enormi tagli alle tasse che per Reagan erano cruciali.
Allo stesso modo si sarebbero dovute eliminare, o comunque modificare, quarant’anni di promesse, programmi d'assistenza, diritti sociali e reti assistenziali decretati dal governo federale.
Una vera rivoluzione della politica economica avrebbe significato una battaglia politica rischiosa con i gruppi elettorali al cui beneficio andava la generosità di Washington – beneficiari dello stato sociale, veterani, agricoltori, insegnanti, dipendenti pubblici, industria immobiliare, ecc.
L’idea centrale della Rivoluzione Reagan, oltre ai tagli al budget e alle tasse, era un governo minimo – una creatura sobria e ingenerosa, capace di offrire un’equa giustizia pubblica e nient’altro.
La sua visione di una società buona si basava sulla forza e sul potenziale produttivo di uomini liberi in un mercato libero. Cercavamo di incoraggiare la produzione senza restrizioni di capitale e così anche l’espansione del welfare privato. Immaginavamo l’opposto del gigantesco arazzo di dipendenze, scudi, protezioni da una costa all’altra degli Stati Uniti, intessuto dai politici nazionali.
Ecco la verità: la Rivoluzione Reagan non ha mai avuto alcuna possibilità di successo.
Questa rivoluzione sfidava gli enormi interessi che muovono le forze della democrazia americana. Il nostro sistema madisoniano, tripartitico e con le due camere legislative affinché il potere sia equamente diviso, è un sistema conservatore e non radicale. Abbraccia il passato e s'inoltra nel futuro un passo alla volta: non si può iniziare una rivoluzione senza inciampare e cadere.
Contrariamente a quanto molti pensano, Reagan fu un politico del consenso e non un ideologo. Non cercò di fare una rivoluzione, proprio perché non era nelle sue corde.
Reagan tendeva a destra, senza dubbio, ma la sua visione conservatrice rimase solo una visione. Aveva un certo buon senso per le direzioni di lungo termine, ma nessun progetto di governo radicale. Non aveva alcun piano concreto per dislocare la società americana a lui contemporanea.
Io fornii quel piano. Come tutti i rivoluzionari, io ed i miei colleghi supply-sider volevamo portare il nostro programma davanti al grande pubblico e farlo dunque uscire dalla nicchia minoritaria dove era stato elaborato. Allora lo lanciammo con toni squillanti per farlo arrivare alle orecchie di ogni politico. Sottolineammo la parte facile – i tagli delle tasse. Quella parte della dottrina che prevedeva il dare all’elettorato e non prendere.
Nel gennaio 1980, i consulenti della campagna elettorale di Reagan decisero di fargli ripassare i principali temi politici nazionali. Jack Kemp, Art Laffer e Jude Wanniski lo istruirono secondo la dottrina supply-side.
Gli parlarono dalla "Curva di Laffer", secondo cui tasse più basse portano entrate più alte per l’erario. Reagan intuì subito che questa teoria era vera e mai ne dubitò. Raccontò una storia personale di come la configurazione tributaria di "natura confiscatoria" impedì a lui e ad altri amici attori di accettare nuove parti perché i ricavi extra li avrebbero inseriti in una fascia tributaria più alta.
Tasse alte provocano una diminuzione del lavoro, a differenza di tasse basse. Ma la traduzione della Curva di Laffer nel mondo economico reale del 1981 fu complicata.
Un taglio delle tasse aumenterà le entrate erariali solo partendo da un’economia ad inflazione nulla. Ma Reagan ereditò un’economia con un’inflazione dei prezzi al 12%. Eravamo tutti d’accordo che l’inflazione doveva essere fermata.
Ma quando si drena l’economia dalla sua inflazione, accade qualcosa di strano. Le finanze governative finiscono sulla stessa barca con quelle di agricoltori, estrattori di petrolio e ogni altro: vengono invalidate tutte le precedenti proiezioni di ricavo, e si disconnette la relazione fra le entrate e la spesa. Improvvisamente sparisce il guadagno inflazionistico inaspettato del Tesoro. Mantenere la solvibilità del budget richiese riduzioni di spesa draconiane – una sostanziale, e politicamente dolorosa, diminuzione del welfare state americano.
Il mio progetto per un cambiamento radicale dell’economia nazionale avrebbe colpito milioni di persone nel breve periodo. Richiedeva il taglio dei cordoni ombelicali che correvano da Washington ad ogni angolo della nazione. Richiedeva l’applicazione spietata di sacrifici di breve periodo per ottenere guadagni nel lungo periodo.
Questi principi si scontrarono con la realtà politica. Nel corso del tempo i politici avevano indotto decine di milioni di cittadini ad accettare buoni spesa, previdenze sociali, programmi per i veterani e molto altro. Affinché la Rivoluzione Reagan potesse concretizzarsi, avrebbero dovuto essere tagliati.
Solo un cancelliere di ferro ce l’avrebbe fatta e Ronald Reagan non poteva farcela...
Ronald Reagan si dimostrò essere troppo buono, troppo gentile e troppo sentimentale, sempre attento a dar retta a storie di cittadini sfortunati. Vedeva prima d’ogni altra cosa le difficoltà delle persone reali. Contrariamente alla sua immagine di uomo di destra, la sua ideologia arretrava sempre quando sapeva che un singolo individuo ne sarebbe uscito danneggiato.
Questo è il motivo per cui non fu in grado di guidare una vera rivoluzione della politica economica americana.
Nel 1982 avevo capito che una Rivoluzione Reagan sarebbe stata impossibile – era una metafora slegata dalla realtà politica ed economica. Era semplicemente irrilevante dal punto di vista attuativo in un mondo in cui i politici hanno l’ultima parola.
È vero: riuscimmo a ridurre modestamente la portata del disastro fiscale nazionale, nonostante l’opposizione. Riducemmo le spese per la difesa. Feci in modo che i politici approvassero alcuni tagli alla spesa interna e facemmo scendere il deficit a $200 miliardi, un mero errore di arrotondamento nel mondo di oggi.
Non mi piacque per nulla unire le forze con quelle dei politici al Congresso. Non potevo sopportare l’idea di stringere accordi per preservare i loro sprechi ed i loro introiti. Non mi piacque l’idea di aumentare le entrate erariali per pagare gli agricoltori affinché non mungessero le loro mucche o i costruttori affinché edificassero hotel di lusso nei ghetti.
Ma i politici al Congresso avevano una virtù fondamentale: erano pronti ad affrontare la realtà economica. I sognatori alla Casa Bianca – io per primo – no invece.
In ultima analisi non ci fu alcuna Rivoluzione Reagan nella gestione economica della nazione. Tutti i cordoni ombelicali esistono ancora, perché la popolazione elegge dei politici che vogliono mantenerli ben saldi. Questo è un ostacolo insormontabile.
Ho aderito alla Rivoluzione Reagan come ideologo radicale. Ho imparato la lezione: nessuna rivoluzione del genere era possibile.
Il fatto è che i politici possono essere una minaccia: non smettono mai d'inventare manovre di governo illecite che succhiano il sangue all’economia nazionale. I loro ammortizzatori sociali e le loro marchette elettorali sono inefficienti. Non pensano altro che alla prossima elezione.
C’è una sola cosa peggiore a questa, ed è la tracotanza ideologica: presumere che il mondo possa essere reso migliore con uno schiocco di dita. È la falsa credenza che in una democrazia capitalistica possiamo guardare al di là del futuro prossimo e incatenare lo stato ad un progetto definito. Le cose non stanno così e non bisognerebbe nemmeno provarci a farlo...
Auguro a Trump tutta la fortuna di questo mondo. Ne ha bisogno se ha intenzione di “bonificare la palude”.
Mi chiedo solo se abbia una qualche idea delle difficoltà a cui andrà incontro.
Saluti,
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Forse un secolo di primato della politica (socialista, interventista, verticistica e predatoria) comincia ad insegnare qualcosa su ciò che non si deve fare mai più.
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